UN RAGAZZO GAY E IL PIACERE DI STUDIARE

Caro Project,
ho 19 anni, fino a poco tempo fa mi sentivo deluso e frustrato, ho finito il liceo da poco e ho tirato un sospiro di sollievo, avevo bisogno di libertà, di gente nuova, di un mondo meno falso, ero deluso dalla scuola ma non speravo niente di diverso dall’università, sapevo che avrei dovuto studiare, solo studiare, per arrivare poi a fare un lavoro qualunque per sbarcare il lunario mese dopo mese finché campo.

Le lezioni all’università sono cominciate da pochissimo, è tutto diverso dal liceo, qui nessuno ti controlla e sei libero, ma poi devi pagare il conto agli esami e agli esami sei solo e sono tosti. Le materie mi piacciono ma qui si fanno poche chiacchiere e sono già in affanno perché mi rendo conto che a scuola ho solo perso tempo, un po’anche per colpa mia, ma soprattutto perché ero circondato da deficienti, da gente sbandata che ci veniva solo per perdere tempo e per farne perdere agli altri. Adesso devo pagare il conto e mi devo rimettere in pari se non voglio finire sommerso da cose delle quali non capisco quasi niente.

Come avrai capito, con l’università potrei avere parecchi problemi, ma non mi voglio arrendere anche se sarà faticoso. Però a lezione sta succedendo qualcosa che non mi sarei immaginato. Ho visto un bel ragazzo, non ha niente di particolarmente bello ma nel complesso mi piace, cioè non ha niente che mi dispiace, diciamo che è armonico e poi, sì, è carino, dolce soprattutto. Il primo giorno c’è stata confusione all’ingresso, c’erano ragazzi che chiacchieravano a voce alta e ridacchiavano non so di che, lui aspettava da una parte, aveva uno zaino di quelli dove si mettono i libri, ma era quasi vuoto. Qualcuno fumava, lui no, si guardava intorno con un’aria spaurita. Mi sono deciso e gli ho detto ciao e abbiamo cominciato a parlare. Devo dire che mi sono sentito un cretino perché lui parlava benissimo anche se solo di cose scontate, ho capito che era informatissimo sulla facoltà, sulle materie, e perfino sui professori, mi diceva dei programmi, proprio dei contenuti, di come si fanno gli esami, delle varie materie e di tante cose di questo genere. Gli ho detto: “Mi sa che sei un genietto!” Lui è diventato rosso e mi ha detto: “Non mi prendere in giro!” e io ho alzato le mani.

Poi hanno aperto i cancelli e sono cominciate le operazioni di verifica del green-pass e casualmente siamo entrati tra i primissimi nella nostra aula e ci siamo messi vicini nella prima fila, cosa molto strana per me, perché a scuola stavo sempre agli ultimi banchi (quelli dei somari). Insomma, prima della lezione tira fuori un quadernone grande per prendere appunti e la penna, vede che io non mi sono portato niente appresso e allora tira fuori dallo zaino un secondo quadernone nuovo e un’altra penna e me li passa e dice: “così puoi prendere appunti”, io mi limito a sorridere e dico solo: “grazie, ma non vorrei farti sprecare un quaderno…” Lui mi dice: “Gli appunti servono…”

Poi entra il prof., è giovane, non giovanissimo. Si limita a dire solo: “Buongiorno a tutti” si sente rispondere un coro chiassoso di buongiorno, allora fa cenno con la mano di stare calmi e si gira alla lavagna e comincia a scrivere l’oggetto della lezione e poi attacca con le prime definizioni ma le scrive tutte con dei simboli strani che non ho mai usato, li ho visti qualche volta ma non so proprio che cosa possano significare, comunque ricopio tutto sul quaderno, mi rendo conto che il prof. dà per scontate moltissime cose delle quali non so assolutamente una mazza, e mi comincia a venire il panico. Vado avanti con la forza della disperazione ma comincio a pensare che forse sarebbe meglio cambiare facoltà per non cominciare subito a perdere tempo.

Finita l’ora ci sono 15 minuti di pausa. Chiedo a quel ragazzo come si chiama e mi dice che si chiama Leonardo e aggiunge che è uno dei nomi maschili più usato in Italia, io gli dico che mi chiamo Nicola, nome tipicamente meridionale, decidiamo di accorciare i nomi in Leo e Nico che è più comodo. Gli dico che non ho capito quasi niente ma mi risponde che sono ancora tutte banalità e cerca di farmi coraggio e di scacciare l’idea di cambiare facoltà.

Nella seconda ora c’è una professoressa di mezza età, è un po’ lagnosa, nel primo quarto d’ora parla molto ma scrive poco e sembra che qualcosa si capisca, poi si gira verso la lavagna e comincia a scrivere esercizi che sembrano semplici ma ci fa delle considerazioni sopra che non capisco che cosa significano, l’idea di cambiare facoltà torna nel mio cervello. Nell’intervallo vado con Leo alla caffetteria e facciamo colazione, lui cerca di incoraggiarmi e un po’ ci riesce. Quando beve il cappuccino mi accorgo che ha delle mani proprio belle e anche gli occhi non sono niente male. Parla solo con me, poi rientriamo in aula dove abbiamo lasciato i quaderni sul banco perché non ci freghino i posti.

La terza ora arriva un signore anziano, quando entra si crea il gelo nell’aula, non so chi sia ma parla con voce bassa e non usa il microfono, scrive sulla lavagna degli indirizzi internet dove trovare materiale e poi comincia la lezione dando per scontate cose di cui ho solo vagamente sentito parlare, parla di scale logaritmiche e della lettura dei diagrammi logaritmici, io vagamente intuisco il concetto, ma lui fa dei calcoli su quei diagrammi di cui non capisco proprio niente. Uno studente lo interrompe e gli dice che molti dei presenti, al liceo, non hanno proprio studiato quelle cose, il prof. risponde che l’università non può farsi carico di quello che non è stato fatto in altri gradi di istruzione e chi pensa di avere delle carenze bi base può provare a colmarle impegnandosi al massimo o dovrebbe pensare di cambiare facoltà. Segue un brusio in aula, ma il prof. non si scopone, si gira verso la lavagna e continua a scrivere.

All’intervallo mi sento scoraggiato, ma Leo mi frena: “Non sono cose così trascendentali, le cose di cui hanno parlato oggi in un pomeriggio si chiariscono.” Io sono perplesso, poi cominciano le ultime due ore di esercitazioni, qui ho l’impressione che non sia tutto buio pesto ma certo i punti oscuri sono tanti.

Finite le lezioni, tra gli studenti il chiacchiericcio è forte, c’è qualcuno che comincia a pensare che bisognerebbe protestare, Leo non si intromette ma mi dice solo che “bisognerebbe studiare senza perdere tempo.” Gli chiedo una cosa sui diagrammi logaritmici e ce ne andiamo in un’aula di studio per chiarire la questione. Lui si rende conto che io non so niente nemmeno dei logaritmi e si mette lì a spiegarmeli e io comincio a capire di che si tratta, poi rifacciamo insieme le cose che ha fatto il prof. e le cose cominciano a chiarirsi. Poi lui tira fuori i suoi appunti e mi dice che in serata li rimetterà a posto per seguire lo svolgimento del programma giorno per giorno, ma poi quel lavoro lo facciamo subito, rifacciamo tutti gli esercizi e di tutte le materie, mi spiega l’uso di quella simbologia di cui non capivo nulla e ci facciamo sopra degli esercizi. Insomma, stiamo lì a studiare fino quasi alle dieci di sera, poi mi dice che non abbiamo mangiato ma è tardi per andare a prendere una pizza, tira fuori dallo zaino due panini, e me ne passa uno. Mi dice “Nico, intanto oggi abbiamo fatto quello che dovevamo fare.” Mi chiede se ho un mezzo mio, gli dico di no e mi accompagna a casa, quando scendo dalla sua macchina mi sorride e mi dice: “Se vuoi domattina passo a prenderti alle 7.15, ok?” Io gli dico: “ok!” e ci stringiamo la mano. E la serata finisce così.

Questa è la cronaca del mio primo giorno di università. Chi è Leo? Il dubbio è grande come una casa. Se uno non è interessato non si comporta come si è comportato lui e nemmeno come mi sono comportato io. Non oso tirare le somme di questo ragionamento. A casa sono cotto di stanchezza mio padre e mia madre mi chiedono come è andata la prima giornata all’università e gli dico che sono stato a studiare fino a pochi minuti prima e mio padre sgrana tanto d’occhi, mi chiede se ho mangiato, gli dico di sì, me ne vado nella mia stanza e metto un disco di Louis Armstong e lo sento cantare:

I see friends shaking hands, sayin’,
“How do you do?”
They’re really sayin’, “I love you.”

Questa canzone mi sembra la più bella del mondo! Ma non vado a dormire, mi metto a trascrivere gli appunti al computer, in modo da avere un file con tutti gli appunti da mandare a Leo. Trovo e scarico un programma che si chiama latex che permette di scrivere qualsiasi cosa, pure di matematica o di chimica e di inserire grafici. Sto a lavorarci sopra quasi fino all’una di notte, ma mi viene bene e, con le cose che mi ha spiegato Leo il pomeriggio, capisco quello che sto facendo!. Alla fine mi stampo gli appunti in due copie e li metto via per l’indomani e poi, finalmente me ne vado a dormire stanchissimo ma felice.

L’indomani sveglia alle 6.30, preparazione rapidissima e alle 7.15 sono in strada, Leo è già lì, gli chiedo a che ora è arrivato e m dice che è arrivato da pochi minuti, ripartiamo, appena siamo all’università, dentro, gli faccio vedere gli appunti, lui mi guarda e mi dice: “Ma sono bellissimi, sembrano un libro!” e io mi sento fiero di me. Il secondo giorno di lezioni c’è meno gente, Leo dice che probabilmente seguono via web, oppure si sono già decisi a cambiare facoltà. Leo mi passa una cartellina piena di fogli, con gli esercizi scaricati dai siti indicati dal prof. il giorno precedente e mi dice: “Questi li facciamo oggi pomeriggio.” Io gli dico: “Tutti? Perché sono 45.” e lui mi fa cenno di sì con la testa.

La mattinata è densissima, le pagine di appunti sono tante e penso che a rimetterle in ordine ci vorrà moltissimo tempo, ma mi sento meno smarrito del primo giorno. Leo ha un portatile veramente bello, gli dico che ne ho uno anche io e mi dice: “Portalo, così impari a prendere appunti direttamente sul PC!”, lui col PC è rapidissimo ma i grafici copiati a penna sono approssimativi ma si possono copiare, al PC ci vuole troppo tempo, e in fondo farli perfetti non serve. Allora lui prende nota delle formule e dei calcoli e io ricopio i grafici. Intanto ci scambiamo gli indirizzi e-mail in modo da passarci gli appunti elaborati.

Arriviamo alla fine delle lezioni. Leo mi dice: “Lo vuoi un panino come ieri?” Gli faccio cenno di sì e poi aggiungo che però l’indomani i panini li avrei portati io. Andiamo nella sala studio, io voglio cominciare il riordino degli appunti, ma lui mi dice: “No! Prima gli esercizi! Una copia dei primi 5 esercizi a lui e l’altra a me e ci separiamo in modo da lavorare ciascuno per conto proprio, ci diamo un tempo di venti minuti.” Io mi metto a lavorare, il primo e il secondo sono facilissimi e mi sento incoraggiato, già il terzo mi richiede più attenzione, attacco a fare il quarto e non mi ci raccapezzo, non riesco proprio a capire che via seguire, lo lascio lì e passo al quinto che è meno difficile e mi viene quasi subito, suona il segnale dei 20 minuti e penso che in effetti ne sono venuti quattro su cinque.

Leo si avvicina e mi chiede: “Tutto ok?” Io gli dico che il n. 4 non so proprio come farlo. Lui ovviamente li ha fatti tutti e mi passa la sua soluzione dell’esercizio n. 4, io gli dico: “Ma era una banalità!” Mi accorgo che quella banalità, se mi fosse capitato quell’esercizio all’esame, mi avrebbe rovinato l’esame, perché lì non ci sarebbe stato Leo, e allora aggiungo: “… comunque ho capito.” Passiamo agli esercizi dal 6 al 10, con la stessa tecnica, questa volta me ne vengono solo 3 e mi sento demoralizzato, Leo ovviamente li ha fatti tutti! Mi spiega le cose che ho sbagliato e passiamo agli esercizi da 11 a 15, questa volta ne faccio 4 su 5 e uno è di un tipo che non avevo saputo fare a prima botta, proseguiamo fino all’esercizio 45 e la mia media migliora e quelli dell’ultimo gruppo li faccio tutti e 5.

Comincio a mettere via gli esercizi ma mi dice: “Aspetta. Ti riscrivo qui in un ordine casuale gli esercizi che non avevi saputo fare a prima vista e vediamo come te la cavi.” Mi scrive nove esercizi e si siede vicino a me. Ci metto pochissimo tempo e ne faccio perfetti 8 su 9, di uno sbaglio solo i calcoli. Leo mi fa segno che adesso va bene! Poi passiamo alle altre materie dove però non ci sono ancora esercizi da fare e si tratta solo di riordinare gli appunti. A fine serata andiamo a prendere un cappuccino e un cornetto in un bar (come cena) e mi riaccompagna a casa, non mi chiede nemmeno se mi deve accompagnare, semplicemente lo dà per scontato. Ci salutiamo con la solita stretta di mano, che a me sembra che duri un istante di troppo, ma poi penso che forse sono un illuso.

Torno a casa e mi metto subito a trascrivere gli appunti e lavoro fino a mezzanotte. Poi vado a dormire, ma invece di dormire mi metto a fantasticare su Leo, penso che è gay e che si sta innamorando di me. So che non mi devo illudere, che le probabilità che le cose vadano come vorrei sono decisamente basse, ma anche le probabilità che succedessero le cose che sono successe, in fondo, erano decisamente basse. E poi una cosa del genere non mi è mai successa con nessuno. Abbiamo parlato solo di scuola, manco mezza parola fuori dal seminato, ma il suo cellulare non ha squillato mai in due giorni, e poi lui è uno sveglio e preparato, in fondo che motivo poteva avere lui per studiare con me, io potevo solo fargli perdere tempo, e invece mi accompagna a casa, studiamo insieme, perde tempo per farmi fare gli esercizi… insomma, ti pare che questi siano comportamenti neutri? A me no! E poi ha un modo di sorridermi che è diverso da quello che usa con gli altri, lui mi guarda dritto negli occhi, li altri li guarda di sfuggita, questo l’ho notato sia ieri che oggi.

Oggi in classe c’era una ragazza che gli ha chiesto una cosa, lui ha risposto con cortesia ma proprio al minimo sindacale perché io lo stavo guardando e lui non voleva farsi sorprendere a familiarizzare con una ragazza, e anche con gli altri ragazzi al massimo un ciao. Con me si vede che si sente a suo agio pure se parla solo di scuola. Io di lui non ho detto niente a nessuno nemmeno un semplice accenno, Leo è una questione mia, magari ci prendo una tranvata, ma io penso che non ce la prendo, non lo so, ma lo sento. Leo è contento di stare con me, adesso io non lo devo deludere, non devo perdere tempo e non gli devo fare perdere tempo, intanto si studia e non potevo trovare un compagno meglio di lui e poi sarà quello che sarà, ma che andrà bene lo sento! Fai gli scongiuri per me, Project!

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STORIA DI UNA COPPIA GAY

Correva l’anno 1962 quando, finita la Scuola Media, fui mandato per il liceo in un prestigioso Istituto religioso non lontanissimo da Milano. All’epoca avevo 14 anni, ero vissuto sempre a Milano e avevo frequentato la Scuola Media a Milano in un altro Istituto religioso, di cui oggi ricordo solo i grandi corridoi coi pavimenti lucidi, gli insegnanti quasi tutti preti e il clima molto ovattato, in cui nulla penetrava del mondo esterno.

Eravamo controllati a vista dall’orario di ingresso a quello di uscita. I miei genitori conoscevano i genitori degli altri ragazzi, perché la scuola ogni tanto organizzava incontri anche tra genitori in occasioni di feste religiose. In terza media cominciai a riflettere sul fatto che in quelle occasioni facevano la comunione nella cappella della scuola, oltre noi ragazzi, che la dovevamo fare per forza, diverse mamme, ma quasi nessun papà, come se la religione fosse una cosa per donne e bambini, ma allora non mi feci troppe domande in proposito.

A quell’epoca non sapevo nulla del sesso, se non che serve a fare i bambini. Ero molto ingenuo e credevo a tutto quello che mi raccontavano gli insegnanti, che, oltre che quasi tutti preti, erano anche tutti vecchi. La ginnastica era una materia di serie B, che si faceva, perché si doveva fare per forza, in palestra e solo con esercizi individuali da svolgere rigorosamente in tuta, escluso ovviamente qualsiasi sport di gruppo. Per evitare ogni possibile rischio che la presenza in palestra potesse risultare gradevole, la palestra non era riscaldata e ci faceva un freddo cane. Nel giorno in cui si faceva la lezione di ginnastica si andava a scuola direttamente con la tuta. Non c’è bisogno di dire che spogliatoi e docce erano cose assolutamente impensabili.

I miei genitori non si occupavano molto di me, io ero affidato alla tata che cucinava per me cose diverse da quelle che mangiavano i grandi. I miei vestiti li comprava mia madre a suo gusto e io potevo solo dire sissignore. Anche logisticamente facevo parte di un mondo separato, avevo una stanza subito prima di quella della tata e questo fa capire come mi consideravano. I miei genitori andavano in vacanza per conto loro con i loro amici e io andavo al mare in un paesetto della Liguria con la tata. Devo dire che con la mia tata andavo d’accordo, a parte il fatto che era l’unica persona con la quale potevo parlare, era una brava donna e mi voleva bene, lei non aveva figli ed era vedova e mi coccolava nei limiti del distacco sociale che comunque ci divideva.

I miei genitori, nelle rare occasioni in cui parlavano con me, mi prospettavano la scuola superiore come qualcosa di serissimo e di difficilissimo che io avrei dovuto affrontare con la massima serietà perché una bocciatura (e allora succedeva) poteva rovinare definitivamente il mio ruolo sociale. La tata invece mi parlava della scuola superiore come di un posto molto più libero in cui ci sono ragazzi grandi che cominciano ad avere la loro autonomia e a fare le loro esperienze, ma io allora non capivo nemmeno a che cosa si potesse riferire.

L’ultima settimana di settembre la tata mi accompagna alla nuova scuola, vado con lei alla stazione, prendiamo il treno e impieghiamo più di due ore per arrivare a destinazione, poi comincia il viaggio in taxi. Mi guardavo intorno smarrito, poi il taxi si ferma e mi ritrovo di fronte ad un edificio sontuoso che intimidiva solo a guardarlo. La tata cerca di farmi coraggio.

Saliamo lo scalone e arriviamo agli uffici, ci fanno attendere una decina di minuti, poi ci si presenta un prete. Basta che la tata dica il mio nome, è tutto molto informale. Il prete congeda la tata e mi accompagna nella sartoria dove la sarta prende le misure per la mia divisa, poi mi accompagna in una enorme camerata con una doppia fila di letti e mi dice che il mio è il numero 18. Mi dice qual è il mio armadio per conservare le mie cose e noto che non c’è la chiave, poi mi dice di sistemare le mie cose nell’armadio e mi dà un libretto a stampa con il regolamento della scuola e del collegio, mi dice che posso andare nella sala di ricreazione “del ginnasio” per leggere il regolamento e che alle 13.00 dovrò andare al refettorio per il pranzo. Mi raccomanda di leggere con la massima attenzione il regolamento e se ne va.

La camerata era totalmente vuota, non c’erano altri ragazzi e nemmeno preti. Ho sistemato le mie cose nell’armadio e poi sono sceso nella sala di ricreazione che ho trovato tramite una piantina dell’edificio annessa al regolamento. Anche lì non c’era nessuno. Mi sono seduto su una sedia e ho cominciato a leggere, ma allora non ero capace di decodificare i significati di quei messaggi. Si insisteva moltissimo sul fatto che fosse una scuola cattolica e che come tale esigesse dagli studenti un’adesione ai principi del cattolicesimo, che io conoscevo come poteva conoscerli un ragazzo di 14 anni. C’era la gerarchia della scuola, in cui tutto era in mano ai professori e al preside, ovviamente tutti preti, e c’era la gerarchia del collegio, in cui tutto era in mano agli educatori, al padre spirituale e al rettore, ovviamente anche loro tutti preti, ma il rettore era superiore al preside perché al rettore competeva anche la “formazione spirituale” degli alunni. Tutte queste cose, allora mi sembravano ovvie.

C’era anche una parte che trattava delle punizioni per lo scarso impegno scolastico e per la condotta morale non regolare, che allora io interpretavo al livello dei miei 14 anni. Si diceva anche che ciascun alunno che avesse commesso una mancanza avrebbe dovuto accusarsene di fronte ai superiori che l’avrebbero valutata caso per caso e, se fosse stata applicata una sanzione, quella sarebbe stata annotata nelle note di comportamento che sarebbero state trasmesse mensilmente alla famiglia. Il regolamento era molto dettagliato ma nello stesso tempo molto generico, tutto, in concreto, era lasciato all’interpretazione dei superiori.

Terrorizzato dall’idea di fare tardi per il pranzo, alle 12.45 ero davanti al “refettorio del ginnasio”. I refettori erano due, uno per il ginnasio e uno per il liceo, per tenere separati i ragazzi di età diversa, e in quello del ginnasio non c’era nessuno. La porta era chiusa a chiave, alle 12.55 una cameriera ha aperto la porta e io sono entrato. Il salone era immenso, mi sono seduto al primo tavolo che ho visto ma la cameriera mi ha detto che quello era il tavolo dei superiori e allora sono andato a mettermi all’ultimo posto, ma mi ha detto che dovevo mettermi al numero 18 (lo stesso del mio letto) e così ho fatto, perché davanti ad ogni posto c’era un numero. L’ambiente era molto solenne. Sui tavoli c’era una tovaglia bianca, tutti i piatti e le posate portavano le insegne dell’istituto e così anche il tovagliolo, che era numerato. Il mio, ovviamente, portava il numero 18.

La cameriera si era fermata e stava zitta e io non capivo per quale motivo. La guardai perplesso e lei mi fece: “La preghiera!”, poi vedendo che non capivo mi disse che prima del pranzo la persona più importante presente doveva recitare la preghiera per tutti e siccome lì c’ero solo io dovevo recitarla io e aggiungere un’intenzione. Non sapevo che cosa dire e lei mi suggerì: “Segno della croce”, poi mi mise proprio in bocca le parole: “Signore, ti ringraziamo per questo cibo, fai che ci rinforzi sulla via della fede e del tuo servizio” (questa era la formula standard, per quando non c’erano giornate speciali), poi mi disse di aggiungere l’intenzione e io dissi: “Ti preghiamo per questo anno scolastico che sta per cominciare”.

Poi finalmente il pranzo fu servito. La cucina era di buon livello, opera di cuochi professionali. Un primo abbondante ben condito, un secondo di carne con contorno di verdura e la frutta. La cameriera mi avvisò che alle 13.30 dovevo andare via in ogni caso perché lei doveva chiudere il refettorio. Alle 13.30 non sapevo dove andare. L’istituto era praticamente vuoto. Sono tornato nella sala di ricreazione del ginnasio e mi sono messo a leggere delle riviste che stavano sui tavoli, ovviamente tutte riviste cattoliche e di missionari.

Nel pomeriggio, verso le 15.30 è arrivato un altro ragazzo. Ci siamo presentati, era impaurito come e più di me. Prima di tutto abbiamo cercato di capire come avremmo dovuto comportarci all’ora di cena poi abbiamo parlato di quello che ci aspettavamo dalla scuola. Alle 19 siamo andati in refettorio per la cena, io mi sono messo dove mi ero seduto all’ora di pranzo e il mio compagno si è messo accanto a me, ma la cameriera gli ha detto che lui era il numero 26 e che il suo posto era all’altro tavolo, io ho recitato la preghiera e l’intenzione e così abbiamo cenato in due, seduti a due tavoli separati in una sala enorme in cui c’eravamo solo noi.

Dopo la cena siamo tornati nella sala di ricreazione perché non sapevamo dove andare. Lì è passato un prete e ci ha detto che non si deve mai stare senza fare nulla e che potevamo andare in cappella a pregare e noi ovviamente ci siamo andati, francamente non capivo a fare che cosa, ma abbiamo obbedito come se tutto fosse assolutamente ovvio. Alle 20.45 la cappella ha chiuso e noi siamo stati mandati nella nostra camerata, dove il nostro educatore (un prete, ovviamente) ci ha dato una camicia da notte della misura adatta, fatta dalla sartoria, ovviamente con le insegne dell’istituto e un contenitore di metallo con l’essenziale per un minimo di igiene personale: sapone, dentifricio e spazzolino. Ci ha detto che l’indomani avremmo avuto 10 minuti per fare la doccia, tra le 6.10 e le 6.20, prima di andare in cappella per l’educazione religiosa. Ci ha detto che alle 21.00 dovevamo essere a letto e che lui sarebbe passato per controllare prima di spegnere la luce. Alle 21.00 eravamo a letto, l’educatore è passato ed ha spento la luce ma non ho capito da dove, perché non c’erano interruttori, poi ha detto “santa notte” non “buonanotte” e se ne è andato.

Ero abituato ad andare a dormire a mezzanotte e il fatto di dover stare a letto dalle 21.00 non mi piaceva affatto, ma le regole erano quelle. L’indomani alle sei in punto è suonata una campana, che era il segnale della sveglia. Siamo andati nella sala da bagno, dove c’erano 10 box con water e lavandino e 10 box per la doccia. I box avevano una porta con serratura ma la porta non arrivava fino a terra, ho capito solo dopo che le porte erano fatte così per controllare che in ogni cubicolo ci fosse un solo ragazzo, ma all’inizio non facevo caso a queste cose.

Alle 6.30 eravamo in cappella per l’educazione religiosa, in tutto c’erano otto ragazzi tutti del ginnasio 14-15 anni. I banchi della cappella erano numerati come i posti a tavola. La cappella non era la chiesa grande dell’istituto, ma una cappella utilizzata solo da un gruppo di classi, nel mio caso le classi del ginnasio (80 ragazzi circa) in cui diceva messa uno degli educatori a turno. Ho imparato che non c’era un educatore per classe ma che al ginnasio c’erano due educatori che ruotavano sulle due classi, in modo che si scambiavano le classi ogni mese, all’epoca non capivo il senso di tutto questo e l’ho capito soltanto parecchi anni dopo.

Comincia la messa, poi al momento dell’omelia comincia l’istruzione religiosa, centrata sull’idea di “fuggire le cattive compagnie” in cui però si dava per scontato che cosa fossero le cattive compagnie e si insisteva che “volere bene ad un compagno” significa “preoccuparsi per lui” e proprio per questo quando un compagno “non si comporta bene” è un preciso dovere morale segnalarlo ai superiori. In pratica è un dovere morale fare la spia.

Quel giorno sono arrivati molti miei nuovi compagni di studi. Eravamo una quarantina nella mia classe. Arrivavano alla spicciolata. Non c’era nemmeno la possibilità di ricordarsi i nomi perché erano troppi. Io mi guardavo intorno per vedere se c’era qualche ragazzo più bello degli altri e fu così che vidi Giuseppe G., un ragazzo che sembrava più grande della sua età e che ormai aveva ben poco di infantile. Allora non capivo perché esercitasse su di me un fascino così potente e magnetico, perché non avevo mai sentito parlare di omosessualità e non sapevo nemmeno che cosa fosse la masturbazione.

Giuseppe era il n. 32, il suo letto era lontanissimo dal mio, nella sala mensa sedeva ad un altro tavolo, avrei potuto parlare con lui solo nella sala di ricreazione, ma all’epoca mi sentivo un bambino non cresciuto e rispetto a Giuseppe provavo uno stato di soggezione come di fronte a un adulto. Ho continuato a parlare col n. 26, che avevo conosciuto il giorno prima, coi numeri 17 e 19, che mi sedevano accanto nella sala mensa, sentivo di non avere niente in comune e tutto si limitava a un ciao veloce e formale.

L’istruzione religiosa del giorno appresso è stata sulla “correzione fraterna” cioè in pratica ancora una volta sul dovere di fare la spia. Giuseppe lo vedevo solo da lontano ma più lo osservavo più mi piaceva. Il giorno appresso l’istruzione religiosa è stata su due cose distinte: “fuggire la tentazione” e “frequentare i sacramenti”. Ci veniva detto e ripetuto che un ragazzo cristiano si comunica ogni giorno ed ha un padre spirituale che lo possa guidare nella ricerca della santità. Non frequentare quotidianamente i sacramenti era visto molto male come una specie di marchio di satana, una forma di ribellione luciferina. Molti ragazzi cominciavano a storcere il naso davanti a questi discorsi che a me invece sembravano giusti e ovvi, molto semplicemente perché io non avevo niente di speciale da confessare.

Quando andai a confessarmi, senza confessionale, con uno degli educatori, mi sentii chiedere con insistenza: “Non hai da accusarti di niente altro?” e al mio “no” il confessore era alquanto perplesso. Volenti o nolenti, tutti i ragazzi finirono per accettare l’imposizione della confessione. Il primo giorno di scuola cominciò con una messa officiata da un vescovo e dal rettore, che vedevo per la prima volta e da lontano. Noi, per la prima volta, eravamo vestiti con la divisa dell’istituto e tirati a lucido fino all’incredibile. I nostri posti in chiesa erano tutti assegnati a priori. L’omelia del vescovo fu brevissima, poi parlò il rettore ma io ero distratto perché nella chiesa grande Giuseppe era capitato proprio tra me e il celebrante, una specie di “uomo dello schermo”. Giuseppe era serio durante la messa e si comportava come ogni altro collegiale obbediente.

Finita la messa siamo andati nelle aule e sono cominciate le lezioni. Prima di ogni ora di lezione il professore faceva una preghiera e invocava un santo e noi dovevamo rispondere: “Ora pro nobis”. Siamo stati caricati di compiti fin dal primo giorno: sia di Latino (che conoscevamo un po’ dalla scuola media), che di Greco, una assoluta novità. Il primo giorno avremmo dovuto imparare a leggere il pater noster in greco, una cosa che al tempo mi sembrava importantissima e mostruosamente difficile.

Non sapevo come sarebbe stata organizzata la giornata di scuola, pensavo che si potesse studiare ciascuno per proprio conto ma non era così. Alle 13.30 il pranzo, poi la ricreazione fino alle 14.30 e poi di nuovo nelle aule scolastiche del mattino fino alle 18, quando si andava in cappella per l’istruzione religiosa. Potevo vedere Giuseppe solo da lontano e la possibilità di scambiare due parole con lui era ridotta alla mezz’ora di ricreazione tra le 14 e le 14.30.

In classe eravamo tanti, la maggior parte di noi era succube dei professori e degli educatori che ci assistevano (in pratica facevano lezione anche loro il pomeriggio). Giuseppe era l’unico che aveva una personalità sua, era rispettoso e obbediente, perché non si poteva fare diversamente ma qualche volta aggiungeva delle sue considerazioni che in genere non piacevano ai professori e agli educatori, che ci ripetevano che rispondere a una domanda significa tenersi nei limiti della domanda. Giuseppe non era solo bello, ma era anche intelligente, non intendo studioso ma proprio intelligente, aveva anche lui 14 anni ma era straordinariamente sveglio.

Fin dal primo giorno di scuola ci avevano detto che agli studenti più bravi sarebbero stati dati dei riconoscimenti speciali, in pratica delle spillette da appuntare sulla giacca, come le campagne di guerra dei militari. L’alunno migliore allo scrutinio trimestrale poteva fregiarsi di una stella dorata, il secondo della classe di una stella argentata, quelli che non erano stati mai puniti potevano portare un nastrino azzurro all’occhiello. Queste cose erano molto ambite. Io non potevo certo pensare di essere il primo della classe e nemmeno il secondo ma andavo orgoglioso del mio nastrino azzurro. Anche Giuseppe aveva il suo nastrino azzurro perché non era mai stato punito, ma un giorno si tolse il nastrino anche se noi, suoi compagni, sapevamo benissimo che aveva diritto a portarlo. Nessuno, salvo noi, si accorse che si era tolto il nastrino, se se ne fossero accorti, gli educatori lo avrebbero preso come un gesto di ribellione, ma nessuno se ne accorse.

Arrivò il tempo delle vacanze di Natale e tornai a casa, fui molto contento di rivedere la mia tata, non posso dire lo stesso per mio padre e mia madre che ormai erano per me come due estranei. Il rientro a scuola dopo le vacanze di Natale fu per me un momento importantissimo. Sul treno da Milano incontrai Giuseppe che viaggiava da solo e non aveva nemmeno 15 anni, io ero con la mia tata, che però mi lasciò lo scompartimento libero perché potessi parlare con Giuseppe. Giuseppe mi trattava come un adulto e io mi sentivo a mio agio e non posso negare che mi era piaciuto fin dal primo momento il suo modo molto rispettoso di trattare la mia tata. Un contatto con Giuseppe era stato creato e avrei fatto di tutto per non perderlo.

Alla fine del quarto ginnasio fummo promossi entrambi con voti appena più che sufficienti e la cosa non mi rattristò affatto perché vidi il modo di reagire assolutamente indifferente di Giuseppe. Nelle vacanze tra il quarto e il quinto ginnasio ebbi modo di conoscere Giuseppe più da vicino e andai anche a casa sua e mi resi conto che era molto più libero di me, che coi genitori aveva anche un po’ di dialogo serio e poi, anche se allora non lo capivo, mi innamorai di lui. Stavamo sempre insieme, almeno nei limiti del possibile, con la scusa dei compiti delle vacanze che comunque si dovevano fare ed erano tanti.

Il primo ottobre eravamo di nuovo a scuola, ma io adesso avevo un amico speciale. L’istruzione religiosa prese una piega particolare e diventò in pratica un indottrinamento sulla famiglia e sul matrimonio secondo la chiesa cattolica. Si parlava spessissimo della Madonna come madre e come modello di donna, e io non capivo perché si dovesse insistere tanto su queste cose. La verginità della Madonna Mater purissima doveva essere presa come esempio, per me tutti questi discorsi non avevano alcun senso, ma per i miei compagni non erano affatto indifferenti. Non capivo l’enfasi che i preti mettevano sull’argomento ragazze ma poi piano piano mi resi conto dell’imbarazzo con cui moltissimi ragazzi affrontavano quell’argomento, che a me non faceva né caldo né freddo e notai che Giuseppe ci rideva sopra prendendo in giro gli altri compagni, lui non reagiva come gli altri. Ma per me Giuseppe era un amore assolutamente platonico e così rimase fino alla fine del Ginnasio.

Passammo gli esami di licenza ginnasiale per il rotto della cuffia ma li passammo e poi trascorremmo l’estate insieme. I miei genitori avevano conosciuto Giuseppe e si fidavano di lui, e fu così che andai in vacanza con la famiglia di Giuseppe. I genitori mi erano simpatici ma passare l’estate intera con Giuseppe, per me, era come stare in paradiso. Andammo all’Isola d’Elba in una casa della famiglia di Giuseppe. La casa era piccolina e io stavo in camera con Giuseppe. Una sera i suoi genitori si trattennero a casa di amici e io rimasi solo con Giuseppe. È stata la prima volta che ho visto un imbarazzo tremendo sulla faccia di Giuseppe, simile a quello che i nostri compagni avevano quando parlavano di ragazze. Non è stato lui la cattiva compagnia per me ma lo sono stato io per lui.

Non sapevo come comportarmi ma ho seguito l’istinto, gli ho preso la mano e l’ho stretta. Lui non sapeva che fare e io gli ho detto: “Ma di che hai paura? Non stiamo facendo niente di male.” È cominciata così, avevamo entrambi appena compiuto 16 anni. Dopo, Giuseppe era terrorizzato ed è toccato a me fargli capire che non aveva fatto niente di male, lui comunque era veramente sconvolto e si teneva lontano da me come se avesse fatto qualcosa di terribile contro di me e allora gli ho accarezzato la faccia e gli ho passato una mano tra i capelli e lui mi ha fatto un bellissimo sorriso. Il giorno appresso mi ha chiesto se ci ero rimasto male ma gli ho detto che ci ero rimasto benissimo e che gli volevo bene.

Quando si avvicinava il tempo del rientro a scuola mi chiese come avremmo fatto per la confessione e concludemmo che avremmo dovuto fingere motivi ideologici (perdita della fede) se avessimo voluto evitare di profanare i sacramenti e ci trovammo d’accordo che avremmo fatto così, e poi avremmo potuto parlare di ragazze e la cosa sarebbe stata quasi normale.

Il primo ottobre dell’anno successivo, ormai sedicenni, io e Giuseppe entrammo al liceo. Ci aspettavamo che qualcosa potesse cambiare, ma non cambiò assolutamente nulla, adesso in refettorio (il refettorio del liceo) c’erano quasi 120 ragazzi e il refettorio grande (quello del Liceo) sembrava quasi una cattedrale. Ogni tanto si vedeva a pranzo anche il rettore e il padre spirituale. L’ordine era di tipo militaresco, non ci si sedeva a tavola prima della preghiera che, anche al liceo, era accompagnata ogni giorno da intenzioni diverse. Il rettore ci diede il benvenuto e pregò per il nostro impegno negli studi e nella vita cristiana.

Durante le messe in cappella con gli altri liceali notavo che non tutti facevano la comunione e questo mi faceva pensare perché non la facevamo né io né Giuseppe, però gli altri si facevano convincere dagli educatori e la volta successiva andavano a confessarsi e si comunicavano, io e Giuseppe invece non ci lasciavamo convincere. Era ovvio fin dai primissimi giorni che il nostro modo di fare era stato notato e non era affatto gradito. Io fui chiamato dal padre spirituale, che avevo visto solo nella sala da pranzo, e sospettavo che il motivo fosse proprio il fatto che non mi accostavo ai sacramenti.

Era un prete relativamente giovane, tra i 40 e i 45 anni, aveva il modo di fare del prete in carriera che mirava a diventare rettore nel tempo di qualche anno. Io avevo chiesto ai ragazzi più grandi se avevano mai parlato col padre spirituale e mi avevano detto che non lo conoscevano proprio ma che si occupava solo dei “problemi grossi”. Andai al colloquio aspettandomi quello che sarebbe successo. Il padre spirituale mi disse che lui parlava spesso coi ragazzi che gli chiedevano consiglio: prima bugia! Poi partì prendendo le cose molto alla lontana, mi chiese come mi trovavo coi professori, ma su questo punto la risposta era scontata, poi mi chiese dei miei compagni, se ce n’era qualcuno col quale mi trovavo meglio e io ne nominai un paio di quelli che sembravano nati per fare il chierichetto a vita e ovviamente non nominai nemmeno Giuseppe, poi cominciò l’esame inquisitorio: “come va la tua vita cristiana?” e io gli dissi che avrei tanto voluto avere una vita cristiana ma che avevo perso la fede e cominciavo a sentirmi lontano da quelle cose. Lui si mise la stola, dando per scontato che io volessi confessarmi ma gli risposi che l’idea di accostarmi ai sacramenti in modo non spontaneo mi sarebbe sembrata una mancanza di rispetto verso quelli che credono veramente. Il padre spirituale rimase molto perplesso e mi licenziò aggiungendo che avrebbe pregato per me.

Ormai sapevo di essere un sorvegliato speciale, e non sopportavo proprio quella condizione, se fosse stato per me, me ne sarei andato via subito, a costo di affrontare i miei genitori a brutto muso, perché loro l’avrebbero presa malissimo, e me ne sarei andato in un liceo pubblico che pensavo sarebbe stato un mondo completamente diverso, ma non potevo abbandonare Giuseppe. Avremmo potuto farci cacciare entrambi, ma era impossibile capire con quali conseguenze. Si doveva andare avanti con una recita assurda per sfuggire a ciò che sentivamo come una forma di violenza totale. Ci sarebbero stati altri tre anni di vera e propria tortura ma eravamo pronti ad affrontarli.

Con Giuseppe non era possibile nessun contatto, neppure minimo, scambiare bigliettini ci avrebbe esposto a situazioni pericolose. Seppi più tardi che Giuseppe aveva usato uno stratagemma diverso dal mio e questo aveva sviato le indagini del padre spirituale. Lui aveva rubato il disegno di una donna nuda fatto da un altro compagno e lo aveva nascosto deliberatamente tra le pagine del suo vocabolario di latino, il foglio era irregolare ed era appoggiato alla rilegatura in due soli punti, ma lui, poi, aveva trovato quello stesso foglio messo in modo diverso, segno che qualcuno aveva sfogliato il suo vocabolario e, avendo trovato il foglio, non lo aveva preso ma lo aveva lasciato lì. Siccome gli armadietti dei libri e dei quaderni scolastici erano nell’aula dove si faceva lezione, la probabilità che fosse stato un compagno di scuola era praticamente nulla.

Avevo notato che il padre spirituale, quando incontrava Giuseppe gli diceva: “Dì tre Ave Marie alla Madonna…” Seppi solo dopo che Giuseppe aveva finito per cedere alle pressioni del padre spirituale, che se lo immaginava come Adamo tentato da Eva, e gli aveva raccontato quello che il prete si aspettava. Alla fine Giuseppe era stato costretto a prendersi gioco dei sacramenti e ne ha sofferto parecchio. Ho provato a digli tante volte che sono vere colpe solo le decisioni “libere” che recano danno al prossimo, ma non era abbastanza laico per accettare questo punto di vista.

I veri momenti di contatto con Giuseppe erano nelle vacanze. Nelle vacanze di Natale e di Pasqua si poteva uscire insieme ed erano giornate esaltanti, qualche volta si arrivava a toccarsi o a masturbarsi insieme. Allora non esisteva l’aids e per due ragazzi della nostra età le malattie veneree erano una realtà del tutto sconosciuta e impensabile. Né i miei genitori né quelli di Giuseppe hanno mai sospettato nulla, evidentemente la scuola cattolica era stata una buona palestra, ci aveva dato una buona educazione e ci aveva insegnato come “proteggerci dai pericoli che ci circondavano”.

Nelle vacanze estive tra il primo e il secondo liceo, tutti i nostri dubbi erano dissipati, avevamo 17 anni, ma sapevamo quello che volevamo, ormai ragionavamo con la nostra testa. Giuseppe andava d’accordo coi genitori ma non si sognava neppure di parlare apertamente con loro di sessualità, io con i miei avevo in pratica solo un rapporto formale, a loro andava bene così e io capivo giorno dopo giorno che solo con Giuseppe avrei potuto vivere la mia vita e che conciliare quello che provavo per Giuseppe con altre cose sarebbe stato impossibile. Tra l’altro sia io che lui eravamo stati fortunatissimi perché, senza internet e senza telefonini e con la paura di dichiararsi che c’era allora, la probabilità di trovare un altro ragazzo gay serio era quasi zero.

L’ultimo anno, ormai, non avevamo più paura di niente e di nessuno. Dovevamo studiare perché allora la maturità era terribile ma ci siamo anche divertiti, dopo le vacanze di Natale abbiamo introdotto in collegio le novelle di Boccaccio in edizione integrale “per approfondire gli studi!” E il libro ci è stato sequestrato ma non abbiamo avuto una segnalazione disciplinare per non sollevare polvere. Ma la cosa più bella è stata quando abbiamo messo nell’armadietto dei due nostri compagni “che facevano la spia” due copie del Capitale di Marx. Lì veramente si è visto che da un giorno all’altro è cominciata la caccia alla mela marcia, o sarebbe meglio dire la caccia alle streghe, ma i preti non sono arrivati a capire chi avesse introdotto quei libri e la faccenda è stata insabbiata.

Presa faticosamente (molto faticosamente) la maturità si è posto il problema della scelta della facoltà, scelta che i nostri genitori ritenevano fondamentale, mentre per noi l’unica scelta fondamentale era rimanere insieme. Mio padre mi avrebbe voluto medico, il padre di Giuseppe lo avrebbe voluto avvocato, come lui, alla fine decidemmo entrambi di studiare ingegneria e fu una scelta libera e quanto mai opportuna.

Ora siamo entrambi vecchi, over 70, la salute è un po’ incerta ma regge ancora passabilmente. Abbiamo uno studio di ingegneria bene avviato, dove nessuno sa di noi. Eravamo entrambi figli unici. I nostri genitori sono stati sempre all’oscuro di tutto. Viviamo in due villette singole confinanti un po’ fuori città, abbiamo aperto una porta nella recinzione che ci divide, ovviamente viviamo insieme da un po’, in pratica da quando siamo rimasti entrambi senza genitori 14 anni fa.

Abbiamo in comune una badante (o una signora tutto fare), un po’ una specie di tata per vecchi. Credo che lei abbia capito come stanno le cose ma non si è mai fatta problemi e non ha mai fatto chiacchiere. Abbiamo un cane, “pof”, che è in pratica di tutti e due.

Adesso siamo liberi, 60 anni fa non avremmo mai immaginato un futuro così. Sono grato alla scuola cattolica perché, per quanto possa sembrare paradossale ci ha indotto a ragionare con la nostra testa. Credimi, Project, ai nostri tempi e nelle nostre condizioni era molto difficile. Se lo credi opportuno puoi mettere questa mail nel forum.

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Risposta di Project: Grazie per la tua mail, siamo più o meno coetanei, ma io ho frequentato un liceo statale, era anche quello un ambiente chiuso ma ci si respirava un’aria molto diversa e non c’erano tentativi istituzionalizzati di educazione ideologica, anche nella mia scuola c’era una penetrazione insinuante di organizzazioni cattoliche, ma il fatto che la scuola non fosse parte di un collegio ma fosse una scuola statale dove si sta solo per le ore di lezione del mattino, consentiva comunque forme di relativo pluralismo. Uno poteva anche in una scuola statale finire invischiato in organizzazioni di lavaggio del cervello come quelle di cui parli tu, ma aveva anche la possibilità di uscirne, se voleva, e poi va aggiunta una considerazione, il collegio di cui parli aveva due caratteristiche, una era l’essere cattolico e l’altra era di essere un ambiente sociale di élite, quindi molto selettivo, ed è un’accoppiata terribile.

La tua storia mi ha ricordato, per certe atmosfere, il romanzo di Roger Peyrefitte “Les amitiés particulières”, ma il romanzo di Peyrefitte è stato pubblicato nel 1943 e si riferisce ad epoche ben anteriori agli anni ’60 del secolo scorso, gli epiloghi del libro di Peyrefitte sono tragici perché la pervasività e la violenza di quello che ritrae erano oggettivamente estreme. La storia che racconti tu è degli anni ’60 e il clima era già cambiato. Devo aggiungere che leggendo la tua mail ho avuto il timore di trovare una conclusione analoga a quella del romanzo di Peyrefitte ma per fortuna non è stato così. Dopo la fine della guerra il mondo è oggettivamente cambiato, almeno in Europa, e l’happy ending della tua storia ne è un chiaro segno. Grazie ancora per il tuo contributo.

Aggiungo un’altra considerazione: è veramente terribile vedere come il Vangelo possa essere strumentalizzato e la storia della chiesa ne mostra esempi infiniti, alcuni ben più terribili di quelli cui fai riferimento.

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Risposta di Lao: Ho letto questa storia con molto interesse, ma il periodo dai 20 ai 70 anni è stato narrato in maniera troppo sbrigativa (per quanto il titolo del thread sia chiaro, avrei voluto saperne di più). Repressione e ipocrisia devono aver contrassegnato le istituzioni educative a carattere religioso di quel periodo.

Ormai questi due uomini hanno oltre 70 anni, sono presumibilmente soli e non hanno più bisogno di lavorare, perciò non hanno niente da “temere” dalla badante o da chi per lei. Se gli altri capiscono, se ne faranno una ragione. Sono contento che l’autore della mail e Giuseppe abbiano trascorso e stiano trascorrendo la vita insieme.

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Caro Project,
intanto grazie per la tua risposta.
Rispondo all’osservazione di Lao.

Ho preso la maturità nel 1967, prima della riforma Sullo, per capirci quella che ha introdotto l’esame con solo due scritti e due orali, quindi ho fatto gli esami come erano previsti dalla riforma Gentile, con tutte le prove scritte, con gli orali di tutte le materie e con la sessione di riparazione (a settembre) per quelli che non avevano ottenuto in prima sessione la sufficienza in tutte le materie, l’esame all’epoca era veramente un incubo.

All’epoca circa il 30% degli studenti veniva bocciato alla maturità. In questo senso, avere frequentato il liceo in una scuola come quella dove ho studiato io era una garanzia non da poco, perché si trattava di una scuola rispettata e temuta dalle stesse commissioni d’esame.

Sia io che Giuseppe abbiamo corso seriamente il rischio, se non di essere bocciati, almeno di essere rimandati a settembre, cosa che allora capitava a circa il 50% degli studenti e noi ce la siamo cavata, io penso, essenzialmente perché il commissario di Italiano, che non era certamente di ispirazione cattolica ha chiesto a Giuseppe l’XI canto del Paradiso, quello di San Francesco, e a me ha chiesto addirittura Carducci. Giuseppe ha capito che il professore della commissione aveva una mentalità aperta e ha parlato di Bonifacio VIII, della corruzione ecclesiastica e della repressione dei movimenti pauperistici, tutte cose che noi avevamo studiato per conto nostro sull’enciclopedia Treccani, che era in libera consultazione nella biblioteca dell’istituto perché si riteneva che nessuno l’avrebbe letta.

Io invece mi feci portare dall’entusiasmo parlando dell’Inno a Satana, mentre il commissario interno, padre [omissis] mi guardava con occhi di fuoco come fossi il demonio incarnato. Il commissario di Italiano mi disse che aveva apprezzato il mio tema su Carlo Cattaneo. Sono andato a ritrovare il brano di Cattaneo che commentai nel mio scritto di maturità, ne ricopio qui un tratto, che è quello che mi entusiasmò: “Oggi vogliamo nella letteratura la scienza, non nel senso didattico ma nel senso dell’erudizione vasta, profonda, nel senso della solidarietà delle nazioni, nel senso umanitario, nel senso della libertà.” Io, che ero abituato a leggere solo Manzoni, mi ritrovavo in una visione del mondo che era molto più mia, quella parola “libertà” mi inebriava.

Anche Giuseppe fece il tema su Cattaneo ma si dedicò a commentare un altro brano di Cattaneo: “La letteratura, che ai nostri giorni si è tutta data al servizio della civiltà, non può più essere, come in antico, coltivata nell’isolamento; ci ridiamo ora di letterati anacoreti, alziamo sdegnosi le spalle sulle loro meditazioni egoistiche dalle quali traspira sì profonda ignoranza del mondo e delle cose, erudizione sì limitata, limitata spesso al circuito della propria città o tutt’al più della propria nazione, e che mostrano di ispirarsi a idoli da gran tempo abbattuti, a tradizioni scolastiche retoriche o prettamente classiche.” Quello che diceva Cattaneo era proprio la demolizione della cultura che ci era stata proposta, ma dovrei dire imposta, come modello.

Io e Giuseppe fummo gli unici due candidati a svolgere il tema su Cattaneo e penso che sia stato proprio questo a salvarci dal rinvio a settembre se non proprio dalla bocciatura. Con enorme scorno del nostro membro interno, padre [omissis], prendemmo entrambi otto allo scritto e otto all’orale di Italiano e ci guadagnammo anche la stima del commissario esterno di Matematica. L’esperienza degli esami mi diede per la prima volta la precisa sensazione di quanto avessi perduto nel non frequentare un liceo pubblico. Nelle altre materie prendemmo tutti sei, perché di materie scientifiche sapevamo poco o nulla e i commissari di Latino e Greco e di Storia e Filosofia erano affascinati dalla tradizione e dal nome della mia scuola. Quando la commissione andò via, il commissario di Italiano ci diede la mano e lo fece solo con noi due.

Finiti gli esami ci restava l’enorme problema di fare digerire ai nostri genitori che avremmo fatto le nostre scelte relative alla facoltà universitaria esclusivamente sulla base dei nostri criteri. Mio padre dava per scontato che io avrei seguito pedissequamente i suoi “consigli”, i genitori di Giuseppe gli avrebbero lasciato una maggiore libertà di scelta, ma comunque relativamente ad una rosa di scelte molto limitata e in ogni caso avrebbero dato per scontato che Giuseppe frequentasse l’università a Milano, ma noi avevamo in mente altri progetti, volevamo andarcene il più presto possibile da Milano per avere una nostra autonomia vera e avevamo già fatto le nostre scelte, volevamo iscriverci a Ingegneria e a Roma, non a Milano, ma fare accettare un progetto del genere ai nostri genitori e per di più sviando la loro attenzione dal fatto che una scelta simile, fatta in due, potesse nascondere motivazioni che nulla avevano a che fare con gli studi, era un’impresa degna di Agamennone.

Dovevamo trovare una strada per arrivare al risultato e dovevamo trovarla presto. I nostri genitori cominciavano a proporci compagnie femminili ben selezionate, cioè del livello sociale ed economico adatto. Provenendo da un collegio tutto maschile si dava per scontato che noi non avessimo amicizie femminili ma si dava altrettanto per scontato che noi fossimo desiderosi di averne, cosa mille miglia lontana dalla realtà.

La famiglia di Giuseppe aveva individuato per lui una ragazza “adatta” e questa idea cominciava a mettere Giuseppe di cattivo umore, ma la ragazza, che aveva fatto anche lei la maturità, si volle iscrivere all’accademia nazionale di danza a Roma, questo fatto per un verso facilitò la situazione di Giuseppe a Milano e per l’altro avrebbe potuto interferire coi nostri piani di andare a Roma, ma c’era il fatto che l’ipotetica relazione tra quella ragazza e Giuseppe era sono nelle fantasie dei genitori di Giuseppe, perché con ogni probabilità la ragazza aveva in mente progetti completamente diversi.

Poiché il tempo era poco, decidemmo innanzitutto di agire separatamente, in modo da non fare pensare ad un progetto premeditato in due. Avremmo cominciato dallo sparare molto alto, cioè dal proporre qualcosa che per i nostri genitori non fosse accettabile da nessun punto di vista. Una sera mentre i miei genitori stavano vedendo la televisione ho detto loro quali progetti avevo per il futuro: volevo lavorare per essere economicamente indipendente e avevo già mandato 10 domande di lavoro a Roma.

Avevo fatto le copie da mostrare ai miei genitori, ma ovviamente non avevo mandato le domande. I miei rimasero di sasso e mi chiesero il perché di una decisione del genere, ma io dissi che all’università c’erano anche i corsi serali per lavoratori-studenti, cosa allora non vera, anche se i miei non lo sapevano, ma che si verificò qualche anno dopo, e dissi che avrei lavorato e studiato. In realtà la cosa era più complicata di come può sembrare oggi, perché allora si diventava maggiorenni a 21 anni e io sarei rimasto comunque per altri tre anni a dipendere in tutto dai miei genitori, anche se avessi lavorato.

Mi chiesero che facoltà volevo fare e io dissi che volevo fare ingegneria, ovviamente cercarono di sconsigliarmi in tutti i modi ma io ero deciso nelle mie scelte. Alcuni figli di loro amici avevano fatto ingegneria e la cosa, al limite, non sembrava a loro così scandalosa, ma che io dovessi lavorare “come un morto di fame” non lo accettavano proprio. Fu la prima volta che vidi i miei genitori preoccupati, non di me, ma del disdoro sociale che poteva derivare loro dall’avere un figlio che lavora come “un morto di fame”.

Ormai il dado era tratto! Dopo un paio di giorni di indecisione dissi che mi avevano chiamato a lavorare a Roma a fare il bigliettaio serale in un cinema. Mio padre mi guardò schifato, come se io fossi uscito di cervello e mi avessero chiamato a fare il tenutario di una casa di tolleranza, ma non disse nulla, io ero terrorizzato che i miei decidessero di non intervenire.

Comparai un biglietto del treno per Roma e lo poggiai sul comodino, il giorno dopo mia madre venne per cercare di farmi rinsavire, ma io mi misi a fare la valigia sperando che la loro resistenza cedesse. La sera mio padre venne a Canossa e mi propose di pagarmi una casetta vicino all’università perché altrimenti, come lavoratore-studente non mi sarei mai laureato. Io accettai e dissi che dovevo comunque andare a Roma per comunicare subito a quelli del cinema che non sarei andato e che cercassero un altro e anche per cercarmi un appartamentino.

L’indomani mattina alle 5.30 esco da casa e vado in stazione con una valigetta. Sono d’accordo coi miei che starò via da casa tre giorni completi e dormirò in albergo per due notti. Giuseppe sale a Rogoredo e facciamo tutto il viaggio insieme. Lui con i suoi non ha avuto bisogno di ricorrere a trucchi di nessun genere. Il padre gli ha detto che doveva fare quello che credeva meglio e che lo avrebbero appoggiato economicamente comunque.

All’epoca, a quanto sapevo, i miei genitori e quelli di Giuseppe non si conoscevano affatto, i miei genitori conoscevano Giuseppe ma non i suoi genitori, quindi avremmo potuto prendere benissimo due appartamentini vicinissimi, ma la cosa era da valutare in concreto a Roma. Fu un viaggio lungo e stancante ma “nostro”, finalmente liberi!

Il treno era affollatissimo ma noi stavamo veleggiando verso la nostra libertà. Arriviamo a Roma Termini nel pomeriggio e fa un caldo tremendo, proprio da schiattare. Andiamo subito in albergo e ci prendiamo “due stanze singole”, in modo da avere due ricevute singole, depositiamo i bagagli e ci riposiamo un po’, poi vediamo la strada da fare per andare in zona università, ma è vicino alla stazione e ci si può andare benissimo a piedi.

Andiamo a farci un giro, compriamo un giornale di Roma, con gli annunci economici. Oggi sui giornali queste cose non ci sono più, perché sono tutte su internet, ma allora c’erano pagine intere di annunci di ogni tipo e ovviamente anche di case in affitto. Passiamo la serata a selezionare annunci con la pianta di Roma sotto mano e ne troviamo due che potrebbero andare bene. L’indomani mattina andiamo all’università a prendere l’ordine degli studi della facoltà di ingegneria, andiamo a vedere dove si tengono le lezioni e poi andiamo a vedere i due appartamenti, il primo è impresentabile e il padrone di casa non ci convince affatto, vuole fare tutto aumma aumma, cioè senza contratto, ecc. ecc..

Il secondo sarebbe una soluzione possibile, costa di più ma ha due stanze e sembra una cosa seria, si potrebbe benissimo prendere insieme, per noi andrebbe benissimo ma non sappiamo come fare accettare una cosa del genere ai nostri genitori perché risulterebbe sospetta. Lasciamo la cosa in sospeso, passiamo il pomeriggio cercando altri giornali con annunci di affitti, nel pomeriggio ne vediamo altri tre.

Troviamo una soluzione che ci sembra possibile: due appartamenti piccolissimi abbastanza vicini tra loro e che avevano entrambi il telefono, cosa fondamentale, perché al tempo non era affatto scontato che ci fosse il telefono in un appartamento per studenti. Gli appartamenti erano però un po’ più lontani da dove si faceva lezione rispetto a quelli che avevamo visto il giorno prima. La mattina del terzo giorno andiamo a vedere e la soluzione sembra tutto sommato accettabile. Paghiamo un anticipo per fissare gli appartamenti, anzi, due anticipi separati, e ci facciamo fare le ricevute. I padroni di casa sembrano abituati ad affittare appartamenti agli studenti.

Riprendiamo il treno per Milano. Giuseppe scende a Rogoredo, e cambia treno per non arrivare col mio, di questo si sarebbe potuto fare a meno ma ci sembrò necessario usare la massima prudenza. A casa spiegai ai miei quello che avevo fatto e stranamente non fecero troppe storie, perché il fatto stesso di pagare l’appartamento sembrava loro una forma di partecipazione più che sufficiente alla mia vita. Le lezioni cominciavano il 5 Novembre.

Entrammo in casa il 1° Novembre. Nei primissimi tempi io ebbi qualche problema col padrone di casa che aveva visto spesso Giuseppe uscire da casa mia e temeva che Giuseppe fosse di fatto un subaffittuario, quando vide che Giuseppe aveva preso ufficialmente il domicilio in un’altra casa sempre a Roma e che io pagavo regolarmente l’affitto, il padrone di casa non fece più storie e di fatto Giuseppe venne a vivere a casa mia, che era un po’ più vicina all’università.

I primissimi di novembre ci siamo procurati i libri necessari per gli esami e abbiamo cominciato a sfogliarli e lì è arrivato il primo trauma inatteso. Leggevamo e non capivamo quasi niente. Ci rendemmo conto che il nostro livello di conoscenza delle discipline scientifiche era pressoché nullo e, devo ammetterlo, ci prese il panico. Nel frattempo erano cominciate le lezioni che dopo i primissimi giorni cominciavano ad essere incomprensibili.

A lezione c’era una marea di gente e parecchi si comportavano come deficienti, dicevano stupidaggini per fare ridere gli altri, si lanciavano i cartoccetti con l’elastichetto, mentre i professori continuavano imperturbabili a scrivere lavagnate di formule via via sempre più incomprensibili. Andavamo a lezione ogni giorno ma perdevamo terreno ogni giorno. Capimmo che se non avessimo studiato dalla mattina alla sera non avremmo cavato un ragno da un buco. Avevamo ridotto al minimo i tempi da sottrarre allo studio, andavamo a lezione tutta la mattina, mangiavamo un panino e ci rimettevamo subito a studiare e a fare esercizi. Arrivavamo alla sera tardi con le lacrime della disperazione.

Non tornammo a Milano durante le vacanze di Natale e rimanemmo a Roma a studiare alla disperata e fu proprio allora che cominciammo a recuperare un po’ del terreno perduto. Quando cominciammo a capire qualcosa della geometria della retta e del piano nello spazio mi si aprì il cervello, cominciai a capire la logica generale della Geometria analitica. L’Analisi era trattata in modo molto astratto e teorico, ma passando dai limiti alle derivate qualcosa si cominciava a capire anche a livello intuitivo, la Fisica e la Chimica sembravano più comprensibili nella teoria ma fare i problemi ci sembrava ancora molto difficile.

Un problema a parte e quasi insormontabile era il cosiddetto Disegno civile. I nostri colleghi che venivano da altri tipi di studi facevano cose splendide senza nessuno sforzo, noi faticavamo anche con le cose più elementari e i nostri disegni erano assolute porcherie. Assonometrie e prospettive all’inizio erano per me oltre il limite del possibile. Mi sentivo proprio un incapace. Dopo Natale le aule si erano svuotate, c’era un quarto degli studenti rispetto ai primi giorni di Novembre, chi era capitato lì per sbaglio capiva che non era aria per lui e cambiava facoltà.

Andammo a sentire una sessione di esami e restammo terrorizzati, i promossi erano pochissimi e molti ripetevano l’esame più di una volta. A febbraio ci sembrò di cominciare a capire e a seguire le materie, ma gli esami erano quasi tutti su argomenti che non conoscevamo per niente e che non avevamo ancora trattato: dalle quadriche alla termodinamica, dalla chimica-fisica al calcolo combinatorio. Eravamo veramente in crisi, studiavamo da matti ma non vedevamo luce in fondo al tunnel. All’inizio di marzo eravamo finalmente in grado di seguire “alla grossa” le lezioni, studiando da matti fino a notte alta.

Gli esercizi cominciavano a venire e cominciavamo a capire la bellezza delle materie scientifiche in cui una cosa o è giusta o è sbagliata e i procedimenti hanno delle motivazioni razionali indiscutibili. Non tornammo a Milano nemmeno per Pasqua, pensavamo solo a studiare. In quel periodo il sesso tra noi era solo la medicina della disperazione e in pratica l’ultimo dei nostri pensieri, anche perché stavamo comunque insieme 24 ore su 24 e condividevamo praticamente tutti gli aspetti della vita. Il rapporto con gli altri studenti era ridotto ai minimi termini perché in pratica era un “si salvi chi può”. I professori erano personaggi mitici che vedevi da lontano salvo il momento da infarto degli esami.

Praticamente tutti gli esami avevano scritto e orale e la grande maggioranza della scrematura si faceva allo scritto. Allo scritto potevi portarti i libri che volevi, e il regolo calcolatore, una cosa che oggi è un oggetto da museo ma allora era praticamente l’unico mezzo di calcolo possibile, perché i calcolatori elettronici portatili non esistevano proprio e comunque il regolo, era l’unica alternativa concreta alle tavole dei logaritmi. Oggi ci sono le calcolatrici programmabili e ce ne sono di mostruose, allora non c’era niente di tutto questo e una parte molto grossa delle difficoltà dei problemi di fisica o di chimica era rappresentata dal calcolo numerico. Qualcuno si portava appresso le tavole dei logaritmi a sette decimali per fare calcoli più precisi, ma in realtà in quel modo il rischio degli errori di calcolo aumentava a dismisura.

I professori correggevano gli esercizi in due fasi: prima guardavano il risultato numerico, se quello era giusto, almeno approssimativamente, guardavano il procedimento e un errore di calcolo portava a calcolare come zero il punteggio di quell’esercizio. Sbagliare i calcoli era micidiale. Noi eravamo andati a cercare e a mettere insieme i testi delle prove scritte di Analisi, di Fisica e di Chimica ed avevamo preso appunti delle domande ricorrenti agli orali anche di Geometria. I corsi finivano ai primi di Giugno e a Giugno non avevamo alcuna probabilità concreta di superare nessuno degli esami previsti.

Non tornammo a Milano nemmeno d’estate perché dovevamo arrivare a fare gli esami, o almeno tre esami entro settembre, altrimenti tutto il nostro progetto sarebbe naufragato miseramente e saremmo dovuti tornare a casa nel compatimento generale. Andammo a seguire tutti gli esami della sessione estiva, di tutte le materie che avremmo dovuto fare noi. Prendevamo appunti, poi tornavamo a casa e studiavamo gli argomenti cercando di capire che cosa volessero i professori e lì mi sono accorto che di tanti argomenti che pensavo di conoscere non avevo capito assolutamente nulla. Le quadriche e la termodinamica restavano un vero mistero, avevo imparato a pappagallo tante definizioni ma me ne sfuggiva proprio il significato.

Seguendo gli esami, però, cominciammo a capire il senso delle funzioni di stato e dei processi quasi-statici e quando intuimmo il senso fisico-matematico del ciclo di Carnot ci si aprì un mondo. Decidemmo di puntare tutto su tre esami: Geometria, Analisi e Fisica e di lasciare per Novembre o per febbraio addirittura, Chimica e Disegno civile. Ai primi di luglio gli esercizi cominciavano a tornare e avevamo imparato ad usare con sicurezza il regolo, a metà di luglio avevamo finito il primo ripasso delle tre materie e cominciammo a confrontarci con le prove scritte di esame.

Le facevamo insieme, nel tempo stabilito di due ore, come se fossimo all’esame, poi ce le correggevamo a vicenda guardando le soluzioni pubblicate dopo le prove scritte e ci assegnavamo un punteggio coi criteri adottati dai professori. Ricordo che alla prima esercitazione su una vera prova di Geometria, io presi 11/30 e Giuseppe 12/30, sembrava pochissimo, ma noi solo due mesi prima saremmo stati a zero. Le cose andavano un po’ meglio con Analisi (22/30 e 21/30) e Fisica (19/30 e 18/30) perché i libri e le raccolte di esercizi svolti erano fatti molto meglio. A fine di luglio avevamo portato il risultato di Geometria intorno a 20 e quelli di Fisica e di Analisi intorno a 23.

Nei 40 giorni successivi, che precedevano le prove d’esame, procedemmo a marce forzate. Arrivammo alla vigilia degli esami con risultati medi sempre al di sopra di 20, che può sembrare poco ma significa già conoscere passabilmente le materie. Decidemmo di tentare, se avessimo preso meno di 24 avremmo rifiutato il voto e ci saremmo presentati alla sessione successiva. Arrivò il giorno dell’esame di Analisi, l’ansia era fortissima, entrammo, i candidati furono distribuiti in un’aula enorme. I testi delle prove erano diversi (A,B,C,D) ed erano assegnati per sorteggio, a me e a Giuseppe capitarono prove diverse.

Finite le due ore uscimmo con alcuni dubbi non risolti e con le brutte copie delle prove, tornammo a casa e ci correggemmo reciprocamente le prove seguendo passo passo il procedimento, io prevedevo di avere preso 22 e lui si aspettava 21, entrambi avevamo fatto errori di calcolo algebrico banale nonostante il procedimento giusto. Ci guardammo sconsolati. Due giorni dopo uscirono i risultati dello scritto, erano stati ammessi agli orali solo in otto, uno solo con 30, due con 27, Giuseppe aveva avuto 24 e io addirittura 26, gli altri erano tutti sotto il 20, non ci sembrava vero.

Avevamo una settimana prima dell’orale. Cominciammo ad interrogarci a vicenda giorno e notte e a ripetere ossessivamente dimostrazioni e teoremi. Passammo entrambi l’esame con 27 e ci fu un solo ragazzo che uscì con 30. La felicità era totale. Quella sera ci concedemmo di fare l’amore, ma dall’indomani cominciò l’ossessione di Geometria che però durò solo una settimana. Allo scritto prendemmo entrambi 23, un voto che ci avrebbe dovuto portare a non presentarci all’orale, ma siccome il voto più alto allo scritto era stato 26 pensammo di presentarci lo stesso e uscimmo entrambi con 25, un voto che non ci sembrava un gran che, ma intanto l’esame era fatto.

Restava in sospeso la Fisica che aveva lo scritto “col calcolo numerico” che ci terrorizzava, l’esame era previsto per la metà di ottobre e c’era un minimo di tempo. Decidemmo di focalizzarci proprio sugli argomenti più difficili: termodinamica e onde. I nostri livelli nello scritto erano saliti intorno al 26 e questo ci incoraggiava. Andammo a fare le prove e uscimmo entrambi con un 22, ma il nostro 22 veniva dopo un solo 25 e un solo 23, decidemmo di giocarci il tutto per tutto e di andare all’orale. Mi chiesero “conservazione del momento angolare e legge delle aree”, “secondo principio della termodinamica” e “battimenti” a Giuseppe fecero fare esercizi scritti anche all’orale. Uscimmo entrambi con 26, ci rimanemmo male ma accettammo il voto.

In pratica eravamo partiti da zero ed avevamo una media di 26, che poteva sembrare poco solo se vista da fuori, per noi era una conquista, era la certificazione che si poteva andare avanti.

Per preparare l’esame di chimica avemmo più tempo, Giuseppe uscì con 27 e io con 28 e mi sembrò di toccare il cielo con un dito.

Ci restava l’incubo di Disegno civile, un esame che in genere serviva agli altri per alzare la media, ma per me fu esattamente il contrario, lì la prova era in pratica solo grafica e l’orale era una discussione dello scritto. Giuseppe passò con 25, io avevo fatto veramente una tavola che era una porcheria. Il professore mi chiama e mi fa un gesto per farmi capire che la prova era indecente, e mi scrive su un foglietto un 23, ma non lo scrive sulla tavola, cioè non lo scrive come voto definitivo, io parto a raffica spiegando tutti gli errori che avevo fatto, dopo qualche minuto gira il foglietto e scrive 24 e lo sottolinea due volte al che io faccio cenno di sì. Quando sono uscito non mi sembrava vero.

Il 5 Novembre alla ripresa delle lezioni avevamo superato TUTTI gli esami previsti e potevamo dedicarci alle materie del secondo anno. Mi piacque moltissimo l’esame di Meccanica razionale, molto meno Analisi due con gli integrali multipli, i momenti di inerzia e le equazioni differenziali, mentre fui affascinato dall’elettromagnetismo, ma ormai le cose procedevano regolarmente, la media dei voti saliva. Il triennio poi era già più specializzato ma fino a un certo punto.

Mi incantava la Scienza delle costruzioni, molto meno la Meccanica applicata. L’elettrotecnica mi sembrò una vera scoperta, tanto che rimpiansi di avere scelto ingegneria civile. Con i colleghi del triennio il clima era diverso, eravamo numericamente pochi rispetto al biennio, c’era un minimo di collaborazione e hanno anche cercato di inserirci nel gruppo ma ci siamo tenuti sempre fuori dai gruppi di qualsiasi genere.

Il momento di svolta del nostro corso di studi fu l’esame di analisi numerica “con elementi di programmazione” che all’epoca era considerato solo un ulteriore esame di matematica perché l’informatica era veramente ridotta ai minimi termini. Ci si aprì davanti un mondo nuovo, capimmo che il calcolo elettronico non aveva niente a che vedere coi calcoli fatti col regolo e che cambiavano proprio le regole del gioco.

Parlammo col professore che ci prese sul serio, ci diede da sviluppare dei programmi in Fortan e in Algol, allora il Pascal non c’era ancora e la cosa aveva per noi il fascino della scoperta. I nostri programmi di calcolo erano evoluti e piacquero al professore che ci permise di accedere al laboratorio di calcolo, una cosa allora praticamente impossibile per uno studente. Fummo spinti automaticamente a uno studio matematico dell’analisi numerica di livello nettamente più alto. Analisi numerica fu il primo esame in cui avemmo la lode, cosa che ci mandò in orbita.

Mantenemmo i contatti col professore di analisi numerica e quando nel 1970 uscì il Pascal cominciammo a lavorare su programmi di calcolo delle strutture, sono cose che paragonate con quello che fanno i PC di oggi sono di una elementarità disarmante, ma all’epoca erano novità sconvolgenti, soprattutto perché evitavano il problema degli errori di calcolo.

Ci siamo laureati con la lode a Novembre 1972 con due tesi coordinate su: “Programmi di calcolo di strutture reticolari complesse linearizzabili”. Purtroppo, a causa dei rinvii della sessione di laurea non riuscimmo a fare l’esame di abilitazione in seconda sessione 1972 ma a Giugno del 1973, a 25 anni, avevamo preso l’abilitazione ed eravamo finalmente ingegneri.

Devo sottolineare che le nostre famiglie non sapevano nulla della nostra vera storia, non sapevano che avevamo vissuto insieme per anni e che ci eravamo laureati lo stesso giorno praticamente trattando gli stessi argomenti. Ora i nostri genitori si aspettavano che noi tornassimo a Milano per trovare qualche posto prestigioso, magari tramite qualche loro amico, ma noi avevamo idee abbastanza precise, volevamo aprire uno studio di ingegneria civile “avanzato” cioè basato sull’uso dei calcolatori. Oggi questa cosa sembra una assoluta ovvietà, ma 50 anni fa non lo era affatto.

Per fare una cosa minimamente dignitosa avremmo avuto bisogno di soldi, almeno per prendere un appartamento da usare come sede dello studio e per poter assumere un paio di collaboratori, essenzialmente un informatico molto aggiornato e una segretaria amministrativa capace di gestire le questioni fiscali. Per quanto riguardava i problemi dei brevetti avremmo cercato di fare da noi o al massimo di ricorrere (il meno possibile) a consulenti esterni, ma per partire ci voleva un capitale non indifferente.

Non ci facemmo portare nel mondo dei sogni e stabilimmo un principio: “mai fare il passo più lungo della gamba!” I nostri genitori si erano offerti di darci una mano economicamente ma avrebbero voluto che tornassimo a Milano, cose che noi non volevamo fare assolutamente, facemmo quindi una scelta che fu aspramente criticata: facemmo domanda di supplenza per insegnare negli istituti tecnici, e allora avere le supplenze era facile perché i laureati in materie tecniche erano pochi.

Abbiamo insegnato per tre anni negli Istituti tecnici e abbiamo messo da parte tutto quello che abbiamo potuto, non eravamo comunque in grado neppure di pagare un anticipo per acquistare un appartamento per lo studio e così decidemmo di prenderne uno in affitto e di tentare di farci imprenditori di noi stessi.

Prendemmo un appartamento di tre stanze in mezza periferia ma piuttosto ben messo e ci decidemmo a fare una spesa folle per noi all’epoca, comprammo un computer Olivetti P6060 che costava una cifra enorme, oltre 8.000 dollari, al cambio di allora quasi cinque milioni e mezzo di lire, come insegnanti noi guadagnavamo meno di 250.000 lire al mese, il che vuol dire che il computer ci costò, comprese le tasse, circa 25 mensilità di stipendio. Il computer era da ufficio, ma era pesantissimo (oltre 40 kg) e mastodontico, il che però dava al nostro ufficio un aspetto assolutamente unico e supertecnologico.

Appena attivato il P6060 ci siamo messi a lavorarci sopra e nel tempo di un mese abbiamo sviluppato i primi software, innanzitutto quelli della contabilità di ufficio, che era tutta conservata su grossi soft-disk 20×20, poi ci siamo messi a lavorare sulla progettazione di strutture reticolari in acciaio e noi avevamo la possibilità di fare calcoli mostruosamente complessi per l’epoca e senza rischio di errori, in pratica potevamo stampare e consegnare in un giorno la progettazione di una struttura reticolare complessa che agli altri richiedeva almeno 15 giorni e certamente era assai meno precisa.

Purtroppo non c’era modo per disegnare tramite computer come si fa adesso col CAD e quindi ci voleva comunque un disegnatore meccanico che fosse in grado di eseguire le tavole presto e bene. Ci rivolgemmo ad un nostro alunno molto bravo (Martin) che venne a lavorare per noi, gli demmo un tecnigrafo di ultima generazione, uno strumento che oggi è un oggetto da museo.

Il lavoro cominciava ad arrivare, noi non ci preoccupavamo di seguire i lavori in cantiere ma solo della progettazione e dedicavamo tutto il tempo libero alla progettazione del software. In pochi anni fummo in grado di comprare un appartamento più grande per lo studio, oltre Martin assumemmo anche la sua ragazza, che si chiamava Martina (combinazione più unica che rara).

Poi ci allargammo ancora e assumemmo uno dei primi informatici professionalmente formati, soprattutto per scegliere computer che fossero all’avanguardia perché in quegli anni l’evoluzione era rapidissima. Smettemmo dopo qualche anno di usare software autoprodotto e cominciammo a padroneggiare software commerciali specializzati e abbiamo continuato su questa strada fino ad ora.

Con gli anni ci siamo comprati due case per noi, in ciascuna delle case c’è una stanza singola e una stanza matrimoniale, come se fossero case destinate a ospitare famiglie tradizionali. Non abbiamo mai invitato persone estranee a casa nostra, quelle rarissime volte che i nostri genitori venivano a Roma, la stanza matrimoniale, in teoria quella degli ospiti, era per loro. Oggi i nostri genitori non ci sono più e non abbiamo fratelli, dobbiamo pensare solo a noi stessi e alla vecchiaia che avanza grandi passi, finché la salute ci assiste stiamo bene così!
Prego Project, se lo crede opportuno, di aggiungere questa mail alla nostra precedente. Grazie!

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COMING OUT OBBLIGATORIO

Caro Project,

sono il papà di un ragazzo gay e ho letto più volte il tuo forum insieme con mia moglie per capire come comportarci con nostro figlio e indubbiamente ci è stato utile. Non ti racconto delle nostre preoccupazioni e dei nostri dubbi e soprattutto delle incertezze su come cominciare un dialogo diretto con nostro figlio, ma alla fine ci siamo riusciti, e i nostri rapporti sono sempre stati buoni, o meglio sarebbero sempre stati buoni se non ci fosse stato un punto sul quale l’atteggiamento di nostro figlio ci preoccupava parecchio. Lui adesso ha 17 anni, ha un amico speciale, chiamiamolo così. In passato non potevo affrontare la questione con mio figlio in modo troppo diretto, dato che lui non lo faceva, cioè noi parlavamo spesso anche di sesso, soprattutto di prevenzione, ma io e mia moglie siamo stati sempre molto attenti a non intrometterci troppo nelle sue cose private. L’altro ragazzo, che si chiama Stefano, è venuto a casa nostra parecchie volte, e abbiamo parlato molto, è un ragazzo maturo e responsabile, ha cenato con noi e una volta è stato anche a dormire a casa nostra. Io conoscevo anche i genitori che mi sembravano ottime persone, fino a pochi giorni fa non sapevo che cosa sapessero del figlio poi Stefano ha parlato con noi in modo esplicito e ha detto che i suoi genitori sanno. Ho chiesto a Stefano se, secondo lui, sarebbe stato utile che noi parlassimo coi suoi genitori e ci ha detto di sì. Qualche giorno fa, nel pomeriggio io e mia moglie siamo andati a trovare i genitori di Stefano, presenti anche lui e mio figlio. All’inizio è stato un po’ imbarazzante, ma poi i ragazzi stessi ci hanno tolto di impaccio. E qui viene il punto dolente. Io, mia moglie e i genitori di Stefano siamo stati tutti concordi nel consigliare ai ragazzi la massima prudenza, e anche Stefano era d’accordo, ma mio figlio non ne voleva sapere e ne faceva una questione di principio. In genere è molto ragionevole ma mi sembrava che in questo caso avesse preso proprio un’impuntatura. Abbiamo provato a farlo ragionare in tutti i modi possibili. Stefano gli ha ricordato l’esempio di un loro compagno che è stato messo in gravi difficoltà dai pettegolezzi degli altri compagni,  di alcuni genitori e anche di alcuni insegnanti, perché, anche se ti potrà sembrare incredibile, i professori che fanno pettegolezzi stupidi e che apostrofano i ragazzi in modo omofobo e maleducato, esistono ancora. C’è stato solo un argomento in grado di fare recedere mio figlio dall’impuntatura. Stefano gli ha detto: “Luigi, guarda, per te il coming out è una cosa fondamentale e dici che lo farai comunque, ma per me è una cosa assolutamente da evitare, non in assoluto, ma perché oggi come oggi non ce lo possiamo permettere, insomma, se tu vuoi sentirti libero di dichiararti, io non ti posso fermare, ma non posso nemmeno essere costretto a fare pure io una cosa che proprio non voglio fare. Cioè, se è proprio come dici tu – una questione irrinunciabile di dignità personale – beh, allora è bene che io mi metta da parte, perché non voglio sentirmi costretto a fare una cosa del genere.” Questo discorso ha messo in crisi mio figlio, che non accettava i discorsi di prudenza dei genitori ma era sensibile all’idea di non costringere il suo amico a fare qualcosa contro la sua volontà. Alla fine della serata, il clima sembrava tranquillo e noi tre ce ne siamo tornati a casa nostra, ma evidentemente nostro figlio non era affatto convinto. In macchina ha cominciato con noi una filippica che non la finiva più sul coraggio, sulla dignità, sul rispetto di se stessi, al punto che io gli ho detto che lui ormai sapeva quello che pensavamo noi e che io e sua madre ne avevamo parlato tantissimo ed eravamo giunti alle stesse conclusioni. Poi ho aggiunto: “Tu devi fare i conti prima di tutto con Stefano perché lo puoi mettere in grosse difficoltà.” Lui tendeva a minimizzare, a banalizzare, a fare a noi una predica moralistica, ma io ho chiuso il discorso: “Ovviamente sei libero di fare le tue scelte ma noi su questo terreno non ti seguiamo.” L’indomani, dopo la scuola è venuto a casa insieme con Stefano e, davanti a noi, ha litigato in modo furibondo con lui, cosa che non avrei mai creduto possibile, lo ha chiamato “vittima designata”, ha detto che era “plagiato dai genitori” e altre cose che evito di citare, al che Stefano si è alzato, ha salutato me e mia moglie (non mio figlio), ha preso la porta e se ne è andato. Mio figlio ha fatto una scenata con noi, mi sembrava proprio un’altra persona, alzava la voce, tentava di sfogarsi verbalmente contro Stefano e anche contro di noi. Mia moglie è intervenuta per chiudere la discussione, e ce ne siamo andati nella nostra stanza. Luigi se ne è andato in camera sua sbattendo la porta. Io e mia moglie ci siamo guardati negli occhi parecchio preoccupati, non conoscevano affatto questo lato di Luigi e la cosa ci turbava parecchio. La mattina seguente Luigi è uscito di casa presto per non incontrarci e non è rientrato alla solita ora dopo la scuola, ma verso le cinque del pomeriggio. Io non sapevo dove stesse Luigi e ho chiamato Stefano, che mi ha risposto: “Oh, ciao, senti adesso sono un po’ impicciato, ti  chiamo io appena posso.” Un discorso del genere poteva significare soltanto che Luigi e Stefano stavano insieme e non mi sono preoccupato. Poco dopo le cinque Stefano mi ha richiamato e mi ha detto che con Luigi erano arrivati a una “tregua” ma ha aggiunto che pensava che sarebbe riuscito a fargli cambiare parere. Quando Luigi è venuto a casa si aspettava una sottolineatura del fatto che era arrivato molto tardi, ma né io né mia moglie abbiamo detto altro se non che il pranzo era in tavola nei piatti, e che se voleva pranzare poteva farlo. Io e mia moglie ci siamo preparati per uscire di casa, eravamo già d’accordo che avremmo lasciato Luigi da solo per evitare scenate come quelle del giorno prima, ma lui ci ha fermato. “Dove state andando? Non uscite mai a quest’ora!” Mia moglie gli ha risposto: “Abbiamo pensato che forse stai meglio da solo e ti lasciamo i tuoi spazi…” Lui ha continuato: “E basta con queste storie! Un minimo di prudenza va bene… però appena ci saranno le condizioni favorevoli io il coming out lo faccio eccome, perché non voglio vivere nelle fogne ma alla luce del sole!” E allora anche io gli ho detto la mia: “No! Tu ancora non hai capito una cosa, finché tu stai con Stefano non sei tu che decidi ma dovete decidere insieme! Ma che ti credi che io e tua madre siamo andati sempre d’accordo su tutto? Qualche volta ha mollato lei e qualche volta ho mollato io … se no non si va avanti! ” Lui mi ha guardato in atteggiamento di sfida, ma anche con un mezzo sorriso beffardo: “Senti, papà, se sei in vena di prediche puoi anche andartene a fare la tua passeggiata, se io mollo non è certo perché tu e mamma e i genitori di Stefano vi fare prendere dalle paure … Io non voglio perdere Stefano, io cedo per questo.” Al che io sono stato zitto e ho alzato gli occhi al cielo. Io e mia moglie ci siamo rimessi il cappotto e Luigi ci ha detto: “Ordinate quattro pizze alla pizzeria per stasera, perché alle otto viene Stefano, a me napoletana e a lui capricciosa, ok?” “Ok!”. Non so se posso dire che ormai siamo fuori pericolo ma mi sembra che il peggio sia passato! La storia in fondo è banale e al momento sembra che sia finita bene, ma penso che possa essere utile a qualcuno.

Ovviamente puoi pubblicare la mail, i fatti sono quelli, ma non ci sono elementi sensibili. Grazie di tutto.

Danilo e Albina (nomi inventati, ovviamente)

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RIVIVERE LE PRIME ESPERIENZE GAY

Ciao Project,

spero tutto bene.

Io bene, ho passato gli ultimi mesi abbastanza tranquilli, nulla di nuovo da raccontare, almeno fino a ieri…

Ieri infatti è successa una cosa che ti voglio raccontare. È successo che mi sono imbattuto in un libro francese uscito recentemente: Arrète avec tes mensonges, di Philippe Besson.

Il libro, non ancora tradotto in italiano, è in testa alle classifiche di vendita in Francia, ed è un libro autobiografico in cui Besson racconta della sua adolescenza a metà anni 80.

È scritto benissimo (occorre conoscere un po’ di francese per capirlo ed apprezzarlo).

Ma soprattutto, quello che mi ha sconvolto (e sono arrivato solo a metà) è che la storia che racconta si sovrappone quasi alla perfezione con l’esperienza che ho avuto io!

Il protagonista (che è l’autore, gay dichiarato, scrittore di successo in Francia), nel 1984 ha 17 anni, vive in una cittadina di provincia e frequenta il locale liceo. È il classico ragazzo intelligente e sensibile, bravo a scuola, poco amante degli sport, cui piace leggere più che giocare a calcio. Il padre era il preside della sua scuola elementare ed è sempre stato un po’ freddo ed esigente nei suoi confronti. Philippe capisce che gli piacciono i ragazzi a 11 anni, quando ha le primissime esperienze pre-adolescenziali (le classiche toccatine reciproche) con un amico di due anni più grande di lui.

Quando è al liceo i compagni di classe cominciano a sfotterlo per i suoi modi non proprio rudi e lo apostrofano con i classici nomignoli che si affibbiano ai ragazzi ritenuti omosessuali (frocio, fighetta, ecc.). Philippe non reagisce a queste prese in giro, ne soffre, fa finta di nulla (lui scrive: non reagivo come avrebbe reagito un ragazzo etero, prendendo a pugni chi lo offendeva, ma facevo finta di non sentire, mi atteggiavo a ragazzo normale, ben sapendo di essere omosessuale).

Poi nel 1984, a 17 anni, nota un ragazzo di un’altra classe e se ne invaghisce. Il ragazzo si chiama Thomas, è bello, di una bellezza un po’ selvaggia, diversa dall’aspetto da bravo ragazzo di Philippe. Philippe se ne invaghisce, pur pensando che Thomas sia etero.

Un giorno però Thomas lo avvicina, e gli propone di vedersi. I due si incontrano e Thomas chiede a bruciapelo a Philippe se vuole fare sesso con lui. Philippe non crede alle proprie orecchie e senza starci troppo a pensare accetta. Il primo incontro avviene in una stanza della palestra della scuola, ed è descritto benissimo. A questo incontro ne seguono altri anche a casa di Philippe, mentre i genitori sono fuori per lavoro. Dopo aver fatto sesso Philippe e Thomas assumono in pubblico (a scuola, alle feste tra amici) un atteggiamento completamente freddo e distaccato. Soprattutto Thomas (che è considerato da tutti come assolutamente etero) è molto freddo con Philippe, che ne soffre e si ingelosisce quando vede le ragazze flirtare con Thomas.

Sono arrivato a questo punto del libro e ne sono completamente sedotto. Ho rivissuto pagina per pagina, parola per parola, la mia adolescenza. La descrizione delle prese in giro dei compagni di classe e la sofferenza nascosta di Philippe sono identiche a ciò che ho vissuto io.

Il primo contatto sessuale con Thomas, la descrizione delle emozioni provate da Philippe nell’abbracciare Thomas, nello sbottonargli i jeans, nel vedere il suo sesso, sono, parola per parola, quello che ho provato io alla stessa età, con un mio compagno di classe. Ricordo perfettamente il momento in cui ci siamo tolti la maglietta (il colore della sua maglietta!), in cui ci siamo sbottonati i jeans. Ricordo il momento in cui ho visto il suo sesso e ho pensato: eccolo, che bello che è. Ricordo gli sforzi per non venire subito, il chiedergli di togliere la sua mano dal mio sesso per non farmi venire troppo presto. E poi l’eccitazione che cresce, e poi l’orgasmo e la sensazione di scombussolamento che dura alcuni minuti dopo l’orgasmo.

La storia di Philippe è una storia con due ragazzi, ma soprattuto con Thomas; la mia storia è con tre ragazzi: il primo, a 14 anni, quello che mi ha reso cosciente di essere gay, il secondo a 17 anni appunto, e il terzo a 18 anni, un ragazzo con cui non ho fatto sesso, ma di cui mi ero invaghito come Philippe si era invaghito di Thomas. La descrizione che Philippe fa di Thomas e del suo innamoramento per Thomas, è identica (identica!) alla mia storia con quest’ultimo ragazzo. La prima volta che lo avevo notato, a scuola, ne avevo guardato il sedere, bello, proporzionato, dentro un paio di jeans attillati che ne esaltavano le forme, mentre si alzava dal banco. Poi avevo cominciato a guardare tutto il suo fisico, e lo cercavo durante l’intervallo per poterlo guardare, un po’ di nascosto, senza che altri compagni potessero accorgersene.

Avevo anche cercato di fargli capire che mi piaceva e forse lo aveva capito, ma né io né lui abbiamo avuto il coraggio di farci avanti, di fare il primo passo. Però, però quante volte mi sono masturbato pensando a lui! E quando mi masturbavo pensavo le stesse identiche cose che sono descritte nel libro per raccontare gli incontri tra Philippe e Thomas.

Ecco, per me i tre ragazzi (due con cui sono stato e uno di cui mi sono innamorato) sono fusi insieme nella figura di Thomas descritta nel libro. Ma la storia è incredibilmente identica.

Sono a metà del libro e non vedo l’ora di finirlo, anche se immagino che non ci sarà un lieto fine, anzi.

Non avrei ma pensato di trovare, per caso, un libro che raccontasse così bene la mia storia.

Questo libro mi ha fatto tornare adolescente, mi ha fatto rivivere quei momenti nei minimi particolari. Mi sono persino masturbato ieri sera, tanta era l’emozione e i ricordi che suscitava in me.

Questo libro, che non è un libro pornografico, ma è un vero capolavoro ed è il numero uno nelle classifiche francesi, è stupendo.

Se volevo la prova di cosa vuol dire essere omosessuale, e se volevo capire se ero davvero omosessuale quando, da adolescente, vivevo le mie prime esperienze con i ragazzi, questo libro mi ha levato ogni dubbio.

In altre occasioni ti avevo chiesto di aiutarmi a capire se ero o meno gay; se ero etero e semplicemente avevo avuto qualche esperienza “di passaggio” come tanti ragazzi 100% etero nel periodo adolescenziale.

Tu mi avevi giustamente messo di fronte alla realtà del mio essere omosessuale senza se e senza ma.

Questo libro è stato, come direbbero i francesi, “boulversant” per me. La conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di tutto quello che pensavo di me, di tutto quello che mi avevi detto di me.

Appena ho finito il libro ti racconto il resto delle mie impressioni ed emozioni. Intanto mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi. Comunque è incredibile, le stesse identiche esperienze, sensazioni ed emozioni che ho provato io! Potrei averlo scritto io.

Un abbraccio,

Marco

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Caro Marco,

non ho letto il libro, ma da quello che tu ne scrivi penso possa essere proprio un ottimo libro. D’altra parte un libro è bello non quando tenta di dimostrare una tesi ma quando è vero, quando racconta cosa vere, quando è autobiografico, ed è ovvio che un libro crei una continuità tra autore e lettore non per questioni culturali e di stile, ma perché attraverso il libro si coglie una stretta analogia di esperienze reali. Vorrei allargare il discorso su un punto, quello che tu hai descritto non è solo esperienza tua  e dell’autore del libro, che così bene la rappresenta, ma, credimi, è l’esperienza comune di moltissime persone di tutte le età, che hanno vissuto turbamenti analoghi nella loro adolescenza. Il successo del romanzo è dovuto proprio al fatto che ci si sono ritrovati in tanti e che la risposta emotiva di tantissimi lettori è strettamente simile alla tua. I gay ce l’hanno eccome un patrimonio comune di esperienze, di emozioni, di sensazioni, e sono cose fondamentali, che magari si vivono a 13-14 anni, ma che poi non si dimenticano più per tutta la vita. Tu manifesti un così vivo interesse per il libro perché ti permette di tornare indietro negli anni e di rivivere esperienze che sono state intensissime. In effetti l’essere gay non è una cosa qualunque, un gay può vivere esperienze molto forti, nello stesso tempo profonde e coinvolgenti, che hanno certo una fondamentale componente sessuale ma che vanno molto al di là di questo. Innamorarsi ed essere ricambiati, cosa certo non comune, vuol dire arrivare a condividere l’intimità sessuale perché si sa che si condivide anche l’intimità affettiva e addirittura quella spirituale. L’innamorarsi, specialmente quello delle prime esperienze, ha una sua intima purezza, legata la fatto di non risentire di complicazioni intellettualistiche. Gli amori adolescenziali sono immediati e totali e non si scordano più, diventano gli archetipi della sessualità. Il primo contatto con la sessualità condivisa è travolgente, su questo non ci sono dubbi e se ne conserva distintamente memoria per tutte la vita.

Ti faccio una proposta, se te la senti: perché non mettere la tua mail nel forum? Penso che potrebbe essere utilissima a fare riflettere tanti ragazzi che faticano a riconoscere l’evidenza.

Un forte abbraccio e grazie della mail!

Project

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BYRON OMOSESSUALE

Il problema delle fonti.                                                  

André Raffalovich affronta la questione dell’omosessualità di Byron in modo estremamente sintetico, per non dire riduttivo, ma va tenuto presente che Byron, più che una persona, è un’icona, un mito del romanticismo inglese e che un mito è tale perché è sostenuto da una mitologia, che, come si sa, è nemica della storia. Raffalovich non era certo un superficiale quando conduceva i suoi studi sulla omosessualità nella storia e nella letteratura, la sua stringatezza deriva da ragioni sostanziali e non da valutazioni personali. Raffalovich su Byron non disponeva che di fonti molto ridotte e ampiamente censurate.

Thomas Moore, con il suo “Letters and Journals of Lord Byron”, ha rappresentato per moltissimo tempo l’unico punto di riferimento per gli studi sulla vita di Byron. L’opera fu pubblicata nel 1830 ma la raccolta iniziò fin dal 1814, quando Byron stesso inviò a Moore un primo pacco di lettere e di diari, perché fossero conservati ed eventualmente pubblicati. Dal 1818 Byron cominciò a scrivere la sua autobiografia, che Moore avrebbe dovuto pubblicare, con aggiunte prese dalle lettere e dai diari. Byron dava per scontato che Moore potesse ricavare utili dalla pubblicazione. Moore attraverso la pubblicazione delle lettere e dei diari di Byron intendeva correggere l’idea che Byron fosse un misantropo vizioso, diffusissima in Inghilterra ben prima della morte del poeta, mostrandone l’amabilità.

Dalla corrispondenza tra Byron e Moore risulta chiaramente che lavorarono entrambi e concordemente al progetto. Byron manifesta preoccupazione per il destino di tutto quel materiale, ma nello stesso tempo invita a dar credito a Moore anche se sa che, dopo la sua morte, Moore opererà comunque un’opera di censura, diciamo così, a fin di bene.

Nel 1830, a pochissimi anni dalla morte di Byron, la maggior parte delle persone citate nella sue lettere arano ancora viventi, e gli avvocati di quelle famiglie avrebbero certamente letto la biografia di Moore. Le persone coinvolte nei fatti più o meno onorevoli di Byron erano molto potenti e influenti, non ci si può stupire che Moore abbia operato una censura, stupisce, se mai, che la biografia non sia stata molto più censurata di come fu realmente.

Il memoriale originale di Byron, il nucleo dell’impresa, venne distrutto per volontà degli amici di Byron, e in particolare dell’esecutore testamentario, Hobhouse, ampiamente coinvolto nelle vicende di Byron legate all’omosessualità, nonostante le proteste di Moore.[1]

Evidentemente la pubblicazione integrale avrebbe creato serissimo imbarazzo a molte persone potenti, la cui vita privata sarebbe stata messa in piazza e avrebbe anche discreditato pesantemente la memoria di Byron, avvalorando le accuse di omosessualità, di sodomia e di incesto mosse contro di lui. Non si tratta di una scelta censoria moralistica, come spesso viene presentata, ma di una opzione senza alternative reali, salvo forse, il congelamento della pubblicazione per 50 o più anni.

I libri pubblicati aventi ad oggetto la biografia di Byron sono molti e sono molti anche quelli che affrontano il tema dell’omosessualità del poeta. Per me, nel 2017, il rischio maggiore nel cercare di scrivere una biografia omosessuale essenziale di Byron, è quello di essere un “gran traduttor dei traduttor d’Omero”, cioè di utilizzare più che le fonti, quello che altri hanno scritto sul tema. La tentazione è grande e il lavoro sarebbe enormemente facilitato, ma quando si mira a mettere in luce il dibattito storiografico più che i documenti, la storia si trasforma in storia della critica ed è proprio quello che qui si vuole evitare.

Nell’ambito degli studi su Byron, una pietra miliare è rappresentata dal monumentale e puntualissimo lavoro filologico fatto da Peter Cochran (1944-2015), che non solo ha trascritto in modo rigorosissimo una quantità immensa di lettere, di documenti  e di testi di Byron ma ha aperto a chiunque e gratuitamente l’accesso ai suoi archivi. È proprio a questi archivi che ho fatto costantemente riferimento nel cercare di ricostruire i fatti evitando, per quanto possibile, di deformarli sulla base di presupposti ideologici.

I primi anni.

George Gordon Noel Byron, nasce a Londra, al n. 16 di Holles Street, il 22 gennaio 1788 da John Byron e Catherine Gordon of Gight. Una contrazione del tendine di Achille, riscontrata alla nascita, lo rende claudicante fin da bambino. il giovane George Gordon trascorre i primi anni ad Aberdeen in casa della madre. Il padre, ridotto in miseria dai debiti, si rifugia in Francia, dove muore, probabilmente suicida, nel 1791.

Alla morte del prozio, nel 1798, George Gordon, all’età di 10 anni, ne eredita il titolo nobiliare e i beni, divenendo sesto Barone Byron di Rochdale e quindi Lord. Lascia la casa materna di Aberdeen e va ad abitare nella Newstead Abbey, al tempo in stato di abbandono. Aveva ereditato dallo zio vaste tenute ma anche tantissimi debiti.

Cambridge

Nell’ottobre 1805, a 17 anni (quasi 18),  si iscrive al Trinity College di Cambridge, dove conosce quelli che divennero poi suoi più cari amici: Edward Noel Long, William Bankes, Francis Hodgson, Douglas Kinnaird, John Cam Hobhouse, Scrope Berdmore Davies e Charles Skinner Matthews sono tutti tra i suoi intimi.

Al Trinity College, nell’ottobre del 1815, Byron conosce anche John Edleston (allora sedicenne), un ragazzo biondo, bellissimo, allora corista del Trinity College. Nel 1816 Edleston dona a Byron una spilla di corniola (o cornalina, in Inglese “cornelian”) a forma ci cuore. All’atto del dono Byron scrive.

LA CORNALINA.[2] Non è lo splendore apparente di questa pietra che me la rende cara; il suo splendore non rifulse che una sola volta a’ miei occhi, e tale splendore è modesto come quegli che a me la diede. Coloro che volgono in riso i vincoli dell’amistà, mi rimproverarono spesso la mia debolezza; ma in gran conto io ho pur sempre questo semplice dono, perocchè son certo che quegli che mel fece mi amava. Ei me l’offerse abbassando gli occhi, come se temuto avesse un rifiuto; accettandolo io gli dissi che la mia sola paura era quella di perderlo. Osservai attentamente il dono, e guardandolo da vicino, mi parve che una lagrima ne avesse spruzzata la pietra; da quel tempo le lagrime mi son sacre. Eppure per ornare la sua umile adolescenza nè la ricchezza, nè la nascita gli prodigarono i loro tesori; ma quegli che cerca i fiori della verità deve abbandonare i giardini pei campi. Non è la rosa cresciuta da esperta mano che spiega i più ricchi colori e esala i più dolci profumi: quelle che a preferenza posseggono questa doppia dote son quelle appunto che fioriscono nella selvaggia magnificenza della natura. Se la fortuna cessando di esser cieca avesse secondata la natura e proporzionato i suoi doni al merito di lui, splendida sarebbe la sua sorte: ma però se la Dea lo avesse guardato, la sua bellezza avrebbe incatenato il di lei cuore capriccioso; ella gli avrebbe prodigati tutti i suoi tesori, e nulla sarebbe rimasto per gli altri.”[3]

Il 23 febbraio 1807, Byron scrive ad Edward Noel Long, suo amico di infanzia: ”Ti prego, tieni segreto l’argomento del mio “Cornelian”.

Thomas Moore, che eliminò i brani omosessuali dai diari e dalle lettere sopravvissute, chiamava Edleston “fratello adottivo” di Byron.

Quasi alla fine della sua permanenza a Cambridge, Byron invia un messaggio cifrato a Edleston. Il messaggio è stato tradotto da Leslie Marchand con l’aiuto di una chiave alfabetica trovata nelle sue carte.

“LORD BYRON A JOHN EDLESTON – Maggio, 1807

D-R-T [Dearest – Carissimo?] – Perché no? Con questo bacio fammi tuo di nuovo per sempre.   Byron

A quella stessa Cornalina, donata da Edleston a Byron, il poeta si riferisce nella poesia “The Adieu” (di cui non possediamo la data) al momento della separazione da Edleston.

“L’ADDIO.

Scritto in un tempo in cui l’autore credeva di dover presto morire.

Addio, collina[4], dove le gioie dell’infanzia sparsero di rose la mia fronte, dove la scienza chiama il lento scolare per compartirgli i suoi tesori; addio, amici o nemici della mia giovinezza, compagni dei miei primi piaceri, delle mie prime pene: non più percorreremo insieme i sentieri di Ida; io scenderò fra breve nella bruna dimora, i cui abitanti dormono eternamente inconscii del dì. Addio, antichi e regali templi, che innalzate le vostre agili cime nella valle di Granta, in cui regnano la Scienza colle sue brune divise e la pallida Malinconia. Compagni delle mie più liete ore, abitanti del classico soggiorno bagnato dal Cam[5] dalle verdi rive; ricevete i miei saluti finchè la memoria mi rimane, perocchè per me fra poco queste ricordanze si dilegueranno immolate sull’altare dell’obblio. Addio, montagne dei paesi che mi videro crescere, dove il Loch-na-Garr nevoso e sublime alza la gigantesca sua fronte. Perchè, regioni del Nord, la mia infanzia si allontanò essa da voi onde mischiarsi ai figli dell’orgoglio? Perchè abbandonai io la mia caverna dei monti, Marr e le sue negre boscaglie, il Dee e i suoi limpidi flutti? Dimora de’ miei padri, per lungo tempo addio….. ma a che proferirei questa parola? L’eco delle tue vôlte ripeterà il mio annunzio di morte; le tue torri sorgeranno sulla mia tomba. La voce languida che ha cantata la tua presente ruina e la tua gloria antica,[6] non può più far intendere i suoi semplici accenti; ma la lira ha conservate le sue corde, e il soffio dei zeffiri vi sveglierà talvolta i suoni morienti di una melode colica. Campi che ricingete questa rustica capanna, finch’io respiro ancora, addio! voi non siete dimenticati, cara mi è ancora la vostra rimembranza. Fiume[7] che mi hai spesso visto nell’ardore del dì avventarmi nel tuo seno e fender celere la tua onda fremente, i tuoi flutti non bagneranno più questo corpo ora senza forze. E dovrò io qui scordare un luogo più caro anche al mio cuore? Catene di rupi s’innalzano, fiumi trascorrono fra me e quel soggiorno che la passione mi abbellì: nondimeno, o Maria,[8] la tua bellezza mi ritorna viva come un tempo, nel sogno incantevole dell’amore, che un tuo sorriso avea fatto nascere. Fino a che il lento male che mi consuma non abbia abbandonata la sua preda alla morte, madre della distruzione, la tua immagine non potrà dileguarsi dalla mia memoria. E tu, mio amico,[9] il cui dolce affetto commuove ogni fibra del mio cuore! oh! quanto la tua amicizia era al disopra di ciò che le parole possono esprimere! Io porto ancora sul mio cuore la tua gemma, dono sacro della tenerezza la più pura, bagnata dianzi da una lagrima de’ tuoi occhi! Le nostre anime erano eguali, e la differenza de’ nostri destini posta in obblío: l’orgoglio solo potrà farmi di ciò un rimprovero. Tutto, tutto è ora squallido e senza gioie! Nessuna memoria di un amore menzognero può raccender più le mie vene, o rendermi i palpiti della vita: la speranza stessa di un avvenire immortale non potrebbe coll’allettativa delle sue corone riscuotermi dal mio sonno, distogliermi dal mio sopore. Sarò vissuto senza gloria per umiliare il mio volto nella polvere, e confondermi nella folla degli estinti? Oh! gloria, divinità della mia anima, felice quegli a cui ti degni sorridere! Infiammato dai tuoi fuochi eterni, la morte non ha alcuna possa su di lui, e il dardo di questa cade rintuzzato. Ma a me ella accenna di seguirla, ed io manco oscuro e inonorato. Nissuno rammenterà ch’io esistessi, la mia vita sarà stato un sogno breve e volgare. Mischiato alla folla ignobile, in un drappo mortuario riposano le mie speranze; nell’obblío sta il mio destino. E quando dormirò dimenticato sotto le zolle che calcarono un tempo i miei passi fanciulleschi, e in cui deve ora posare il mio capo, la mia misera tomba non sarà bagnata che dalle rugiade della notte, o dalle lagrime dell’uragano. Gli occhi di nessun mortale non verranno ad inumidire il cespite che cuoprirà un nome ignorato. Anima irrequieta, dimentica questo mondo! Volgiti al Cielo, è là che fra breve devi drizzare il volo, se i tuoi falli ti furono perdonati. Próstrati dinanzi all’Onnipossente, e innalza fino a lui la tua preghiera tremante. Egli è pio e giusto, e non respingerà un figliuolo della polvere, sebbene il più misero oggetto delle sue cure. Padre della luce, sei tu ch’io chiamo! Un’atra notte mi sta fitta nel cuore, e tu che osservi la caduta del più piccolo insetto, tu allontana da me la morte della colpa. Tu che guidi l’astro vagabondo, che degli elementi raffreni il furore, che hai per mantello l’infinito firmamento, perdonami i miei pensieri, i miei falli, le mie parole, e dacchè debbo presto cessare di vivere, tu, tu, gran Dio, insegnami come si muore.”[10]

Il 30 Giugno del 1807, mentre si trova ancora a Cambridge, probabilmente dopo un breve periodo di assenza (e dopo l’addio a Edleston), scrive alla sua amica Elizabeth Bridget Pigot (1783–1866).

“LORD BYRON PER ELIZABETH BRIDGET PIGOT – Cambridge – 30 giugno 1807

. . . Sono quasi un sopravvissuto qui. I miei vecchi amici (con l’eccezione di pochissimi) sono tutti partiti, e mi sto preparando a seguirli, ma rimango fino a Lunedì per essere presente a 3 Oratori, 2 Concerti, una Fiera e un Ballo. Trovo che sono non solo più sottile ma più alto di un pollice  rispetto alla mia ultima visita. Sono stato costretto a dire a tutti il mio nome, nessuno ha il minimo ricordo del mio viso, o della mia persona. Anche l’eroe della mia Corniola (che è ora seduto vis-à-vis, e sta leggendo un volume delle mie poesie) mi è passato accanto nei sentieri del Trinity senza riconoscermi  nemmeno, ed è rimasto folgorato dalla alterazione che aveva invaso il mio volto, ecc., ecc. Alcuni dicono che sembra che io stia meglio, altri peggio, ma tutti sono d’accordo che sono più magro, – più io non richiedo. . . .

Lascio Cambridge con po’ di rimpianto, perché il nostro gruppo è svanito, e il mio pupillo musicale prima citato ha lasciato il coro, ed è di stanza in una casa mercantile di notevole eminenza nella metropoli. Puoi avermi sentito osservare che è esattamente con l’approssimazione di un’ora di due anni più giovane di me. L’ho trovato cresciuto notevolmente, e come puoi immaginare, molto felice di vedere il suo ex patrono. È quasi della mia altezza, molto sottile, di carnagione molto chiara, occhi scuri, capelli chiari. La mia opinione della sua intelligenza la conosci già; – E spero di non avere mai motivo di cambiarla. Tutti qui pensano che io sia un invalido. L’Università al momento è molto gioiosa per feste di vario genere. Io cenai la notte scorsa, ma non mangio (o non ho mangiato) nulla, ho sorseggiato una bottiglia di vino rosso, sono andato a letto alle due, e mi sono alzato alle otto. Ho cominciato ad alzarmi presto, e trovo che vada bene per me. I Maestri e i compagni sono tutti molto educati ma mi guardano un po’ di traverso – non apprezzano molto le pasquinate – la verità è sempre sgradevole.”

Il rapporto tra Byron e John Edleston prosegue finché Byron non lascia il Trinity, nell’estate 1807. L’addio avviene il 5 luglio 1087, come sappiamo da una lettera di Byron a Miss Pigot.

“LORD BYRON PER ELIZABETH BRIDGET PIGOT – Trin. Coll. Camb. – 5 luglio 1807

Dopo la mia ultima lettera, ho deciso di risiedere un altro anno a Granta,[11] dal momento che mie stanze, ecc. ecc. sono state rifinite in grande stile, alcuni vecchi amici vengono di nuovo, e ho fatto molte nuove conoscenze; di conseguenza, la mia inclinazione mi spinge in avanti, e tornerò al college nel mese di Ottobre, se sarò ancora vivo. La mia vita qui è stata una costante routine di dissipazione – fuori in luoghi diversi ogni giorno, ho ricevuto più inviti a cena, ecc. ecc. di quanti il mio soggiorno mi avrebbe permesso di soddisfare. In questo momento scrivo con una bottiglia di vino rosso nella mia testa e con le lacrime agli occhi; perché mi sono appena separato dal mio “Cornelian” [John Edleston, che gli aveva regalato un cuore di agata (cornelian) rossa], che ha trascorso la serata con me. Dato che era il nostro ultimo incontro, ho rimandato il mio impegno di dedicare le ore del sabato all’amicizia: – Edleston e io ci siamo separati per il momento, e la mia mente è un caos di speranza e di dolore. Domani parto per Londra: potrai inviare la tua risposta al “Gordon Hotel, Albemarle Street,” dove soggiorno durante la mia visita nella metropoli.

Mi rallegro di sentire che ti interessa del mio pupillo; è stato il mio compagno quasi costante dall’Ottobre 1805, quando sono entrato Trinity College. La sua voce per prima ha attirato la mia attenzione, il suo volto l’ha bloccata, e le sue maniere mi hanno legato a lui per sempre. Parte per una ditta mercantile in città nel mese di Ottobre, e probabilmente non ci incontreremo fino al termine della mia minore età [22 Gennaio 1809], quando lascerò alla sua decisione se entrare come partner nei miei interessi, o proprio convivere con me. Certo, nella sua attuale organizzazione mentale, preferirebbe quest’ultima ipotesi, ma può cambiare opinione prima di quel periodo; – tuttavia farà la sua scelta. Io certamente lo amo più di qualsiasi essere umano, e né il tempo né la distanza hanno avuto il minimo effetto sulla mia (in generale) modificabile inclinazione. In breve dovremo fare arrossire Lady E. Butler e Miss Ponsonby, Pilade e Oreste imbarazzati, e non dovremo desiderare altro che la catastrofe come Eurialo e Niso per dare a Jonathan e David il “lascia passare”. Certo, lui è forse più legato a me di quanto lo sia io a lui. Durante tutto il periodo in cui sono stato residente a Cambridge ci siamo incontrati ogni giorno, estate e inverno, senza passare per un solo momento di noia, e ci siamo separati ogni volta con crescente riluttanza. Spero che tu possa un giorno vederci insieme. Egli è l’unico essere che stimo, anche se me ne piacciono molti. … Il mio pupillo fa colazione con me; la separazione mi rovina l’appetito.”

Fin qui, il lettore ha potuto seguire la storia, chiamiamola così, omosessuale di Byron fino all’età di diciannove anni e mezzo: il quadro che ne risulta è ancora conforme al mito byroniano: c’è un amore per un ragazzo di due anni esatti più giovane del poeta, ma il confine tra amore e amicizia è molto labile e il termine “protegé”, che Byron utilizza per designare Edleston senza essere troppo esplicito, sembra marcare una differenza sociale, e non solo di età, che non è comunque superata dai sentimenti. Byron non rinuncerà certo al Grand Tour, tipico della gioventù di alto rango sociale, per restare accanto ad Edleston, che seguirà il suo destino di lavoro in una società commerciale.

Dobbiamo sempre tenere bene in mente, però, che ci stiamo occupando dell’omosessualità di Byron basandoci su quel poco che è rimasto dopo la distruzione delle sue Memorie, voluta dai suoi amici dopo la morte del poeta.

La bella gioventù che circondava Byron aveva ben poco a che vedere con gli eroi foscoliani e alfieriani, erano ragazzi giovani, appartenenti a famiglie inglesi aristocratiche e molto ricche, e per loro la vita universitaria a Cambridge non era certo ridotta solo allo studio. Byron stesso, come abbiamo visto, mette in evidenza l’aspetto festaiolo della vita universitaria, specialmente nel periodo estivo, ma la vita degli studenti non poteva essere ridotta neppure alle feste rituali e ai ricevimenti, o meglio, le feste rituali potevano essere delle occasioni interessanti per gli studenti eterosessuali, ma non certo per quelli omosessuali. Esisteva, allora come adesso, una vita universitaria sotterranea, legata all’omosessualità, e Byron non fu estraneo a tutto questo. Non possiamo certo aspettarci di trovarne traccia nella Biografia di Moore, ma le tracce esistono.

Possediamo, per fortuna una lettera diretta da Charles Skinner Matthews a Byron, da Londra, il  30 Giugno 1809, in occasione della partenza di Byron per il Grand Tour.

Va ricordata la triste vicenda di Matthews, autore di questa lettera, nato il 26 marzo 1785 e quindi di quasi tre anni più grande di Byron, fu eletto fellow del Downing College di Cambridge (se ne accenna nella lettera) e purtroppo morì annegato nel Cam, mentre faceva il bagno, il 3 Agosto del 1811, all’età di 26 anni. Quando Matthews, definito da Moore “l’amico libertino di Byron”, scrisse la lettera che segue, aveva compiuto da poco 24 anni; Byron ne aveva 21.

La lettera evidenzia molti fatti interessanti: almeno tre persone (Byron, Hobhouse e Matthews) usavano per comunicare contenuti omosessuali uno stile “misterioso”, così lo definiscono, “il cui il senso va al di là di quello che l’occhio può leggere”. Matthews ne individuata la ragione molto semplicemente nel fatto che “gli ufficiali postali possono ispezionare la posta”. In un periodo in cui l’omosessualità era un reato grave e per la sodomia era prevista la pena di morte, un linguaggio criptico si imponeva come condizione minima di sicurezza.

Abbiamo già visto che Byron e Edleston nel college si scambiavano messaggi cifrati, qui però si tratta non di brevi biglietti ma di vere lettere contenenti parti criptate e parti in chiaro. Lo stile “misterioso” era stato inaugurato da poco ed era in fase di rodaggio, perché era stato pensato per mantenere rapporti epistolari a lunga distanza tra ragazzi impegnati all’estero nel Grand Tour e ragazzi rimasti in Inghilterra. La probabilità che la polizia turca potesse ispezionare le lettere dirette in Inghilterra da stranieri molto facoltosi era tutt’altro che remota e il testo criptato non doveva essere riconosciuto come tale. L’uso di espressioni in francese, di parole da intendersi secondo la lettura alla francese o l’identificazione di parole codificate, tra le altre, con l’aggiunta di una e finale, costituivano artifici difficilmente riconoscibili ad un occhio non esperto.

Si costituiva una vera confraternita del Metodo (metodo = omosessualità) e gli adepti della confraternita erano i metodisti (che non avevano ovviamente nulla a che vedere con la chiesa metodista). Si può parlare di desideri metodisti, di altri metodisti, di apostoli della religione e così via.

L’andare a caccia di ragazzi è criptato con la metafora botanica del cogliere fiori e i fiori hanno nomi significativi: il Giacinto (che allude al ragazzo amato da Apollo) rappresenta il partner omosessuale disponibile; ma la metafora va anche oltre, perché secondo la leggenda Giacinto morì durante una gara di lancio di dischi o piastrelle (in inglese “coit”) perché il vento, geloso, gli fece tornare violentemente in capo un disco lanciato con la massima violenza. Giacinto sarebbe quindi morto per un “coit”, parola che allude chiaramente a “coitus” = rapporto sessuale. Per indicare un rapporto sessuale completo, i metodisti usano la sigla pl&optC = “plenum et optabilem coitum” (rapporto sessuale completo e desiderabile), espressione usata da Petronio nel Satyricon. Alcuni tratti della lettera di Matthews, restano comunque oscuri.

Al di là della setta dei Metodisti e del loro linguaggio criptico, la lettera di Matthews contiene un altro elemento di notevolissima importanza nella biografia omosessuale di Byron. Matthews parta del “Giacinto della tua Abbazia” (con riferimento al fatto che Byron aveva vissuto la prima adolescenza a Newstead Abbey), il “Giacinto” cui si fa riferimento è Robert Rushton (1793-1833), un ragazzo, che aveva più o meno 16 anni al tempo della lettera di Matthews. Robert Rushton era figlio di William Rushton uno dei più importanti affittuari della tenuta di Newstead. Nel 1808, all’età di circa 14-15 anni, Robert era in servizio all’Abbazia come paggio di Byron, Byron lo portò con sé nel suo viaggio in Europa nel 1809, ma poi lo rimandò in patria da Gibilterra e pagò le spese della sua educazione a Newark; di lui comunque avremo modo di occuparci di nuovo in seguito, basti qui notare che tra gli amici di Byron si parla di Rushton come di uno dei ragazzi compiacenti di cui Byron poteva godere. Avremo modo di vedere che Byron mostrò atteggiamenti amichevoli verso Rushton, anche in situazioni molto imbarazzanti per il poeta.

Una riflessione va fatta su un punto molto importante: gli “amori” o forse più banalmente gli interessi omosessuali di Byron non sono diretti verso suoi pari ma verso ragazzi di condizione sociale molto diversa. Raffalovich, alla fine dell’800, rimprovererà a John Addington Symonds atteggiamenti simili, ma Symonds, pur essendo un uomo ricco, non era certo un lord e i suoi atteggiamenti manifestano un affetto sostanziale verso i giovani uomini (non adolescenti) dei quali si innamora, Byron, forse perché ancora lui stesso molto giovane, sembra oscillare tra atteggiamenti romantici libreschi e forme di goliardia, in cui l’omosessualità diventa oggetto di gioco sociale e di scambi di particolati piccanti tra compagni di studi.

 Il 25 Giugno 1809, poco prima dell’imbarco, Byron comunica ad Henry Drury che uno dei motivi del suo viaggio nel Mediterraneo orientale è l’ambizione di contribuire ad un libro proposto da Hobhouse …

“… Un capitolo sullo stato dei costumi, e un ulteriore trattato sullo stesso da intitolare: “Sodomia semplificata o la pederastia che gli autori antichi e la pratica moderna hanno dimostrato essere degna di lode”-. Hobhouse, inoltre, spera di indennizzare se stesso in Turchia di una vita di castità esemplare in patria abbandonando il suo “bel corpo” a tutto il Divan.”[12] [Il Divan è un stanza riservata turca, si intende, ovviamente scherzando, che Hobhouse volesse prostituirsi con tutti i presenti.]

L’interesse per i ragazzi da parte di Byron, Hobhouse e Matthews è molto evidente in una lettera scritta da Byron e Hobhouse a Matthews poco prima della loro partenza per il Grand Tour, il 22 giugno 1809. Byron e Hobhouse usano in questa lettera il codice “misterioso”.

Hobhouse scrive: “Quanto al viaggio di Byron e mio verso questo porto (Falmouth), ho poco o nulla di cui informarti, salvo del fatto che non è accaduto niente di significativo. Non posso comunque tralasciare di informare un Metodista, che per un curioso caso abbiamo raggiunto il Califfo Vathek [si allude a William Beckford, autore di “Vathek”, libro preferito di Byron.] a Hartford Bridge; non abbiamo potuto neppure vedere questo grande apostolo [in una lettera a Francis Hodgson, del 25 giugno 1809, Byron chiama Beckford “grande Apostolo delle Pederastia”], dato che aveva chiuso le imposte esterne. Per un’altra strana coincidenza a Salisbury abbiamo sentito che un nobile omonimo di uno dei nostri amici del Trinty era in viaggio per la sua residenza in Devonshire, queste cose non accadono senza un qualche intento da parte degli dei e annunciano di certo qualcosa di molto brutto o di molto favorevole. A parte tutto questo, l’aria della Cornovaglia è talmente favorevole alla carnagione che le rose del “genere maschile” [nel testo: genus andron] fioriscono molto più universalmente di quanto si sia mai visto, così tanto che la nostra conversazione qui, ha quasi sempre riguardato questo interessante argomento.”

Byron aggiunge: “Mio caro Matteo, prendo la penna che il nostro amico ha poggiato per un momento, solo per esprimerti il vano desiderio che tu sia con noi in questa detestabile regione, il porto di Falmouth e le zone vicine, perché io credo che nemmeno la stessa Georgia possa emulare le sue capacità e i suoi incitamenti al “Plen. and optabil. – Coit.” [rapporto sessuale completo]. – –

Siamo circondati da Giacinti e altri fiori della più profumata natura, e io ho intenzione di coglierne un bel mazzetto, da comparare con i fiori esotici che ci aspettiamo di trovare in Asia. Un campione me lo porterò certamente via, ma di questo parleremo dopo. Addio Matteo!”

Ma veniamo ora alla lettera di Matthews.

“Charles Skinner Matthews a Byron, da Londra, 30 Giugno 1809[13]

Londra. Sabato 30 Giugno 1809

Nel trasmettere i miei dispacci ad Hobhouse, mio carissimo βυρον [Byron, in caratteri greci], non posso evitare di indirizzare a te poche righe, principalmente per congratularmi con te per lo splendido successo nei tuoi primi sforzi nel misterioso, quello stile in cui si intende di più di quello che l’occhio coglie. [Matthews si riferisce allo stile codificato già usato nella lettera di Byron del 22 giugno]. Avrò delle cose per te in quello stile, prima di piegare questo foglio.

Anche Hobhouse sta insolitamente bene, ma devo raccomandare che in futuro non metta un trattino sotto i suoi significati misteriosi, una tale pratica sarebbe quasi come fare uscire il gatto fuori del sacco, qualora gli ufficiali postali fossero inclini a dare un’occhiata: e io esplicitamente stabilisco che chiunque professa il mio metodo (nel testo: ma methode) faccia individuare il termine che designa quello che intende mettendo una e alla fine della parola – methodiste, non methodist; e pronunci la parola al modo francese. Il buon gusto di ognuno deve ribellarsi contro l’idea di confondere noi con quella setta di orribili, piagnucolosi, fanatici [i veri metodisti della chiesa metodista].

Per quanto riguarda le tue ricerche botaniche, presumo che i fiori che tu sarai più desideroso di cogliere saranno della classe polyandria [dai molti maschi], non monogynia [dell’unica femmina] ma nogynia [senza femmina]. Tuttavia finché non li raccogli, andrà tutto molto bene.

Una parola o due sui giacinti. Giacinto, puoi ricordartelo, è stato ucciso da un Coit. [un disco, simile a una piastrella da gioco, col quale stava giocando in gara con Apollo suo amante. Il vento occidentale, geloso, rivolse quel disco contro lo stesso Giacinto e così lo uccise] ma non quel “Coit completo e desiderabile.” [Matthews gioca col doppio senso del termine “coit” che significa alla lettera piastrella ma foneticamente ricorda il coitus].

Abbi cura allora che il Giacinto della tua Abbazia [Robert Rushton, 1793-1833, paggio di Byron, di cinque anni più giovane del poeta e sedicenne all’epoca di questa lettera; è un personaggio sul quale avremo modo di tornare] non sia ferito dall’uno o dall’altro tipo di coit. Se ti dovesse capitare qualcosa di straordinario nel settore botanico, ti prego mandami notizie in proposito, perché sono molto interessato alla tua collezione e specifica anche la classe e se possibile, il nome di ogni produzione.

Domani mattina andrò a Cambridge a essere investito con il cappello magistrale, per bere birra, e, e alla fine, per giocare a coits [alle piastrelle?]. Non si può sentire (anche se per le sue qualità uditive potrebbe quasi essere chiamato così), quello che sono così ansioso di ottenere, ma che venga da una parte più settentrionale del regno. Tu che sei così bene a conoscenza della topografia della nostra cantina comprenderai immediatamente il tipo, quando ti dico che ho intenzione di affrontare uno dei due barilotti che ho spesso indicato alla vostra attenzione; non quello alto. E quanto al pl&optC, [“Coitum plenum et optabilem”, rapporto sessuale complete e desiderabile] se fossi così fortunato da ottenerne uno, o da fare progressi verso di esso, tu ne sarai pienamente informato.

Non ho ancora visto l’eroe di quel Trattato sul Bathos [parola coniata nel 1727 da Alexander Pope, per indicare dei tentativi falliti in modo divertente di arrivare al sublime] che mi hai promesso, ma eri troppo impegnato nel metterlo in pratica; Ma, per passare ad un altro punto, sono stato ammesso dietro le quinte e sono rimasto molto deluso da una ispezione del posteriore del Palma. [?]

Ammiro l’indifferenza stoica e la cristiana rassegnazione con cui entrambi voi due sembrate sopportare il vostro disappunto del per ritardo del battello di linea e il conseguente prolungamento del vostro soggiorno in questo paese. Dal che ho prontamente dedotto che ci deve essere qualcosa a Falmouth di non poco delizioso, e deploro la mia sorte perché non sto condividendo le vostre delizie. Allego alla presente il frontespizio al processo del Cap. Sutherland, che ho comprato ieri pensando che potesse contenere quelque chose de la méthode [qualcosa del metodo]: ma non appare nulla del genere. Il volto e il pollice destro del negro sono le caratteristiche principali nel ritratto, che vi mando a causa della sua stranezza, e penso che tu, Hobhouse, e M. l’Abbé Giacinto [Robert Rushton] potreste rappresentare la scena con grande effetto, prendendo le parti rispettivamente del capitano, del negro e del mozzo.

Non posso concludere senza esortarti e supplicarti, come ho pregato Hobhouse, di impegnarmi con frequenti gradite lettere, sia prima che dopo la tua partenza dall’Inghilterra.

Addio mio caro Signore; Ti auguro, non come il Dott. Johnson augurava al sig. Burke, tutto il successo che un uomo onesto può o dovrebbe augurarvi, ma come grande fondatore e arci-Patriarca della Methode do alla tua impresa la mia benedizione, e auguro a te, Byron di Bisanzio, e a te, Cam di Costantinopoli, congiuntamente e disgiuntamente, tutto il successo che nelle vostre fantasie più metodisticamente potete desiderare per voi stessi.

Quindi, navigate a lungo con auspici felici e credetemi

molto sinceramente vostro C.S.M.”

Se la lettera di Matthews si fermasse soltanto al pettegolezzo goliardico su questioni di omosessualità, non sarebbe che l’ennesima manifestazione della vivacità dissacrante di un gruppo di ragazzi giovani omosessuali, in fondo nulla di sconvolgente, ma la lettera di Matthews presenta un altro elemento, non immediatamente evidente, ma che va chiarito per capire più da vicino la mentalità di questi ragazzi.

I tre Metodisti seguono attentamente la stampa inglese. La lettera di Matthews è del 30 Giugno 1809 e fa riferimento al processo al capitano Sutherland, che era stato impiccato proprio il giorno prima, il 29 Giugno, alla forca delle esecuzioni capitali sulla riva del Tamigi, usata per le sentenze pronunciate dall’Ammiragliato.

Il 5 Novembre del 1808, il capitano Sutherland (capitano di una nave da trasporto britannica in navigazione sul Tago, a un miglio da Lisbona) aveva ucciso con uno stiletto William Richardson, un ragazzo di 15 anni. Un marinaio negro, John Thompson, testimonia al processo in un modo che potrebbe far presupporre che il capitano avesse assunto il ragazzo a Lisbona, circa un mese prima, perché interessato sessualmente a lui: il ragazzo andava spesso dal capitano e il capitano mandava a terra tutti i marinai e restava sulla nave solo con il ragazzo. Questa testimonianza, non venne letta dell’Ammiragliato come indizio di sodomia ma, dopo un processo brevissimo, Sutherland fu condannato e impiccato per omicidio.

Stupisce che su una vicenda così recente e così oggettivamente terribile, Matthews possa fare lo spiritoso con i suoi amici, ma è quello che accade. Matthews si procura un resoconto del processo per cercarvi riferimenti all’omosessualità di Sutherland, ma non ne trova, invia ai suoi amici i disegni pubblicati dai giornali e suggerisce che loro tre possano rappresentare la scena dell’assassinio. Il comportamento di Matthews lascia trasparire qualche inquietante elemento di perversione, che va ben al di là della banale goliardia omosessuale.

Accompagnato dal suo valletto Robert Rushton e da John Cam Hobhouse, Byron salpa da Falmouth il 2 luglio 1809 per Lisbona, per poi visitare Siviglia, Cadice e Gibilterra.

A Gibilterra Byron si decide a rimandare in patria Rushton e così scrive al padre del ragazzo:

“Gibilterra 14 agosto 1809

Sig. Rushton, – ho mandato Robert casa con il signor Murray, poiché il paese che sto per attraversare è in uno stato che lo rende pericoloso, in particolare per una persona così giovane. – Autorizzo [voi] a dedurre dall’affitto venticinque sterline l’anno per la sua educazione, per tre anni, dato che non ritornerò prima di quel tempo, e desidero che possa essere considerato al mio servizio, fate in modo che ci si prenda la massima cura di lui e sia mandato a scuola; in caso di mia morte ho previsto abbastanza nel mio testamento che basti a renderlo indipendente. – Si è comportato molto bene, e ha viaggiato molto per il tempo della sua assenza. – Sottraete le spese della sua formazione dal vostro affitto. –   Byron”

Giunti a Malta il 19 agosto, Byron e Hobhouse vi soggiornano circa un mese, prima di partire per Preveza, porto dell’Epiro, raggiunto il 20 settembre 1809. Di lì si spostano a Giannina e poi in Albania, a Tepelenë, dove incontrano Alì Pascià. Si stabiliscono quindi ad Atene, tranne una parentesi di qualche mese a Costantinopoli.

Il 3 maggio 1810 Byron attraversa a nuoto lo stretto dei Dardanelli. Quello stesso 3 Maggio 1810 scrive a Henry Drury:

“A HENRY DRURY – Dalla fregata Salsette, 3 Maggio 1810.

… Non vedo una grande differenza tra noi i Turchi, salvo che noi abbiamo il prepuzio e loro no, loro hanno vestiti lunghi e noi corti, e che noi parliamo molto e loro poco. In Inghilterra i vizi alla moda sono andare a puttane e ubriacarsi, in Turchia la sodomia e il fumare, noi preferiamo una ragazza e una bottiglia, loro una pipa e un partner passivo.“

Si è a lungo dato credito alla notizia secondo la quale il 6 giugno 1810, Hobhouse avrebbe annotato nel suo diario: “Un messaggero è arrivato dall’Inghilterra portando una lettera di [Francis] Hodgson per B[yron] – le chiacchiere si diffondono – Edleston accusato di atti osceni [indecency].”

Ma in “Lord Byron at Harrow School: Speaking Out, Talking Back, Acting Up, Bowing Out” [The Johns Hopkins University Press, Beltimore and London, 2000], Paul Elledge, ha dimostrato che l’annotazione riguardava una raccolta di poesie dello stesso Hobhouse, considerate oscene, la parola “Collection” (raccolta) è stata confusa con la parola Edleston. Il povero John Edleston non era in realtà accusato di nulla.

Durante il viaggio, Byron rifiuta le profferte amorose  di Donna Josepha Beltram a Siviglia, di Constance Spencer Smith a Malta, e di Teresa Macri (o piuttosto di Mrs Macri a nome di Teresa) ad Atene.

In una lettera del 29 Luglio 2010, inviata ad Hobhouse da Patrasso, racconta del primo incontro con Eustathius Georgiou, il primo ragazzo che lo affascina in Grecia:

“A Vostitza ho incontrato il mio beneamato Eustathius – pronto a seguirmi, non solo in Inghilterra, ma anche nella Terra Incognita, se la mia bussola fosse orientata in quella direzione. – Questo è successo quattro giorni fa, ora le cose sono un po’ cambiate. – La mattina successiva ho trovato la cara anima su un cavallo, vestito in modo molto curato con abiti greci, con quei riccioli d’ambrosia ricadenti lungo la sua schiena amabile, e con mio stupore e grande scandalo di Fletcher, con un parasole in mano per salvare la sua carnagione da il calore. – Tuttavia, nonostante il parasole aperto, abbiamo viaggiato molto come innamorati, come dovrebbe essere evidente, finché siamo arrivati a Patrasso, dove Stranè ci ha ricevuto nella sua nuova casa dove ora sto scribacchiando. –

Il 16 Agosto però Byron è già stanco di Eustathius e comunica ad Hobhouse di averlo rimandato a casa sua, perché il ragazzo è epilettico:

“Byron a John Cam Hobhouse, dalla Tripolitza, 16 Agosto 1810:

Ho rimandato Eustazio di nuovo a casa sua, ha afflitto la mia anima con i suoi capricci, ed è per di più soggetto a crisi epilettiche (dillo a M.) che facevano di lui un compagno sconcertante, in altre questioni [nel testo la parola “altre” e sottolineata, indica quindi questioni sessuali] però era abbastanza passabile, mi riferisco al suo apprendimento [anche la parola apprendimento è sottolineata], essendo esperto in cose elleniche. Ricordi Nicolo, ad Atene, il fratello della moglie di Lusieri? – Porta i miei complimenti a Matthews dal quale mi aspetto una lettera di congratulazioni. [Mattheus aveva previsto che Byron sarebbe riuscito a conquistare il ragazzo, cosa che si era realizzata] – – Ho mille aneddoti per lui e per te, ma attualmente “che cosa fare?”[Τι να καμυ?] non ho né il tempo né lo spazio, ma per usare le parole di Dawes, “ho cose in serbo.” –”

Il “Nicolo” di cui parla Byron, il ragazzo che il poeta amò di più durante in Grand Tour,si chiamava in realtà Nicolas Giraud e era nato in Grecia da genitori francesi. Il nome Nicolo è un appellativo coniato da Byron. Da quello che dice lo stesso Byron, Nicolo sarebbe stato cognato di Giovanni Battista Lusieri, un pittore romano ed agente di cambio di Thomas Bruce, VII conte di Elgin, Lord Elgin. Ma le cose erano più complicate; Demetrius Zoggrafo, la guida di Byron, informò il poeta, che Lusieri, ormai sessantenne, non era sposato ma corteggiava due donne contemporaneamente, dando ad intendere ad entrambe che le avrebbe sposate. Il legame tra Lusieri e Giraud appariva molto solido e non è improbabile che fossero in realtà padre e figlio.

Nel convento dei Cappuccini di Atene, Byron riesce a concretizzare il suo sogno di una comunità omosessuale simile a quella di Harrow, con qualche avventura erotica extra.

Il 23 Agosto 1810, scrive ad Hobhouse, in una lingua mista di Inglese molto spiccio, di abbondanti citazioni approssimative in Italiano, non senza un pizzico di Greco e di Francese:

“Mi sono sistemato sotto  i migliori auspici nel convento, che è più comodo rispetto a qualsiasi alloggio che io abbia occupato in precedenza, con spazio per il mio seguito ed è tutt’altro che solitario, visto che non c’è solo “il Padre Abbate”, ma la sua “schuola” composta da sei “Regatzi” tutti miei particolarissimi alleati. – Dato che questi signori, sono quasi (eccetto Fauvel e Lusieri) i miei unici compagni, non è corretto che il loro carattere, la loro religione e la loro morale debbano essere descritti. – Di questa bella compagnia tre sono cattolici e tre sono greci scismatici, ho già organizzato un incontro di boxe con grande divertimento del Padre che si rallegra nel vedere vincere i cattolici. – I loro nomi sono, Barthelemi, Giuseppe, Nicolo, Yani, e due anonimi, almeno nella mia memoria. – Di questi Barthelemi è un “simplice Fanciullo”, secondo quello che dice il Padre, il cui favorito è Giuseppe, che dorme nella lanterna di Demostene. – Non abbiamo altro da fare che gozzovigliare da mezzogiorno fino a notte. – La prima volta che mi sono mescolato con questi Silfidi [divinità femminili dei boschi], dopo circa due minuti di ricognizione, l’amabile signor Barthelemi, senza preavviso, si è seduto vicino a me, e dopo aver sottolineato, per complimento, che mia “Signoria” era il “più bello” dei suoi conoscenti inglesi, mi ha salutato [con un bacio] sulla guancia sinistra; per quella libertà è stato rimproverato da Giuseppe, che molto correttamente lo ha informato che ero “μεγαλοσ” [grande] lui gli ha risposto che ero suo “φιλοσ” [amico] e che “dato che aveva la barba” [era grande], lo avrebbe fatto ancora, aggiungendo in risposta alla domanda “διατι ασπασετε?” [perché lo hai baciato?] guarda come ride, perché veramente l’ho fatto molto di cuore. – Ma il mio amico, come si può facilmente immaginare è Nicolo che, aggiungo, è il mio maestro di Italiano, e siamo già molto filosofici. – Io sono il suo “Padrone” e il suo “amico” e Dio sa che cosa altro; sono passate circa due ore dal momento che dopo avermi informato che era molto desideroso di seguirmi in giro per il mondo, ha concluso dicendomi che era adeguato per noi non solo di vivere ma “morire insieme”. – quest’ultima cosa spero di evitarla, della prima invece si è molto compiaciuto. – Vengo svegliato la mattina da questi folletti al grido di “venite abasso” e il frate osserva gravemente che “bisogno bastonare” tutti prima che gli studi possano eventualmente iniziare. – Oltre a questi ragazzi, il mio seguito, a cui ho aggiunto un tartaro e un giovane per badare ai miei due nuovi cavalli da sella, il mio seguito dico, è molto turbolento e bevono otri di vino Zean per 8 pare [monete] a testa al giorno. – Poi abbiamo diverse donne albanesi che lavano nel “giardino” le cui ore di relax sono spese nell’infilare spilli nel didietro di Fletcher. – “Damnata di mi se ho visto un tale spectaculo nel mio modo da Viterbo”. – In breve, con le donne, i ragazzi e il seguito, siamo molto confusionari. – Ma io sono enormemente felice e mi comporto come un bambino, e avrò un mondo di aneddoti per voi e per il “Citoyen.” – – le tresche abbondano, la vecchia madre di Teresa è stata abbastanza folle da immaginare che stessi per sposare la ragazza, ma ho divertimenti migliori, Andreas folleggia con Dudu, come al solito, e Mariana ha fatto una conquista del derviscio Tahiri, Viscillie Fletcher e Sullee, mio nuovo tartaro, hanno ciascuno un’amante, “Vive l’Amour!”. – – Sto imparando l’Italiano, e oggi ho tradotto un’ode di Orazio “Exegi Monumentum” in tale lingua, chiacchiero con chiunque, bene o male, e traduco le preghiere prese dal rituale della Messa, ma le mie lezioni, anche se molto lunghe, sono purtroppo interrotte da scarrozzate, da mangiate di frutta, dal tirarsi oggetti e dal giocare e in realtà è come se fossi di nuovo a scuola, e faccio ora progressi così piccoli come li facevo allora, perché spreco il mio tempo esattamente nello stesso modo. – Ma è troppo bello per durare. Sto per fare un secondo giro dell’Attica con Lusieri, che è mio nuovo alleato, e Nicolo viene con me su sua molto pressante sollecitazione “per mare e per terra” [in Latino nel testo]” – “Forse” [in Italiano] ci potrai vedere “in Inghliterra” [in Italiano] ma “non so come” [in Italiano]- Per il momento buonasera, “Buona sera a vos signoria, Bacio le mani.” [il Italiano].”[14]

IL 24 Agosto 1810, Byron annota:

“Ho nuotato come al solito attraverso il Pireo, anche il Signore [in Italiano nel testo] Nicolo ha fatto il bagno, ma muove le mani tanto male nell’acqua quanto l’Abate Giacinto a Falmouth, è curioso che i Turchi, quando fanno il bagno indossino gli abiti di sotto come fa sempre il tuo umile servitore, ma i Greci non li indossano, comunque questo Giovane e vergogno. [in Italiano approssimativo nel testo.]”

“… Sono stato occupato per gran parte della giornata di oggi nella coniugazione del verbo “ασπαζω” [abbracciare] (parola che essendo sia Ellenica che Neogreca può trovare posto nel lessico del Citoyen) Ti assicuro che i miei progressi sono rapidi, ma come Cesare “Non considero nulla veramente compiuto finché ci resta ancora qualcosa da fare”[in Latino nel testo: Lucan, Phars. II 657], Devo arrivare al pl&optC [rapporto sessuale completo] e allora scriverò a  –.”

Nel suo diario del 17 luglio 1810 Hobhouse aveva annotato, parlando di un ragazzo greco non identificato: “Mi sono congedato da questo giovane singolare su una piccola terrazza di pietra sopra un misero magazzino al termine della baia, dividendo con lui un mazzolino di fiori, l’ultima cosa, forse, che dividerò mai con lui.”

Il 4 Ottobre 1810, Byron scrive ad Hobhouse da Patrasso. Nella lettera, la sigla “M” si riferisce a Charles Skinner Matthews, il loro compagno di Cambridge, il Gran Maestro  della setta dei Metodisti. Il riferimento al mazzolino di fiori va interpretato attraverso la metafora botanica dei Metodisti.

“Dillo a M. che ho avuto più di duecento rapporti sessuali completi [Byron li indica con il cifrato convenzionale della setta dei Metodisti: pl&optC’s] e me ne sono quasi stufato, per la storia di questi devi aspettare il mio ritorno, perché dopo molti tentativi ho messo da parte l’idea di trasmettere informazioni su carta. – Sai del monastero di Mendele, è stato lì che mi sono impadronito del primo. – La tua ultima lettera si chiude pateticamente con un post scriptum circa un mazzolino di fiori, ti consiglio di introdurre questa cosa dentro il tuo prossimo romanzo sentimentale – Certo non ho minimamente sospettato che tu provassi qualche sentimento gentile, e credo che tu stia ancora ridendo, ma sei il benvenuto. – Ciao, non posso più sopportare Ld. Grizzle [Un personaggio del “Pollicino” di  Henry Fielding] –  Tuo. μπαιρων”

Al di là delle lettere goliardiche scambiate tra i metodisti, è difficile capire che rapporti Byron avesse veramente con i ragazzi di cui parla e con Nicolo Giraud in particolare. Preferisco non avventurarmi in ipotesi e fermarmi ai documenti.

Nicolo Giraud accudì Byron quando questi prese le febbri a Patrasso e viaggiò insieme con lui fino a Malta, quando Byron era sulla via del rientro in Inghilterra, nel 1811. Nel testamento redatto nell’agosto del 1811, Byron lasciò a Giraud 7000 sterline, più tardi il lascito venne cancellato.

Rientro in Inghilterra

Byron rientra in Inghilterra il 14 luglio del 1811. Il primo di Agosto muore sua madre. Vive a Londra al n. 8 di St Jame’s Street.

La sorella di Edleston, il ragazzo che era stato l’amore della prima giovinezza del poeta, gli dice che il fratello è morto nel mese di maggio di quello stesso anno. Per Byron è un colpo terribile. Edleston aveva solo ventun’anni quando era caduto in consunzione. Byron, profondamente toccato dalla morte di Edleston, produce almeno sette commuoventi elegie in sua memoria, comprese “To Thyrza”, “Away, away, ye notes of woe!”, “One struggle more, and I am free”, “And thou are dead, as young and fair”, “If sometimes in the haunts of men”, “On a Cornelian Heart Which Was Broken”, e un’elegia latina recentemente scoperta e pubblicata nel 1974, l’unica poesia che usa il genere maschile “Te, te, care puer!”, con il nome di Edleston scritto tre volte in cima.

Byron dedica alla morte di Edlaston diversi testi poetici, ne esamineremo solo tre, il primo è “A Thyrza”. Byron prende il nome Thyrza dal poema di Solomon Gessner: “La morte di Abele”, nel quale Thyrza è la moglie di Abele. Si tratta ovviamente di un nome femminile ma questo non vuol dire nulla. A Byron fu richiesto più volte di rivelare chi fosse la persona della cui morte si parlava nella poesia ma non rispose mai a questa domanda. È interessante notare che qui (come in altre poesie delle Stanze, dedicate a Edleston), il poeta evita rigorosamente qualsiasi connotazione di genere del personaggio di cui si tratta; nel testo non si incontrano mai pronomi personali come he, she, him, her, invece del pronome si usa la parola “form”, e il testo è quasi sempre è in seconda persona. È significativo osservare che la traduzione italiana di Carlo Rusconi, della metà dell’800, che riposto di seguito, dà per scontato che si parli della morte di una donna. In quell’epoca, un testo senza connotazioni di genere era letto automaticamente al femminile.[15]

“A THYRZA.

Senza una pietra che additi il luogo ove tu giaci, e dica ciò che la verità avrebbe ben potuto dire, obbliata da tutti, eccetto forse che da me, ah! perchè sei tu estinta? Separato da te, dai mari e da numerose rive, io ti ho amata invano; il mio passato, il mio avvenire intendevano a te, miravano a riunirci… ora non più mai! Se ciò avesse potuto essere….. una parola, uno sguardo che mi avessero detto: «noi ci dividiamo amici,» avrebbero fatto sopportare alla mia anima con minor dolore il distacco della tua. E poichè la morte ti preparava un’agonia dolce e senza patimenti, non hai tu desiderata la presenza di colui che più non vedrai, che ti teneva e ti tiene anche nel suo cuore? Oh! chi meglio di lui avrebbe vegliato accanto a te, e avrebbe osservato dolorosamente il tuo occhio immoto, in quel momento terribile che precede la morte, quando il dolore sopprime i suoi gemiti… Finchè tutto sia passato? Ma dall’istante in cui ti fossi sottratta ai mali di questo mondo, le lagrime della mia tenerezza, aprendosi un varco, sarebbero trascorse abbondevoli come ora fanno. Come non trascorrerebbero, allorchè io rammento quante volte, prima della mia assenza passeggiera, in queste torri ora per me deserte noi abbiam mescolato i nostri pianti affettuosi! Nostro era allora lo sguardo che noi soli vedevamo, nostro il sorriso che niuno fuori di noi comprendeva; e il linguaggio sommesso di due cuori che si rispondono, e il premersi delle nostre mani tremanti; Nostro era il bacio così innocente, così immacolato, che l’amore reprimeva ogni altro desiderio più ardente: i tuoi occhi annunziavano un’anima tanto casta, che anche la passione avrebbe arrossito a chiedere di più; Quell’accento che mi invitava alla gioia, allorchè diverso da te io mi sentivo propenso alla tristezza; quei canti che la tua voce rendeva celesti, ma che in ogni altra bocca mi sono indifferenti;… Il pegno dell’amore che noi portavamo… io lo porto ancora; ma dove è il tuo? Ah! dove sei tu? La sciagura si è spesso aggravata sopra di me, ma è la prima volta che sotto di lei mi sobbarco. Tu ben facesti a partire nella primavera della vita, lasciandomi vuotar solo il calice dei dolori. Se il riposo non è che nella tomba, io non desidero di rivederti sopra la terra. Ma se in un mondo migliore le tue virtù han cercato un soggiorno più degno di loro, ponmi a parte della tua felicità, toglimi alle angoscie che qui provo. Insegnami (doveva io tal lezione riceverla sì presto da te?), insegnami a rassegnarmi, sia ch’io perdoni, sia che a me venga perdonato: tale era il tuo amore per me sulla terra, che il conseguirlo formerebbe anche in cielo la mia speranza. 11 Ottobre 1811.[16]

Byron comunica con tristezza la morte di Edleston agli amici che lo avevano conosciuto.

“LORD BYRON A JOHN CAM HOBHOUSE

Newstead Abbey – 13 ottobre 1811

Al momento sono piuttosto giù, e non so come dirtene la ragione – ti ricordi E[dleston] a Cambridge – è morto – nel maggio scorso – la sorella mi ha mandato una descrizione dei fatti ultimamente – ora, anche se non lo avrei più rivisto, (ed è molto opportuno che non lo abbia rivisto) sono stato più colpito di quanto dovrei preoccuparmi di ammettere altrove; La morte è stata ultimamente così occupata con tutto ciò che era mio, che lo scioglimento della connessione più remota è come portar via una corona dall’ultima ghinea di un avaro.”

“LORD BYRON A JOHN CAM HOBHOUSE – King College, Cambridge – 22 Ottobre 1811

L’evento che ho menzionato nella mia ultima ha avuto un effetto su di me, mi vergogno a pensarlo, ma non c’è da discutere su questi punti. Avrei potuto “risparmiare di più un creatura eccezionale.” – Ovunque mi giro, particolarmente in questo luogo, questa idea mi segue, dico tutto questo con il rischio di incorrere nel tuo disprezzo, ma non mi puoi disprezzare più di quanto io disprezzo me stesso. – Sono davvero molto infelice, e come tutte le persone che si lamentano non posso fare che parlarti così.”

Byron che, prima di partire per il Grnad Tour, aveva affidato alla sig.na Pigot il cuore di corniola rossa che gli era stato donato da Edleston, sente ora il bisogno di avere di nuovo con sé quell’oggetto e scrive alla signora Pigot pregandola di sollecitare la figlia ad inviarglielo. È interessante notare che nella lettera manca qualsiasi connotazione di genere che possa permettere di capire se la persona morta sia un uomo o una donna. Byron parla di “a person” o di “the Giver”.

“LORD BYRON A MRS MARGARET PIGOT – Cambridge – 28 ottobre 1811

Cara Signora, –

          Io sto per scriverle su un argomento stupido e comunque non riesco a fare altrimenti. – Lei può ricordare una corniola, che qualche anno fa ho consegnato alla signorina Pigot, anzi ha dato a lei, e ora sto per fare la più egoista e maleducata delle richieste. – La persona che l’ha data a me, quando ero molto giovane, è morta, e anche se molto tempo è trascorso da quando ci siamo incontrati, dato che era l’unico ricordo che possedevo di quella persona (cui ero una volta molto interessato) ha acquisito un valore dopo questo evento, che mai avrei voluto che assumesse ai miei occhi. – Se dunque la signorina P[igot] l’ha conservata, devo in queste circostanze pregarla di scusare la mia richiesta che mi sia inviata al numero 8 di St. James Street, Londra e io la sostituirlo con qualcosa che possa ricordarle me altrettanto bene. – Dato che lei era sempre così gentile da sentirsi interessata al destino di [coloro] che formavano l’oggetto delle nostre conversazioni, Lei può dirle, che chi aveva regalato la Corniola è morto nel maggio scorso di consunzione all’età di ventuno anni, diventando il sesto in quattro mesi degli amici e parenti che ho perso tra maggio e la fine di agosto!

          – Mi creda, Signora, sinceramente suo  Byron”

Negli ultimi mesi del 1811 i riferimenti, ovviamente coperti, alla morte di Edlestin compaiono più volte nelle poesia di Byron e con accenti accorati. Mi limito a citare due testi.

“STANZE. Lungi da me, lungi da me accenti di cordoglio! quei canti, non ha guari per me pieni di dolcezza, cessino, o io fuggirò da questi luoghi perchè non oso più udirli. Essi mi ricordano giorni più belli… oh! fate che s’interrompano quei concenti: io non debbo più ora, oimè! pensare, non debbo meditar più su quello ch’io fui… su quello che sono. La voce che rendeva sì dolci quegli accordi tace, e il loro prestigio si è dileguato: ora i loro suoni più soavi mi sembrano un canto funebre intuonato sui trapassati. Sì, Thyrza, essi mi parlano di te, cenere adorata, poichè tu non sei più che cenere; e tutto quello che un tempo avevano di armonioso, è fatto aspro, stridulo al mio cuore. I suoni finirono!… ma al mio orecchio la vibrazione ne dura ancora; odo una voce che non vorrei intendere, una voce che ora dovrebbe esser muta: ma spesso ella viene a commuovere la mia anima incerta; quella dolce melodía mi segue anche fra i sonni. Io mi sveglio, e pur sempre la ascolto, benchè tutte le mie visioni siano dissipate. Dolce Thyrza, dormiente o svegliato, tu non sei più ora che un amabile sogno; una stella che, dopo aver riflettuto sui flutti la sua tremula luce, ha tolto alla terra il suo raggio soave. Ma il viaggiatore che s’ingolfò nel cupo sentiero della vita, allor che il cielo sdegnato avrà velata la sua faccia, dolorerà lungo tempo il raggio svanito che rallegrava il suo cammino.

6 Dicembre 1811.”[17]

“STANZE. Anche uno sforzo e sarò libero dai tormenti che straziano il mio cuore; anche un ultimo e lungo sospiro all’amore e a te, e poi ritorno nel turbine della vita. Io trovo ora piacere a intrattenermi di cose che non mai mi erano apparse belle: se ogni mia gioia si è di qui involata, quali dolori potrebbero omai sorprendermi? Recatemi dunque spumante vino, imbandite il pasto; l’uomo non fu creato per viver solo. Ch’io divenga l’essere leggiero, frivolo, che sorride a tutti, e con alcuno non piange. Non così era io in giorni più cari; non mai così sarei stato, ma tu hai preso il tuo volo lungi da me, e mi hai lasciato qui solitario: tu non sei più nulla… e tutto il resto è nulla per me. Invano la mia lira vorrebbe affettare un tuono leggiero; il sorriso che simula il dolore è uno scherno all’affanno che sotto vi si asconde, è simile alle rose sopra un sepolcro. Invano lieti compagni di tavola colla tazza in mano dissipano un momento il sentimento de’ miei danni; sebbene il piacere accenda la demenza dell’anima, il cuore… il cuore è pur sempre solitario! Quante volte nel silenzio delizioso delle notti io mi son piaciuto a riguardare il cielo; perocchè allora io pen- 242 savo che la luce celeste splendesse sì dolcemente sul tuo occhio pensoso! Spesso nell’ora di mezzanotte, vogando sui flutti del mare Egéo, io dissi all’astro di Cintia: «Ora Thyrza ti guarda.»… Oimè! esso non rischiarava più che la sua fossa. Prostrato dalla febbre sopra un letto insonne, mentre un fuoco avvampante scorreva per le mie vene, ciò che mi consola, io dicevo, è che Thyrza ignora ch’io soffro! In quella guisa che per lo schiavo consunto dagli anni la libertà è un inutile dono, così è invano che la natura placata mi ha richiamato alla vita, dappoichè Thyrza ha cessato di esistere. Pegno che da lei ricevei in giorni migliori, all’aurora della vita mia e del mio amore! quanto ti sei trasmutato ai miei occhi! come il tempo ti ha colorito colle tinte del dolore! il cuore che insieme a te si diede è silenzioso. – Ah! perchè non è così anche il mio! Abbenchè freddo come possono esserlo i morti, il sentimento rimane pur sempre a questo mio cuore, e con esso le ambascie. Dono amaro e malinconico! pegno doloroso e caro! serba, serba il mio amore inalterabile, o infrangi questo petto contro il quale io ti premo! Gli anni temperano l’amore, ma non l’estinguono; esso ha qualche cosa di più santo ancora, quando le sue speranze sono passate. Oh! che sono migliaia di affezioni viventi raffrontate a quella che non può staccarsi dai morti?”[18]

Amori e tradimenti

Ma alla fine del 1811, nella vita di Byron accade qualcosa di nuovo. Una lettera di Byron a Hobhouse, del 25 Dicembre 1811, ci informa che il poeta si era “almeno un po’” innamorato di una serva gallese, Susan Vaughan.

“Byron a John Cam Hobhouse, da Newstead Abbey, 25 Dicembre 1811:

Al momento sono principalmente occupato da un volto nuovo e anche molto grazioso, come H ti potrà dire, una ragazza gallese, che io ho ultimamente aggiunto alla compagnia e della quale sono discretamente innamorato, al momento, ma lei mi sarà comunque probabilmente abbastanza indifferente prima che tu rientri dall’Irlanda.”

Susan Vaughan tradirà Byron il mese successivo seducendo Robert Rushton, il paggio di Byron, che lo aveva accompagnato fino a Gibilterra nel Grand Tour.

In una lettera del 20 Gennaio 1812, Susan Vaughan lascia intendere a Byron che Rushton, allora più o meno diciannovenne, è stato sedotto da Lusy, un’altra serva di Byron che, secondo Ralph Lloyd-Jones, potrebbe essere stata la madre di uno dei figli di Byron. Tuttavia dalle lettere di Byron a Rushton (BLJ II 158) e a Susan (BLJ II 159) appare chiaramente che era Susan ad avere una storia con Rushton, non Lucy. Byron perdonò Rushton (“Sono sicuro che tu non volevi ingannarmi, lei invece lo voleva”), ma non perdonò Susan. La faccenda mise scompiglio tra i servitori di Byron: Rushton trattò in modo aggressivo Susan, Byron lo rimproverò con molta fermezza, sottolineando che Susan doveva essere trattata con la massima civiltà. Rushton dovette incassare il rimprovero ma rispose con grande dignità. Byron cercò di mantenere col ragazzo un rapporto positivo.

“Byron a Robert Rushton, dal n. 8 di St di James’s Street, 25 Gennaio 1812:

… Se c’è stato qualcosa tra voi prima o dopo la mia ultima visita a Newstead, non abbiate paura di dirlo. Sono sicuro che non volevi ingannarmi, ma lei lo voleva. Qualunque cosa sia, tu sarai perdonato. Non sono stato senza qualche sospetto sulla questione, e sono certo che, alla tue età, la colpa non poteva essere tua. Non devi consultare nessuno circa la tua risposta, ma scrivimi subito. Sarò più pronto ad ascoltare quello che hai da suggerire, dato che non mi ricordo di aver mai sentito da te in passato una sola parola contro qualsiasi essere umano, cosa che mi convince che non affermeresti maliziosamente una cosa non vera. Nessuno può farti il minimo danno, quando tu ti comporti correttamente. Aspetto la tua risposta immediatamente. Tuo, ecc, BYRON”

Il 28 Gennaio 1812, Byron dà l’addio definitivo a Susan.

“Byron a Susan Vaughan, dal n. 8 di St James’s Street, Londra, 28 Gennaio 1812:

Ti scrivo per dirti addio, non per rimproverarti. – I documenti allegati, uno dei quali scritto di tuo pugno, ti spiegheranno ogni cosa. – Non nego che sono stato legato a te, e ora mi vergogno profondamente della mia debolezza. – Puoi anche godere la soddisfazione di avermi ingannato nel modo più completo, e di avermi reso per il momento sufficientemente misero. – Dal primo momento ti avevo detto che la continuazione della nostra relazione dipendeva dal tuo comportamento. – Tutto è finito. – Ho poco da rimproverarmi, se non la credulità; ti sei buttata sulla mia strada, ti ho accolta, amata, fino a quando sei diventata senza valore, e ora mi separo da te con un certo rammarico, e senza rancore. – Ti faccio i migliori auguri, non dimenticare che la tua cattiva condotta ti ha privato di un amico, di cui niente altro avrebbe potuto privarti. – Non tentare di dare una spiegazione, è inutile, sono determinato, non puoi negare la tua scrittura; ritorna alle tue relazioni, te ne saranno dati i mezzi, ma colui che ora per l’ultima volta si indirizza a te, non lo vedrai mai più.”

Il 18 Ottobre 1812, Byron scrive a Rushton con un tono completamente diverso:

“Byron a Robert Rushton, da Cheltenham, 18 Ottobre 1812.

Robert,— Io spero che tu continui quanto più possibile ad applicarti alla ragioneria e all’agrimensura, ecc. Qualsiasi cambiamento possa accadere a Newstead, nulla cambierà per te e per il sig. Murray. È stabilito che avrai un impiego a Rochdale per il quale la prosecuzione dei tuoi studi, che io ho raccomandato, sarà per te una grande opportunità. Dammi tue notizie; è migliorata la tua salute dall’ultima volta che sono stato all’Abbey? Comunque, se dovesse accadermi qualcosa, ho provveduto a te nel mio testamento, se non mi accadrà nulla, troverai sempre nel tuo maestro un sincero amico.”

Le vicende matrimoniali e l’incesto

Byron aveva una sorellastra, Augusta Maria, nata il 26 gennaio del 1783, quindi di cinque anni più grande di lui. Augusta era figlia della prima moglie del padre del poeta. Augusta si sposò ed ebbe sette figli; conobbe il fratellastro solo quando questi era studente alla Harrow School, mantenne con lui un rapporto epistolare centrato sui conflitti di Byron con la madre, ma lo vide molto raramente. Per tutto il periodo del viaggio in Oriente si interruppe anche il rapporto epistolare. Quando ormai Byron era in Inghilterra, Augusta gli mandò le condoglianze in occasione della morte della madre e dal luglio del 1813 i due divennero amanti. Augusta però era sposata ed aveva figli e non aveva intenzione di mettere in crisi la sua famiglia per amore di Byron. Nell’Aprile del 1814 Augusta partorisce una bambina, Elizabeth Medora Leigh (15 Aprile 1814 – 28 Agosto 1849), pochi giorni dopo Byron si reca a casa della sorellastra per vedere la bambina. La convinzione che Medora fosse figlia di Byron divenne oggetto di molte chiacchiere. Se ne discusse allora e ancora oggi la questione non è chiara.

Byron il 2 gennaio 1815, anche per tacitare i pettegolezzi sulla sua relazione con Augusta, sposa Anna Isabella Milbanke, detta Annabella, un’ereditiera colta ed appassionata di matematica, e va a vivere a Londra con lei. Byron doveva tacitare i pettegolezzi sul suo rapporto con la sorellastra e anche quelli sulla sua omosessualità, che cominciavano a circolare insistentemente; il matrimonio sembrava, tra l’altro anche un’occasione propizia per incamerare i beni della moglie. Nel dicembre del 1815 nacque la figlia, Augusta Ada, ma Byron riprese i rapporti con la sorellastra Augusta, e Annabella il 15 gennaio 1816 chiese la separazione.

Byron veniva accusato di incesto, adulterio, omosessualità, sodomia, amore libero ecc. ecc.. La situazione divenne rapidamente insostenibile, il rischio che si passasse dai pettegolezzi alle accuse di natura penale era reale e pesante. Byron, il 21 aprile 1816, firmò il documento di separazione dalla moglie e decise di esiliarsi volontariamente dall’Inghilterra, dove non rientrò più.

In Svizzera, con gli Shelley

Si imbarcò per il continente il 25 aprile 1816. Prima di andar via dall’Inghilterra Byron aveva avviato una relazione con Claire Clairmont, sorellastra Mary Godwin Wollstonecraft (moglie di Percy Bysshe Shelley). Con Shelley, la moglie e la sorellastra della moglie, Byron trascorse molto tempo in ottima compagnia. Dalla relazione di Byron con Claire nacque Allegra, nel gennaio del 1817.

In Italia

Nell’ottobre del 1816 Byron si spostò a Milano dove conobbe Pellico, Monti e Stendhal, poi nel novembre 1816 si stabilì a Venezia, dove si trattenne per tre anni. Qui imparò bene l’Italiano ma non trascurò affatto le avventure galanti, si vantò di avere posseduto più di duecento donne, ed ebbe due relazioni importanti, la prima con la moglie del suo padrone di casa, Marianna Segati, e la seconda con la ventiduenne Margarita Cogni (la Fornarina). La casa di Byron sul Canal Grande divenne un punto di riferimento fisso per tutti gli Inglesi che passavano per Venezia, qui crebbe la fama di tombeur de fammes che accompagnò Byron per decenni.

Shelley aveva potuto vedere da vicino i traffici di casa Byron a Venezia e non ne sarebbe rimasto bene impressionato, ma certe affermazioni di Shelley, che era molto amico di Byron, sembrano riferite piuttosto agli Inglesi in genere che a coloro che frequentavano casa Byron.

Così scrive Shelley nella sesta lettera a Peacock:

“Milano, 20 aprile 1818.

Lord Byron, a quando si sente dire, ha preso una casa per tre anni, a Venezia; non so se lo vedremo o no, non lo so. Il numero di Inglesi che passano per questa città è molto grande. Dovrebbero stare nel loro paese nel presente periodo di crisi. Il loro comportamento è del tutto ingiustificabile. La gente qui, anche se abbastanza inoffensiva, sembra, sia nel corpo che nell’anima, una razza infelice. Gli uomini non sono affatto uomini [The men are hardly men]; sembrano una tribù di stupidi e di schiavi avvizziti, e non credo di aver visto un barlume di intelligenza in un volto umano da quanto ho passato le Alpi.”

Nell’aprile del 1819 Byron conosce la diciottenne Teresa, moglie del ricco sessantenne conte Guiccioli: la donna diventa ben presto la sua amante e i due si stabiliscono verso la fine del 1819 a Ravenna, dove vivono i Guiccioli. La giovane esercita un’influenza molto positiva sul poeta, che finalmente adotta uno stile di vita meno frenetico. Tra il 1820 e il 1821 Byron entra nella Carboneria attraverso i contatti del fratello di Teresa, il conte Pietro Gamba. Vuole che la figlia Allegra sia educata come una cattolica romana, e la accompagna nel marzo del 1821 nell’educandato gestito dalle suore di Bagnacavallo, in Romagna.

Allegra morirà il 21 aprile 1822 e l’8 luglio dello stesso anno morirà anche Shelley, affogato assieme all’amico Edward Elleker Williams, a dieci miglia da Viareggio.

La Grecia e la morte

Nel 1823 Byron, indotto dall’amico John Cam Hobhouse, aderisce all’associazione londinese filoellenica a sostegno della guerra d’indipendenza greca contro l’Impero ottomano. Organizza con la massima cura una spedizione. Convince Teresa a tornare a Ravenna e il 16 luglio 1823 il brigantino “The Hercules” lascia Genova per la Grecia. Accompagnano Byron, Pietro Gamba, Trelawny, un giovane medico italiano, nonché otto servitori cinque cavalli e due cani. A Livorno sale sul brigantino un giovane scozzese, Hamilton Browne.

Il 3 Agosto il brigantino si ferma a Cefalonia. Nell’isola greca Byron conosce il quindicenne greco Lukas Chalandritsanos e se ne innamora follemente, ma non è minimamente ricambiato. Byron non è più il bel ragazzo del tempi di Edleston, è ingrassato, perde i capelli e ha i denti in pessimo stato, cerca comunque di ottenere almeno la gratitudine se non l’amore del ragazzo, spendendo in sei mesi somme notevolissime per soddisfare tutti i suoi capricci. Per un verso Byron si rende conto di non essere più fisicamente una persona desiderabile ma per l’altro è animato da un amore al limite della follia, tanto più acuto e doloroso quanto più rifiutato.

Finalmente, in dicembre, al poeta pare opportuno mettersi dalla parte del principe Mavrocordato, che più di altri garantiva una seria possibilità di costituire un’autorità stabile, e salpa per Missolungi, dove giunge ii 5 gennaio 1824. Qui, in una casa a tre piani occupata dal colonnello Stanhope e da un gruppo di Albanesi cristiani che Byron aveva assoldato a Cefalonia, riprende con instancabile ostinazione a lavorare per rafforzare la resistenza greca. I compiti principali erano due: formare una brigata d’artiglieria, assalire e conquistare Lepanto al comando di forze il cui nucleo avrebbe dovuto essere costituito dalla sua guardia albanese. Purtroppo Byron non riesce a concludere nulla.

Frattanto la storia con Lukas si era fatta per Byron sempre più distruttiva. Il segno del terribile sconforto per quella storia d’amore impossibile (Byron non aveva mai provato nulla di simile per una donna) si può leggere in una poesia datata 22 gennaio 1824, giorno del trentaseiesimo compleanno del poeta.

“22 Gennaio 1824. Messalonghi.

In questo giorno compio trentasei anni.

È il tempo in cui questo cuore dovrebbe rimanere imperturbato

perché ha smesso di turbare altri cuori,

Eppure, anche se non posso essere amato

Lasciate ancora che io ami!

I miei giorni sono come la foglia gialla

I fiori e i frutti d’amore sono passati

Il verme – il cancro, e il dolore

Soltanto mi restano!

Il fuoco che fa preda nel mio petto

è solitario come un’isola vulcanica,

nessuna torcia è accesa alla sua fiamma:

è una rogo funebre!

La speranza, la paura, la cura gelosa

La porzione esaltata del dolore

E il potere dell’amore non posso condividerli,

Ma sono incatenato.

Ma non così – e non è qui –

Tali pensieri dovrebbero scuotere la mia anima, non ora,

Dove la Gloria copre il feretro dell’eroe

O fascia la sua fronte.

La spada – la Bandiera – e il campo –

La Gloria e la Grecia ci guardano!

Lo Spartano nato sul suo scudo,

* Non era più libero!

Svegliati! – (Non la Grecia – La Grecia è sveglia!-)

Svegliati mio Spirito! pensa attraverso chi

La tua vita = il tuo sangue individua la sua origine,

E poi ritorna alla tua patria!

Calpesta le passioni che rinascono,

Virilità indegna; – Per te

dovrebbero essere indifferenti

Il sorriso o il volto accigliato

della bellezza.

Se rimpiangi tua giovinezza, perché vivere?

La terra della morte onorevole

È qui – vai al Campo! e

dona il tuo respiro.

Procurati una tomba da soldato

– che hai poco  cercato – per te è  il meglio –

Poi guardati intorno, scegliti la terra

E comincia il tuo riposo!

È come se Byron stesse ormai vagheggiando una morte eroica come alternativa ad una vita senza amore, quasi la ricerca di un martirio, provocata da un amore violento e rifiutato.

Nei giorni immediatamente successivi Byron scrive altre due poesie dedicate sempre a Lukas, le ultime della sua vita, nella prima si dichiara folle d’amore di fronte al rifiuto del ragazzo, e riconosce che la magia del ragazzo è possente mentre il poeta è ormai tanto debole; nella seconda si arrende al suo destino:

… Sempre di più, sempre di più… eppure non mi ami,

E mai lo farai, perché alla volontà non obbedisce Amore.

Ma non ti biasimo, anche se so bene ormai

Che il mio destino è amarti, e sempre più sbagliando, e invano.

Il febbraio e il marzo trascorrono fra ribellioni, pioggia, scaramucce, scosse telluriche, dimostrazioni di incompetenza, richieste di rimpatrio da parte degli artificieri inglesi, tradimenti. Quando la flotta turca appare all’orizzonte è ormai chiaro che la città non è difendibile, il poeta cerca di organizzare personalmente le poche truppe e di rincuorare i cittadini terrorizzati. La sera, dopo una cavalcata di miglia sotto la pioggia, Byron ha un violento attacco di febbre. Il 10 e l’11 di aprile vuole uscire di nuovo a cavallo, ma la sua fibra sta cedendo. I medici cominciano ad essere seriamente preoccupati e pensano di imbarcarlo per Zante se le condizioni del mare lo permetteranno. Il giorno 15 Byron è grave.

William Parry, in The Last Days of Lord Byron (Gli ultimi giorni di Lord Byron), riferisce: “…parlò con me delle mie avventure. Parlò anche della morte con grande compostezza, e per quanto non credesse che la sua fine fosse vicina c’era qualcosa in lui di così serio e fermo, di così rassegnato e composto, di così diverso da quanto avessi visto prima in lui, che la mia mente cominciò a temere, e a tratti mi parve di presentire la sua rapida dissoluzione”. I suoi discorsi cominciarono a farsi sconnessi. Fra le altre cose affermò che avrebbe desiderato tornare in Inghilterra per vivere con la moglie e la figlia Ada. Il giorno 18 delirava: in Italiano e in Inglese, immaginando forse l’attacco a Lepanto, gridava: “Avanti! Avanti! Coraggio! Seguite il mio esempio!” E nel delirio più volte nominò la sorella, la moglie, la figlia, i luoghi dell’infanzia. Le sue ultime parole furono: “Ora devo dormire”. Morì il giorno dopo, lunedì 19 aprile 1824, alle sei e un quarto del pomeriggio.” Quella stessa sera Lukas scappò portandosi via il denaro della guarnigione.

Il funerale vide un interminabile corteo di quarantasette carrozze parate a lutto ma vuote, col solo postiglione: fu l’ultima vendetta dell’aristocrazia verso il poeta ribelle.

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[1] http://www.lordbyron.org/contents.php?doc=ThMoore.1830.Contents

[2] La pietra di cui qui si parla, fu data a lord Byron da un fanciullo del coro di Cambridge chiamato Eddlestone [in realtà si chiamava Edleston, ma la grafia con la doppia “d” è quella preferita da Byron.] che il suo talento musicale fece conoscere al giovine poeta, e che sembra essere stato da lui molto amato.

[3] George Gordon Byron. Opere complete – Volume V. Traduzione di Carlo Rusconi. Torino, Giunti Pombe e comp. Editori, 1853, pp. 64-65.

[4] Harrow.

[5] È il nome del fiume da cui Cambridge (ponte del Cam) ha ricavato il nome.

[6] Vedi le Ore d’Ozio.

[7] Il fiume Grete a Southwell.

[8] Maria Duff. Vedi le Ore d’Ozio.

[9] Eddlestone, il corista di Cambridge, nominato pure nelle Ore d’Ozio.

[10] George Gordon Byron. Opere complete – Volume V. Traduzione di Carlo Rusconi. Torino, Giunti Pombe e comp. Editori, 1853, pp. 193-196.

[11] Nome classico dell’Università di Cambridge.

[12] Byron’s Letters and Journals, ed. Leslie A. Marchand, 13 vols, John Murray, 1973-94; I 208.

[13] National Library of Scotland 12604 / 4247G.

[14] National Library of Scotland.  Ms.43438; Byron’s Letters and Journals, ed. Leslie A. Marchand, 13 vols, John Murray, 1973-94.  II 11-14.

[15] http://www.liberliber.it/mediateca/libri/b/byron/opere_complete_5/pdf/byron_opere_complete_5.pdf

[16] George Gordon Byron. Opere complete – Volume V. Traduzione di Carlo Rusconi. Torino, Giunti Pombe e comp. Editori, 1853, pp. 238-240.

[17] George Gordon Byron. Opere complete – Volume V. Traduzione di Carlo Rusconi. Torino, Giunti Pombe e comp. Editori, 1853, pp. 241-242.

[18] George Gordon Byron. Opere complete – Volume V. Traduzione di Carlo Rusconi. Torino, Giunti Pombe e comp. Editori, 1853, pp. 242-243.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=19&t=5926 

OMOSESSUALITA’ E VIOLENZA SESSUALE IN COLLEGIO

Caro Progetto,
non so se sei una persona vera o un gruppo di persone, farò come se tu fossi una persona. Intanto grazie per avere creato il blog, però te lo devo dire subito, le cose gay per me hanno uno strano sapore, sono parecchio complessato su queste cose e ancora adesso, che ormai sono vecchio, sono scombussolato da un sacco di paturnie e di pensieri assurdi. Non so se sono veramente gay, non so se voglio esserlo, certo è che nelle cose del sesso ho vissuto la vita di un caso patologico, di un nevrotico che non è mai riuscito a trovare un suo equilibrio. Detto così, non si capisce niente, e allora tanto vale la pena che ti racconti quello che è successo. Mi farebbe piacere che tu mettessi la mia storia sul blog, però se non vuoi farlo ti posso capire. In ogni caso mi piacerebbe ricevere una tua risposta.

Sono nato nel Nord Italia, in Veneto, e allora ci si faceva la fame. I miei genitori erano contadini e io ero l’unico figlio superstite. Mio fratello più grande era morto in guerra e dopo le elementari nel paese, i miei si sono trovati a decidere se mandarmi alla media o all’avviamento. Soldi ce ne stavano pochi ma hanno fatto uno sforzo enorme per mandarmi alla media, per farmi studiare e darmi delle possibilità in più. Di questo li ringrazio perché la mia tranquillità economica di oggi è frutto della loro scelta.

La prima e la seconda media le ho fatte in una cittadina vicino al mio paese. Mi dovevo alzare prestissimo la mattina per prendere la corriera, mia madre mi lavava e mi stirava ogni giorno la camicia, perché ne avevo solo due e a scuola bisognava andare in ordine, mi lucidava pure le scarpe, babbo mi foderava i libri , mi faceva trovare le cose buone da mangiare, che poi erano le castagne o i fichi, secondo la stagione. Alle medie c’era il latino e per me era un ostacolo grosso, ma c’era il parroco, don Antonio, che mi faceva lezione il pomeriggio e mi faceva fare tutti i compiti. Gli altri ragazzi della classe erano tutti di famiglie ricche o almeno borghesi ma allora io non me ne rendevo conto. Quando c’erano gli incontri coi professori ci andava don Antonio, allora io non lo capivo, ma i miei genitori non si facevano vedere per paura di farmi fare un brutta figura, perché non parlavano bene l’Italiano e avevano le mani rovinate dai lavori in campagna. Mio babbo aveva fatto solo le elementari e mia mamma non le aveva nemmeno finite.

Nonostante tutto, a scuola non ho avuto problemi seri di adattamento, i professori erano molto esigenti ma io avevo una certa voglia di studiare e con l’aiuto di don Antonio, che aveva una mezza idea di mandarmi, dopo, in seminario, riuscivo a cavarmela passabilmente.

Nell’estate del 57 ho perso entrambi i genitori a causa di una febbre tifoide che il medico non ha saputo curare e mi sono trovato, a 13 anni, praticamente solo al mondo. Sono stato affidato a un fratello di mia madre, zio Battista, che però viveva in un paesetto in mezzo alle montagne e aveva le bestie in un alpeggio. Se fossi andato a stare con lo zio Battista, che era pure vecchio, vedovo, e non aveva figli, non avrei potuto continuare a studiare. Lo zio mi disse che potevo o andare in seminario a Vicenza o andare in collegio a Roma, in una scuola che don Antonio conosceva. Io non volli andare assolutamente in seminario e scelsi di andare a Roma, dove non ero mai stato. Mi segnarono alla scuola e zio Battista si fece carico di pagare la retta, che non doveva essere nemmeno tanto bassa, perché io avrei mangiato e dormito in collegio.

Don Antonio mi accompagnò a Roma e mi presentò al rettore della scuola, a dire la verità un po’ maltenuta, ma pulita, era un convento di frati, c’era la chiesa, ma di frati ce n’erano pochi, non più di sette o otto, tutti vecchi. Il convitto era diretto dal frate prefetto che però non si vedeva quasi mai, tutta l’organizzazione interna era affidata a dei ragazzi, studenti universitari, che noi chiamavamo prefettini, erano ragazzi che stavano in collegio senza pagare perché in pratica lavoravano stando appresso a noi, erano loro che ci seguivano durante le ore di studio e ci facevano fare i compiti, ci sorvegliavano il pomeriggio, durante i pasti, e la notte dormivano nelle loro piccole stanze, una accanto ad ogni camerata, per controllare la disciplina. In genere di noi si occupavano poco perché avevano molto da studiare per i loro esami all’università.

Io ero nuovo, i miei compagni si conoscevano già da due anni. La scuola non era male, tutti professori erano laici, in pratica professori in pensione delle scuole statali, erano tutti vecchi ma erano bravi e ci mettevano l’anima per farci imparare le cose. Alcuni professori li ricordo ancora. Il professore di matematica al quale devo il mio interesse per questa materia, nella quale ero bravissimo, il professore di lettere che ci raccontava le storie dell’Iliade e dell’Odissea recitando come in teatro e anche il professore di ginnastica che in pratica ci faceva fare solo ginnastica premilitare, come si faceva al tempo del fascismo.

I primi giorni sono stato bene e l’ho scritto a don Antonio, che mi mandava una lettera ogni settimana, ma già dalla metà di ottobre ho cominciato a vedere delle cose strane. C’erano dei ragazzi che sparivano dalla sala di studio e non si sapeva dove fossero finiti e poi rispuntavano dopo una mezz’oretta, Io allora ero totalmente ingenuo, non sapevo nulla del sesso, non avevo ancora scoperto la masturbazione e mi potevano raccontare qualunque balla che ci avrei creduto. Gli altri ragazzi, che non mi conoscevano, tendevano a mettermi da parte e a tenermi al di fuori dei loro segreti, ma non ci misi molto a capire che nel collegio c’era una vita invisibile, sotterranea.

Per una regola interna, le camerate erano distinte per anni di scuola, in modo da tenere separati i ragazzi di età diversa. Noi vedevamo i ragazzi della prima e della seconda media solo a colazione, a pranzo, a cena e nelle occasioni speciali, per esempio in chiesa, ma la ricreazione si faceva per gruppi separati, quindi in pratica io potevo familiarizzare solo coi ragazzi della terza media.

All’epoca ero un bel ragazzo per la mia età, ma ero molto delicato e molto educato. Dopo le prime settimane di scuola uno dei ragazzi, uno tra i capetti più rispettati, cominciò a chiamarmi uomo-donna e a farmi battute che all’inizio non capivo, tipo; “Tu sì che sei un uomo, non tua sorella!” Poi l’idea che io fossi l’uomo-donna cominciò a spargersi tra tutti i miei compagni.

Un giorno, durante le ore di studio, uno dei ragazzi si rivolse al prefettino per un chiarimento di matematica, quello gli disse che lui studiava lettere e che, se voleva, poteva andare da un altro prefettino che stava studiando ingegneria nella sua stanza. Il ragazzo tornò nell’aula di studio dopo circa mezz’ora tutto arrossato e spettinato, fu lì che ebbi il primo sospetto che le mezze ore di assenza di certi ragazzi non fossero dedicate a ricevere chiarimenti scolastici. Ma fu solo un’impressione, io non dissi nulla e tutto proseguì come prima.

Una sera, prima di andare a dormire, quando il prefettino non c’era, il capetto bullo, che si chiamava Silvano, mi si avvicinò e mi diede una carezza e poi mi mise le mani in mezzo alle gambe e disse: “è solo per vedere se sei uomo o donna!” mi sentii la faccia bruciare, volevo andare dal prefettino per denunciare la cosa ma Silvano mi disse: “Vai vai! Così pure lui ti dà una controllata!” e si mise a ridere. Col tempo mi hanno raccontato che uno dei prefettini, quello di ingegneria, in pratica quello della nostra camerata, faceva sesso coi ragazzi della terza media. Con me non ci ha mai provato perché non gli ho dato confidenza, ma stando ai racconti degli altri, con quelli che gli davano corda si lasciava andare proprio. Era un bel ragazzo, avrei voluto, forse , che succedesse anche con me, però nello stesso tempo avevo paura e non è mai successo nulla.

Le prime cose veramente brutte mi sono capitate poco prima delle vacanze di Natale. I ragazzi erano lasciati a se stessi, i prefettini erano quasi tutti partiti per le vacanze natalizie, salvo il nostro, quello di ingegneria. La faccio breve perché, anche se sono passati tanti anni, certe cose mi fanno un po’ senso. Insomma, mi bloccano sul letto in quattro, mi abbassano i calzoni e le mutande, e Silvano prova a penetrarmi, diciamo che fa la mossa, io strillo, ma mi mettono un fazzoletto in bocca e poi sono in quattro e non ho la forza di oppormi. La penetrazione non c’è stata ma l’umiliazione è stata terribile. Silvano mi dice: “Adesso hai capito che cosa ti succede se non fai tutto quello che vogliamo noi!” In quel momento, se avessi potuto lo avrei ammazzato.

Dopo quel fatto li tengo a distanza, mi faccio vedere il meno possibile, ma la cosa non può andare avanti così. Se non avessi fatto nulla sarei diventato lo zimbello di Sivano e della sua banda e le violenze si sarebbero ripetute. Ci penso molto, ma alla fine non ho altre soluzioni, prendo il coraggio a due mani e vado a parlare col nostro prefettino (quello di ingegneria), che mi ascolta, è spaventato soprattutto dall’idea che io vada a parlare col Rettore, e si vede, cerca di rabbonirmi e poi arriva a un compromesso che da lui non mi sarei mai aspettato ma che, nello stesso tempo, mi mise al sicuro e mi espose ai peggiori insulti da parte dei miei compagni. In pratica il prefettino avrebbe dormito nel mio letto in camerata e io nel suo, nella sua stanza chiusa a chiave. Tutta questa cosa avveniva, ovviamente senza che il vero prefetto del collegio ne sapesse niente e i ragazzi dovevano abbozzare, se non lo avessero fatto sarebbe venuto fuori quello che avevano fatto a me. Poi, per tenere buoni i compagni, che mi avrebbero ammazzato, ho finito per accettare che il preferttino venisse anche lui a dormire nella sua stanzetta. Ovviamente, dopo, i miei compagni mi davano esplicitamente della puttana.

A proposito del prefettino di ingegneria sentivo raccontate le cose peggiori: che spogliava i ragazzi, che faceva a gara con loro per vedere chi ce l’aveva più grosso e li picchiava per ottenere prestazioni sessuali da loro e cose simili e certi ragazzi giuravano che era vero e che era successo pure a loro, ma il prefettino, con me non ci aveva mai provato. Un giorno, mentre stavo nella sua stanzetta mi metto a frugare e tra il materasso e la rete del letto trovo un pacchetto con delle lettere, le leggo, sono dirette a un ragazzo ma sono lettere d’amore e pure focose. Penso che allora tutto quello che i miei compagni dicono di lui è vero e comincio ad avere paura.

E qui ho fatto una cosa di cui mi vergogno ancora oggi, ho raccontato a un mio compagno delle lettere del prefettino, e lui ha cercato di spingermi a rubargli le lettere per averlo in pugno e magari per portarle di nascosto al rettore. Io questa cosa non l’ho fatta, mi sembrava infame e poi il prefettino mi piaceva e non volevo che lo cacciassero o forse volevo averlo in pugno io. Ma adesso un altro ragazzo sapeva delle lettere e presto lo avrebbero saputo tutti e le lettere gliele avrebbero rubate gli altri, allora sono entrato in camera del prefettino, le ho prese io, e le ho nascoste da un’altra parte (in chiesa).

Quando è tornato il prefettino ho detto che gli dovevo parlare e gli ho raccontato che i ragazzi sapevano delle sue lettere, l’ho visto proprio sbiancare all’idea, ma gli ho detto pure che le lettere le avevo fatte sparire io e che erano nascoste in un posto sicuro, dove nessuno le avrebbe trovate. Lui le voleva indietro ma non gliele ho date e gli ho detto che le avevo lette. Lui mi guardava impietrito ma io gli ho risposto che lui con ne non aveva niente da temere perché con me si era comportato bene, poi gli ho detto di tutte le cose che avevo sentito su di lui e gli ho chiesto se erano vere. Ha ammesso di avere fatto un po’ di giochi sessuali coi ragazzi ma solo cose consensuali e me lo ha giurato. Io gli ho raccontato di quello che Silvano e la sua banda avevano fatto a me e lui mi ha detto che loro non lo facevano per sesso ma solo per infliggere una umiliazione terribile a un altro ragazzo, e poi mi ha chiesto se mi piacevano i ragazzi, io ci ho pensato e gli ho risposto onestamente che non lo sapevo e lui mi ha detto: peccato! Poi ha capito di avere detto una stupidaggine e mi ha chiesto scusa e dopo molte esitazioni mi ha chiesto dove stavano le lettere e io gliel’ho detto ma gli ho chiesto di lasciarle lì perché erano al sicuro, magari poteva andare a vedere che c’erano veramente, ma volevo che le lasciasse lì e lui lo ha fatto.

La storia del prefettino comunque è finita male e forse proprio per colpa mia. Il ragazzo al quale avevo parlato delle lettere, andò a riferire la cosa al rettore. Il prefettino negò tutto, io fui chiamato come testimone, giurai il falso e dissi che il mio compagno si era inventato tutto. I fatti non risultavano provati, ma il rettore non ne volle sapere e il prefettino fu cacciato, o meglio allontanato per motivi opportunità, a pochi mesi dagli esami finali. Prima di andarsene si riprese di nascosto le lettere e mi avvisò che le aveva prese lui.

Il nuovo prefettino era un emerito imbecille. Negli ultimi mesi prima degli esami ho subito dalla banda di Silvano angherie e violenze di ogni genere, e questa volta, siccome si dovevano vendicare su di me che ero stato il “cocco del frocio” ho subito veramente la violenza sessuale di Silvano e di un altro ragazzo. [- omissis – ] La sensazione di repulsione è stata totale, non ti racconto come mi sono sentito dopo, il ricordo di quella scena me lo porto ancora dentro perché quello non era sesso ma solo violenza come le bestie e anche peggio. I miei compagni avevano 14 anni e alla fine non riesco a odiarli o ad augurare loro la morte, perché non hanno nemmeno capito quello che stavano facendo. Insomma, io, dopo, sono stato ossessionato de quei ricordi per decenni e la mia vita sessuale ne è uscita rovinata. Il ricordo del prefettino invece era positivo, poi l’ho capito: quello era un ragazzo gay, e mi piaceva pure, non si era comportato da stronzo, ma l’idea che io potessi essere gay proprio per effetto della iniziazione violenta subita mi ha rovinato la vita. Non mi sono sposato e non ho un compagno, sono rimasto solo e per quanto possa sembrare assurdo il sesso gay mi sembra ripugnante, ma non so, e non lo so veramente, se questo succede per effetto della violenza subita ma penso di sì. Chi usa violenza sessuale su un’altra persona la uccide dentro, uccide la sua dignità, le sue sicurezze, sporca per sempre la sua sessualità. Bisognerebbe che i ragazzi ricevessero un’educazione seria e imparassero il vero rispetto del prossimo, ma purtroppo, anche se sono passati cinquant’anni, siamo ancora molto lontani da tutto questo.
Grazie Progetto, almeno mi sono sfogato un po’.

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TEORIA DELL’INVERSIONE SESSUALE

Presento oggi la traduzione dell’intero capitolo 6 del trattato di Havelock Ellis sull’Inversione sessuale. Il capitolo affronta le varie teorie per spiegare l’inversione sessuale, da quelle freudiane a quelle decisamente più organiciste legate agli studi allora appena avviati sugli ormoni. In tutte queste teorie emerge però costante l’idea della femminilizzazione dell’omosessuale, idea che Haddington Symonds considerava  del tutto irrealistica e che non prese mai seriamente in considerazione, ma che è stata in voga per decenni, lasciando anche oggi tracce condizionanti. È da osservare che nel trattato di Ellis si riscontra una impostazione che tende pregiudizialmente a non distinguere l’omosessuale dal transessuale ed è proprio questo fatto che accredita l’idea della femminilizzazione dell’omosessuale. In fondo le ricerche di Ellis non giungono, nella sostanza, a risultati sbagliati, ma quelle ricerche riguardano una platea di persone che non è ristretta ai soli omosessuali nel senso moderno del termine (distinti cioè dai transessuali e da altri fenomeni di vera sessualità intermedia, fisica o affettiva). L’opera di Ellis, pur iniziata in collaborazione con Addington Symonds, prese poi, nel corso degli anni e dopo la morte di Symonds, una strada autonoma. Nell’edizione del 1927, devo dire “purtroppo”, l’impostazione di Symonds, che conosceva in prima persona il mondo omosessuale, è stata messa da parte per dare spazio alle classiche teorie mediche sull’omosessualità, astrattamente congetturali e ancora piene di pregiudizi.

CAPITOLO 6

LA TEORIA DELL’INVERSIONE SESSUALE

L’analisi di questi casi conduce direttamente a una questione di primaria importanza: Che cos’è l’inversione sessuale? Si tratta, come molti vogliono far credere, di un vizio abominevole acquisito, che deve essere sradicato con la prigione? o è, come pochi affermano, una varietà benefica delle emozioni umane che dovrebbe essere tollerata o addirittura favorita? Si tratta di una condizione di malattia che qualifica chi ne è affetto per il manicomio? o è una mostruosità naturale, un umano “divertimento”, le cui manifestazioni devono essere regolate quando diventano antisociali? Probabilmente c’è un elemento di verità in più di uno di questi punti di vista. Punti di vista molto divergenti sull’inversione sessuale sono in gran parte giustificati dalla posizione e dall’atteggiamento del ricercatore. È naturale che l’ufficiale di polizia debba trovare che i suoi casi sono in gran parte meri esempi di vizio disgustoso e di crimine. È naturale che il direttore del manicomio debba scoprire che abbiamo principalmente a che fare con una forma di follia. È altrettanto naturale che l’invertito sessuale stesso debba scoprire che lui e i suoi amici invertiti non sono così diversi dalle persone normali. Dobbiamo riconoscere l’influenza della deformazione professionale e personale e l’influenza dell’ambiente.

Ci sono state due correnti principali quanto ai punti di vista sull’inversione sessuale: una che cerca di allargare la sfera dell’acquisito (rappresentata da Binet, – che, comunque, ha riconosciuto la predisposizione, – Schrenck-Notzing, e recentemente i freudiani), l’altra che cerca di allargare la sfera della congenito (rappresentata da Krafft-Ebing, Moll, Féré, e oggi dalla maggior parte degli autori). C’è, come di solito accade, verità in entrambi questi punti di vista. Ma, dato che coloro che rappresentano il punto di vista dell’inversione acquisita spesso negano ogni elemento congenito, siamo chiamati a discutere la questione. Il punto di vista secondo il quale l’inversione sessuale è interamente spiegata attraverso l’influenza delle prime associazioni, o della “suggestione”, è attraente e, a prima vista, sembra essere supportata da quello che sappiamo sul feticismo erotico, attraverso il quale i capelli di una donna, o un piede o anche l’abbigliamento, diventano il fulcro delle aspirazioni sessuali di un uomo. Ma si deve ricordare che ciò che vediamo nel feticismo erotico è soltanto l’esagerazione di un impulso normale; ogni amante è in qualche misura eccitato dai capelli della sua amante, o dal piede, o dagli indumenti. Anche qui, dunque, c’è realmente ciò che può essere ragionevolmente considerato come un elemento congenito; e, inoltre, c’è ragione di credere che il feticista erotico di solito mostri ulteriori elementi congeniti ereditari di nevrosi. Pertanto, l’analogia col feticismo erotico non porta molto aiuto a coloro che sostengono che l’inversione è puramente acquisita. Si deve inoltre rilevare che questo argomento a favore dell’inversione acquisita o suggerita comporta logicamente l’affermazione che la sessualità normale è anch’essa acquisita o suggerita. Se un uomo viene attratto verso il proprio sesso, semplicemente perché il fatto o l’immagine di tale attrazione vengono portati davanti a lui, allora siamo costretti a credere che un uomo venga attratto verso il sesso opposto solo perché il fatto o l’immagine di tale attrazione è stata portata davanti a lui. Tale teoria è impraticabile. In quasi tutti i paesi del mondo gli uomini creano legami con altri uomini, e le donne con altre donne; se l’associazione e la suggestione fossero le uniche cause influenti, l’inversione, invece di essere l’eccezione, dovrebbe essere la regola per tutta la specie umana, se non, addirittura, per tutta la serie degli animali. Inoltre, dovremmo ammettere che l’istinto umano più fondamentale è costituito in modo da essere ugualmente ben adattato alla sterilità come a quella propagazione della specie che, come un dato di fatto, troviamo dominante in tutta la vita. Bisogna quindi mettere da parte del tutto l’idea che l’orientamento dell’impulso sessuale sia solo un fenomeno suggerito; una tale nozione è del tutto contraria all’osservazione e all’esperienza, e non si può inserire facilmente in uno schema biologico razionale.

I freudiani – sia le scuole ortodosse che quelle eterodosse – hanno talvolta contribuito, involontariamente o meno, a far rivivere l’idea ormai antiquata che omosessualità sia fenomeno acquisito, e, insistendo sul fatto che il suo meccanismo è un puramente psichico, anche se inconscio, hanno avvalorato l’idea che esso possa essere riadattato all’ordine normale con metodi psicoanalitici. Freud per primo ha steso una formulazione completa della sua visione dell’omosessualità in un piccolo e pregnante libro originale, Abhandlungen zur Sexualtheorie(1905), ed ha spesso toccato altrove l’argomento, come hanno fatto molti altri psicoanalisti, tra cui Alfred Adler e Stekel, che non appartengono alla scuola freudiana ortodossa. Quando gli invertiti sono studiati psicoanaliticamente, Freud crede che si constati che nella prima infanzia essi passino attraverso una fase di fissazione intensa ma breve su una donna, di solito la madre o forse una sorella. Poi, dato che una censura interna inibisce questo impulso incestuoso, essi lo superano da soli identificandosi con le donne e rifugiandosi nel narcisismo, e il sé diventa l’oggetto sessuale. Infine essi cercano maschi giovani simili a loro stessi, che amano come le loro madri li amavano. La loro ricerca degli uomini è determinata in questo modo dalla loro fuga dalle donne. Questo punto di vista è stato esposto non solo da Freud ma anche da Sadger, Stekel, e molti altri. [1] Freud stesso, tuttavia, è prudente nel precisare che questo processo rappresenta solo un tipo di stentata attività sessuale, e che il problema dell’inversione è complesso e diversificato.

Si può dire che questo punto di vista presuma una costituzione bisessuale come normale, e che l’omosessualità sorga dalla soppressione, a causa di qualche incidente, della componente eterosessuale, e dal percorso attraverso un processo autoerotico di narcisismo verso l’omosessualità. Su questa concezione freudiana generale dell’omosessualità si sono basate numerose varianti, e caratteristiche distinte sono state specificamente sottolineate, da singoli psicoanalisti. Così Sadger ritiene che, sotto l’individuo maschio amato dall’invertito, si nasconda una femmina, e che questo fatto può essere rilevato attraverso la psicoanalisi che rimuove lo strato superficiale del palinsesto psichico; egli ritiene che questa disposizione dell’invertito sia favorita da una mescolanza frequente di tratti maschili e femminili nei suoi parenti maschi; originariamente, “non è l’uomo che l’omosessuale ama e desidera, ma l’uomo e la donna insieme in un’unica forma”; l’elemento eterosessuale viene poi soppresso, e quindi rimane l’inversione pura. Inoltre, sviluppando il punto di vista Freudiano sull’importanza dell’erotismo anale (Freud, Sammlung Kleiner Schriften zur Neurosenlehre, vol. ii), Sadger pensa che sia anche la regola per un invertito passivo aver sperimentato l’erotismo anale nell’infanzia ed essere stato spesso sottoposto a clisteri, che hanno portato al desiderio dell’intromissione del pene nell’ano. (Medizinische Klinik, 1909, N. 2.) Jekels spinge questa dottrina oltre e dichiara che tutti gli invertiti sono in realtà invertiti passivi; l’invertito è, nel suo amore, egli afferma, insieme soggetto e oggetto; si identifica con la madre e vede nell’oggetto del suo amore la propria persona giovanile. E, Jekels si chiede, qual è lo scopo di questa riorganizzazione mentale? Può a malapena ottenere da altri, risponde, piuttosto che da parte della madre, la stimolazione della regione anale dell’oggetto, che è ormai diventato lui stesso, per procurarsi lo stesso piacere che durante l’infanzia ha vissuto quando sua madre soddisfaceva il suo erotismo anale. Jekels considera questo punto di vista come la continuazione e la concretizzazione dell’interpretazione di Freud; e il punto principale dell’omosessualità, anche quanto è passiva in modo evidente, diventa il desiderio di soddisfazione erotico-anale (L. Jekels, “Einige Bemerkungen zur Trieblehre,” Internationale Zeitschrift für Aerztliche Psychoanalyse, Sept., 1913). La maggior parte degli psicoanalisti è cauta nel negare una base costituzionale o congenita dell’inversione, anche se lasciano la questione in background. Ferenczi, in un interessante tentativo di classificare l’omosessuale (Internationale Zeitschrift für Aerztliche Psychoanalyse, Marzo 1914), osserva: “L’indagine psicoanalitica mostra che sotto il nome di omosessualità sono riuniti insieme i più vari stati psichici, da un lato vere anomalie costituzionali (inversione o omoerotismo soggettivo), dall’altro condizioni ossessive psiconevrotiche (omoerotismo oggettivo o omoerotismo ossessivo). L’individuo del primo tipo si sente essenzialmente una donna che desidera essere amata da un uomo, mentre l’altro rappresenta una fuga nevrotica dalle donne piuttosto che una simpatia per gli uomini.” La base costituzionale è molto chiaramente accettata da Rudolf Ortvay che sottolinea (Internationale Zeitschrift für Aerztliche Psychoanalyse, Gennaio 1914) che la dottrina biologica dei caratteri recessivi e dominanti nell’ereditarietà contribuisce a rendere chiara la comparsa o la soppressione dell’omosessualità in una disposizione bisessuale. “Gli eventi infantili”, aggiunge, “che, secondo Freud, decidono i rapporti sessuali degli adulti, possono esercitare la loro funzione solo sulla base di una predisposizione biologica, essendo le impressioni infantili determinate dalla predisposizione ereditaria.” Isador Coriat, d’altra parte, pur riconoscendo due forme di inversione, incompleta e completa, afferma coraggiosamente che l’inversione non è mai congenita e mai trasmessa attraverso ereditarietà; è sempre “originata da un preciso meccanismo inconscio.” (Coriat, “Homosexuality,”New York Medical Journal, 22 Marzo 1913). Il punto di vista di Adler sull’omosessualità, come su altre condizioni collegate, differisce da quello della maggior parte degli psicoanalisti perché insiste sulla presenza di un difetto organico originario, che il soggetto cerca di trasformare in un punto di forza; egli accetta due componenti principali dell’inversione: una vaghezza quanto alle differenze sessuali e un processo di auto-assicurazione sotto forma di ribellione e di sfida, e anche la femminilità dell’invertito può diventare un metodo per guadagnare potere (A. Adler, Ueber den Neurösen Charakter, 1912, p. 21).

Il meccanismo della genesi dell’omosessualità avanzato da Freud non deve essere respinto in modo secco. Freud ha spesso manifestato l’intuizione del genio, e si astiene dal plasmare le sue concezioni in quelle forme rigide che sono state a volte adottate dagli psicoanalisti più dogmatici che lo hanno seguito. Né dobbiamo essere indebitamente scioccati dall’aria “incestuosa” del “complesso di Edipo”, [2] come è comunemente chiamato, che compare come componente del processo. La parola “incesto”, anche se è stata utilizzata dallo stesso Freud, sembra quasi una parola non corretta da applicare ai sentimenti vaghi ed elementari dei bambini, soprattutto quando quei sentimenti passano appena al di là di una fase di sentimenti non localizzata e quindi davvero pre-sessuale (nell’uso comune del termine “sessuale”), che può essere considerata naturale e normale. La concezione freudiana viene travisata e compromessa dall’affermazione che si tratta di “incesto”. [3] Quando un bambino ama sua madre con un intero amore, quell’amore comporta necessariamente i germi che nella vita adulta diventano separati e si sviluppano nell’amore sessuale, ma si è imprecisi nel dire che questo amore del bambino è “incestuoso”. È abbastanza facilmente immaginabile che il meccanismo psichico dello stabilirsi dell’omosessualità, in alcuni casi, sia stato corrispondente, al percorso descritto da Freud. Si può anche ammettere che, come gli psicoanalisti sostengono, il dichiarato horror feminæ occasionalmente ritrovato negli invertiti maschi possa plausibilmente essere considerato come il capovolgimento di una precoce e delusa attrazione femminile. Ma è impossibile considerare questo meccanismo invariabile o anche frequente. È abbastanza vero, e ho trovato ampie evidenze del fatto, che gli invertiti sono spesso strettamente legati alle loro madri, anche in misura maggiore di quanto accade di regola tra i bambini normali, e che spesso a loro piace essere costantemente in unione con le loro madri. Ma questa attrazione è molto fraintesa, se è considerata come un’attrazione specificamente sessuale. Infatti, il punto centrale di questa attrazione è che il ragazzo invertito sente vagamente la propria indole femminile e così tralascia i divertimenti non congeniali e la frequentazione del suo stesso sesso per la simpatia e la comunità di gusti che trova concentrata in sua madre. Quanto meno una tale associazione è la prova di un’attrazione sessuale, tanto più essa più essere ragionevolmente considerata la prova della sua assenza; proprio così come l’associazione dei ragazzi tra di loro, e delle ragazze tra di loro, anche nelle scuole co-educative [scuole miste], è la prova della prevalenza del sentimento eterosessuale rispetto al sentimento omosessuale. La conferma di questo punto di vista può essere trovata nel fatto, trascurato e talvolta anche negato dagli psicoanalisti, che spesso, anche nella prima infanzia e contemporaneamente a questa comunità di sentimenti con la madre, il ragazzo omosessuale sta già sperimentando il fascino predominante del maschio. Lo sente molto prima dell’età in cui narcisismo tende a verificarsi, o in cui la coscienza di sé è diventata sufficientemente sviluppata da permettere alla censura interna sulle emozioni non consentite di operare, o a qualsiasi fuga da esse di concretizzarsi. Inoltre, mentre la maggior parte degli autori sono stati raramente in grado di trovare una qualche prova evidente della attrazione sessuale del maschio invertito durante l’infanzia verso la madre o la sorella, [4] un’attrazione di questo tipo per il padre o il fratello sembra meno difficile da trovare, e se trovata, è incompatibile con il processo tipico freudiano. Ho potuto osservare che, tra le Storie qui riportate, ci sono almeno due chiari esempi di una tale attrazione durante l’infanzia. Va inoltre detto che qualsiasi teoria dell’eziologia dell’omosessualità che ometta di considerare il fattore ereditario dell’inversione non può essere ammessa. L’evidenza della frequenza dell’omosessualità tra i parenti stretti dell’invertito è ormai indiscutibile. L’ho ritrovata in una parte considerevole dei casi, e in molti di questi l’evidenza è indiscutibile e del tutto indipendente dalla dichiarazione del soggetto stesso, il cui parere potrebbe essere considerato forse di parte o inaffidabile. [5] Questo fattore ereditario sembra infatti essere richiamato dalla stessa teoria freudiana. A proposito di questa teoria abbiamo bisogno di sapere come sia possibile che il soggetto passi attraverso fasi psichiche, e raggiunga una disposizione emotiva, così diversa da quella della persona normale. L’esistenza di una tendenza ereditaria definita in una direzione omosessuale rimuove tale difficoltà. Freud stesso riconosce questo e chiaramente afferma una costituzione psico-sessuale congenita, che deve coinvolgere la predisposizione. Sulla base di un sondaggio generale, quindi, sembrerebbe che, sul versante psichico, possiamo accettare la realtà dei processi dinamici inconsci, che in casi particolari possono essere di tipo freudiano o simile. Ma mentre lo studio di tali meccanismi può illuminare la psicologia dell’omosessualità, essi lasciano inspiegati i fattori organici fondamentali ora accettati dalla maggior parte degli autori. [6]

Il modo più razionale di considerare l’istinto sessuale normale è di considerarlo un impulso biologico innato, che raggiunge il pieno sviluppo intorno al tempo della pubertà. [7] Durante il periodo dello sviluppo la suggestione e l’associazione possono venire a giocare un ruolo nel definire l’oggetto dell’emozione; il terreno è pronto, ma la varietà dei semi che possono prosperare in esso è limitata. Che ci sia una maggiore indefinitezza nello scopo dell’impulso sessuale in questo periodo si può ben crederlo. Ciò è dimostrato non solo da occasionali e timidi segnali di emozione sessuale diretti verso lo stesso sesso durante l’infanzia, ma dal carattere spesso ideale e non localizzato della passione normale anche durante la pubertà. Ma il canale dell’emozione sessuale non è per questo deviato in un percorso anomalo. Ogni volta che questo accade siamo tenuti a credere, e abbiamo molte ragioni per credere che, si tratta di un organismo che sin dall’inizio era anormale. Lo stesso seme della suggestione è seminato in vari terreni; in molti si spegne; in pochi fiorisce. La causa può essere solo una differenza nel terreno.

Se, dunque, dobbiamo postulare un’anomalia congenita per spiegare in modo soddisfacente almeno gran parte degli invertiti sessuali, in che cosa consiste questa anomalia? Ulrichs ha spiegato la questione dicendo che negli invertiti sessuali un corpo maschile coesiste con un’anima femminile: anima muliebris in corpore virili inclusa. Anche autori scientificamente eminenti, come Magnan e Gley, hanno adottato questa frase in una forma modificata, ritenendo che nell’inversione un cervello femminile è combinato con un corpo maschile o con ghiandole maschili. Questa, tuttavia, non è una spiegazione, cristallizza soltanto in un epigramma un’idea superficiale della questione. [8]

Possiamo probabilmente cogliere meglio la natura dell’anomalia se riflettiamo sullo sviluppo dei sessi e sulla bisessualità organica latente in ciascun sesso. In una fase iniziale di sviluppo i sessi sono indistinguibili, e per tutta la vita rimangono le tracce di questa primo terreno comune del sesso. Il pollo femmina mantiene in una forma rudimentale gli speroni che sono così grandi e formidabili nel suo signore, e, talvolta, essa sviluppa la capacità di cantare, o mette il piumaggio maschile. Tra i mammiferi il maschio possiede capezzoli inutili, che di tanto in tanto si sviluppano anche in seni, e la femmina possiede un clitoride, che è solo un pene rudimentale, e può anche svilupparsi. La persona sessualmente invertita di solito non possiede alcuna esagerazione di questi segni di comunità con l’altro sesso. Ma, come abbiamo visto, nelle persone invertite c’è un buon numero di più sottili approssimazioni al sesso opposto, sia sul piano fisico che sul piano psichico. Mettendo la materia in una forma puramente speculativa, si può dire che al concepimento l’organismo è dotato di circa il 50 per cento di germi maschi e di circa il 50 per cento di germi femminili, e che, col procedere dello sviluppo, o i germi maschili o quelli femminili prendono il sopravvento, fino a quando nell’individuo pienamente sviluppato rimangono solo pochi germi abortiti del sesso opposto. Nell’omosessuale, tuttavia, e nel bisessuale, possiamo immaginare che il processo non si è svolto normalmente, a causa di alcune peculiarità nel numero o nel carattere dei germi originali maschili o dei germi femminili, o di entrambi, il risultato è che abbiamo una persona che è organicamente intrecciata in una forma che è più adatta all’esercizio dell’impulso sessuale invertito rispetto all’impulso sessuale normale, oppure è altrettanto attrezzata per entrambi. [9]

La concezione della bisessualità latente di tutti, maschi e femmine, non può non essere abbastanza evidente agli osservatori intelligenti del corpo umano. Emerge in un primo periodo nella storia del pensiero filosofico, e fin dall’inizio è stata occasionalmente utilizzata per la spiegazione dell’omosessualità. il mito di Platone nel Simposio e le statue di ermafroditi dell’antichità mostrano come menti acute, che lavoravano per la scienza, si esercitavano con questi problemi. (Per uno studio completamente illustrato dell’antica concezione dell’ermafroditismo nella scultura vedi L. S. A. M. von Römer, “Ueber die Androgynische Idee des Lebens,” Jahrbuch für sexuelle Zwischenstufen, vol. v, 1903, pp. 711-939.) Parmenide, seguendo Alcmeone, il medico filosofo che scoprì che il cervello è l’organo centrale dell’intelligenza, osserva Gomperz (Greek Thinkers, Eng. tr., vol. i, p. 183), usava l’idea di variazione della percentuale di elementi generativi maschili e femminili per spiegare le idiosincrasie di carattere sessuale. Dopo un immenso intervallo Hössli, il modista maschile svizzero invertito, nel suo Eros (1838) ripresentò di nuovo il punto di vista greco. Schopenhauer, ancora una volta, riconobbe dal punto di vista filosofico la bisessualità dell’individuo umano (vedi Juliusburger, Allgemeine Zeitschrift für Psychiatrie, 1912, p. 630), e Ulrichs, dal 1862 in poi, adottò una dottrina simile, su base platonica, per spiegare la costituzione “Uranista”. Dopo di ciò l’idea cominciò ad essere sviluppata più precisamente sul piano scientifico, anche se non, in un primo momento, con riferimento all’omosessualità, e più in particolare dai grandi pionieri della dottrina dell’evoluzione. Darwin sottolineò l’importanza dei fatti su questo punto, come più tardi Weismann, mentre Haeckel, che è stato uno dei primi darwiniani, negli ultimi anni ha chiaramente riconosciuto il peso sull’interpretazione dell’omosessualità del fatto che gli antenati dei vertebrati erano ermafroditi, come gli stessi vertebrati sono ancora nella loro forma embrionale (Haeckel, nello Jahrbuch für sexuelle Zwischenstufen, Aprile 1913, pp. 262-3, 287). Questo punto di vista, però, era stato proposto in precedenza da singoli medici, in particolare in America da Kiernan (American Lancet, 1884, e Medical Standard, Novembre e Dicembre 1888), e Lydston (Philadelphia Medical and Surgical Reporter, Settembre 1889, e Addresses and Essays, 1892).

Nel 1893, nel suo L’Inversion Sexuelle, Chevalier, allievo di Lacassagne – che aveva già usato il termine “ermafrodismo morale” per questa anomalia – spiegava l’omosessualità  congenita con l’idea della bisessualità latente. Il Dr. G. de Letamendi, Preside della Facoltà di Medicina di Madrid, in un documento letto davanti al Congresso Medico Internazionale di Roma nel 1894, esposte un principio dell’ermafroditismo – un bipolarismo ermafrodita – che coinvolgeva l’esistenza di germi femminili latenti nel maschio, di germi maschili latenti nella femmina, germi latenti possono lottare per, e, talvolta, ottenere, la supremazia. Nel febbraio 1896, la prima versione di questo capitolo, che presentava la concezione dell’inversione come sviluppo psichico e somatico, sulla base di una bisessualità latente, fu pubblicata nel Centralblatt für Nervenheilkunde und Psychiatrie. Kurella (ib., Maggio 1890) ha adottato un punto di vista un po’ simile, sostenendo anche che l’inversione è una forma di transizione tra l’uomo completo o la donna completa e l’ermafrodita. In Germania, un paziente di Krafft-Ebing aveva elaborato la stessa idea, che collega l’inversione con la bisessualità fetale (ottava edizione della Psychopathia Sexualis, p. 227). Krafft-Ebing stesso in un primo momento semplicemente affermò che, congenita o acquisita, ci deve essere Belastung [una tara]; l’inversione è un “fenomeno di degenerazione”, un segno funzionale di degenerazione (Krafft-Ebing, “Zur Erklärung der conträren Sexualempfindung,” Jahrbuch für Psychiatrie, 1894). Nelle edizioni successive della Psychopathia Sexualis, tuttavia (dal 1896 in avanti, e in particolare nelloJahrbuch für sexuelle Zwischenstufen, vol. iii, 1901), si spinse più in là, adottando la spiegazione sulle base della bisessualità originaria (traduzione inglese della decima edizione, pp. 336-7). Usando più o meno lo stesso linguaggio che ho usato io, sostenne che c’era stato un conflitto tra i centri, e che l’omosessualità risulta da quel contrasto quando il centro antagonista a quello rappresentato dalle delle ghiandole sessuali ha la meglio, mentre ne risulta l’ermafroditismo psico-sessuale quando entrambi i centri sono troppo deboli per ottenere la vittoria, in entrambi i casi tale disturbo non sarebbe una degenerazione psichica o una malattia, ma semplicemente un’anomalia paragonabile ad una malformazione e abbastanza compatibile con la salute psichica. Questo è il punto di vista ormai ampiamente accettato dagli studiosi dell’inversione sessuale. (Molto materiale circa la storia di questa concezione è stato messo insieme da Hirschfeld, in Die Homosexualität, cap. xix, e prima in “Vom Wesen der Liebe”, Jahrbuch für sexuelle Zwischenstufen, vol. viii, 1906, pp. 111-133.)

Un punto di vista simile o affine si ritrova ormai costantemente in autori di prestigio scientifico che solo incidentalmente si interessano allo studio dell’inversione sessuale. Così Halban (“Die Entstehung des Geschlechtscharaktere”, Archiv für Gynäkologie, 1903) riguarda l’ermafroditismo, che si estenderebbe alla sfera psichica, come uno stato in cui un impulso sessuale doppio determina il corso dello sviluppo fetale e lo sviluppo successivo. Shattock e Seligmann (“True Hermaphroditism in the Domestic Fowl, with Remarks on Allopterotism,” Transactions of Pathological Society of London, vol. vii, parte i, 1906), sottolineando che la semplice atrofia delle ovaie non può spiegare la comparsa nell’uccello femmina di caratteri maschili, che non sono regressivi ma progressivi, sostiene che tali uccelli sono davvero bisessuali o ermafroditi, o perché la singola “ovaia” è in realtà bisessuale, come era il caso del pollo che ha esaminato, o perché le ghiandole sessuali sono accoppiate, una di sesso maschile e l’altra femminile, oppure perché c’è del tessuto maschile fuori luogo in un viscere vicino come il surrene o il rene, e gli elementi maschili si affermano quando gli elementi femminili degenerano. L’”Ermafroditismo”, concludono, “lungi dall’essere un fenomeno del tutto anomalo tra i vertebrati superiori, dovrebbe essere considerato piuttosto come un ritorno alla fase ancestrale primitiva in cui il bisessualismo era la disposizione normale …. Una volta chiarita la questione del vero ermafroditismo nell’uomo, sorge la domanda se non si verificano gradi minori …. una prova remota di bisessualità nel soggetto umano può, forse, essere fornita dal fenomeno psichico della perversione sessuale e dell’inversione.” Allo stesso modo in un caso di caratteri secondari maschili unilaterali in un fagiano altrimenti femminile, C. J.  James Bond ha più recentemente dimostrato (Sezione di Zoologia, Birmingham Meeting della British Medical Association, British Medical Journal, 20 Settembre, 1913) che un ovi-testicolo era presente, con tessuto ovarico degenerativo e con lo sviluppo di tessuto testicolare, queste isole di crescita attiva del tessuto maschile si possono trovare frequentemente, egli afferma, nelle ovaie che stanno degenerando delle femmine degli uccelli, che hanno messo un piumaggio maschile. Sir John Bland-Sutton, riferendosi al fatto che la conformazione esterna del corpo non offre alcuna certezza positiva sulla natura delle ghiandole sessuali interne, aggiunge (British Medical Journal, 30 ott, 1909): “È una giusta presunzione il fatto che alcuni esempi di frigidità sessuale e di perversione sessuale possano essere spiegati dalla possibilità che gli interessati possano possedere ghiandole sessuali opposte nel carattere a quelle indicate dalla configurazione esterna dei loro corpi.” Guardando la questione in modo più ampio e fondamentalmente nei suoi aspetti normali, Heape dichiara (Proceedings of the Cambridge Philosophical Society, vol. xiv, parte ii, 1907) che “non esistono animali totalmente maschi o totalmente femmine, ma tutti contengono un sesso dominante e un sesso recessivo, ad eccezione di quegli ermafroditi in cui i due sessi sono equamente rappresentati …. mi sembra che ci siano molte prove del fatto che non esiste una cosa come un maschio puro o femmina pura.” F. H. A. Marshall, ancora una volta, nel suo manuale standard, The Physiology of Reproduction (1910, p. 655 et seq.), è incline ad accettare la stesso punto di vista. “Se è vero”, osserva, “che tutti gli individui sono potenzialmente bisessuali e che circostanze diverse, che conducono ad un diverso metabolismo, possono, in casi eccezionali, anche nella vita adulta, causare lo sviluppo dei caratteri recessivi, sembrerebbe estremamente probabile che il dominio di un insieme di caratteri sessuali rispetto all’altro possa essere determinato in alcuni casi in una fase iniziale dello sviluppo in risposta ad uno stimolo che può essere interno o esterno.” Così anche Berry Hart (“Atypical Male and Female Sex-Ensemble,” una comunicazione letta davanti all’Edinburgh Obstetrical Society, British Medical Journal, 20 Giugno 1914, p. 1355) considera il maschio normale o la femminile normale individui che incarnano il massimo degli organi potenti del loro proprio sesso con un minimo di organi non potenti dell’altro sesso, con tratti sessuali secondari congruenti. Qualsiasi aumento in quel minimo comporta la diminuzione del massimo e la non congruenza dei caratteri secondari.

Vediamo così che l’antica concezione medico-filosofica della bisessualità organica avanzata dai Greci come la chiave per la spiegazione dell’inversione sessuale, dopo essere sparita dalla vista per duemila anni, è stata ripresa all’inizio del XIX secolo da due filosofi dilettanti che sono stati loro stessi invertiti (Hössli e Ulrichs), così come da un filosofo vero e proprio che non era invertito (Schopenhauer). Poi la concezione della bisessualità latente, indipendentemente dalla omosessualità, è stata sviluppata dal lato puramente scientifico (da Darwin e dagli evoluzionisti in genere). Nella fase successiva questa concezione è stata adottata dalle autorità scientifiche psichiatriche e di altre discipline che si occupano di omosessualità (Krafft-Ebing e la maggior parte degli altri studiosi). Infine, embriologi, fisiologi del sesso e biologi in generale, non solo accettano il concetto di bisessualità, ma ammettono che probabilmente esso aiuta a spiegare l’omosessualità. In questo modo si può dire che l’idea sia passata nel pensiero corrente. Non possiamo affermare che essa costituisca una spiegazione adeguata dell’omosessualità, ma ci consente in qualche modo di capire quello che per molti è un enigma misterioso, e fornisce una base utile per la classificazione non solo dell’omosessualità, ma anche delle altre anomalie sessuali miste o intermedie nello stesso gruppo. Le principali di queste anomalie sessuali intermedie sono: (1) l’ermafroditismo fisico nelle sue varie fasi; (2) il ginandromorfismo, o l’eunucoidismo, in cui gli uomini possiedono caratteri simili a quelli dei maschi che sono stati castrati precocemente e le donne possiedono simili caratteri maschili; (3) l’inversione sesso-estetica, o Eonismo (travestitismo di Hirschfeld o cross-dressing), in cui, al di fuori delle emozioni specificamente sessuali, gli uomini possiedono i gusti delle donne e le donne quelli degli uomini.

Hirschfeld ha discusso questi stadi sessuali intermedi in varie opere, soprattutto in  Geschlechtsübergänge (1905), Die Transvestiten (1910), e cap. xi di Die Homosexualität. L’ermafroditismo (la cui realtà è stata solo di recente riconosciuta ed è ancora contestata) e lo pseudoermafroditismo; nelle loro varianti fisiche sono pienamente affrontati nella grande opera, riccamente illustrata, Hermaphroditismus beim Menschen, di F. L. von Neugebauer, di Varsavia. Neugebauer ha pubblicato uno studio precedente e più breve sull’argomento nello Jahrbuch für sexuelle Zwischenstufen vol. IV, 1902, pp. 1-176, con una bibliografia nel vol. viii (1906) dello stesso Jahrbuch, pp. 685-700. Hirschfeld sottolinea il fatto che né l’ermafroditismo né l’eunucoidismo sono comunemente associati con l’omosessualità, e che gran parte dei casi di travestitismo, come definito da lui, sono eterosessuali. La vera inversione sembra, tuttavia, che si trovi non di rado tra gli pseudoermafroditi; Neugebauer ne registra numerosi casi; Magnan ha pubblicato un caso di una bambina allevata come in ragazzo (Gazette médical de Paris, 31 Marzo 1911) e Lapointe un caso in un uomo cresciuto come una ragazza (Revue de psychiatrie, 1911, p. 219). Tali casi possono essere spiegati con l’allenamento e con le associazioni coinvolte dall’errore precoce nel riconoscimento del sesso, e forse ancora di più con una predisposizione davvero organica all’omosessualità, anche se i caratteri sessuali psichici non sono necessariamente legati alla coesistenza di corrispondenti ghiandole sessuali.  Halban (Archiv für Gynäkologie, 1903) si spinge fino a classificare l’omosessuale come un “vero pseudo-ermafrodita”, esattamente paragonabile con un uomo con un seno femminile o con una donna con la barba, e propone di chiamare l’omosessualità “pseudo-ermafroditismo mascolino psichico”. Questo, tuttavia, è un’inutile e poco soddisfacente confusione.

Posizionare il gruppo di fenomeni omosessuali tra altri gruppi intermedi su una base bisessuale organica è una classificazione conveniente. Non la si può considerare certamente una spiegazione completa. È probabile che si possa, in ultima analisi, trovare una fonte più fondamentale di questi vari fenomeni nel gioco di stimolazione o inibizione delle secrezioni interne. [10] La nostra conoscenza dell’associazione intima tra gli ormoni e i fenomeni sessuali è già sufficiente a rendere comprensibile una tale spiegazione; la complessa interazione delle secrezioni ghiandolari interne e la loro responsabilità nel far variare disturbi in equilibrio potrebbe essere sufficiente a spiegare la complessità dei fenomeni. Questo sarebbe in armonia con ciò che sappiamo delle occasionali manifestazioni ritardate dell’omosessualità, e non sarebbe in contrasto con la loro natura congenita, perché sappiamo che uno stato disordinato del timo, per esempio, può essere ereditario, e si ritiene che lo stato linfatico possa essere o innato o acquisito. [11] I caratteri sessuali normali sembrano dipendere in gran parte dal coordinamento delle secrezioni interne, ed è ragionevole supporre che le deviazioni sessuali dipendono dal loro mancato coordinamento. Se un uomo è un uomo, e una donna una donna, (come dice Blair Bell) per la totalità delle loro secrezioni interne, gli stadi intermedi tra l’uomo e la donna devono essere prodotti dalla ridistribuzione di quelle secrezioni interne. [12]

Sappiamo che varie secrezioni interne possiedono un effetto sessuale significativo. Così l’atrofia del timo sembra essere collegata con lo sviluppo sessuale alla pubertà; la tiroide rafforza le ghiandole genitali; l’ipersviluppo surrenale può produrre in una femmina le caratteristiche secondarie del maschio, così come può causare sviluppo precoce di mascolinità; ecc. “Un’alterazione del metabolismo”, come suggerisce F. H. A. Marshall, “anche abbastanza tardi nella vita, può avviare cambiamenti nella direzione del sesso opposto.” Si può così trovare che processi chimici metabolici possono fornire una chiave per variazioni sessuali complesse e sottili, sia somatiche che psichiche, anche se dobbiamo ancora considerare tali processi come derivanti da una predisposizione innata.

Qualunque sia la sua ultima spiegazione, l’inversione sessuale può quindi ragionevolmente essere considerato un “gioco”, o una variazione, una di quelle aberrazioni biologiche che vediamo in tutta la natura vivente, nelle piante e negli animali.

Non stiamo affermando, come avrei cura sottolineare, che un istinto sessuale invertito, o un organo per tale istinto, è sviluppato nella prima vita embrionale; tale concetto viene giustamente respinto come assurdo. Quello che possiamo ragionevolmente considerare come formato in una fase iniziale di sviluppo è strettamente una predisposizione; vale a dire, quella modificazione dell’organismo che diventa più adattato rispetto all’organismo normale o medio a provare attrazione sessuale verso lo stesso sesso. L’invertito sessuale può quindi essere approssimativamente confrontato con l’idiota congenito, col criminale istintivo, o con l’uomo di genio, che non sono tutti rigorosamente concordanti con la variante biologica comune (perché questa differenza è di carattere meno sottile), ma che diventano un po’ più comprensibili per noi se consideriamo le loro affinità alle varianti. Symonds confrontava l’inversione al daltonismo; e tale confronto è ragionevole. Proprio come la persona daltonica ordinaria è congenitamente insensibile a quei raggi rosso-verdi, che sono appunto i più impressionanti per l’occhio normale, e dà un valore esteso agli altri colori, trovando che il sangue è dello stesso colore dell’erba e una carnagione florida è blu come il cielo, – così un invertito non riesce a vedere valori emotivi evidenti alle persone normali, trasferendo di quei valori su associazioni emotive che, per il resto del mondo, sono assolutamente diverse. Oppure si può confrontare l’inversione con un fenomeno come l’ascolto del colore, in cui non c’è propriamente un difetto come un’anomalia delle tracce nervose che producono combinazioni nuove e involontarie. Proprio come l’ascoltatore del colore associa istintivamente colori con suoni, come la giovane donna giapponese che osservava durante l’ascolto del canto, “la voce di quel ragazzo è di colore rosso!” così l’invertito ha le sue sensazioni sessuali collegate con oggetti che normalmente sono privi di interesse sessuale. [13] E l’inversione, come l’ascolto del colore, si trova più comunemente nei soggetti giovani, e tende a diventare meno marcata, o a spegnersi, dopo la pubertà . L’ascolto del colore, mentre è un fenomeno anomalo, questo va detto, non può essere definito una condizione patologica, ed è probabilmente molto meno frequentemente associato con altre stigmate anormali o degenerative rispetto all’inversione; vi è spesso un elemento congenito, indicato dalla tendenza alla trasmissione ereditaria, mentre le associazioni sono sviluppate molto precocemente nella vita, e sono troppo regolari per essere il semplice risultato della suggestione. [14]

Tutte queste variazioni organiche sono anormalità. È importante che noi abbiamo una chiara idea di ciò che è un’anormalità. Molte persone immaginano che ciò che è anormale è necessariamente patologico. Ma non è così, a meno che non diamo alla parola patologico un’estensione scomoda e illegittimamente larga. È sia scomodo che inesatto parlare di daltonismo, di criminalità e di genio, come di malattie nello stesso senso in cui si parla di scarlattina o di tubercolosi o di paralisi generale, come malattie. Ogni anormalità congenita è senza dubbio dovuta ad una peculiarità nello sperma o negli ovuli o nella loro mescolanza, o a qualche disturbo nel loro sviluppo iniziale. Ma lo stesso può dirsi senza dubbio delle normali differenze tra fratelli e sorelle. È ben vero che alcune di queste aberrazioni possono essere dovute a una malattia prenatale, ma chiamarle anormali non è cosa che si debba dare per scontata. Se si pensa che ci sia bisogno di una qualche autorità per sostenere questo punto di vista, facciamo fatica a trovarne una più pesante di quella di Virchow, che più volte ha insistito sul giusto uso della parola “anomalia”, e ha insegnato che, anche se un’anomalia può costituire un predisposizione alla malattia, lo studio delle anomalie-patologiche, come le chiamava lui, o della teratologia come forse preferiamo chiamarla noi – non è lo studio della malattia, che egli ha definito nosologia; lo studio dell’abnorme è perfettamente distinto dallo studio del morboso. Virchow ritiene che la regione dell’anormale sia la regione del patologico, e che lo studio della malattia debba essere considerato distintamente come nosologia. Se noi adottiamo questa terminologia, o se consideriamo lo studio dell’anormale come parte della teratologia, è una questione secondaria, che non pregiudica la giusta comprensione del termine “anomalia” e la sua dovuta differenziazione dal termine “malattia”.

Nel corso della riunione di Innsbruck della Società Antropologica Tedesca, nel 1894, Virchow così si è espresso: “Nei tempi antichi un’anomalia era chiamata πάθος, e in questo senso ogni deviazione dalla norma è per me un evento patologico, Se abbiamo costatato un simile evento patologico siamo spinti oltre a chiederci che cosa fosse il pathos, la causa specifica di esso … Questa causa può essere, per esempio, una forza esterna, o una sostanza chimica o un agente fisico, che produce nella condizione normale del corpo un cambiamento, un’anomalia (πάθος). Questa può diventare ereditaria in alcune circostanze, e quindi può diventare il fondamento di alcuni piccoli caratteri ereditari che si propagano in una famiglia; in se stessi appartengono alla patologia, anche se non producono lesioni, perché devo osservare che patologico non significa dannoso, non indica malattia, malattia in greco è νὁσος, ed è la nosologia che si occupa delle malattie. La patologia in alcune circostanze può essere vantaggiosa” (Correspondenz-blatt Deutsch Gesellschaft für Anthropologie, 1894). Queste osservazioni sono interessanti quando cerchiamo di trovare le più ampie basi di una anomalia come l’inversione sessuale.

Questa stessa distinzione è stata più recentemente sottolineata dal Professor Aschoff (Deutsche medizinische Wochenschrift, 3 Febbraio 1910,.. del British Medical Journal, 9 aprile 1910, p 892), contro Ribbert ed altri che vorrebbero indebitamente limitare il concetto di πάθος. Aschoff sottolinea che, non solo per il gusto della precisione e dell’uniformità terminologica, ma per ragionare con chiarezza, è auspicabile che si debba mantenere una distinzione rispetto alla quale Galeno e gli antichi medici erano molto precisi. Hanno usato πάθος come termine più ampio che coinvolge l’affetto (affectio), in generale, non necessariamente come compromissione del tessuto vitale; quando questo era coinvolto si usava νὁσος, malattia. Dobbiamo riconoscere la distinzione, anche se rifiutiamo la terminologia.

Bisogna dire qualche parola sulla connessione tra inversione sessuale e degenerazione. In Francia in particolare, fin dai tempi di Morel, delle stimmate della degenerazione si è molto parlato. L’inversione sessuale è spesso considerata come una di quelle: vale a dire, come una sindrome episodica di una malattia ereditaria, che prende il suo posto accanto ad altre stimmate psichiche, come la cleptomania e la piromania. Krafft-Ebing a lungo ha considerato in questo modo l’inversione; è il punto di vista di Magnan, uno dei primi investigatori dell’omosessualità; [15] ed è stato adottato da Möbius. A rigor di termini, l’invertito è un degenerato; si è allontanato dal suo genere. Tale è anche una persona daltonica. Ma la concezione di Morel di degenerazione è stata purtroppo banalizzate e volgarizzata. [16] Per come stanno adesso le cose, otteniamo ben poche informazioni o addirittura nessuna dal sentirci dire che una persona è un “degenerato”. È solo, come Näcke costantemente ha sostenuto, quando troviamo un complesso di anomalie ben marcate che siamo abbastanza giustificati nell’affermare che abbiamo a che fare con una condizione di degenerazione. L’inversione si ritrova talvolta in una tale condizione. Ho, infatti, già cercato di suggerire che una condizione di anormalità minore, diffusa può essere considerata come una base dell’inversione congenita. In altre parole, l’inversione è legata a una modifica dei caratteri sessuali secondari. Ma queste anomalie e modifiche non sono invariabili, [17] e di solito non sono di carattere grave; l’inversione è rara nella persona profondamente degenerata. Non è auspicabile chiamare queste modifiche “stigmate della degenerazione”, un termine che rischia di scomparire dalla terminologia scientifica, per diventare un mero termine di abuso letterario e giornalistico. Tanto si può dire di una concezione o di una frase, di cui si è fatto fin troppo uso nella letteratura popolare. Nel migliore dei casi rimane un’espressione vaga e inadatta per un uso scientifico. È ormai ampiamente riconosciuto che è poco utile descrivere l’inversione come una degenerazione. Näcke, che attribuiva significato alle stimmate della degenerazione quando erano numerose, è stato particolarmente attivo nel sottolineare che gli invertiti non sono degenerati, e spesso è tornato su questo punto. Löwenfeld, Freud, Hirschfeld, Bloch, Rohleder, tutti rifiutano la concezione dell’inversione sessuale come una degenerazione.

Moll non è ancora in grado di abbandonare del tutto la posizione secondo la quale, dato che l’inversione comporta una disarmonia tra la disposizione psichica e la conformazione fisica dobbiamo considerarla come morbosa, e riconosce (come Krafft-Ebing) giusto il punto di vista secondo i quale è al livello di una deformità, cioè, di una anormalità paragonabile all’ermafroditismo fisico. (A. Moll, “Sexuelle Zwischenstufen,” Zeitschrift für Aerztliche Fortbildung, n. 24, 1904) Näcke ha più volte sottolineato l’opinione che l’inversione sia un’anomalia congenita non morbosa; e nell’ultimo anno della sua vita, ha scritto (Zeitschrift für die Gesamte Neurologie und Psychiatrie, vol. xv, Heft 5, 1913): “Non dobbiamo concepire l’omosessualità come una degenerazione o una malattia, ma tutt’al più come un’anomalia, a causa di un disturbo dello sviluppo.” Löwenfeld, un osservatore clinico sempre prudente e sagace, concordando con Näcke e Hirschfeld, riguarda l’inversione certamente come un’anomalia, ma non per questo morbosa; essa può essere associata con la malattia e la degenerazione, ma di solito è semplicemente una variazione dalla norma, non deve essere considerata come morbosa o degenerata, e non deve sminuire il valore dell’individuo in quanto membro della società (Löwenfeld, Ueber die sexuelle Konstitution, 1911, p. 166; anche Zeitschrift für Sexualwissenschaft, Febbraio 1908, and Sexual-Probleme, Aprile 1908).  Aletrino di Amsterdam spinge l’opinione che l’inversione sia un’anomalia non morbosa ad un estremo indebito asserendo che “l’uranista è una normale varietà della specie homo sapiens” (“Uranisme et Dégénérescence,” Archives d’Anthropologie Criminelle, Agosto-Settembre 1908); l’inversione può essere considerata (nel senso corretto del termine qui adottato) una anomalia patologica, ma non una varietà umana antropologica paragonabile al Negro o all’uomo della Mongolia. (Per ulteriori opinioni a favore dell’inversione come anomalia, vedere Hirschfeld, Die Homosexualität, pag. 388 e segg.)

L’inversione sessuale, quindi, rimane una anomalia congenita, da classificare con altre anomalie congenite che hanno concomitanze psichiche. Per lo meno tale anomalia congenita di solito esiste come una predisposizione all’inversione. È probabile che molte persone passino attraverso il mondo con una predisposizione congenita all’inversione che rimane sempre latente e non risvegliata; in altre persone l’istinto è così potente che si apre a forza la sua strada a dispetto di tutti gli ostacoli; in altre ancora, la predisposizione è più debole, e una potente causa eccitante ha un ruolo predominante.

Siamo così condotti alla considerazione delle cause che eccitano la predisposizione latente. Una grande varietà di cause è considerata capace di eccitare l’inversione sessuale. È solo necessario parlare di quelle che ho trovato influenti. La prima che ci si presenta è il nostro sistema scolastico, con la sua segregazione dei ragazzi e delle ragazze separati gli uni dalle altre, durante i periodi della pubertà e dell’adolescenza. Molti invertiti non sono mai andati a scuola, e molti di coloro che ci sono stati passano attraverso la vita scolastica senza formare alcuna relazione appassionata o sessuale; ma ne resta un gran numero che data lo sviluppo dell’omosessualità dalle influenze e dagli esempi della vita scolastica. Le impressioni ricevute in quel periodo non sono meno potenti perché sono spesso puramente sentimentali e senza alcuna commistione sensuale evidente. Che siano sufficientemente potenti per generare da sole l’inversione permanente può essere dubbio, ma, se è vero che nei primi anni di vita gli istinti sessuali sono meno definitamente determinati rispetto a quando l’adolescenza è completa, e comunque concepibile, anche se non dimostrato, che un’impressione molto forte, che agisce anche su un organismo normale, possa causare l’arresto dello sviluppo sessuale sul lato psichico.

Un’altra causa che eccita l’inversione è la seduzione. Intendo dire l’iniziazione del giovane ragazzo o della ragazza da parte di qualche persona più grande e più esperta, in cui l’inversione è già sviluppata, e che cerca la gratificazione dell’istinto anormale. Questo sembra essere un incidente non raro nella storia degli invertiti sessuali. Che tale seduzione, a volte un atto brusco e sconsiderato di mera gratificazione sessuale – possa da se stessa produrre un gusto per l’omosessualità è altamente improbabile; in individui non già predisposti è molto più probabile che produca disgusto, come nel caso del giovane Rousseau. “Può essere sedotto solo colui che”, come dice Moll, “è in grado di essere sedotto.” Non c’è dubbio che accade di frequente in queste, come spesso accade in più normali “seduzioni”, che la vittima abbia offerto un invito volontario o involontario.

Un’altra causa eccitante dell’inversione, alla quale di solito è attribuita poca importanza, ma che trovo avere un certo peso, è la delusione nell’amore normale. Succede che un uomo in cui l’istinto omosessuale è ancora solo latente, o in ogni caso tenuto in uno stato di repressione, cerchi di formare una relazione con una donna. Questa relazione può essere ardente su uno o entrambi i lati, ma – spesso, senza dubbio, per l’omosessualità latente dell’amante – finisce nel nulla. Queste delusioni d’amore, in una forma più o meno grave, si verificano in un momento o in un altro per quasi tutti. Ma in queste persone la delusione provata con una singola donna costituisce un motivo abbastanza forte per produrre il disgusto nell’amante verso tutto il sesso femminile e per rivolgere la sua attenzione verso il proprio sesso. È evidente che un istinto che può essere deviato in questo modo difficilmente può essere forte, e sembra probabile che in alcuni di questi casi, l’episodio d’amore normale serva semplicemente per fare comprendere in modo chiaro all’invertito il fatto che egli non è fatto per l’amore normale. In altri casi, a quanto pare, – soprattutto quelli che sono un po’ deboli di mente e squilibrati, – una delusione d’amore avvelena veramente l’istinto normale, e un amore più o meno impotenti per le donne diventa un amore altrettanto impotente per gli uomini. La prevalenza dell’omosessualità tra le prostitute può essere, in larga misura, spiega con un disgusto simile e meglio fondato verso la sessualità normale. [18]

Questi tre fattori, quindi, – l’esempio a scuola, la seduzione e la delusione dell’amore normale, – che tutti allontanano il soggetto dal sesso opposto e lo fanno concentrare sul suo stesso sesso, sono le cause eccitanti dell’inversione; ma richiedono una predisposizione organica favorevole sulla quale agire, mentre c’è un gran numero di casi in cui assolutamente nessuna causa eccitante può essere trovata, ma in cui, dalla prima infanzia, l’interesse del soggetto sembra essere rivolto al suo sesso, e continua ad essere rivolto nello stesso modo per tutta la vita.

A questo punto concludo l’analisi della psicologia dell’inversione sessuale così come mi si presenta. Ho solo cercato di mettere in evidenza i punti più salienti, trascurando i punti minori, trascurando anche quei gruppi di invertiti che possono essere considerati di secondaria importanza. L’invertito medio, si muove nella società ordinaria, è una persona di salute generale media, anche se molto spesso con rapporti ereditari che sono marcatamente nevrotici. Egli è di solito oggetto di una anomalia congenita predisponente, o di un complesso di anomalie minori, che rendono difficile o impossibile per lui sentire attrazione sessuale per il sesso opposto, e facile sentire attrazione sessuale per il proprio sesso. Questa anomalia o compare spontaneamente fin dal principio, attraverso lo sviluppo o l’arresto dello sviluppo, o è risvegliata da qualche circostanza accidentale.

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[1] Vedi passim, Jahrbuch für Psychoanalytische Forschungen, Zentralblatt für Psychoanalyse, and Internationale Zeitschrift für Aerztliche Psychoanalyse; anche Sadger, “Zur Aetiologie der Konträren Sexualempfindung,” Medizinische Klinik, 1909, n. 2.

[2] Per una esposizione di questo da parte di un rappresentante inglese delle dottrine freudiane, vedi Ernest Jones, “The Œdipus Complex As An Explanation of Hamlet’s Mystery,” American Journal of Psychology, Gennaio 1910.

[3] L’amore delle relazioni può essere sfumato da tutti i gradi di amore sessuale, alcuni dei quali sono così deboli e vaghi che non possono essere considerati innaturali o anormali; è fuorviante definirli incestuosi. Il romanziere russo, Artzibascheff, nel suo Sanine ha descritto l’affetto di un fratello per la sorella come toccato da una percezione del suo fascino sessuale (mi riferisco alla traduzione francese), e il libro è di conseguenza stato molto accusato ingiustamente come “incestuoso”, anche se l’atteggiamento descritto è molto pallido e convenzionale rispetto alla passione romantica cantata nel Laon and Cythna di Shelley, o alla tragica esaltazione della stessa passione nella grande opera di Ford, “‘Tis Pity She’s a Whore.” [Peccato che sia una puttana.]

[4] Così Numa Praetorius, un osservatore sagace con una vasta e approfondita conoscenza dell’omosessualità, si ritrova del tutto incapace di accettare il “complesso di Edipo” come spiegazione dell’inversione (Jahrbuch für sexuelle Zwischenstufen, luglio 1914, p. 362).

[5] Non si può affermare che la frequenza dell’inversione tra i parenti di invertiti sia una coincidenza casuale, perché va ricordato che poche stime della prevalenza dell’inversione forniscono una percentuale superiore al 3 per cento.

[6] Si veda anche una discussione del punto di vista freudiano fatta da Hirschfeld, che conclude (Die Homosexualität, p. 344) che possiamo accettare solo il meccanismo freudiano come raro, e in ogni caso subordinato alla predisposizione organica.

[7] È stato del tutto negato da alcuni (Meynert, Näcke, etc.) che ci sia un qualche istinto sessuale. Tanto vale, quindi, spiegare in che senso uso la parola. (“Analysis of the Sexual Impulse” nel vol. iii di questi Studi.) Voglio dire un’attitudine ereditata la cui esecuzione richiede normalmente per la sua piena soddisfazione la presenza di una persona del sesso opposto. Si potrebbe affermare che non esiste una cosa come un istinto per il cibo, che è tutto imitazione, ecc.. In un certo senso questo è vero, ma la base rimane automatica. Un pollo nato da un incubatore non ha bisogno di una gallina che gli insegni a mangiare. Sembra che scopra il mangiare e il bere, per così dire, per caso, in un primo momento mangiando goffamente e mangiando ogni cosa, fino a quando non viene a sapere quello che soddisferà meglio il suo meccanismo biologico. Non c’è istinto alimentare, può essere, ma vi è un istinto che viene soddisfatto solo dal cibo. È lo stesso con l’”istinto sessuale”. Le abitudini sperimentali e onnivore del pulcino appena uscito dall’uovo possono essere confrontate con l’incertezza dell’istinto sessuale durante la pubertà, mentre il pervertito sessuale è come un pollo che dovrebbe portare avanti in età adulta un appetito per la lana pettinata e la carta. Si può aggiungere che la questione della natura ereditaria dell’istinto sessuale è stata esaurientemente discussa e decisamente affermata da Moll nel suoUntersuchungen über die Libido Sexualis,, 1898. Moll attribuisce importanza all’ereditarietà delle attitudini normali per la reazione sessuale, quando sono di un grado molto debole, come fattore di sviluppo delle perversioni sessuali.

[8] Questo punto di vista è stato ripreso in forma modificata da Näcke (Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie, vol XV, Heft 5, 1913.), che suppone che ci possa essere un anatomico “centro omosessuale” nel cervello; vale a dire, un centro di libido femminile nell’uomo invertito e un centro di libido maschile nella donna invertita. Egli ha espresso la speranza che in futuro i cervelli di persone invertite siano più attentamente studiati.

[9] Non presento questo punto di vista come qualcosa di più di un quadro che ci aiuta a capire i fenomeni reali di cui egli è testimone in materia di omosessualità, anche se posso aggiungere che un teratologista così abile come il Dr. J. W. Ballantyne considera che “sembra una teoria possibile.”

[10] Questa spiegazione dell’omosessualità è già stata provvisoriamente presentata. Così, Iwan Bloch (Sexual Life of Our Time, cap. xix, Appendice) suggerisce vagamente una nuova teoria dell’omosessualità come dipendente da agenti chimici. Hirschfeld ritiene inoltre (Die Homosexualität, cap. xx) che lo studio delle secrezioni interne è la via per capire le più profonde basi dell’inversione.

[11] A. E. Garrod, “The Thymus Gland in its Clinical Aspects,” British Medical Journal, 3 Ottobre 1914.

[12] ”La femmina pura e il maschio puro sono prodotti da tutte le secrezioni interne,” Blair Bell, “The Internal Secretions,” British Medical Journal, Nov. 15, 1913.

[13] Dopo che questo capitolo fu pubblicato per la prima volta (nel Centralblatt für Nervenheilkunde, febbraio 1896), anche Féré ha confrontato l’inversione congenita col daltonismo e simili anomalie (Féré, “La Descendance d’un Inverti,” Revue Générale de Clinique et Thérapeutique, 1896), mentre Ribot faceva riferimento all’analogia con l’ascolto del colore (Psychology of the Emotions, parte II, cap. VII).

 [14] Vedi, per esempio, Flournoy, Des phénomènes de Synopsie, Ginevra 1893; e per una breve discussione dei fenomeni generali della sinestesia, E. Parish, Hallucinations and Illusions (Contemporary Science Series), capitolo vii; Bleuler, articolo “Secondary Sensations,” in Tuke’s Dictionary of Psychological Medicine; e Havelock Ellis, Man and Woman, 5th ed., 1915, pp. 181-4.

[15] Magnan negli ultimi anni ha ribadito questo punto di vista (“Inversion Sexuelle et Pathologic Mentale,” Revue de Psychothérapie, March, 1914): “L’invertito è una persona malata, un degenerato.”

[16] È questo fatto che ha spinto gli Italiani ad essere timidi nell’usare la parola “degenerazione”; così, Marro, nella sua grande opera, I Caratteri dei Delinquenti, ha fatto un notevole tentativo di analizzare i fenomeni concentrati insieme come degenerati in tre gruppi: atipici, atavici e morbosi.

[17] Hirschfeld e Burchard tra 200 invertiti hanno trovato stimmate pronunciate di degenerazione solo nel 16 per cento dei casi. (Hirschfeld, Die Homosexualität, cap. xx.)

[18] L’alcol è stato a volte considerato una causa eccitante importante dell’omosessualità, e l’alcolismo non è certo raro nell’eredità degli invertiti; secondo Hirschfeld (Die Homosexualität, p. 386) è ben marcato in uno dei genitori in oltre il 21 per cento, dei casi. Ma probabilmente non ha più influenza come una causa scatenante nella singola persona omosessuale che nella singola persona eterosessuale. Dal punto di vista freudiano, anzi, Abraham ritiene (Zeitschrift für Sexualwissenschaft, Heft 8, 1908) che, anche in persone normali l’alcool rimuova l’inibizione da una omosessualità latente, e Juliusburger dallo stesso punto di vista (Zentralblatt für Psychoanalyse, Heft 10 e 11, 1912 ) ritiene che la tendenza alcolica sia inconsciamente suscitata dall’impulso omosessuale al fine di raggiungere la propria gratificazione. Ma possiamo accettare le conclusioni di Näcke (Allgemeine Zeitschrift für Psychiatrie, vol. LXVIII, 1911, p. 852), che (1) l’alcol non può produrre l’omosessualità in soggetti non predisposti, che (2) può suscitarla in coloro che sono predisposti, che (3) l’azione dell’alcol è la stessa sull’omosessuale e sull’eterosessuale, e che (4) l’alcolismo non è comune tra gli invertiti.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=16&t=5446

OMOSESSUALITÀ ACQUISITA E CATTIVI ESEMPI SECONDO ELLIS

Riporto qui di seguito la prima parte del quinto capitolo del trattato di Havelock Ellis sull’Inversione sessuale.

L’autore analizza sotto diversi profili i casi di inversione che ha precedentemente presentato. Si sofferma in particolare a considerare i profili razziali, l’ereditarietà familiare, la salute generale dei soggetti presi in esame. Ellis confuta l’associazione tradizionale tra omosessualità e malattia mentale: “Sembra comunque probabile che le famiglie alle quali appartengono gli invertiti, non presentino normalmente profondi segni di degenerazione nervosa, come eravamo portati a credere in precedenza. Quello che noi chiamiamo genericamente “eccentricità” è comune tra loro; la follia è molto più rara.”

Ma la parte più interessante del capitolo riguarda l’ipotesi che l’omosessualità sia causata da “suggestioni” esterne, i cosiddetti “cattivi esempi”. Ellis arriva, a partire dall’analisi dei casi concreti, all’idea che il ruolo della “suggestione” vada decisamente ridimensionato e che essa possa essere un elemento scatenante dell’omosessualità soltanto in individui già predisposti. Non ha quindi alcun senso impedire ai propri figli di frequentare compagni omosessuali per paura che anch’essi diventino omosessuali seguendo quel “cattivo esempio”, perché l’omosessualità non è un fenomeno culturale ma ha delle basi fisiologiche che ne sono le uniche cause determinanti. Queste riflessioni, che risalgono ormai a cento anni fa, dovrebbero condurre ad un’educazione del tutto priva di omofobia “difensiva”. Non si diventa omosessuali, o lo si è o non lo si è, e l’omosessualità non si contagia.

Buona lettura.

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Prima di definire brevemente le mie conclusioni sulla natura dell’inversione sessuale, mi propongo di analizzare i fatti evidenziati nelle storie, che ho avuto la possibilità di studiare.[1]

RAZZA Tutti i miei casi, nel numero di 80, sono inglesi o americani, 20 vivono negli Stati Uniti, gli altri sono inglesi. La loro ascendenza, per quanto riguarda la razza, non è stata oggetto di specifica investigazione. Appare però chiaro che almeno 44 sono di ascendenza inglese o fondamentalmente inglese; almeno 10 sono scozzesi o di estrazione scozzese; due sono di ascendenza irlandese e altri 4 di ascendenza in gran parte irlandese; 4 hanno padre o madre tedeschi; un altro ha entrambi i genitori tedeschi, mentre altri due sono di remota ascendenza tedesca; due sono parzialmente di ascendenza francese e uno è di ascendenza interamente francese; due hanno ascendenza portoghese e almeno due sono più o meno di ascendenza giudaica. A parte la presenza visibilmente frequente dell’elemento tedesco, non c’è nulla da notare in queste ascendenze.

EREDITARIETÀ È sempre difficile trattare in modo certo con il significato dell’ereditarietà, o anche solo stabilire una ben definita base di fatti. E io non sono sfuggito in nessun modo a queste difficoltà, perché in alcuni casi non ho neppure avuto la possibilità di un esame incrociato dei soggetti le cui storie mi sono pervenute. In ogni caso, i fatti, così come essi emergono, sono di un qualche interesse. Sono in possesso alcune annotazioni sull’ereditarietà in 62 dei casi esaminati. Di questi, non meno di 24, cioè circa il 39%, asseriscono di aver motivo di credere che nelle loro famiglie si siano presentati altri casi di inversione, e, anche se in alcuni casi si tratta solo un forte sospetto, in altri non c’è il minimo dubbio. In un caso c’è motivo di sospettare l’inversione nelle famiglie di entrambi i genitori. Normalmente i parenti invertiti erano fratelli, sorelle, cugini o zii. In un caso un figlio bisessuale sembra avere avuto un padre bisessuale.

Questo carattere ereditario dell’inversione (che è stato negato da Näcke) è un fatto di notevole significato e dato che si presenta in casi che conosco molto bene non posso avere alcun dubbio circa l’esistenza di una tendenza. L’influenza della suggestione può spesso essere del tutto esclusa, specialmente quando le persone sono di sesso diverso. Sia Krafft-Ebing che Moll hanno notato una simile tendenza. Von Römer afferma che in un terzo dei casi c’era inversione in altri membri della famiglia. Anche Hirschfeld ha trovato che c’è una proporzione relativamente alta di casi di inversione familiare.

Venticinque, per quanto si può accertare, appartengono a famiglie ragionevolmente in buona salute: un’indagine più accurata potrebbe probabilmente ridurne il numero ed è degno di nota il fatto che anche in alcune famiglie in buona salute c’era solo un figlio nato dal matrimonio dei genitori. In 28 casi c’è una tendenza più o meno grande alla morbilità o all’anormalità – eccentricità, alcolismo, nevrastenia, pazzia o disturbi nervosi – nelle famiglie di uno o di entrambi i genitori, oltre l’inversione, o indipendentemente da essa. In alcuni di questi casi il sorgere dell’inversione è il risultato dell’unione di un’ascendenza molto sana con una realmente morbosa; in altri casi si trova nelle famiglie di entrambi i genitori un livello minore di anormalità.

SALUTE GENERALE  È possibile parlare con maggior sicurezza della salute del singolo piuttosto che di quella della famiglia. Degli 80 casi, 53 – cioè circa due terzi – si può dire che godano di una buona, e talvolta anche molto buona salute, anche se occasionalmente di deve fare qualche piccola specificazione. In 22 casi la salute è delicata, al meglio solo discreta; in questi casi c’è talvolta la tendenza alla consunzione e spesso una marcata nevrastenia e un temperamento più o meno squilibrato. Quattro casi sono di malattia di grado notevole. Il caso rimanente ha presentato alcuni accessi di delirio folle che hanno richiesto un trattamento in manicomio. Una buona parte di quelli che hanno una salute buona o almeno discreta possono essere decritti come persone di temperamento estremamente nervoso e in molti casi è proprio così che si descrivono. Una certa proporzione di questi combina una grande energia fisica e specialmente mentale con questo nervosismo; tutti questi sono indubbiamente di temperamento nevrotico.[2] Si può dire che quelli che mancano di energia siano veramente pochi. Nel complesso, quindi, una gran parte di questi invertiti sta attraversando nella vita uno stato di salute indebolita, che consente loro di fare almeno la loro parte di lavoro nel mondo: in una notevole proporzione dei casi che ho esaminato, questo lavoro è di alto valore intellettuale. Solo in 5 casi, o al massimo in 6, la salute generale si può considerare marcatamente cattiva.

Questo risultato può forse sembrare sorprendente. Si deve ricordare però che i casi da me esaminati, complessivamente, non rappresentano la categoria che solo il medico più di regola fare emergere: cioè gli invertiti sessuali che soffrono in modo più o meno grave di un completo crollo nervoso.

Non c’è relazione frequente tra omosessualità a pazzia, e l’omosessualità che si trova nei manicomi è in genere di carattere spurio. Questo punto è stato sottolineato in particolare da Näcke (e.g., “Homosexualität und Psychose,” Zeitschrift für Psichiatrie, vol. lxviii, No. 3, 1911). Näcke ha citato le opinioni di diversi famosi psichiatri circa la rarità dei casi di genuina inversione nei quali si erano imbattuti, e citava anche le sue esperienze personali. Non aveva mai incontrato un vero invertito in manicomio durante tutta la sua carriera, anche se era disposto ad ammettere che ci possano essere invertiti non riconosciuti nei manicomi, ed un paziente lo aveva informato, una volta uscito, che lui era invertito e aveva attirato l’attenzione della polizia sia prima che dopo il ricovero anche se nulla era successo in manicomio. Tra i 1500 pazienti in manicomio, nel periodo di un anno, la pedicatio attiva si presentava circa nell’uno per cento dei casi e questi pazienti erano spesso idioti o imbecilli e nello stesso tempo masturbatori, solitari o in coppia. Hirschfeld ha informato Näcke che, tra le persone omosessuali, le condizioni isteriche (di regola non su base ereditaria) sono piuttosto comuni e la nevrastenia di altro grado è decisamente frequente, ma dato che gli stati di depressione sono comuni, non aveva mai visto la vera depressione psichica [melanconia] e molto raramente aveva notato la mania, ma aveva notato frequentemente idee deliranti paranoiche, e concordava con Bryan di Broadmoor che le ossessioni religiose non sono rare. La paralisi generale si riscontra, ma è relativamente rara e si può dire lo stesso della demenza precoce. Nel complesso, anche se Hirschfeld non era in grado di dare cifre precise, non c’era alcuna ragione per supporre una prevalenza anomala di follia. Questo era il parere di Näcke. È abbastanza vero, concludeva, che atti omosessuali si ritrovano in ogni forma di psicosi, specialmente nei dementi congeniti o secondari e nei periodi di eccitazione. Ma qui abbiamo a che fare con “pseudo-omosessualità” piuttosto che con vera inversione. Hirschfeld trova che il 75% degli invertiti è di sana ereditarietà; questa sembra essere una percentuale troppo alta; in ogni caso si deve ammettere una certa elasticità per le differenze nel metodo e i dettagli dell’investigazione.

Sono abbastanza certo che un’indagine completa potrebbe allargare considerevolmente la proporzione dei casi con ereditarietà morbosa. Ma nello stesso tempo questo allargamento sarebbe ottenuto essenzialmente mettendo in evidenza anomalie minori e bisognerebbe anche notare quanto le famiglie delle persone medie o normali sono libere da tali anomalie. Spesso ci si chiede: quale famiglia è libera da qualche tara neuropatica? Al presente è difficile dare una risposta precisa a questa domanda. C’è una buona base per credere che una proporzione piuttosto grande di famiglie siano libere da questa tara. Sembra comunque probabile che le famiglie alle quali appartengono gli invertiti, non presentino normalmente profondi segni di degenerazione nervosa, come eravamo portati a credere in precedenza. Quello che noi chiamiamo genericamente “eccentricità” è comune tra loro; la follia è molto più rara.

IL PRIMO APPARIRE DELL’ISTINTO OMOSESSUALE  In 8 casi su 72, l’istinto si è orientato verso il medesimo sesso in età adulta o comunque dopo la pubertà; in tre di questi  casi c’era stata una delusione amorosa con una donna; nessun’altra causa se non questa può essere individuata per la transizione; ma è significativo che in almeno due di questi casi l’istinto sessuale non è sviluppato o è patologicamente debole, mentre il terzo soggetto è di fisico in qualche modo debole e un altro è stato per lungo tempo di salute cagionevole. In un ulteriore caso, anch’esso in qualche modo patologico, lo sviluppo era ancora più complicato.

In 64 casi, cioè circa nell’88 per cento, l’istinto anormale è cominciato nella prima infanzia, senza nessuna attrazione precedente verso il sesso opposto.[3] In 27 di questi casi, è cominciato nel periodo della pubertà e in particolare a scuola. In 39 casi la tendenza è cominciata prima della pubertà, tra i 5 e gli 11 anni, di norma tra i 7 e i 9, talvolta tanto presto quanto il soggetto può ricordare. Non bisogna assolutamente pensare che, in questi numerosi casi di apparire anticipato dell’omosessualità, le sue manifestazioni fossero di carattere specificamente sessuale, anche se in pochi casi si sono notate erezioni. Per la massima parte le manifestazioni sessuali sia omosessuali che eterosessuali, in un’età così anticipata, sono puramente psichiche.[4]

PRECOCITÀ SESSUALE E IPERESTESIA  È un fatto di notevole interesse e significato che in un così gran numero dei miei casi ci sia stata una chiara precocità delle emozioni sessuali, sia sul piano fisico che su quello psichico. Ci possono essere pochi dubbi sul fatto che, come molti osservatori precedenti hanno rilevato, l’inversione tende fortemente ad essere associata con la precocità sessuale. Penso che si potrebbe aggiungere che la precocità sessuale tende ad incoraggiare l’abitudine invertita, dove essa esiste. Perché debba essere così è evidente, se noi crediamo – e ci sono ragioni per crederlo – che in un’età anticipata l’istinto sessuale sia relativamente indifferenziato nelle sue manifestazioni. L’accentuazione precoce dell’impulso sessuale conduce ad una cristallizzazione ben definita delle emozioni in uno stadio prematuro. Si deve anche aggiungere che l’energia sessuale precoce tende a rimanere debole e che un’energia sessuale debole si adatta più facilmente alle relazioni omosessuali, nelle quali non c’è alcun atto definito che debba essere compiuto rispetto alle normali relazioni. È difficile dire quanti dei miei casi mostrino debolezza sessuale. In 6 o 7 è evidente, e la stessa cosa può essere sospettata in molti altri, in particolare in quelli che sono e spesso si descrivono come “sensibili” o “nervosi”, come in quelli il cui lo sviluppo sessuale è stato molto tardivo. In molti casi c’è iperestesia o debolezza irritabile. L’iperestesia stimola lo sforzo e, mentre ci possono essere pochi dubbi che alcuni invertiti sessuali (e in particolare i bisessuali) possiedano una inusuale energia sessuale, in altri casi essa non è che apparente; la ripetizione frequente di emissioni seminali, per esempio, può essere il risultato di una debolezza oltre che di uno sforzo. Bisogna anche aggiungere che questa irritabilità dei centri sessuali, in una notevole percentuale di invertiti è associata con forti tendenze emotive all’affetto e all’auto-sacrificio. Nella stravaganza del suo affetto e della sua devozione, è stato frequentemente osservato che l’invertito maschio somiglia a molte donne normali.

LA SUGGESTIONE E ALTRE CAUSE CHE STIMOLANO L’INVERSIONE In 18 dei miei casi è possibile che qualche avvenimento o qualche circostanza speciale, nella prima fase della vita abbiano avuto una più o meno grande influenza nel deviare gli istinti sessuali verso i canali omosessuali o nel fare emergere un’inversione latente. In 3 casi una delusione d’amore normale sembra aver prodotto una profonda scossa nervosa ed emotiva, che agisce, come ci sembra di essere costretti ad ammettere, in un organismo predisposto, e che produce una tendenza abbastanza permanente all’inversione. In 8 casi si è rilevata seduzione da parte di una persona più grande, ma in almeno 4 o 5 di questi casi vi era già una predisposizione ben marcata. In almeno 8 altri casi, l’esempio, di solito a scuola, si può ritenere che abbia esercitato una certa influenza. È interessante notare che in pochissimi dei miei casi possiamo rintracciare l’influenza di qualche specifico “suggerimento”, come affermato da Schrenck-Notzing, che crede che tra le cause dell’inversione sessuale (così come, senza dubbio, nel causare il feticismo erotico) dobbiamo dare il primo posto a “fattori accidentali di istruzione e di influenza esterna.” Schrenck-Notzing registra il caso di un bambino che guardava innocentemente con curiosità il pene di suo padre che orinava, e ricette un ceffone, e da lì si originò tutto un seguito di pensieri e di sentimenti che portarono all’inversione sessuale completa. In due dei casi che ho segnalato abbiamo incidenti simili, e qui si vede chiaramente che la tendenza omosessuale già esisteva. Non metto in dubbio il verificarsi di tali incidenti, ma mi rifiuto di accettare che essi siano la causa dell’inversione, e in questo sono supportato da tutte le prove  che sono in grado di ottenere. Sono d’accordo con un corrispondente che ha scritto: –

“Considerando che tutti i ragazzi sono esposti allo stesso ordine di suggestioni (vista degli organi nudi di un uomo, dormire con un uomo, essere toccati da un uomo), e che solo pochi di loro diventano sessualmente pervertiti, penso che sia ragionevole concludere che quei pochi fossero già precedentemente predisposti a recepire quella suggestione. In realtà, la suggestione sembra giocare esattamente la stessa parte sia nel risveglio normale che in quello anormale del sesso.”

Mi spingerei fino al punto di affermare che per i ragazzi le ragazze normali gli organi sessuali sviluppati del uomo adulto o della donna adulta – per le loro dimensioni, la pelosità, e il mistero che li avvolge – esercitano quasi sempre un certo fascino, sia esso di attrazione o di repulsione. [5] Ma questo non ha alcun legame con l’omosessualità, e, direi, con la sessualità nel suo complesso. Così, in un caso a me noto, ad un ragazzo di 6 o 7 anni piaceva accarezzare gli organi di un altro ragazzo, che aveva il doppio della sua età, organi che rimanevano passivi e indifferenti; ma questo bambino è cresciuto senza mai manifestare alcun istinto omosessuale. Il seme della suggestione si può sviluppare solo quando cade su un terreno adatto. Quando agisce su una natura abbastanza normale, la suggestione pervertita deve essere molto potente o iterata, e anche allora la sua influenza sarà probabilmente solo temporanea e scomparirà in presenza dello stimolo normale. [6]

Non solo la “suggestione” non è necessaria per lo sviluppo di un impulso sessuale già radicato nell’organismo, ma quando è esercitata in senso opposto è incapace deviare quell’impulso. Lo vediamo illustrato in molti dei casi dei quali ho presentato le storie. Così, in un caso, un ragazzo è stato sedotto dalla cameriera all’età di 14 anni e ha anche ottenuto piacere dalla ragazza, ma nonostante ciò l’istinto omosessuale nativo si è affermato un anno dopo. In un altro caso le suggestioni eterosessuali erano state offerte e accettate nella prima infanzia, ma, nonostante ciò, l’attrazione omosessuale si è lentamente evoluta dall’interno.

Ho, quindi, ben poco da dire sull’influenza della suggestione, che era in passato collocata in una posizione di primaria importanza nei libri sull’inversione sessuale. Questo non perché io sottovaluto il grande ruolo svolto dalla suggestione in molti campi della vita normale e anormale, ma perché sono stato in grado di trovare, solo poche tracce chiare di essa nell’inversione sessuale. In molti casi, senza dubbio, ci possono essere leggeri elementi di suggestione nello sviluppo l’inversione, anche se non possono essere rintracciati.[7] La loro importanza sembra di solito discutibile anche quando vengono scoperti. Considerate il caso di Schrenck-Notzing del bambino che ricevette un ceffone per quello che suo padre considerava una curiosità impropria. Trovo difficile credere che si possa generare una potente suggestione a meno che non ci sia una forte emozione con cui possa unirsi; in tal caso il seme cade sul terreno predisposto. L’ampia diffusione della sessualità normale è forse dovuta al  fatto che tanti ragazzini hanno ricevuto ceffoni per essersi presi delle brutte libertà con le donne? Se è così, io sono pronto ad accettare la spiegazione di Schrenck-Notzing come un resoconto completo della materia. So di un caso, infatti, in cui può essere rilevato un elemento di ciò che può ragionevolmente essere chiamato suggestione. È quello di un medico che era sempre stato in rapporti molto amichevoli con gli uomini, ma aveva avuto rapporti sessuali esclusivamente con le donne, trovandovi giusta soddisfazione, fino a quando le confessioni di un paziente invertito un giorno furono per lui come una rivelazione; da allora in poi adottò pratiche invertite e smise di trovare qualsiasi attrazione nelle donne. Ma anche in questo caso, a quanto mi pare di capire, la suggestione servì solo a rivelare a quell’uomo la sua stessa natura. Per un medico, adottare le abitudini pervertite che la visita di un paziente qualunque gli suggerisce difficilmente può essere un fenomeno di pura suggestione. Non abbiamo alcuna ragione di supporre che questo medico praticasse ogni tipo di perversione di cui aveva notizia dai suoi pazienti; ha adottato quella che si adattava alla sua natura.[8] In un altro caso, avances omosessuali erano state fatte ad un giovane ed erano state accettate, ma quel ragazzo era già stato attratto da uomini in età infantile. Ancora una volta, in un altro caso, c’erano state influenze omosessuali nella fanciullezza di un soggetto che diventò bisessuale, ma dato che il padre di quell’individuo era di un analogo temperamento bisessuale, non possiamo attribuire alcun potere alle semplici suggestioni. In un altro caso troviamo un’influenza omosessuale durante l’infanzia, ma il bambino era già delicato, timido, nervoso e femminile, in possesso di un temperamento chiaramente predestinato a svilupparsi in una direzione omosessuale.

La potenza irresistibile dell’impulso interiore è ben illustrata in un caso presentato da Hirschfeld e Burchard: “Mia figlia Erna”, ha detto la madre del soggetto, “ha mostrato inclinazioni da maschietto all’età di 3 anni, che sono aumentate di anno in anno, Non ha mai giocato con le bambole, solo con i soldatini di latta, le pistole e i castelli. Poteva arrampicarsi sugli alberi e saltare fossati; faceva amicizia con i conducenti di tutti i carri che venivano a casa nostra e loro la mettevano sulla schiena del cavallo. Il circo annuale era una gioia per lei per tutto l’anno. Fin da bambina piccola di 4 anni, era così spericolata sul dorso del cavallo che quelli che la osservavano le gridavano Brava! e tutti dicevano che era una cavallerizza nata. Il suo più grande desiderio era di essere un ragazzo. Avrebbe indossato abiti di suo fratello maggiore per tutto il giorno, nonostante l’indignazione di sua nonna. Il ciclismo, la ginnastica, il canottaggio e il nuoto erano la sua passione, e mostrava abilità in quelle cose. Quando diventò più grande odiava i cappelli e gli abiti graziosamente ornati. Ho avuto molti problemi con lei perché lei non voleva indossare cose belle. Più cresceva più i suoi modi di fare maschili e decisi si sviluppavano. Questo suscitò molto clamore e anche offese. La gente ritiene mia figlia poco femminile e sgradevole, ma tutte le mie difficoltà e le mie esortazioni non sono assolutamente servite a cambiarla.” Ora questa giovane donna che tutte le influenze di un ambiente femminile normale non sono riuscite a rendere femminile non era assolutamente una donna fisiologicamente. Il caso si è rivelato essere l’unico caso di un individuo che possiede tutte le caratteristiche esteriori di una donna in combinazione con tessuto testicolare interno in grado di emettere vero sperma maschile attraverso l’uretra femminile. Nessuna suggestione dell’ambiente sarebbe stata tale da per superare questo fatto fondamentale della costituzione interna. (Hirschfeld and Burchard, “Spermasekretion aus einer weiblichen Harnröhre,” Deutsche medizinische Wochenschrift, No. 52, 1911.)

Posso qui citare tre casi americani (non pubblicati in precedenza), per i quali sono in debito con il Prof. G. Frank Lydston, di Chicago. Mi sembra che essi illustrino l’unico tipo di suggestioni che svolgono un ruolo importante nell’evoluzione di inversione. Io li riporto nelle parole di Dr. Lydston:

CASO I – Un uomo di 45 anni, attratto dalla allusione al mio saggio sulla “Perversione sociale” contenuta nella traduzione inglese della Psychopathia Sexualis di Krafft-Ebing, mi consultò circa la possibilità di curare la sua condizione. Questo individuo era un uomo molto intelligente finemente colto, era un eccellente linguista, aveva un notevole talento musicale, ed era alle dipendenze di una società la cui attività era tale da esigere da parte dei suoi dipendenti un notevole acume giuridico, oltre a capacità amministrative e alla conoscenza delle transazioni immobiliari. Quest’uomo ha dichiarato che all’età della pubertà, senza alcuna conoscenza della perversione del sentimento sessuale, fu gettato in contatto intimo con maschi di età più avanzata, che usarono vari mezzi per eccitare le sue passioni sessuali, il risultato fu che si svilupparono pratiche sessuali pervertite, che poi proseguirono per un certo numero di anni. Egli da allora in poi notò una certa avversione per le donne. Cedendo alle sollecitazioni della sua famiglia finalmente si sposò, senza alcuna idea veramente chiara di ciò che, semmai, ci si sarebbe potuto aspettare da lui nel rapporto coniugale. L’assoluta impotenza, anzi, la ripugnanza per il congiungimento con la moglie, fu la conseguenza deplorevole. Si stava pensando al divorzio quando, fortunatamente per tutte le parti interessate, la moglie morì improvvisamente. Essendo un uomo di intelligenza più che normale, questo individuo, prima di cercare il mio aiuto, aveva cercato invano qualche rimedio per la sua infelice condizione. Egli ha dichiarato che credeva ci fosse un elemento di ereditarietà nel suo caso, dato che il padre era stato dipsomaniaco e un fratello era morto pazzo. Egli tuttavia precisava che era sua opinione che, nonostante la tara ereditaria, sarebbe stato perfettamente normale dal punto di vista sessuale, se non fosse stato per le impressioni acquisite nella pubertà o intorno al periodo della pubertà. Quest’uomo presentava caratteristiche fisiche tipicamente nevrotiche, si lamentava di essere molto nervoso, era prematuramente ingrigito, era solo di statura media, e aveva un nistagmo incontrollabile, che, a suo dire, esisteva da circa quindici anni. Come era prevedibile, il trattamento in questo caso non ebbe alcuna utilità. Feci in modo che iniziasse l’uso della suggestione ipnotica per mano di un ipnotizzatore professionista esperto. Ma essendo stato il paziente richiamato all’estero, alla fine rinunciò al trattamento, e non ho modo di sapere quale sia la sua condizione attuale.

CASO II – Una signora, mia paziente, che era un’attrice, e di conseguenza una donna di mondo, mi portò per un parere un po’ di corrispondenza che era intercorsa tra il suo fratello più giovane e un uomo che vive in un altro Stato, con il quale il ragazzo aveva rapporti abbastanza intimi. In una di queste lettere si alludeva vari viaggi volanti a Chicago al fine di incontrare il ragazzo, il quale, tra l’altro, aveva solo 17 anni. È emerso anche, come dimostrano le lettere, che in diverse occasioni il ragazzo era stato portato in viaggio in carrozza Pullman dal suo amico, che era un funzionario di primo piano delle ferrovie. Il carattere della corrispondenza era come quello che un uomo medio sano userebbe per rivolgersi ad una donna della quale è innamorato. Sembrava che l’autore della corrispondenza avesse applicato al suo ragazzo il nome di Cenerentola, e le dichiarazioni di appassionato affetto che erano rivolte verso Cenerentola certamente avrebbero soddisfatto la donna più esigente. Il giovane ragazzo in seguito mi fece delle confessioni, e io mi misi in corrispondenza col suo amico di sesso maschile, con il risultato che quello si rivolse a me e io ottenni una storia completa del caso. Il modo di lasciarsi andare al sesso in questo caso era il solito della masturbazione orale, in cui il ragazzo era la parte passiva. Non sono stato in grado di ottenere tutti i dati definitivi riguardanti la storia familiare dell’individuo più anziano, in questo caso, ma capisco che c’era una macchia di follia nella sua famiglia. Lui stesso era un robusto e bell’uomo, intorno alla mezza età, ben educato e molto intelligente, come necessariamente doveva essere, data la posizione di primo piano che occupava in una importante società ferroviaria. Citerò, come una questione degna di interesse, il fato che il ragazzo, che ora ha 23 anni, mi ha recentemente consultato per impotentia coeundi, manifestando frigidità verso le donne, e, dalle dichiarazioni del giovane, sono convinto che sia sulla buona strada della perversione sessuale definitiva.

Un punto interessante a questo proposito è che la sorella del giovane, l’attrice già accennata, ha recentemente avuto un attacco di mania acuta.

Ho avuto altri casi inediti che potrebbero essere di interesse, ma questi due sono alquanto classici e caratterizzano in misura maggiore o minore la maggior parte degli altri casi. Io, però, citerò un altro caso, che si è verificato in una donna.

CASO III – Una donna sposata di 40 anni. È stata abbandonata dal marito a causa della sua sessualità pervertita. Presenta una storia nevrotica su entrambi i lati della famiglia, e diversi casi di pazzia dalla parte materna. In questo caso erano presenti l’affinità per lo stesso sesso e il desiderio pervertito per il sesso opposto, una combinazione tutt’altro che infrequente. Si è provata la suggestione ipnotica, ma senza successo. La causa era evidentemente la suggestione e l’esempio da parte di un’altra donna pervertita con la quale aveva legato prima del matrimonio. Il matrimonio arrivò tardi, a 35 anni. In tutti questi casi c’è stato un elemento di ciò che può essere chiamato suggestione, ma che era veramente molto più di questo; si trattava probabilmente in tutti i casi di seduzione attiva di una persona più giovane, predisposta, da parte di una persona più grande. Si osserverà che in ogni caso c’era, almeno, una base nevrotica organica sulla quale la suggestione e la seduzione potevano lavorare. Non riesco a considerare però questi casi tanto significativi da modificare il nostro atteggiamento verso la suggestione.

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[1] L’analisi che segue si basa su versioni un po’ più complete delle mie Storie rispetto a quanto è stato pubblicato nei capitoli precedenti, nonché su varie altre Storie che non vengono qui affatto pubblicate. Numerose apparenti discrepanze possono così essere spiegate.

[2] Questa frequenza di sintomi nervosi è in accordo con le osservazioni più affidabili di qualsiasi fonte. Così, Hirschfeld (Die Homosexualität, p. 177) afferma che di 500 invertiti, il 62 per cento ha mostrato sintomi nervosi di un tipo o di un altro: insonnia, sonnolenza, tremori, balbuzie, ecc..

[3] Hirschfeld ritiene che il 54 per cento, degli invertiti diventino coscienti della loro anomalia prima dei 14 anni di età. L’anomalia può, comunque, essere presente in questa età precoce, ma non consapevolmente fino ad un’età più adulta. Da qui la maggiore percentuale registrata in precedenza.

[4] A questo proposito posso citare un’osservazione di Raffalovich: “È naturale che l’invertito possa ricordare  molto chiaramente la precocità delle sue inclinazioni. Nell’esistenza di ogni invertito arriva un momento in cui egli scopre l’enigma dei suoi gusti omosessuali. Poi egli classifica tutti i suoi ricordi, e per giustificarsi ai propri occhi, ricorda che è stato quello che è fin dalla prima infanzia. L’omosessualità ha colorato tutta la sua giovane vita. Ha pensato ad essa, ha sognato di essa, ha riflettuto su di essa, molto spesso in perfetta innocenza. Quando era molto piccolo immaginava di essere stato portato via dai briganti, dai selvaggi; a 5 o 6 anni sognava il calore dei loro petti e delle loro braccia nude. Sognò che era loro schiavo e amava la sua schiavitù e suoi padroni. Egli non ha avuto il minimo pensiero che fosse crudamente sessuale, ma ha scoperto la sua vocazione sentimentale “.

[5] Leppmann cita un caso (certamente estremo e anomalo) di una bambina di 8 anni che passava la notte nascosta sul tetto, al solo scopo di essere in grado di osservare la mattina gli organi sessuali di un cugino maschio adulto (Bulletin de l’Union Internationale de Droit Pénal, 1896, p. 118).

[6] Ammetto senza riserve, come tutti gli investigatori devono fare, la difficoltà di rintracciare l’influenza delle prime suggestioni, in particolare nei rapporti con le persone che sono abituate all’auto-analisi. A volte capita, soprattutto per quanto riguarda il feticismo erotico, che, mentre le domande dirette non riescono a raggiungere alcuna suggestione formativa molto anticipata, tale suggestione è casualmente scoperta in un’occasione successiva.

[7] Posso aggiungere che non vedo alcuna inconciliabilità fondamentale tra il punto di vista qui adottato e i fatti presentati (ed erroneamente interpretate) da Schrenck-Notzing. Nel suo Beiträge zur Ætiologie der Conträrer Sexualempfindung (Vienna, 1895), questo autore afferma: “La disposizione neuropatica è congenita, come lo è la tendenza alla comparsa precoce degli appetiti, la mancanza di resistenza psichica e la tendenza ad associazioni imperative; ma non è dimostrato che l’ereditarietà possa estendersi all’oggetto dell’appetito, e influenzare il contenuto di queste caratteristiche. Le esperienze psicologiche sono contro tutto ciò, come lo è la possibilità, che ho dimostrato sperimentalmente, di cambiare questi impulsi rimuovendo così il loro pericolo per il carattere dell’individuo.” Non si deve affermare che “l’ereditarietà si estende all’oggetto dell’appetito”, ma semplicemente che l’ereditarietà culmina in un organismo che è sessualmente più soddisfatto da tale oggetto. È anche un errore supporre che i caratteri congeniti non possano essere, in alcuni casi, ampiamente modificati da processi pazienti e laboriosi come quelli condotti da Schrenck-Notzing. Nello stesso opuscolo questo scrittore si riferisce alla follia morale e all’idiozia a sostegno del suo punto di vista. È curioso che entrambe queste manifestazioni congenite siano state usate da me, in modo indipendente, come argomenti contro la sua posizione. Le esperienze dell’Elmira Reformatory e di Bicêtre – per non parlare delle istituzioni di più recente istituzione – da tempo hanno mostrato che sia il folle morale che l’idiota possono notevolmente migliorare con un trattamento appropriato. Schrenck-Notzing sembra essere indebitamente influenzato dal suo interesse per l’ipnosi e la suggestione.

[8] “Se un invertito recepisce qualcosa, sotto l’influenza di condizioni esterne,” ha scritto Féré dicendo il vero (L’Instinct Sexuel, p 238)., “è perché è nato con l’attitudine a tale acquisizione: attitudine che manca in coloro che sono stati sottoposti alle stesse condizioni senza fare le stesse acquisizioni.”

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay:

http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=16&t=5405

OMOSESSUALITÀ, SISTEMI EDUCATIVI E PENSIERO DIVERGENTE

Potete leggere qui di seguito, nella mia traduzione italiana, la trentanovesima e ultima Storia inserita da Havelock Ellis al suo Trattato sull’inversione sessuale. La storia della signorina D. è un documento di estremo interesse perché aiuta a capire quanto, per una ragazza, che non si sentiva realmente una ragazza, fosse opprimente il sistema educativo riservato alle ragazze di buona famiglia del suo tempo, che tendeva ad inculcare nelle bambine e nelle adolescenti tutti gli stereotipi legati al genere femminile allora dominanti. Il rapporto coi genitori è conflittuale ma la ragazza sviluppa, proprio per questo, una sua genuina e autonoma visone del mondo. Il collegio è un’esperienza traumatica vissuta come un ergastolo di fame e di ignoranza. In collegio nasce un rapporto privilegiato con un’insegnante più grande di vent’anni, la cosa dura nel tempo ma quando la signorina D. si accorge che l’insegnante manifesta gelosia nei suoi confronti e la vorrebbe ingabbiare in un rapporto non reciproco, rompe con lei in modo netto. È evidente che la signorina D. è molto attratta da altre donne e lei stessa ne è perfettamente consapevole, ma non si lascia mai andare ad un rapporto omosessuale, perché sa che perderebbe la sua autonomia e probabilmente non troverebbe quello che desidera. Dopo molti anni, la signorina D., conoscerà un uomo, probabilmente omosessuale, e stringerà con lui una bell’amicizia ma non accetterà di sposarlo per le stesse ragioni per le quali non aveva voluto impegnarsi in relazioni omosessuali. Quello che colpisce nella signorina D. è l’assoluta autonomia di pensiero, o meglio il suo pensiero divergente, che la proietta verso le lotte per i diritti delle donne e le grandi questioni sociali del suo tempo. In un certo senso, l’istinto di libertà della signorina D. ha finito per prevalere sulla sua sessualità e l’ha portata a rifiutare consapevolmente non solo il matrimonio tradizionale ma qualunque tipo di legame condizionante.

Buona lettura.

STORIA 39

Signorina D., attivamente impegnata nella pratica della sua professione, età 40 anni. Ereditarietà buona, sistema nervoso sano, salute generale nel complesso soddisfacente. Sviluppo femminile ma maniere e movimenti un po’ da ragazzo. Mestruazioni scarse e indolori. Fianchi normali, glutei piccoli, organi sessuali che mostrano un po’ di approssimazione verso il tipo infantile con grandi labia minora e probabilmente piccola vagina. Tendenza allo sviluppo di peli sul corpo e sugli arti inferiori in particolare. La narrazione è presentata usando le sue stesse parole:

“Da quando ho memoria di qualcosa, non avrei mai potuto pensare a me stessa come una ragazza e sono stata continuamente nei guai proprio per questa ragione. Quando avevo 5 o 6 anni ho cominciato a dire a me stessa che, qualunque cosa pensassero gli altri, se non ero un ragazzo, in ogni caso non ero una bambina. Questa è stata la mia convinzione, immutata per tutta la mia vita.

“Quando ero piccola, nulla mai mi ha fatto dubitare di questo, nonostante l’aspetto esteriore. Consideravo la conformazione del mio corpo come un misterioso accidente. Non riuscivo a vedere il motivo per cui dovesse avere qualcosa a che fare con la questione. Le cose che davvero avevano un rapporto con quella questione erano le cose che mi piacevano e quelle che non mi piacevano e il fatto che non mi era permesso di seguirle. Dovevo apprezzare le cose che appartenevano a me come ragazza, – vestiti, giocattoli e giochi che non mi piacevano affatto. Immagino di essere stata più ‘ragazzo’ di qualsiasi ragazzino normale. Quando potevo solo gattonare il mio interesse assorbente erano i martelli e i chiodi per i tappeti. Prima che potessi camminare desideravo di essere messa in groppa ai cavalli, in modo che  sembrava che io fossi nata con l’amore per gli attrezzi e per gli animali, amore che non mi ha mai lasciato.

“Non ho giocato con le bambole, anche se la mia sorellina lo ha fatto. Mi è stato spesso rimproverato di non giocare ai giochi femminili. Sceglievo sempre giocattoli per ragazzi, – le trottole, le pistole e i cavalli; Odiavo essere tenuta in casa e desideravo sempre uscire. Quando avevo 7 anni mi sembrava che tutto ciò che mi piaceva fosse  considerato sbagliato per una ragazza. Smisi di dire a quelli più grandi di me che cosa mi piaceva. Mi confondevano e mi ha stancavano con il loro  parlare di ragazzi e ragazze. Io non credevo a loro e a stento potevo immaginare che essi stessi credessero a quello che dicevano. Quando avevo 8 o 9 anni mi chiedevo spesso se fossero creduloni o bugiardi o ipocriti o tutte e tre le cose. Di conseguenza non ho mai creduto ad una persona adulta e non mi sono mai fidata di una persona adulta. Guidavo i miei fratelli più piccoli in tutto. Non ero affatto una bambina felice e spesso piangevano e diventavo irritabile; ero molto confusa dai discorsi sui ragazzi e sulle ragazze. Ero considerata un cattivo esempio per le altre bambine che virtuosamente mi disprezzavano.

“Quando avevo circa 9 anni sono andata a una scuola che si frequentava solo al mattino e ho cominciato a stare meglio. Dai 9 ai 13 anni ho praticamente plasmato la mia vita. Ho imparato molto poco a scuola, e apertamente la odiavo, ma ho letto molto a casa e mi sono fatta un sacco di idee. Vivevo, però, soprattutto fuori di casa, ogni volta che potevo uscire. Spendevo i soldi che avevo in tasca in attrezzi, conigli, piccioni e molti altri animali. Sono diventata una cacciatrice di piccioni interessatissima, per non dire una ladra, anche se non ho mai rubato deliberatamente.

“I miei fratelli erano altrettanto interessati agli animali come lo ero io. Si supponeva che gli uomini si prendessero cura di loro, ma lo facevamo solo noi. Li osservavamo, li accoppiavamo, li separavamo, e li allevavamo con notevole abilità. Non avevamo nessun linguaggio per esprimerci, se non uno tutto nostro. Eravamo assolutamente innocenti e dolcemente simpatici con ogni animale. Non credo che collegassimo le cose che riguardavano gli animali con quelle che riguardavano gli esseri umani, ma dato che non mi ricordo di un tempo in cui io non sapessi tutto sui fatti reali del sesso e della riproduzione, presumo di avere imparato tutto proprio in quel modo, e la vita non ha mai avuto sorprese per me in quella direzione. Anche se ho assistito a molti spettacoli che un bambino non avrebbe dovuto vedere durante le escursioni in luoghi selvatici, non ci ho mai riflettuto sopra, tutti gli animali, grandi e piccoli, dai conigli agli uomini, avevano gli stessi comportamenti, tutti naturali e giusti. La mia iniziazione qui era davanti ai miei occhi, quasi perfetta come dovrebbe essere quella di un bambino. Non ho mai fatto domande agli adulti. Consideravo tutti quelli che erano responsabili di me grossolani e bugiardi e non mi piacevano tutte le cose brutte e i suggerimenti.

“Ogni giorno di riposo uscivo con i ragazzi della scuola dei miei fratelli. A loro ha fatto sempre piacere che io giocassi con loro, e, anche se non erano ragazzi abituati a parlare pulito, erano sempre civili e gentili con me. Organizzavo giochi e fortificazioni che non avrebbero mai immaginato da soli, guidavo feste sconvolgenti, e inventavo giochi piuttosto pericolosi, del tipo dei giochi di guerra. Insegnavo ai miei fratelli a lanciare pietre e a volte guidavo avventure tipo il fare irruzione in case abbandonate.  Mi piaceva stare fuori dopo il tramonto.

“In inverno fabbricavo e sistemavo barche a vela e ci navigavo, andavo sulle zattere e facevo il salto con l’asta. Diventai un’ottima saltatrice e scalatrice, potevo arrampicarmi su una corda, giocare a bocce, lanciare come un ragazzo e fischiare in tre diversi modi. Collezionavo coleotteri e farfalle e andavo in cerca di gamberi e imparai a pescare. Avevo pochi soldi da spendere, ma prendevo delle cose e confezionavo da sola ogni tipo di trappole, reti, gabbie, ecc.. Imparavo da ogni lavoratore, avevo una buona padronanza nell’uso di tutti gli strumenti comuni dei falegnami, e anche su come saldare il ferro caldo, spianare, posare mattoni e tappeti erbosi, e così via.

“Quando avevo circa 11 anni, i miei genitori si sentivano parecchio mortificati per il mio comportamento e mi minacciavano continuamente di mandarmi in collegio. Mi è stato detto per mesi che il collegio  mi avrebbe fatto abbandonare tutte le mie sciocchezze, mi avrebbe “formato”, avrebbe fatto di me “una giovane signora.” La mia andata in collegio mi fu finalmente annunciata come una punizione per il fatto che ero quello che ero.

“Certo, l’orrore di andare a quella scuola e il modo crudele e insensibile con cui ci fui mandata mi diede uno shock che non ho mai superato. L’unica cosa che mi riconciliò con l’idea di andarci fu la mia forte indignazione contro chi mi ci mandava. Chiesi che mi fosse permesso di imparare il Latino e gli argomenti trattati dai ragazzi, ma fui derisa.

“Ero disperata perché sapevo che non avrei potuto scappare senza essere catturata, sarei scappata in qualunque posto pur di non stare a casa o a scuola. Non ho mai pianto e non mi sono angosciata, ma bruciavo di rabbia e mi sentivo come un coniglio in trappola.

“Non ci sono parole per descrivere la gravità dello shock nervoso o la sofferenza del mio primo anno di scuola. La scuola era nota per la sua severità e io sentii che in un certo periodo le ragazze più grandi fuggivano dal collegio ogni volta che indossavano la divisa. Conoscevo due ragazze che erano scappate. Le insegnanti ai miei tempi erano ignoranti, donne auto-indulgenti che se ne infischiavano del tutto delle ragazze e della loro formazione e anzi ci facevano sopra un sacco di quattrini. C’era un’atmosfera sospettosa da riformatorio, mi prendevano il mio denaro e le mie lettere venivano lette.

“Ero molto timida. Odiavo le altre ragazze. Non c’era raffinatezza da nessuna parte, non avevo alcuna privacy nella mia camera, che era sempre affollata; non c’era l’acqua calda, non c’erano i bagni, il cibo era inadatto, e non si badava all’istruzione. Non avevamo il permesso di indossare abbastanza biancheria pulita, e per cinque anni non mi sono mai sentita pulita.

“Non avevo mai un momento per me, non mi era permesso leggere nulla, non avevo nemmeno abbastanza libri di scuola, non mi veniva insegnato nulla di cui parlare, se non un po’ di musica elementare e di disegno. Non ho mai fatto abbastanza esercizio fisico, ed ero sempre stanca e annoiata, e non potevo mantenere la mia digestione in ordine. Il mio orgoglio e il rispetto di me stessa erano degradati in innumerevoli modi, ho sofferto agonie di disgusto, e tutto l’insieme era come stare tristemente ai lavori forzati.

“Non ho protestato. Ho fatto amicizia con alcune delle ragazze. Alcune delle ragazze più grandi erano attratte da me. Alcune mi parlavano di uomini e di storie d’amore, ma non ero molto interessata. Nessuna ha mai parlato di qualsiasi altra questione riguardante il sesso con me o in mia presenza, la maggior parte delle ragazze erano timide con me e tra loro.

“In tempo di circa due anni le insegnanti cominciarono ad apprezzarmi e pensavano che io fossi una delle loro ragazze più simpatiche. Io certamente le influenzai e feci in modo che permettessero alle ragazze più libertà.

“Sottolineo molto le privazioni fisiche e il disgusto che ho sentito in quegli anni. La fame mentale non era così grande, perché era impossibile per loro schiacciare la mia mente come facevano col mio corpo. Sono certa che tutto questo abbia materialmente contribuito ad arrestare lo sviluppo del mio corpo.

“È difficile stimare le influenze sessuali di cui da bambina ero praticamente all’oscuro. Io certamente ammiravo le ragazze più vivaci e intelligenti e facevo amicizia con loro e non mi piacevano le ragazze di tipo comune, pesanti e ignoranti che costituivano i due terzi delle mie compagne. Piacevo alle ragazze vivaci e ho fatto molte amicizie che ho conservato da allora. Una ragazza di circa 15 anni ebbe una simpatia violenta per me e, in senso figurato, leccava la polvere dalle mie scarpe. Non avrei mai voluto sapere nulla di lei. Quando avevo quasi 16 anni, una delle mie insegnanti cominciò a notarmi e ed essere molto gentile con me. Aveva vent’anni più di me. Sembrava aver pietà della mia solitudine, mi portava fuori a passeggiare e a disegnare e mi incoraggiava a parlare e a pensare. È stata la prima volta nella mia vita che qualcuno ha simpatizzato con me o ha cercato di capirmi ed è stata una cosa molto bella per me. Mi sentivo come un’orfana che avesse improvvisamente trovato una madre, e attraverso di lei cominciai a sentirmi meno antagonista delle persone adulte e a provare  per la prima volta rispetto per quello che dicevano. Lei mi indusse con le coccole in uno stato di relativa docilità e fece in modo che le altre insegnanti mi apprezzassero e avessero fiducia in me. Il mio amore per lei era perfettamente puro, e pensavo a lei semplicemente come ad una persona materna. Non ha mai suscitato la minima sensazione in me che io possa considerare come sessuale. Mi piaceva che mi toccasse e a volte mi teneva in braccio o mi permetteva di sederle in grembo. Al momento di andare a dormire, usava venire a darmi la buona notte e baciami sulla bocca. Penso ora che quello che faceva fosse imprudente in una certa misura, e vorrei poter credere che fosse un gesto puramente altruista e gentile come mi sembrava allora. Dopo che ebbi lasciato la scuola, le scrissi e andai a trovarla per alcuni anni. Una volta mi scrisse che se io avessi potuto darle un lavoro sarebbe venuta a vivere con me. Una volta, quando era malata di nevrastenia i suoi amici mi chiesero di andare al mare con lei, cosa che io feci. Qui si comportò in modo stranissimo, diventando violentemente gelosa di me nei confronti di un’altra mia amica più grande, che stava lì. Non riuscivo a credere ai miei occhi, ed ero così stupita e disgustata che non mi avvicinai più a lei. Mi accusò anche di non essere ‘fedele’ a lei; ancora oggi non ho idea di che cosa volesse dire. Poi mi scrisse e mi chiese che cosa fosse sbagliato tra di noi, e io le risposi che, dopo le parole che aveva usato con me, la mia fiducia in lei era finita. Questo fatto non mi diede alcun particolare dolore dato che da quel momento avevo messo da parte la semplice gratitudine dei miei giorni infantili e non l’avevo sostituita con nessun altro sentimento più forte. Per tutta la mia vita ho avuto una ripugnanza profonda per lo scambiare qualsiasi ‘parola’ con altre donne.

“Ero molto meno interessata alle questioni sessuali rispetto alle altre ragazzine della mia età. Ero tutto sommato meno precoce, anche se ne sapevo di più, immagino, rispetto alle altre ragazze. Tuttavia, quando avevo 15 anni, le questioni sociali avevano cominciato a interessarmi molto. È difficile dire come sia successo, dato che mi erano stati proibiti tutti i libri e i giornali (tranne che nelle mie vacanze quando avevo in genere un’orgia di lettura, anche se non dei libri di cui avevo bisogno o di quelli che volevo). Ho avuto molte opportunità di riflessione, ma non i materiali per un qualsiasi pensiero utile.

“Ero costretta a sognare. Sognavo favole di notte e sogni sociali ad occhi aperti. Nei sogni notturni,  e talvolta nei sogni ad occhi aperti, ero sempre il principe o il pirata, che salva la bella in difficoltà o che uccidere il cattivo. C’era un sogno che ho sognato più e più volte e di cui ho goduto e che ancora a volte sogno. In questo sogno io ero sempre a caccia o stavo combattendo, spesso al buio; c’era di solito da qualche parte, nello sfondo, una donna o una principessa che ammiravo, ma io non l’ho mai vista veramente. A volte ero un clandestino a bordo di una nave o un cacciatore indiano o un abitante dei boschi e costruivo una baita per mia moglie, o meglio per qualche compagno. I miei pensieri del giorno non erano circa le donne che mi stavano intorno e nemmeno su colei che era così gentile con me, ma erano quasi impersonali. Sono andata avanti, in ogni caso, da me stessa, verso quello che credevo fosse il vero ideale e ho costruito una visione veramente bella di una solida amicizia umana in cui c’era tutto quello che era forte e sano da entrambi i lati, ma molto poco sesso. Per immaginare tutto questo nella sua pienezza dovevo immaginare tutte le condizioni sociali, quelle familiari, e le condizioni dell’istruzione molto diverse da qualsiasi cosa avessi realmente conosciuto. Da questo i miei pensieri correvano in gran parte verso le questioni sociali. In qualunque direzione miei pensieri andassero, li vedevo sempre dal punto di vista di un ragazzo. Stavo cercando di aspettare pazientemente fino a quando avrei potuto fuggire dalla schiavitù e dalla fame, e cercando di mantenere il largo modo di vedere di cui ho parlato, anche se non ho mai aperto un libro di poesie, o un romanzo, o una storia, sono scivolata naturalmente di nuovo nel mio atteggiamento non da ragazza e lo interpretavo attraverso i miei occhi. Tutta la mia vita di facciata era una farsa, e solo attraverso i libri, che erano pochi, vedevo il mondo in modo naturale. La considerazione delle questioni sociali mi portò a sentirmi molto triste per le donne, che io consideravo trasformate nelle folli che io credevo che fossero, per effetto di un processo deliberato di fabbricazione, quello stesso processo di fabbricazione per effetto del quale anche io mi stavo trasformando in una folle. Ho avuto sempre di più la sensazione che gli uomini fossero da invidiare e le donne da compatire. Sottolineo molto questo fatto perché esso mise in moto in me un interesse ben chiaro per le donne in quanto donne. Ho cominciato a sentirmi protettiva e gentile verso le donne e i bambini e a scusare le donne per le loro responsabilità per calamità come la mia carriera scolastica. Non avrei mai immaginato che gli uomini mi avrebbero ricercato o mi avrebbero ringraziato per un qualche tipo di simpatia. Ma accadde che per queste vie, e senza il minimo aiuto che io possa riconoscere, da quando avevo 19 anni, fui molto interessata a tutti i tipi di questioni: pietà per le donne oppresse, problemi legati al diritto di voto, diritto matrimoniale, diritti di libertà, libertà di pensiero, cura dei poveri, concezioni della natura, dell’uomo e di Dio. Tutte queste cose riempivano la mia mente escludendo singoli uomini e singole donne. Non appena lasciai la scuola feci un tuffo a capofitto nei libri in cui erano trattate queste cose; dovevo trovare le risposte a tutto dopo il lungo periodo di fame forzata. Dovevo lavorare per la mia conoscenza. Nessun libro o nessuna idea si sono avvicinati a me se non quelli dei quali io stessa sono andata in cerca. Un’altra cosa che mi ha aiutato a raggiungere una visione allargata della vita in questo momento è stata il mio amore intenso della natura. Tutti gli uccelli e gli animali mi colpivano per la loro bellezza e grazia, e ho sempre conservato una profonda simpatia per loro così come una certa sottile comprensione che mi permette di domarli, a volte in modo molto significativo. Non solo amavo tutte le altre creature, ma credevo che gli uomini e le donne fossero le cose più belle dell’universo e preferirei considerare loro (senza vestiti) più che qualsiasi altra cosa, come il mio più grande piacere. Ero pronta ad apprezzarli perché erano belli. Quando arrivò per me il momento di lasciare la scuola, avevo paura di lasciarla, soprattutto perché temevo la mia vita a casa. Avevo un grande desiderio, in quei giorni, di scappare e tentare la mia fortuna ovunque; e forse, se fossi stata più forte, avrei potuto farlo. Ma ero in pessima salute a causa dei patimenti fisici che avevo subito, e di pessimo umore per questo motivo e per la mia repressione mentale. Sapevo di essere ancora prigioniera ed ero amaramente delusa e mi vergognavo di non avere alcuna istruzione. Ho poi imparato da sola l’aritmetica e altre cose.

“Il periodo successivo della mia vita, che ha riguardato circa sei anni, non è stato meno importante per il mio sviluppo, ed è stato un momento di estrema miseria per me. È cominciato quando stavo lasciando la scuola, ed ero ancora quasi una bambina. Questo periodo tra i 18 ei 24 anni penso che dovrebbe essere considerato come il mio vero periodo della pubertà, che probabilmente, nella maggior parte dei bambini, occupa gli anni finali della loro vita scolastica.

“È stato in questo periodo che ho cominciato a farmi un buon numero di amici e ad avere conoscenza delle attrazioni psichiche e sessuali. Non mi ero mai imbattuta in nessuna teoria sull’argomento, ma decisi che dovevo appartenere a un terzo sesso di qualche tipo. Mi chiedevo se fossi come le api non sessuate! Conobbi la sensazione del sesso fisico e psichico, eppure già mi sembrava di conoscerla in modo abbastanza diverso dagli altri uomini e dalle altre donne. Mi chiedevo se potevo sopportare di vivere la vita di una donna, facendo figli e compiendo i miei doveri con loro. Mi chiedevo quale iato ci potesse essere tra la mia struttura fisica e i miei sentimenti e anche quale fosse il significato delle forti sensazioni fisiche che mi tenevano nella loro morsa senza una possibilità di scelta da parte mia. [L’esperienza delle sensazioni del sesso fisico ebbe inizio circa a 16 anni nel sonno; la masturbazione fu scoperta casualmente, all’età di 19 anni, abbandonata a 28 e poi ripresa deliberatamente a 34 come metodo di sollievo puramente fisico]. Queste tre cose semplicemente non si sarebbero riconciliate e io dicevo a me stessa che dovevo trovare un modo di vivere in cui ci fosse il meno sesso possibile di qualsiasi genere. C’era qualcosa che semplicemente mi mancava; che non avevo mai ipotizzato. Curiosamente, pensai che la spiegazione finale poteva essere che ci fossero menti di uomini in corpi di donne, ma ero più interessata a trovare un modo di vita che formulare ipotesi senza riscontro.

“Pensai che un giorno quando avessi avuto denaro e se ne fosse presentata l’opportunità mi sarei vestita in abiti maschili e sarei andata in un altro paese, in modo da non essere ostacolata dalle considerazioni e dalle convenzioni relative al sesso. Decisi di vivere una vita onorata, retta, ma semplice.

“Non avevo idea, in un primo momento, che esistesse l’attrazione omosessuale verso le donne; in seguito le osservazioni sugli animali inferiori mi misero questa idea in testa. Non mi preparai affatto mentalmente per nessun tipo di vita sessuale, anche se pensavo che sarebbe stato un brutto affare reprimere il mio corpo per tutti i miei giorni.

“I miei rapporti con altre donne erano del tutto puri. Il mio atteggiamento verso i miei sentimenti fisici sessuali era di riservatezza e di repressione, e credo che la crescente convinzione della mia carenza radicale in qualcosa, avrebbe potuto produrre un intimo affetto verso chiunque, con qualsiasi tipo di manifestazione, una sorta di scorrettezza per la quale non avevo alcun interesse.

“Tuttavia, tra i 21 e 24 anni mi accaddero altre cose.

“In questi pochi anni ho conosciuto molti di uomini e molte donne. Per quanto riguarda gli uomini mi piacevano molto, ma non ho mai pensato che potesse venir fuori l’uomo col quale mi sarebbe interessato vivere. Diversi uomini erano molto gentili con me e tre in particolare mi scrivevano lettere e mi accordavano gran parte della loro fiducia. Ho invitato due di loro a farmi visita a casa mia. Tutti questi uomini parlavano con me liberamente e mi parlavano anche le loro idee e dei loro comportamenti sessuali. Uno mi chiese di credere che egli stava conducendo una buona vita, gli altri due ammettevano che non era così. Uno discusse con me la questione dell’omosessualità; non si è mai sposato. Mi piaceva parecchio uno di loro, ero attratta dalla sua morbidezza e dolcezza e dalla voce quasi femminile. Si sperava che io fossi interessata a lui e lui con molta cautela mi faceva la corte. Gli permisi di baciarmi un paio di volte e gli scrissi alcune lettere comprensive, mi chiedevo che cosa mi piacesse in lui. Qualcuno poi fece dei commenti sulla nostra conoscenza parlò di ‘matrimonio,’ e allora mi svegliai e capii che non lo desideravo assolutamente. Penso che abbia trovato l’amicizia troppo insipida e sia stato felice di uscirne del tutto. Tutti questi uomini erano un po’ di caratteristiche ‘femminili’, e due non giocavano a nessun gioco. Ho pensato che fosse strano che essi dovessero esprimere ammirazione per le mie qualità molto da ragazzo, che ad altre persone non piacevano. Un quarto uomo, più o meno dello stesso tipo, disse ad un altro amico che si sentiva sempre sorpreso di quanto liberamente era in grado di parlare con me, ma che non aveva mai avuto la sensazione che io fossi una donna. Due di questi erano uomini brillantemente intelligenti; due erano artisti.

“Nello stesso periodo, o anche prima, mi sono fatta un certo numero di amicizie femminili, e, naturalmente, ho conosciuto molte donne. Ho scelto alcune di loro e alcune mi hanno scelto, penso di aver attratto io loro più di quanto loro hanno attratto me. Non ricordo se fosse così, anche se posso dire per certo che era così a scuola. C’erano tre o quattro donne brillanti, intelligenti, giovani, che conobbi allora, delle quali ero molto amica. Eravamo interessate ai libri, alle teorie sociali, alla politica, all’arte. A volte andavo a fare loro visita  o ce ne andavamo in spedizioni esplorative in molti luoghi di campagna e in molte città. Tutte loro, alla fine, o hanno avuto storie d’amore o si sono sposate. So che nonostante tutte le nostre conversazioni libere non hanno mai parlato con me come hanno fatto tra loro, eravamo sempre un po’ timide tra noi, ma io mi affezionai appassionatamente ad almeno quattro di loro. Le ammiravo e quando ero stanca e preoccupata pensavo spesso quanto facilmente, se fossi stata un uomo, avrei potuto sposare l’una o l’altra di loro e sistemarmi. Pensavo spesso che sarebbe stato piacevole avere una donna per cui lavorare e di cui prendersi cura. La mia attrazione per queste donne era molto forte, ma non credo che se ne siano accorte. Le baciavo perfino raramente, ma avrei dato spesso loro allegramente un bell’abbraccio o un bacio se avessi pensato che fosse una cosa giusta o corretta da fare. Il desiderio che mi baciassero non era neppure la metà del desiderio che avevo io di baciarle. In questi anni mi sono sentita così con ogni donna che ammiravo.

“Di tanto in tanto, ho sperimentato lievi erezioni quando ero vicina ad altre donne. Sono sicura che nessun mio pensiero intenzionale le abbia causate, e dato che ne ho avute in altre occasioni, quando non le aspettavo, penso che potessero essere accidentali. Quello che sentivo con la mia mente e quello che sentivo col mio corpo in quel periodo sembravano sempre realtà separate. Non posso descrivere in modo accurato l’interesse e l’attrazione che le donne allora costituivano per me. So solo che non ho mai sentito niente di simile per gli uomini. Tutti i miei desideri di fare cortesie, di fare regali, di essere apprezzata e rispettata e tutte queste piccole cose naturali, si riferivano alle donne, non gli uomini, e in quel momento, sia apertamente che a me stessa, dissi senza esitazione che preferivo le donne. Va ricordato che in quel periodo l’antipatia per gli uomini era promossa in me da chi voleva che mi sposassi, e questo deve avere pesato più di quanto io ora ricordo.

“Per quanto riguarda le mie sensazioni sessuali fisiche, che erano ben consolidate nel corso di quegli anni, non credo di essermi lasciata andare spesso a qualche fantasia erotica che valga la pena di prendere in considerazione, ma per quanto l’ho fatto, mi sono sempre immaginata come un uomo che ama una donna. Non riesco a ricordare di aver mai immaginato il contrario, ma raramente ho immaginato qualcosa, e suppongo che le sensazioni sessuali fondamentali non riguardino il sesso.

“Ma col passare del tempo e le mie sensazioni fisiche e psichiche si incontrarono, in ogni caso, nella mia mente, e divenni pienamente consapevole del significato dell’amore e anche delle possibilità omosessuali.

“Probabilmente avrei pensato più pensieri di quel tipo ma durante quel periodo ero molto preoccupata per la difficoltà di vivere a casa mia sotto la perpetua pressione del confronto con altre persone. La mia vita è stata una farsa. Ero un’attrice mai fuori dal palcoscenico. Dovevo recitare dalla mattina alla sera ed essere una cosa che non ero, e il lungo travaglio che avevo avuto a scuola non ha avuto termine, inoltre avevo a che fare col sesso attivamente e consapevolmente.

“Guardando indietro a questi ventiquattro anni della mia vita vedo solo un orizzonte di miseria. La tensione nervosa era enorme, così come la tensione morale. Invece di una bambina, ogni volta che volevo compiacere qualcun altro, mi sentivo una scimmia che recita. I miei piaceri erano rubati o io ero mortificata dal fatto di goderli. Non ero istruita ed ero considerata stupida. Ce l’avevo con tutti. Non so proprio come sia accaduto che con i miei alti sentimenti e con la mia vivida immaginazione io non sia diventata un’imbecille morale piena di istinti perversi. Mi descrivo come una bambina docile, ma ero piena di tentazioni di essere ben diversa. C’erano momenti in cui restavo in silenzio davanti alla gente, ma se avessi avuto un coltello in mano glielo avrei piantato addosso. Se fossi stata desiderosa di trasformarmi in un essere completamente pervertito, non avrei potuto immaginare un modo migliore del tentativo di conformarmi con la forza ad un particolare modello di ragazza.

“Guardando ai miei istinti nella mia prima infanzia e alla mia confusione mentale su me stessa, non credo che il trattamento più simpatico e scientifico mi avrebbe trasformata comunque in una ragazza media, ma non vedo alcun motivo per cui delle condizioni fisiche adeguate non avrebbero dovuto indurre un migliore sviluppo fisico che a sua volta avrebbe portato a gusti più approssimati a quelli della donna normale. Il fatto che ora non desidero più essere una donna normale qui c’entra poco.

“Invece di trovare un tale aiuto, durante il tempo che avrebbe dovuto essere quello della pubertà, ho sofferto per un profondo shock mentale e fisico che si è esteso per diversi anni, e in aggiunta ho sofferto l’offesa di ogni sentimento buono e sano che avevo. Queste cose, controllando il mio sviluppo fisico, hanno dato, io ne sono perfettamente convinta, un impulso traumatico alla mia anomalia generale, e questo stato di cose fu portato ancora più avanti chiedendomi (agli albori della mia attività sessuale vera e propria, e quando ero ancora praticamente una bambina) un interesse verso gli uomini e il matrimonio, che io non ero in grado di provare più di qualsiasi ragazzo o ragazza normale di 15 anni. Se si fosse preso un ragazzo di 13 anni e lo si fosse messo nelle mie condizioni, legato mani e piedi, mentre tu ti preoccupi per lui e lo spingi con le carezze alla docilità, e poi dopo averlo collocato nel mondo, mentre solleciti la sessualità normale in lui da un lato, lo rendi disgustato di essa dall’altro, quale sarebbe stato il probabile risultato?

“Guardando indietro, credo di poter dire che i risultati nel mio caso siano stati meravigliosamente buoni, e che sono stata salvata dal peggio dalla mia innocenza e dalla arretratezza fisica che la natura, probabilmente per pietà, mi concesse.

“Trovo difficile riassumere il modo in cui ho suscitato interesse in altre donne e loro hanno lo hanno suscitato in me. Posso registrare solo la mia convinzione che io influenzo un gran numero di donne, non so se in modo anomalo oppure no, ma io le attraggo e sarebbe facile per alcune di loro affezionarsi molto a me, io ho dato loro una possibilità. Loro sono anche, ne sono certa, più timide con me di quanto non lo sono con le altre donne.

“Trovo difficile anche riassumere il loro effetto su di me. So solo che alcune donne mi attraggono e alcune mi tentano fisicamente, e lo hanno fatto sin da quando avevo circa 22 o 23 anni. So che psichicamente sono sempre stata più interessata alle donne che agli uomini, ma non le ho considerate i migliori compagni o confidenti. Mi sento protettiva verso di loro, non mi sento mai gelosa di loro, e odio essere diversa da loro anche se sento sempre di non essere una di loro. Se ci fosse stato un periodo della mia vita in cui la salute, la tentazione, il denaro e le opportunità avessero reso facili le relazioni omosessuali, non posso dire quanto avrei resistito. Penso che non ho mai avuto tali rapporti semplicemente perché in qualche maniera sono stata salvaguardata da essi. Per molto tempo ho pensato che dovevo fare a meno di tutti i rapporti sessuali reali e ho agito di conseguenza. Se avessi pensato che ogni rapporto è giusto e possibile penso che avrei lottato per le esperienze eterosessuali a causa del rispetto che avevo coltivato, anzi penso sempre avuto, per ciò che è normale e naturale. Se avessi pensato bene di indulgere ad ogni sorta di gratificazione che era alla mia portata, penso che probabilmente avrei scelto le esperienze omosessuali come forse più soddisfacenti e più gratificanti. Ho sempre voluto l’amore e l’amicizia all’inizio; poi sarei stata contenta di qualcosa che soddisfacesse anche la mia fame di sesso, ma a quel punto ne avrei fatto a meno, o io pensavo così.”

In un periodo piuttosto successivo rispetto a quello affrontato in questo racconto, la protagonista fu fortemente attratta da un uomo che era di indole un po’ femminile e anormale. Ma, pensandoci, decise che non sarebbe stato saggio sposarlo.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post, aperta sul Forum di Progetto Gay:

http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=16&t=5376

CINQUE STORIE DI OMOSESSUALITÀ FEMMINILE

Potete leggere qui di seguito, in traduzione italiana, cinque storie di omosessualità femminile inserite da Havelock Ellis a corredo del capitolo sulla omosessualità nelle donne del suo noto trattato sull’inversione sessuale. Sono storie di donne omosessuali vissute un secolo fa, in condizioni sociali molto diverse da quelle di oggi, e tutte appartenenti a classi sociali medio-alte, tanti atteggiamenti mentali, tanti meccanismi di scoperta dell’omosessualità e di sublimazione della sessualità sono però sostanzialmente identici a quelli che si riscontrano ancora oggi. La lettura di questi documenti d’epoca ci permette di capire dal vivo le difficoltà incontrate dalle donne omosessuali tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del 900.

STORIA 34 

Signorina S., 38 anni, vive in una città degli Stati Uniti, una donna d’affari di intelligenza raffinata, di primo piano negli ambienti professionali e letterari. La sua salute generale è buona, ma lei appartiene ad una famiglia in cui è presente una componente neuropatica marcata. È di temperamento piuttosto flemmatico, ben equilibrata, sempre perfettamente calma e padrona di sé, di disposizione piuttosto riservata, con un portamento dolce e dignitoso.

Dice che non può interessarsi agli uomini, ma che tutta la sua vita è stata “glorificata e resa bella dall’amicizia con le donne”, che ama come un uomo ama le donne. Il suo carattere è, tuttavia, ben disciplinato, e le sue amiche non sono a conoscenza della natura del suo affetto. Cerca di non dare tutto il suo amore ad una sola persona, e si sforza (come lei stessa dice) di utilizzare questo “dono di amare” come un trampolino di lancio per alti obiettivi mentali e spirituali. È descritta da chi l’ha conosciuta per diversi anni come una persona “di carattere alto e di istinti infallibilmente diretti verso cose alte.”

STORIA 35

Miss B., artista, di origini tedesca per il ramo paterno. Tra i suoi fratelli e le sue sorelle, c’è una persona di temperamento nevrotico e un’altra invertita. Lei è in buona salute. Non ha ripugnanza per gli uomini e le piacerebbe anche provare il matrimonio, se l’unione non fosse permanente, ma ha raramente sentito una qualche attrazione sessuale per un uomo. In un caso eccezionale, quando era molto giovane, rendendosi conto che non era adattata per i rapporti eterosessuali, ruppe il fidanzamento che aveva formato. Molto più tardi nella vita, creò un rapporto più stabile con un uomo di gusti congeniali.

È attratta da donne di vario genere, anche se riconosce che ci sono alcune donne verso cui sono attratti solo gli uomini. Molti anni fa aveva un amico al quale era fortemente legata, ma le manifestazioni fisiche non sembrano essere diventate significative. Dopo di ciò i suoi pensieri furono molto occupati da diverse donne alle quali fece avances, che non furono incoraggiate ad un livello tale che si potesse andare oltre l’amicizia ordinaria. In un caso, però, formò un rapporto intimo con una ragazza un po’ più giovane di lei, una personalità molto femminile, che accettò l’ardente amore di Miss B. con piacere, ma in maniera passiva, e non ritenne che il rapporto potesse essere di ostacolo al suo matrimonio, anche se non lo avrebbe in nessun caso detto al marito. Questa relazione per la prima volta suscitò le emozioni sessuali latenti di Miss B.. Trovò soddisfazione sessuale nel baciare e abbracciare il corpo della sua amica, ma non sembra esserci stato orgasmo. La relazione produsse un notevole cambiamento in lei e la rese radiosa e felice.

Nel suo comportamento verso gli uomini, Miss B. non rivela alcuna timidezza sessuale. Gli uomini di solito non sono attratti da lei. Non c’è nulla di sorprendente nel suo aspetto; la sua persona e le sue buone maniere, anche se trascurate, non sono vistosamente maschili. È appassionata di esercizi fisici e fuma parecchio.

STORIA 36

Miss H., 30 anni. Tra i suoi parenti paterni c’è la tendenza all’eccentricità e alla malattia nervosa. Suo nonno beveva; suo padre era eccentrico e ipocondriaco e soffriva di ossessioni. La madre ed i parenti della madre sono del tutto sani e di disposizione normale.

All’età di 4 anni le piaceva vedere le natiche di una bambina che viveva vicino. Quando aveva circa 6 anni, la bambinaia, seduta nei campi, aveva l’abitudine di giocare con le proprie parti intime, e le disse di fare lo stesso, affermando che questo avrebbe fatto arrivare un bambino; quindi di tanto in tanto si toccava, ma senza produrre alcun effetto di nessun tipo. Quando aveva circa 8 anni era solita vedere le varie bambinaie scoprire le parti sessuali dei loro figli e mostrarle l’una all’altra. Aveva l’abitudine di pensare a questo quando era sola, e anche alle frustate. Non si è mai curata di giocare con le bambole, e nei suoi giochi prendeva sempre la parte di un uomo. I suoi primi rudimentali sentimenti sessuali apparvero all’età di 8 o 9 anni, e furono associati con i sogni in cui immaginava di frustare ed essere frustata, sogni che furono più vividi in un’età compresa tra 11 e 14 anni, quando poi svanirono all’apparire dell’affetto per le ragazze. Ebbe le prime mestruazioni a 12 anni.

Il suo primo affetto, all’età di 13 anni, fu per una compagna di scuola, una graziosa ragazza civettuola, con lunghi capelli biondi e occhi azzurri. Il suo affetto si manifestava nello svolgimento di qualsiasi tipo di piccoli servizi per questa ragazza, nel fatto che pensava a lei costantemente, e nel sentirsi deliziosamente grata per le più piccole risposte a quell’affetto. All’età di 14 anni ebbe una passione simile per una cugina; aveva l’abitudine di aspettare ansiosamente le sue visite, e soprattutto le rare occasioni in cui la cugina dormiva con lei; la sua eccitazione era poi così grande che non riusciva a dormire, ma non vi era alcuna eccitazione sessuale cosciente. All’età di 15 o 16 anni si innamorò di un’altra cugina; le sue esperienze con questa ragazza furono piene di deliziose sensazioni; se la cugina le toccava solo il collo, un brivido attraversava il suo corpo, lei ora considera sessuale quel brivido. Ancora una volta, a 17 anni, ebbe una travolgente fascinazione appassionata per una compagna di scuola, una bella ragazza comune, che lei idealizzò e trasformò in una creatura eterea in misura eccessiva. Questa passione fu così violenta che la sua salute ne fu, in una certa misura, alterata; ma era una passione puramente altruistica, e non c’era niente di sessuale in essa. Lasciando la scuola all’età di 19 anni incontrò una ragazza circa della sua stessa età, molto femminile, ma non molto attratta dagli uomini. Questa ragazza fu molto attratta da lei, e cercò di ottenere il suo amore. Dopo qualche tempo la signorina H. fu anche lei attratta da questo amore, in parte per il senso di potere che le dava, e si sviluppò una relazione intima. Questa reazione divenne vagamente fisica, la signorina H. prendeva l’iniziativa, ma la sua amica desiderava tale relazione e ne traeva estremo piacere; avevano l’abitudine di toccarsi e baciarsi teneramente (in particolare sul mons Veneris), con uguale ardore. Ciascuna delle due provava una forte sensazione piacevole nel fare questo, e un forte eretismo sessuale, ma non l’orgasmo, e non sembra che l’orgasmo ci sia mai stato. Il loro comportamento generale reciproco era quello delle amanti, ma loro cercavano, per quanto possibile, di nascondere questo fatto dal mondo. Questo rapporto durò per diversi anni, e sarebbe continuato, se l’amica di Miss H., non avesse messo fine alla relazione fisica per gli scrupoli religiosi e morali. La signorina H. era stata molto bene e felice durante questo rapporto; il turbamento del rapporto sembra aver esercitato un’influenza inquietante, e anche aver suscitato i suoi desideri sessuali, anche se lei era ancora scarsamente consapevole della loro vera natura.

Poco dopo un’altra ragazza di tipo estremamente voluttuoso si innamorò della signorina H., che rispose, lasciando il totale controllo della situazione ai suoi sentimenti, ma anche al suo desiderio di dominio. In seguito si vergognò di questo episodio, anche se l’elemento fisico in esso era rimasto vago e indefinito. Il suo rimorso era così grande che quando la sua amica, pentendosi dei suoi scrupoli, la implorò di lasciare che il loro rapporto ritornasse sullo stesso piano di una volta, la signorina H., nella sua risposta, resistette ad ogni sforzo per ripristinare il rapporto fisico. Mantenne questa decisione per alcuni anni, e cercò di deviare i suoi pensieri in canali intellettuali. Quando di nuovo formò un rapporto intimo fu con un’amica congeniale, il rapporto durò per diversi anni.

Non si è mai masturbata. Di tanto in tanto, ma molto raramente, ha sognato di cavalcare e i sogni erano accompagnati da emozioni sessuali piacevoli (lei non può ricordare alcuna esperienza reale che possa aver suggerito questo, anche se è appassionata di equitazione). Non ha mai avuto alcun tipo di sogni sessuali su un uomo; in questi ultimi anni ha avuto occasionalmente sogni erotici su donne.

Il suo sentimento verso gli uomini è gentile, ma non ha mai provato attrazione sessuale verso un uomo. Li ama come buoni compagni, come gli uomini si amano tra loro. Le piace la compagnia degli uomini a causa della loro attrazione intellettuale. Lei stessa è molto attiva nel campo sociale e intellettuale. Il suo sentimento verso il matrimonio è sempre stato di ripugnanza. Può, tuttavia, immaginare un uomo che potrebbe amare o sposare.

È  attratta da donne femminili, sincere, riservate, pure, ma coraggiose nel carattere. Non è attratta da donne intellettuali, ma allo stesso tempo non può sopportare le donnicciole. Le qualità fisiche che l’attirano di più sono non tanto bellezza del viso quanto un corpo grazioso, ma non troppo esile, con belle curve. Le donne dalle quali è attratta sono di solito un po’ più giovani di lei. Le donne sono molto attratte da lei, e senza alcuno sforzo da parte sua. Le piace prendere la parte attiva e un ruolo protettivo con loro. È lei stessa energica di carattere, e con un temperamento un po’ nevrotico.

Trova soddisfazione sessuale nel toccare teneramente, nell’accarezzare, e nel baciare il corpo dell’amata. (Non c’è cunnilingus, che lei considera con orrore.) Prova più tenerezza che passione. C’è un elevato grado di eretismo sessuale quando bacia, ma l’orgasmo è raro e si produce quando si sdraia sopra la sua amica o quando la sua amica si sdraia su di lei, senza nessun contatto particolare. Le piace essere baciata, ma non così tanto come prendere la parte attiva.

Lei crede che l’amore omosessuale sia moralmente giusto quando è veramente parte della natura di una persona, e che la natura dell’amore omosessuale sia sempre resa evidente dall’oggetto di un tale affetto. Non lo approva quando è un semplice ripiego, o un’espressione di sensualità in donne normali. Ha resistito a volte all’espressione sessuale dei suoi sentimenti, una volta per più anni di seguito, ma sempre invano. L’effetto su di lei dell’amare le donne è decisamente buono, a quanto lei afferma, sia a livello fisico che spirituale, mentre la repressione conduce alla morbilità e all’isteria. Ha sofferto molto di nevrastenia in vari periodi, ma con trattamenti appropriati la cosa è lentamente diminuita. L’istinto omosessuale è troppo profondamente radicato in lei per poter essere sradicato, ma è ben controllato.

STORIA 37

Miss M., è figlia di genitori inglesi (entrambi musicisti), che erano entrambi di un temperamento che viene descritto come “intenso”, c’è un elemento nevrotico nella famiglia, anche se non c’è storia di follia o di alcolismo, lei è indenne da malattie nervose. Alla nascita era molto piccola. In un ritratto fatto all’età di 4 anni, il naso, la bocca e le orecchie sono anormalmente grandi e lei indossa un cappello da maschietto. Da bambina non si interessava alle bambole e ai bei vestiti, e spesso si chiedeva perché le altre bambine trovassero tanto piacere in quelle cose. “Per quanto posso andare indietro con la mia memoria”, scrive, “non riesco a ricordare un tempo in cui non ero diversa dagli altri bambini. Mi sentivo annoiata quando le altre bambine venivano a giocare con me, anche se non sono mai stata grezza o chiassosa nei miei divertimenti.” Cucire era sgradevole per lei. Si interessava anche un po’ di più ai passatempi dei ragazzi, e trovava il suo divertimento preferito nella lettura, specialmente di avventure e fiabe. Era sempre tranquilla, timida e impacciata. L’istinto fece per la sua prima comparsa nella seconda parte del suo ottavo anno o nella prima parte del suo nono anno. Era fortemente attratta dalla faccia di un’insegnante che aveva l’abitudine di comparire ad una finestra laterale al secondo piano dell’edificio scolastico e suonare una campana per chiamare i bambini alle loro classi. Il viso dell’insegnante sembrava molto bello, ma triste, e lei pensava all’insegnante continuamente, anche se non entrò in contatto personale con lei. Un anno dopo, questa insegnante si sposò e lasciò la scuola, e l’impressione gradualmente svanì. “Non c’era la coscienza del sesso a quel tempo”, ha scritto; “non c’era conoscenza delle questioni o delle pratiche sessuali, e le sensazioni evocate erano i sentimenti di pietà, compassione e tenerezza per una persona che sembrava essere molto triste e molto depressa. È questa la qualità o la combinazione di qualità che mi ha sempre attratta. Posso andare avanti per anni in relativa pace, e poi nonostante la mia vita pratica piena di occupazioni, può accadere qualcosa che può di nuovo tirare tutto fuori.” Le sensazioni successive le provò quando aveva circa 11 anni di età. Una giovane donna venne a visitare un vicino di casa, e fece un’impressione così così profonda sulla bambina che essa fu ridicolizzata dai suoi compagni di gioco perché preferiva sedersi in un angolo buio sul prato, dove avrebbe potuto vedere questa giovane donna, piuttosto che giocare.  Essendo una bambina sensibile, dopo questa esperienza fu attenta a non rivelare i suoi sentimenti a chiunque. Sentiva istintivamente che in questo era diversa dagli altri. Il suo senso della bellezza si sviluppò presto, ma c’era sempre una sensazione indefinibile di malinconia associata ad esso. Il crepuscolo o una notte buia quando le stelle brillavano, avevano un effetto molto deprimente su di lei, ma esercitavano nonostante tutto su di lei anche una forte attrazione, e queste immagini l’attraevano. All’età di 12 anni si innamorò di una compagna di scuola, di due anni più grande di lei, che era assorbita dai ragazzi e mai sospettò questo affetto; pianse amaramente perché quei sentimenti non potevano essere confermati in modo reciproco, ma temeva di apparire poco dignitosa e sentimentale, rivelando i suoi sentimenti. Il volto di questa amica le ricordava una delle Madonne di Dolci che lei amava. Più tardi, all’età di 16 anni, lei amò un’altra amica molto caramente e si dedico alla sua cura. C’era una sfumatura di mascolinità tra le donne della famiglia di quest’amica, ma non è chiaro se essa possa essere definita invertita. Questo è stato il periodo più felice della vita di Miss M.. Alla morte di quest’amica, che era stata a lungo di salute malferma, otto anni dopo, lei decise di non permettere più che il suo cuore se ne andasse da chiunque altro.

La gratificazione fisica specifica non svolgeva alcun ruolo in questi rapporti. Le sensazioni sessuali fisiche cominciarono ad affermarsi durante la pubertà, ma non in associazione con le sue emozioni ideali. “A questo proposito”, scrive, “avrei considerato queste cose un sacrilegio. Le ho combattute e in una certa misura con successo. La pratica dell’auto-indulgenza che avrebbe potuto diventare un’abitudine giornaliera, era occasionale. L’immagine di “lei”, evocata in quelle situazioni scacciava tali sentimenti, per il quali sentivo ripugnanza, preferendo di gran lunga i sentimenti ideali romantici. In questo modo, completamente inconsapevole del fatto che ero del tutto diversa da qualsiasi altra persona, facevo in modo di allenarmi a sopprimere o al almeno a dominare le mie sensazioni fisiche quando si presentavano. Questo è il motivo per cui l’amicizia e l’amore mi sono sempre sembrati cose così sante e belle. Non ho mai collegato le due serie di sentimenti. Penso di essere sessuata come qualsiasi altra persona, ma sono in grado di tenere un’amica tra le mie braccia e sperimentare il conforto profondo e la pace, senza provare neppure un pizzico di sentimento sessuale fisico. L’espressione sessuale può essere molto necessaria in certi momenti e in certe condizioni particolari, ma sono convinta che la libera espressione dell’affetto attraverso i canali sentimentali potrà fare molto per ridurre al minimo la necessità che esso si manifesti attraverso canali specificamente sessuali. Ho passato tre mesi senza sfogo fisico. L’unica volta che sono stata al limite della prostrazione nervosa è stato dopo che avevo soppresso l’istinto per dieci mesi. Gli altri sentimenti, che io non considero affatto sentimenti sessuali, riempiono talmente la mia vita in ogni settore – amore, letteratura, poesia, musica, attività professionali e filantropiche – che sono in grado di lasciare che il fisico si prenda cura di se stesso. Quando le sensazioni fisiche arrivano, di solito, non sto pensando affatto ad una persona cara. Potrei dissipare quelle sensazioni alzando il mio pensiero a quell’amicizia spirituale. Non so se questo sia giusto e saggio. So che è ciò che accadeva. Sembra una buona cosa praticare una sorta di inibizione dei centri [nervosi] e acquisire questo tipo di dominio. Un cattivo risultato, tuttavia, è che ho sofferto molto, a volte, per le sensazioni fisiche, e mi sentivo terribilmente depressa e infelice ogni volta che sembrava che avessero la meglio su di me.”

“Sono stata in grado”, scrive, “di dominare con successo il desiderio di una più perfetta e completa espressione dei miei sentimenti, e l’ho fatto senza grave danno per la mia salute.” “Amo poche persone”, scrive ancora, “ma in questi casi, quando ho consentito al mio cuore di andare verso un’amica, ho sempre provato i sentimenti più esaltati, e sono stata resa migliore  da quei sentimenti dal punto di vista morale, mentale e spirituale. L’amore è per me una religione.”

Per quanto riguarda il suo atteggiamento verso l’altro sesso, lei scrive: “Non ho mai sentito un’avversione per gli uomini, ma ho buoni compagni tra di loro. Durante la mia infanzia legavo bene sia con le ragazze che con i ragazzi, e stavo bene con entrambi, ma mi chiedevo perché le ragazze tendessero a flirtare con i ragazzi. Più tardi nella vita ho avuto altre amicizie con uomini, alcuni dei quali tenevano molto a me, con mio grande rammarico, perché, naturalmente, non sono interessata a sposarmi “.

Lei è una musicista, e attribuisce la sua natura in parte al temperamento artistico. È di buona intelligenza e dimostra notevole talento per le varie branche della scienza fisica. È alta circa 5 piedi e 4 pollici, e le sue fattezze non sono affatto minute. Le misure pelviche sono normali, e gli organi sessuali esterni sono abbastanza normali sotto molti aspetti, anche se un po’ piccoli. In un periodo successivo di dieci anni rispetto alla data di questa storia, un ulteriore esame, sotto anestesia, da parte di un ginecologo, non ha mostrato tracce di ovaio su un lato. La conformazione generale del corpo è femminile. Ma tenendo le palme delle mani all’insù, con le braccia dritte davanti a lei, quando congiunge le parti interne delle mani, non riesce a tenere insieme le parti interne degli avambracci, come quasi ogni donna può fare, mostrando che l’angolo femminile del braccio è perduto.

È mancina e mostra un migliore sviluppo su tutto il lato sinistro. È tranquilla e dignitosa, ma ha molti modi di fare da ragazzo nell’atteggiamento e nella parola che sembrano essere istintivi; cerca però di controllarsi continuamente, al fine di evitare quei modi di fare, ostentando modi e interessi femminili, ma restando sempre consapevole di uno sforzo nel fare questo.

La signorina M. non può vedere nulla di sbagliato nei suoi sentimenti; e, fino a quando, all’età di 28 anni, si è imbattuta nella traduzione del libro di Krafft-Ebing, non aveva idea “che i sentimenti come i miei fossero ‘banditi dalla società’, come lui dice, o fossero considerati innaturali e depravati.” Lei vorrebbe aiutare a fare luce su questo argomento e a sollevare l’ombra da altre vite. “Io protesto fortemente,” dice, “contro l’inutilità e la disumanità dei tentativi di ‘curare’ gli invertiti. Sono abbastanza sicura che abbiano tutto il diritto di vivere in libertà e felicità nella misura in cui vivono una vita altruista. Si deve tenere in mente che è l’anima che ha bisogno di essere soddisfatta, e non solo i sensi “.

STORIA 38 

Signorina V., 35 anni. Durante i primi anni di vita, fino all’età adulta fu un mistero a se stessa, e fu morbosamente consapevole di qualche fondamentale differenza tra lei e le altre persone. Non c’era nessuno con cui potesse parlare di questa sua peculiarità. Nel tentativo di dominarla o di ignorarla, diventò una persona studiosissima e raggiunse il successo nella professione che aveva scelto. Qualche anno fa si imbatté in un libro sull’inversione sessuale, che si dimostrò essere una completa rivelazione per lei della sua natura, e, mostrandole che non si trattava di un’anomalia da considerare con repulsione, le portò conforto e pace. Lei spera che le sue esperienze possano essere pubblicate per il bene di altre donne che possono soffrire delle stesse cose di cui lei ha sofferto in passato.

“Sono un insegnante di un collegio femminile. Ho 34 anni, sono di taglia media. Fino all’età di 30 anni sembravo molto più giovane, e da allora sembro più vecchia della mia età. Fino ai 21 anni avevo un aspetto sorprendentemente infantile. il mio corpo non ha nulla di maschile a quanto ne so, ma sono consapevole che la mia camminata è maschile, e mi è stato detto molte volte che faccio cose – come il cucito – ‘proprio come un uomo.’ La mia voce è piuttosto bassa, ma non profonda. Non mi piace il lavoro domestico, ma sono appassionata di sport, giardinaggio, ecc.. Quando ero così giovane che non riesco a ricordarmene, ho imparato a fischiare, una pratica in cui sono ancora esperta. Quando ero una giovane ragazza, ho imparato a   fumare, e mi piace ancora.

“Molti uomini sono stati miei buoni amici, ma ho avuto pochi corteggiatori. Non mi sento quasi mai a mio agio con un uomo, ma le donne le capisco e posso quasi sempre farmele amiche.

“Sono di origine scozzese-irlandese. La famiglia di mio padre era fatta di persone rispettabili, prospere, e religiose; la famiglia di mia madre  era fatta di persone rispettabili solo a metà, gente dalla vita dura, astuti, ma non intelligenti, operosi e capaci di fare soldi, ma appassionati del bere e delle orge. Ci sono stati molti figli illegittimi tra loro. Entrambe le mie nonne, anche se di poca istruzione, erano donne poco comuni. Dei miei quattro zii materni, tre bevevano pesantemente.

“Quando aveva 43 anni, mia madre mi mise al mondo, ero la più giovane di 8 figli. Di quelli che sono arrivati fino a età adulta, due sembrano sessualmente abbastanza normali; uno è estremamente irregolare, del tutto privo di scrupoli, è stato un ladro e un falsario, è probabilmente bigamo, e ha tradito molte donne rispettabili. A parte questo suo desiderio smodato, non so di nessun anomalia sessuale. Un altro fratello, sposato e padre, da ragazzo era molto dedito ad infatuazioni per gli uomini. Immagino che questo non sia mai andato al di là dell’infatuazione e in questi ultimi anni non è stato più evidente. Un terzo fratello, celibe, anche se molto corteggiato dalle donne a causa della sua bellezza e del fascino personale, è del tutto insensibile alle donne, non ha galanteria, né è stato mai, a quanto ne so, un corteggiatore. È, tuttavia, amante della compagnia delle donne, in particolare quelle più grandi di lui. Ha in qualche modo una voce e una camminata un po’ effeminata. Anche se ha iniziato in questi ultimi anni a fumare e a bere un po’, queste abitudini sono piuttosto strane quando sono riferite a lui. Quando era bambino, uno dei suoi giochi di finzione preferiti era quello di far finta di essere una famosa cantante donna. A scuola lo si trovava sempre in giro con ragazze più grandi.

“Da bambina amavo starmene nei campi, rifiutavo di indossare il cappellino da sole, avevo l’abitudine di far finta di essere un ragazzo, mi arrampicavo sugli alberi e giocavo palla. Mi piaceva giocare con le bambole, ma non le accarezzavo, né facevo vestiti per loro. Quando mi tagliavano i capelli, ero molto contenta e facevo in modo che tutti mi chiamassero ‘John.’ Mi piaceva indossare il cappello a tesa larga da uomo e fare pifferi col granturco. Ero molto affezionata a mio padre e cercavo di imitarlo il più possibile. Quando si trattava di animali, non avevo assolutamente paura.

“Penso di non essere stata una bambina sessualmente precoce, anche se mi sembra di aver sempre saputo che c’erano due sessi, senza approfondire troppo. Molto presto ho provavo un senso di vergogna quando il mio corpo veniva scoperto, ricordo che in un’occasione non potevo farmi convincere a spogliarmi davanti ad una giovane ragazza in vista da noi. A quel tempo dovevo avere circa tre anni. Quando avevo quattro anni un vicino che mi aveva spesso accarezzato mi prese in grembo e strinse la mia mano intorno al suo pene. Anche se si fermò solo dopo un momento, questo fatto lasciò su di me un’impressione durevole. Non provai nessuna sensazione fisica né ebbi alcuna idea del significato dell’atto. Eppure ebbi una leggera sensazione di repulsione, e devo avere vagamente sentito che era una cosa sbagliata, perché non lo dissi a mia madre. Non ero abituata a confidarmi con lei, perché, anche se dicevo la verità, ero reticente.

“All’età di 5 anni ho cominciato a frequentare una scuola distrettuale. Ricordo che il mio primo giorno di scuola fui molto attratta da una bambina che indossava un abito rosso vivo.

“La mia prima conoscenza definita del sesso arrivò in questo modo: io frequentavo la scuola del Sabato ed ero diventata ambiziosa di leggere la Bibbia intera. Ero arrivata al punto che riguarda il racconto della nascita di Esaù e Giacobbe, che suscitò la mia curiosità. Così chiesi a mia madre il significato di certe parole del brano. Lei sembrava imbarazzata e eluse la mia domanda. Questo atteggiamento stimolò ancora di più la mia curiosità, e io rilessi il capitolo fino a quando lo capii abbastanza bene. In seguito fui ulteriormente illuminata dalle compagne di gioco. Credo di essermi goduta più che qualsiasi voluttà il fatto di ascoltare i loro discorsi e di ripetere ciò che sapevo circa il mistero e la segretezza da cui gli argomenti relativi al sesso sono circondati.

“Non riesco a ricordare alcun mio atto che derivasse direttamente dal sentimento sessuale prima dei 10 anni. Molte altre bambine e io stessa due o tre volte ci siamo mostrate reciprocamente le parti intime dei nostri corpi. Almeno una volta sono stata io l’istigatrice. Questo atto mi dava un po’ di piacere, anche se non una distinta sensazione fisica. Ricordo che quando avevo circa 10 anni accadde un incidente. Una cugina e io giocavamo ‘alla casa’ insieme. Io non ricordo quello che immediatamente ci condusse a farlo, ma cominciammo ad apostrofarci come se fossimo due ragazzi e cercammo di orinare attraverso lunghi tubi di qualche tipo. Ricordo anche che provavo un vago interesse per l’atto di orinare negli animali e li osservavo da vicino mentre lo facevano.

“Da questo momento fino ai 14 anni sono cresciuta maleducata, più chiassosa e incontrollabile. Prima di questo ero stata una bambina molto trattabile. A 12 anni, a scuola, mi interessai ad un ragazzo della mia classe, e cercai di attirarlo, ma non ci riuscii. Una volta ad una festa di bambini in cui stavamo giocando a baciarci, cercai di convincerlo a baciare me, ma lui era del tutto indifferente. Non ricordo di essermi preoccupata di lui dopo questo fatto. Un anno dopo ho avuto un compagno maschio per cui il mio maestro di scuola mi prendeva in giro. Ho pensato che fosse una cosa ridicola. All’età di 13 anni ho avuto le mestruazioni, un fatto che mi ha causato vergogna e rabbia. A poco a poco ho cominciato a sentirmi sempre più strana, il perché, non lo so spiegare. Non mi sembra di essere come le altre ragazze di mia conoscenza. Adottai, come difesa, un’aria brusca e di sfida. Passavo un bel po’ di tempo a giocare da sola nel nostro cortile, dove costruii un paio di trampoli, saltavo la corda, e cose del genere. A scuola sentivo di non essere apprezzata dalle ragazze più belle e cominciai a frequentare ragazze che ora credo fossero immorali, ma che allora pensavo che non facessero niente di peggio che parlare in modo osceno. Imitavo la loro conversazione e crescevo più spericolata e incontrollabile. Il preside del liceo che frequentavo, l’ho saputo dopo, disse che ero la ragazza più difficile da controllare che avesse mai avuto. Più o meno in quel periodo lessi un libro in cui una ragazza era presentata come una che dice di avere un ‘anima di ragazzo nel corpo di una ragazza.’ L’applicabilità di questa espressione a me stessa mi colpì in modo improvviso, e io lessi quella frase a mia madre che mi disgustò mostrandosi sconvolta.

“Durante questo periodo cominciai ad innamorarmi, una pratica che si attaccò a me fino a quando ebbi circa 30 anni. Ricordo diverse donne più grandi di cui sono stata molto innamorata, e anche un uomo. Di tutte queste persone ce ne fu solo una con la quale ci conoscemmo abbastanza bene per dimostrarci un qualche tipo di affetto; un’altra era un’insegnante, e un’altra ancora era una giovane donna sposata che io avevo l’abitudine di osservare ardentemente nel corso dell’intero servizio in chiesa. Verso tutte le mie insegnanti donne avevo un atteggiamento un po’ sentimentale. Loro mi stimolavano, mentre gli uomini mi davano una sensazione del tutto impersonale. Questo sentimentalismo anomalo poteva essere stato causato, o almeno poteva essere aumentato, dalla lettura di romanzi, alcuni di natura altamente voluttuosa. Ho cominciato a leggere romanzi a 7 anni e dagli 11 ai 14 ho assorbito un gran numero di quelli indesiderabili. Questo mi ha portato a fantasticare sul mio futuro con un amante, immaginandomi in scene romantiche e di essere accarezzata e abbracciata. Avevo sempre supposto che mi sarei sposata. Quando avevo circa 5 anni decisi che, quando fossi cresciuta, avrei sposato un certo giovane che veniva a casa nostra. Diversi anni dopo lui si sposò, con mia grande delusione. Non avevo affetto per lui, ma semplicemente pensavo che sarebbe stato un marito desiderabile.

“Durante la mia adolescenza infelice ho sentito che una mia ex compagna di giochi stava per venire in visita a casa mia. Ho cominciato ad aspettare la visita con molto entusiasmo e al suo arrivo ero molto eccitata. Ho voluto rimanere sola con lei ed accarezzarla, e quando abbiamo dormito insieme ho premuto il mio corpo contro il suo in maniera sensuale, cosa che lei ha accettato, ma senza passione. Ero molto eccitata e non riuscivo a dormire. Era la prima volta che agivo in quel modo, e dopo che lei se ne andò provai vergogna e odio verso di lei. Negli incontri successivi non c’è mai stata la minima sensualità. Non abbiamo mai fatto riferimento alla prima visita e siamo ancora amiche, anche se non intime.

“Un diario che ho tenuto durante i miei 14 e 15 anni è pieno di sentimenti romantici e di termini affettuosi applicati successivamente a tre ragazze della mia età. Avevo con loro solo una conoscenza di parole, ma ero fortemente infatuata di tutte e tre. Anche un ragazzo era oggetto di adorazione.

“Durante il mio tredicesimo anno diventai per un certo tempo molto religiosa e dedita agli esercizi religiosi. Tutto questo passò e al mio quattordicesimo anno ero diventata eretica, ma ero ancora profondamente sensibile alle influenze religiose.

“Quando a avevo a malapena 16 anni dormii una notte con una donna di bassa moralità. Si comportò verso di me in maniera sensuale e risvegliò le mie sensazioni sessuali. Sentivo in quel tempo che era un peccato, ma ero dominata dalla passione. In seguito ho odiato questa donna e ho disprezzato me stessa.

“Andai poi via in un collegio misto. Qui per la prima volta mi sentii felice. Una ragazza della mia stessa età, di buon carattere e di raffinatezza evidente, si innamorò di me e mi portò a ricambiarla. Guardando le cose retrospettivamente, credo che questo sia stato un amore genuino e bello da entrambe le parti. Dopo pochi mesi, però, la nostra relazione, su mia iniziativa e contro la volontà della mia amica, diventò una relazione fisica. Esprimevamo il nostro affetto con carezze reciproche, abbracci stretti e stendendoci una sul corpo dell’altra. A volte io toccavo i suoi organi sessuali sensualmente. Tutto questo contatto mi dava brividi squisiti. Dopo tre anni abbiamo avuto un malinteso e ci siamo separate. Sono stata molto addolorata e turbata per molti anni, e sono arrivata a rimpiangere molto il rapporto fisico che era esistito tra di noi. La mia amica col tempo si innamorò e si sposò. Ho avuto diverse altre infatuazioni più leggere per donne, sono stata corteggiata da diversi uomini verso i quali sono rimasta fredda e annoiata, tranne in un caso, dove sono stata un po’ toccata, e finalmente ho trovato una duratura amicizia con una donna che si era profondamente innamorata di me ai tempi della scuola e non era mai stata in grado di interessarsi di nessun’altra. È una donna di grande talento letterario, di buona capacità generale e alti ideali. Lei è di solito molto apprezzata dagli uomini. Il suo amore per me è la cosa più reale del mondo, e sembra anche la più duratura. In un primo momento il mio sentimento per lei era quasi puramente fisico, anche se non c’erano rapporti sessuali. Odiavo questo sentimento sessuale e riuscii a superarlo per la gran parte. A volte dopo lunghe separazioni ci siamo abbracciate con grande passione, almeno da parte mia. Questo ha sempre avuto un effetto fisico negativo su di me. Attualmente, tuttavia, si verifica molto raramente. Entrambe consideriamo le sensazioni sessuali degradanti e deleterie per il vero amore. Non so proprio se in qualche momento abbiamo avuto la completa soddisfazione e gratificazione fisica. Ho sperimentato un piacere fisico molto acuto, mescolato con quello che considero una grande esaltazione mentale e una grande accelerazione delle emozioni. Questa condizione era causata da uno stretto contatto con il corpo della mia amica, solitamente dallo sdraiarmi su di lei. Ma se per ‘soddisfazione’ si intende che il desiderio, essendo stato completamente soddisfatto, cessa temporaneamente, penso che non ho mai avuto questa esperienza. Se è accaduto, è stato quando avevo circa 18 anni, quando ho vissuto con un’amica in rapporti intimi. In questi ultimi anni, in ogni caso, non mi è mai successo, e un abbraccio, comunque forte, mi lascia sempre con il desiderio di una unione più stretta, sia fisica che spirituale. Così da un paio di anni, sono giunta alla conclusione che fosse impossibile ottenere la soddisfazione fisica attraverso la donna che amavo. Sono arrivata a questa conclusione a causa degli effetti fisici negativi del contatto. I miei organi sessuali sono diventati altamente sensibili e infiammati e ho sofferto di dolore da infiammazione e di conseguente leucorrea. Se mi permettessi di indulgere in carezze, questa condizione ritornerebbe. La mia amica, per fortuna, anche se molto affettuosa ed espansiva verso di me, ha molto poca passione sessuale. L’idea che il nostro rapporto si basi su questa passione è molto ripugnante per lei. Accadde improvvisamente, un paio d’anni fa, che, molto scoraggiata e quasi senza speranza di essere in grado di superare il mio appetito, decisi che non potevamo stare insieme a meno che io non ci fossi riuscita. Allo stato attuale, con qualche aiuto, sono in gran parte riuscita a vivere con la mia amica su una base di normale compagnia, anche se affettuosa e tenera. Sono stata aiutata di più, e ho imparato di più, attraverso questa compagnia, che attraverso qualsiasi altra cosa. Il piacere appassionato che ho sentito quando ero un una relazione reciproca non l’ho mai sperimentato nella masturbazione. Per quanto mi ricordo la masturbazione non ebbe mai luogo prima che fossi molto avanti nella mia adolescenza e non fu mai una pratica abituale, tranne la prima estate che fui separata da una compagna di scuola che amavo. I pensieri di lei suscitavano sentimenti che cercavo di soddisfare in questo modo, ma l’intera sensualità dell’atto mi portò presto ad astenermene e a capire che non era quello che volevo.

“Un incidente particolare, che potrebbe avere una certa importanza, mi capitò circa cinque anni fa. Ero seduta in una piccola stanza dove si teneva un seminario. Il leader della discussione era un uomo di circa 50 anni, verso il quale alzavo gli occhi in ragione dei risultati che aveva conseguito e che rispettavo come uomo, anche se lo conoscevo socialmente molto poco. Avevo perso una notte di sonno per il mal di denti e mi sentivo nervosa. Stavo prestando tutta la mia attenzione al tema trattato, quando improvvisamente sentii una forte spinta fisica verso quell’uomo. Non sapevo cosa stavo per fare, ma mi sentii sul punto di perdere ogni controllo di me stessa. Avevo paura di andarmene, per paura che il minimo movimento mi potesse gettare nel panico. L’attrazione era del tutto fisica e del tutto diversa da cose che avevo provato prima e avevo la strana sensazione che la causa fosse proprio quell’uomo, ero come una spettatrice. Fu proprio qualche momento prima dello scioglimento della riunione che la mia “possessione” scomparve completamente e non ritornò mai più.

“Per quanto riguarda i sogni, devo dire che è solo dall’anno scorso o da due anni fa che sono stata consapevole di avere sogni chiari con eventi definiti. Sembravano di solito lasciare solo impressioni vaghe, come ad esempio la sensazione che io fossi andata a cavallo, o avessi tentato di eseguire un compito difficile. Non ricordo di aver avuto sogni sessuali per diversi anni, ma a volte vengo svegliata da un sentimento di desiderio sessuale insoddisfatto, che sembra di solito causato da un bisogno di orinare. Tra i 17 e 22 anni circa, ho spesso avuto vaghi sogni sessuali, forse diverse volte al mese. Questi sogni si presentavano sempre, credo, quando mi capitava di essere a letto con qualcuno che, nel mio sogno, potevo scambiare per la mia amica intima, e mi sarei svegliata abbracciando la mia compagna di letto, con un grado di passione a volte leggero, ma a volte notevole. Sono finalmente arrivata ​​a una certa comprensione del mio temperamento, e non sono più infelice e malinconica. Mi dispiace di non essere un uomo, perché allora potrei avere una casa e dei figli.”

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