STORIA DI UN GAY E DI UNA TRANS

Caro Project,
sono un gay di 39 anni, non posso dire un ragazzo gay perché non sono più un ragazzo e non mi sento un ragazzo. Ho avuto la mia vita e le mie storie ma non è di me che vorrei parlarti. Ieri notte (la notte tra il 23 e il 24 Agosto) girando sui canali TV come faccio spesso, sono capitato su Rai Tre, e ho visto una trasmissione sulla transizione, cioè sui trans e sulle trans. La trasmissione era bellissima, da fare venire i brividi e per me è stata sconvolgente perché mi ha fatto tornare prepotentemente alla superficie della coscienza la storia che ho vissuto con una trans, che all’inizio era un ragazzo. Ovviamente resterò molto sulle generali ma certi ricordi non solo non si dimenticano ma restano come metro di misura per tante altre cose. Sorvolo per necessità anche sulle date.
In un certo anno, quando non ero più giovanissimo ed ero di nuovo single dopo una convivenza di alcuni anni, incontro per motivi di lavoro un ragazzo molto giovane che era appena uscito dalla scuola. È un bel ragazzo, lo chiamerò Norbert. Lo osservo solo perché un bel ragazzo ma è del tutto al di fuori dei miei orizzonti, troppo giovane e poi, francamente, dovevo ancora leccarmi le ferite della mia convivenza finita. Passano un paio di mesi, siccome i motivi di lavoro restano, ho modo di incontrare Norbert parecchie volte, anche tre o quattro volte alla settimana. In breve si crea una certa simpatia tra noi. Norbert è sveglio, affidabile, conosce il suo lavoro, è quasi stupito che lo tratto con rispetto, col passare di giorni Norbert tende a parlare di più con me e anche, qualche volta, a sorridere, ma molto di rado. Comincia a starmi molto simpatico e a fidarsi di me, la cosa non mi dispiace. Comincio a pensare che sia un ragazzo gay e che si sia innamorato di me, il suo modo di fare me lo fa pensare. Comincio a chiedermi che devo fare, Norbert è un bel ragazzo ma francamente non mi tenta, penso che con lui non potrei mai costruire niente di concreto, non fosse altro che per la differenza di età, e allora decido che devo tenerlo a distanza e che devo raffreddare i suoi entusiasmi soprattutto per il suo bene perché altrimenti potrebbe rimanerci pesantemente deluso. Provo a prendere le distanze, ma lui mi insegue e non me lo permette. Un giorno mi chiede di accompagnarlo in macchina ad un paese vicino, e in macchina succede tutto quello che deve succedere, ma non quello che io mi sarei aspettato. Mi dice di accostare in una piazzola e mi chiede di punto in bianco: ”Sei gay?” Io mi sento in un imbarazzo tremendo e non rispondo, lui continua: “Lo avevo capito subito… e allora perché scappi?” allora cerco di prevenirlo: “Perché sei troppo giovane e poi io ho già un compagno (ma in realtà non lo avevo).” Lui mi risponde in un modo che mi spiazza: “Per me se hai un compagno non fa nessuna differenza!” Gli chiedo: “In che senso?” Mi dice: “Tu mi piaci ma in un modo che non puoi capire.” Lo guardo perplesso e mi dice: “Io mi sono innamorato di te perché mi sento donna e tu sei l’unica persona che mi ha trattato con rispetto, non credo che un gay possa innamorarsi di una donna nel corpo di un uomo, non funzionerebbe proprio, non avere paura, lo so.” Io mi sento frastornato, non so come reagire, lui se ne rende conto e mi dice: “Tu mi vedi come un ragazzo ma io sono una ragazza e voglio essere una ragazza. Non immagini quello che ho passato a scuola e anche in famiglia.” Il primo impeto che ho avuto è stato quello di scappare via perché non volevo immischiarmi in cose troppo complicate delle quali non sapevo nulla e poi non volevo avere nessun contatto con la famiglia di Norbert, perché non sapevo che cosa i suoi genitori avrebbero potuto pensare di me. Norbert era maggiorenne ma le complicazioni potevano essere molto grosse. A un certo punto mi dice: “Non mi chiamare Norbert, chiamami Magda, perché voglio chiamarmi così.” Per me chiamarlo Magda era difficilissimo ma con un certo sforzo ci sono riuscito. Quando sono tornato a casa avevo il cervello in ebollizione, ero uscito di casa nella convinzione che Norbert si fosse innamorato di me e rientravo a casa con la certezza che Norbert era in realtà Magda e voleva che io la aiutassi a cominciare il cammino di transizione, tutto questo mi sconvolgeva la vita e non ero preparato a tutto questo, avevo paura di finire schiacciato da responsabilità troppo grosse e di perdere completamente la mia autonomia. Mi dicevo che dovevo assolutamente cavarmi fuori da tutta questa storia, ma poi non ne avevo il coraggio. Magda capiva le mie paure e cercava di non alimentarle, era presente nella mia vita e sapeva quello che voleva da me ma non era una presenza ossessiva, aveva il senso del limite. Io mi aspettavo che potesse sfogarsi con me raccontandomi della sua vita ma lei non lo faceva, o, se lo faceva, lo faceva in modo molto limitato. Lei cercava una solidarietà vera non una spalla su cui piangere. Abbiamo parlato moltissimo ma sempre in modo molto controllato e quasi distaccato, lei non voleva spaventarmi, però anche da questo sforzo titanico di autocontrollo si capiva l’oceano di dolore che si portava dentro. Al lavoro continuava ad essere Norbert, ma quando la accompagnavo a casa Norbert era Magda, col passare dei giorni il nostro rapporto, per me, ha cessato di essere una preoccupazione e ho cominciato a chiedermi che cosa potevo fare di concreto per permettere a Magda di realizzare il suo sogno. Ho cercato di documentarmi, sono stato nottate intere su internet a cercare siti che parlassero seriamente di queste cose per sentirmi meno sprovveduto ma poi mi sono accorto che Magda ne sapeva cento volte più di me e che quindi non avrei potuto certamente aiutarla in quel modo. Abbiamo parlato moltissimo soprattutto del suo rapporto coi genitori. Il suo problema era quello di avere il supporto dei suoi genitori. I genitori pensavano che lei fosse in realtà un ragazzo gay, ma non accettavano comunque nemmeno una situazione del genere. Fare accettare loro che il loro ragazzo si sentiva in realtà una ragazza e voleva seguire il percorso di transizione mi sembrava una cosa assolutamente impossibile, l’ho detto chiaramente a Magda anche se sapevo che questo per lei poteva essere sconfortante. Magda però non era dello stesso parere e mi diceva: “Io sto preparando il terreno, però, quando sarà il momento, tu dovrai fare la tua parte.” In pratica lei nei giorni precedenti aveva cominciato ad accennare la questione ai genitori, che però erano molto perplessi e si sentivano del tutto inadeguati. Mi disse che aveva parlato di me ai genitori, cosa che mi mise molto in allarme, e aggiunse che aveva anche detto loro che io ero gay e che avrei potuto spiegare a loro tante cose. In pratica i genitori erano convinti che Magda non fosse una trans con la cosiddetta disforia di genere ma un gay con degli atteggiamenti interiorizzati troppo femminilizzati e erano arrivati ad accettare l’idea che Magda potesse trovarsi un ragazzo. Lei aveva provato a spiegare ai genitori che la questione era completamente diversa ma loro pensavano che conoscere un gay “vero” avrebbe permesso a Magda di capire che anche lei era “solo” un ragazzo gay. Dopo non molti giorni, Magda mi disse che era il mio momento e che i suoi mi aspettavano nel pomeriggio. Io non ho avuto il coraggio di tirarmi indietro e sono andato dai genitori di Magda, che mi hanno accolto con rispetto ma anche con sospetto. I primi momenti sono stati di estremo imbarazzo, ho dovuto spiegare che ero proprio gay, che avevo convissuto con un uomo per anni, questo per fare capire loro che ero un gay “vero”, poi ho raccontato come avevo conosciuto Magda, ma non sapevo come andare avanti, perché l’atmosfera era di gelo. Magda ha capito che la cosa stava prendendo una brutta piega e ha chiesto ai genitori di esporre i loro dubbi dicendo che io avrei risposto a tutte le loro domande. I genitori hanno fatto uno sforzo enorme e piano piano siamo entrati nel vivo della questione. Il padre ha cominciato con queste parole: “Norbert si fida molto di lei, la considera un amico molto serio e ci teneva molto che ci incontrassimo con lei, adesso siamo qui e dobbiamo cercare di capirci, perché noi a nostro figlio ci teniamo moltissimo.” Siamo rimasti a parlare tutti e quattro fino a mezzanotte. I genitori insistevano sul fatto che Norbert fosse solo un ragazzo gay magari un po’ effeminato, e fare capire loro che Norbert non era affatto effeminato e non era affatto gay è stato veramente difficilissimo, perché la loro interpretazione delle cose li metteva al riparo dall’idea della transizione fisica che era quella che li spaventava di più. Partivano dall’idea che siccome Norbert non aveva mai portato a casa una ragazza e non aveva mai parlato di ragazze potesse essere interessato ai ragazzi e questo per loro voleva dire che Norbert era gay. Ho provato a fare capire loro che un gay è un ragazzo che si sente maschile al 100% che si innamora di un altro ragazzo perché lo vede maschile al 100%, mentre una trans si innamora di un ragazzo perché si sente donna e se ne innamora come se ne innamora una donna e le due cose sono diversissime. Capire questi concetti per loro era difficilissimo. Pensavano che un gay si innamorasse di un ragazzo perché non si sentiva all’altezza di stare con una donna e che vedesse il suo compagno come una donna, che in una coppia gay ci fosse un gay maschile e un gay femminile e cose simili e pensavano che un ragazzo effeminato fosse molto interessante per un gay proprio perché più femminile. E poi avevano un concetto stranissimo di effeminatezza, per loro l’effeminatezza non era legata ad aspetti esteriori ma all’intima sensazione di avere una personalità nettamente femminile, per questo loro consideravano Norbert effeminato, anche se non lo era affatto. Alla fine ho detto ai genitori che se invece di usare in nome di Norbert avessero usato quello di Magda, lei ne sarebbe stata felice. La madre l’ha chiamata Magda e l’ha abbracciata. Il padre ha detto. “Mi ci vorrà un po’ di tempo ma mi ci abituerò.” Magda mi ha riaccompagnato alla macchina e era raggiante, era contenta di me e di come mi ero comportato e soprattutto delle reazioni dei genitori che sembravano possibiliste. Ti giuro, Project, che non avrei mai immaginato un pomeriggio come quello, ma appresso a quello ce ne furono tanti altri. Magda sapeva come muoversi e i genitori erano in fondo brave persone la cui vita era stata sconvolta da cose alle quali non erano minimamente preparati, loro volevano il bene di Magda ma non capivano in che cosa, in realtà, questo bene potesse concretizzarsi, comunque fare accettare ai genitori l’idea della transizione fisica fu un’impresa molto più difficile del previsto. Temevano che ci potessero essere per Magda delle gravi conseguenze a livello di salute, anche loro avevano cominciato a documentarsi ma erano disorientati. Accettavano i sentimenti trans di Magda ma solo a livello psicologico, per loro le terapie ormonali e gli interventi chirurgici erano qualcosa di inconcepibile, quasi un modo di ribellarsi alla volontà di Dio. Non avevano pregiudizi di carattere religioso ma avevano paura di spingere Magda verso una scelta di cui magari avrebbe potuto pentirsi in seguito. Erano le stesse perplessità che avevo anche io, ma Magda era molto determinata e in fondo il percorso di transizione sarebbe stato seguito da gente esperta e questo mi confortava. Alla fine comunque i genitori hanno accettato a malincuore anche la prospettiva della transizione fisica. Magda era felice, perché i genitori quanto meno l’avevano lasciata libera e non le avevano imposto nulla. Magda ha cominciato il suo percorso di transizione che però, diciamo pure in modo inatteso sia per me che per i genitori, si è concluso in una fase precoce solo psicologica, in altri termini prima delle terapie ormonali e prima della chirurgia, Magda ha parlato a lungo con un endocrinologo che le ha chiarito che avrebbe dovuto continuare ad assumere estrogeni a vita e che in fondo sarebbero cambiati i suoi caratteri sessuali secondari ma non avrebbe comunque perso la caratteristica genetica maschile e non avrebbe acquistato quella femminile. Lo psicologo insisteva sul fatto che la scelta di Magda di portare avanti la transizione doveva essere assolutamente libera e consapevole e che se aveva dei dubbi, anche piccoli, avrebbe fatto bene a prendersi il suo tempo per rifletterci sopra molto seriamente. Così c’è stato un rinvio e dopo tre mesi Magda ha maturato la decisione di non procedere oltre. In realtà Magda si sentiva in una identità femminile ma in qualche modo imperfetta e completata da un residuo di identità maschile, che in fondo non era del tutto rifiutata. Non portare avanti la transizione è stata una scelta che forse poteva essere stata ispirata anche dai genitori di Magda, questo mi è venuto in mente tante volte, ma mi rendevo conto che lei era serena e che il fatto di non procedere con la transizione era in fondo una sua scelta, perché i percorsi individuali non sono mai standard. La sospensione della transizione è stata seguita da un periodo di terapia psicologica di sostegno con una dottoressa molto competente e, in sostanza, non ci sono stati problemi. Restava comunque una malinconia profonda, che era poi quella sulla quale era incentrata la psicoterapia: era la paura della solitudine, la paura di non trovare mai un compagno. Con la transizione fisica portata a termine, Magda avrebbe avuto un aspetto femminile e “forse” avrebbe potuto trovarsi un ragazzo ma non avrebbe potuto avere figli e questo sarebbe stato comunque un condizionamento enorme. Senza la transizione fisica, Magda-Norbert sarebbe stato interessante solo per i gay ma anche con i gay alla lunga sarebbero venuti fuori problemi molto seri, e poi il sogno di Magda sarebbe stato trovare un ragazzo che si innamorasse di lei “come donna”. Senza la transizione fisica, Norbert è rimasto Norbert anche sul posto di lavoro. I miei amici, che sapevano di me, pensavano che Norbert fosse il mio ragazzo e non mi credevano quando dicevo loro che non lo era, perché Norbert, o meglio Magda, era “in un certo senso molto affettivo” la mia ragazza. La nostra storia è andata avanti per altri due anni, poi Magda, incredibile a dirsi, ha trovato un uomo etero che si è innamorato di lei e che ha avuto un coraggio enorme perché Magda era apparentemente un ragazzo a tutti gli effetti. Ho anche conosciuto il ragazzo di Magda e mi ha fatto un’ottima impressione. Lei pensava che se avesse portato a termine la transizione avrebbe potuto sposare quel ragazzo anche legalmente; allora non c’erano ancora le unioni civili, poi quando ci sono state pure in Italia, hanno fatto un’unione civile che è comparsa anche su qualche giornale come “unione gay” anche se di una unione gay c’era solo l’apparenza. Poi se ne sono andati a vivere a Milano e adesso ci sentiamo solo per le feste e per i compleanni. Chiaramente Magda continua a lavorare come Norbert ma tutto sommato penso abbia trovato almeno una relativa tranquillità, ha un ragazzo che le vuole bene. Quando hanno fatto l’unione civile hanno fatto una specie di viaggio di nozze e sono venuti a trovarmi, Magda era felice, lo si vedeva dal sorriso.
Non penso che molti gay abbiano vissuto una storia simile, in genere l’argomento trans è un tabù anche per i gay, La trasmissione di ieri notte mi ha indotto a pensare che più si parla in modo serio di queste cose più si migliora il livello della vita di tutti.
Fai liberamente quello che vuoi della mail.
Un affettuoso saluto.
Daniele (nome purtroppo inventato)

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=19&t=6904

FUORI DAL DSM: DEPATOLOGIZZARE L’OMOSESSUALITA’

Mi è stato chiesto più volte di chiarire come si sia arrivati alla depatologizzazione dell’omosessualità. Penso che la risposta migliore sia pubblicare qui la traduzione di un noto articolo di Jack Drescher “Fuori dal DSM: depatologizzare l’omosessualità”, pubblicato online il 4 dicembre 2015 sul sito della US National Library of Medicine (National Institutes of Health) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4695779/

Fuori dal DSM: depatologizzare l’omosessualità

di Jack Drescher

  1. Introduzione

Nel 1973, l’American Psychiatric Association (APA) rimosse la diagnosi di “omosessualità” dalla seconda edizione del suo Manuale Diagnostico e Statistico (DSM) [1,2]. Ciò è il risultato del confronto di teorie concorrenti, che patologizzavano l’omosessualità e di teorie che la consideravano normale. [3,4,5,6]. Nel tentativo di spiegare come tale decisione si è concretizzata, questo articolo esamina alcune teorie e alcune argomentazioni storico-scientifiche che inizialmente portarono all’inserimento dell’omosessualità nel DSM-I [7] e nel DSM-II [8], nonché alcune teorie alternative che alla fine hanno portato alla sua rimozione dal DSM III [9] e dalle successive edizioni del manuale. [10,11,12,13]. L’articolo si conclude con una discussione sulle conseguenze socioculturali di quella decisione del 1973.

  1. Teorie sull’omosessualità

È possibile formulare una tipologia descrittiva delle teorie eziologiche dell’omosessualità nel corso della storia moderna. Le teorie eziologiche generalmente rientrano in tre grandi categorie: patologia, immaturità e variante normale [14,15,16].

2.1. Teorie di patologia

Queste teorie considerano l’omosessualità degli adulti come una malattia, una condizione che devia dallo sviluppo eterosessuale “normale” [17]. La presenza di comportamenti o sentimenti di genere atipici è sintomo della malattia o del disturbo di cui devono occuparsi i professionisti della salute mentale. Queste teorie sostengono che qualche difetto interno o agente patogeno esterno causa l’omosessualità e che tali eventi possono verificarsi prima o dopo la nascita (es. Esposizione ormonale intrauterina, eccessive cure materne, paternità inadeguata o ostile, abuso sessuale, ecc..). Le teorie della patologia tendono a vedere l’omosessualità come un segno di un difetto, o anche a considerarla moralmente cattiva. Alcuni di questi teorici sono abbastanza aperti nel manifestare la loro convinzione che l’omosessualità sia un male sociale. Ad esempio, lo psichiatra e psicoanalista Edmund Bergler scrisse infamemente in un libro per un pubblico generale: “Non ho pregiudizi contro gli omosessuali; per me sono persone malate che richiedono assistenza medica … Tuttavia, sebbene io non abbia pregiudizi, direi che gli omosessuali sono essenzialmente persone sgradevoli, indipendentemente dal loro modo esteriore piacevole o spiacevole … [il loro] guscio è un misto di arroganza, finta aggressività e piagnucolii. Come tutti i masochisti psichici, sono sottomessi quando si confrontano con una persona più forte, spietati quando sono al potere, senza scrupoli nel calpestare una persona più debole ”[18], (pp. 28-29).

2.2. Teorie dell’immaturità

Queste teorie, di solito di natura psicoanalitica, considerano l’espressione di sentimenti o comportamenti omosessuali in giovane età come un normale passo verso lo sviluppo dell’eterosessualità adulta [19,20]. Idealmente, l’omosessualità dovrebbe essere solo una fase transitoria che si supera. Tuttavia, in quanto “arresto dello sviluppo”, l’omosessualità adulta è equiparata a una crescita stentata. Coloro che sostengono queste teorie tendono a considerare l’immaturità come relativamente benigna, o almeno non come “cattiva” rispetto a coloro che teorizzano che l’omosessualità è una forma di psicopatologia.

2.3. Teorie della variante normale

Queste teorie trattano l’omosessualità come un fenomeno che si verifica naturalmente [21,22,23,24]. Tali teorie in genere considerano gli individui omosessuali come nati diversi, ma si tratterebbe di una differenza naturale che colpisce una minoranza di persone, come i mancini. La convinzione culturale contemporanea che le persone siano “nate gay” è una normale teoria delle variazioni. Poiché queste teorie equiparano il normale con il naturale, definiscono l’omosessualità come buona (o, all’inizio, neutra). Tali teorie non vedono come si possa collocare l’omosessualità in un manuale diagnostico psichiatrico.

  1. Credenze di genere

È raro trovare una teoria dell’omosessualità che non si basi su credenze di genere che contengono idee culturali implicite sulle qualità “essenziali” di uomini e donne [14,16,25]. “Uomini veri” e “donne vere” sono potenti miti culturali con cui tutti devono confrontarsi. Le persone esprimono convinzioni di genere, le proprie e quelle della cultura in cui vivono, nel linguaggio di tutti i giorni, poiché accettano e assegnano, indirettamente o esplicitamente, significati di genere a ciò che fanno, pensano e sentono loro e gli altri. Le convinzioni di genere toccano quasi ogni aspetto della vita quotidiana, comprese le preoccupazioni banali come quali scarpe gli uomini dovrebbero indossare o domande “più profonde” sulla mascolinità come se gli uomini possano piangere apertamente o dormire con altri uomini. Le convinzioni di genere sono incorporate nelle domande su quale carriera una donna dovrebbe perseguire e, a un altro livello di discorso, cosa significherebbe se una donna professionista dovesse rinunciare all’educazione dei figli o perseguire una carriera in modo più aggressivo di un uomo.

Le convinzioni di genere sono generalmente basate su alternative binarie di genere. L’alternativa binaria più antica e conosciuta è l’alternativa maschio / femmina. Tuttavia, esiste anche l’alternativa binaria del XIX secolo omosessualità / eterosessualità (o gay / etero nel XX secolo) e l’emergente binaria alternativa del XXI secolo di transgender / cisgender. Va notato che le alternative binarie non sono limitate all’uso comune. Molti studi scientifici sull’omosessualità contengono anche convinzioni binarie di genere implicite (e spesso esplicite). Ad esempio, l’ ipotesi intersessuale dell’omosessualità [26,27] sostiene che il cervello degli individui omosessuali mostra caratteristiche che sarebbero considerate più tipiche dell’altro sesso. La credenza di genere essenzialista implicita nelle ipotesi intersessuali è che l’attrazione per le donne è un tratto maschile, che nel caso di Sigmund Freud [28], per esempio (vedi anche sotto), ha portato alla sua teoria che le lesbiche hanno una psicologia maschile. Allo stesso modo, i ricercatori biologici hanno presunto che gli uomini gay abbiano cervelli che assomigliano più da vicino a quelli delle donne [29] o che ricevano frammenti extra dei cromosomi X (femminili) delle loro madri [30].

Le convinzioni di genere di solito consentono solo l’esistenza di due sessi. Per mantenere questa alternativa binaria di genere, la maggior parte delle culture insisteva tradizionalmente affinché ogni individuo fosse assegnato alla categoria di uomo o donna alla nascita e affinché gli individui successivamente si conformassero alla categoria a cui erano stati assegnati. Le categorie di “uomo” e “donna” sono considerate mutuamente esclusive, sebbene vi siano eccezioni, come nel Simposio di Platone e in alcune culture dei nativi americani [31]. (Vedi anche Fausto-Sterling [32,33,34] per le critiche ponderate di uno scienziato alle alternative binarie di genere). Queste convinzioni sono alla base delle teorie della metà del XX secolo secondo cui i bambini nati con genitali anomali dovevano immediatamente essere sottoposti a interventi chirurgici non necessari per ridurre le ansie dei genitori sul fatto che fossero ragazzi o ragazze [25,34,35].

Le rigide convinzioni di genere di solito prosperano nelle comunità religiose fondamentaliste in cui qualsiasi informazione o spiegazione alternativa che potrebbe sfidare i presupposti impliciti ed espliciti non è gradita. Quando si entra nel campo del genere e della sessualità, non è insolito incontrare un’altra forma di pensiero binario: i “racconti morali” sul fatto che certi tipi di pensieri, sentimenti o comportamenti siano “buoni o cattivi” o sul fatto che essi siano “buoni o cattivi” in alcuni casi. [14,15,16]. L’alternativa binaria buono / cattivo non è limitata alla sola religione, poiché il linguaggio della moralità si trova inevitabilmente, ad esempio, nelle teorie sulle “cause” dell’omosessualità. Perché in assenza di certezza sull’ “eziologia” dell’omosessualità, le convinzioni binarie di genere e le basi morali ad esse associate giocano spesso un ruolo nelle teorie sulle cause e / o sui significati dell’omosessualità. Quando si riconoscono le forme narrative di queste teorie, alcuni dei giudizi morali e delle credenze incorporate in ciascuna di esse diventano più evidenti.

  1. I primi teorici dell’omosessualità

Per gran parte della storia occidentale, le dichiarazioni ufficiali sul significato dei comportamenti omosessuali sono state principalmente di competenza delle religioni, molte delle quali consideravano l’omosessualità moralmente “cattiva” [36]. Tuttavia, poiché la cultura occidentale del XIX secolo ha spostato il potere dall’autorità religiosa a quella secolare, i comportamenti omosessuali, come altri “peccati”, sono stati sottoposti ad un esame minuzioso da parte della legge, della medicina, della psichiatria, della sessuologia e dell’attivismo per i diritti umani. Alla fine, categorie religiose come la possessione demoniaca, l’ubriachezza e la sodomia sono state trasformate nelle categorie scientifiche di follia, alcolismo e omosessualità.

Pertanto, la storia moderna dell’omosessualità inizia di solito a metà del XIX secolo, in particolare con gli scritti di Karl Heinrich Ulrichs [21]. Formatosi in legge, teologia e storia, potrebbe essere considerato uno dei primi sostenitori dei diritti degli omosessuali che ha scritto una serie di trattati politici che criticano le leggi tedesche che criminalizzano le relazioni omosessuali tra uomini. Ha ipotizzato che alcuni uomini fossero nati con lo spirito di una donna intrappolato nei loro corpi e che questi uomini costituissero un terzo sesso che  egli ha chiamato urnings. Ha anche definito una donna che oggi chiameremmo lesbica come urningin, come lo spirito di un uomo intrappolato nel corpo di una donna.

Nel 1869, il giornalista ungherese Károli-Mária Kertbeny coniò per la prima volta i termini “omosessuale” e “omosessualità” in un trattato politico contro il paragrafo 143, una legge prussiana successivamente codificata nel paragrafo 175 della legge tedesca, che criminalizzava il comportamento omosessuale maschile [37]. Kertbeny avanzò la sua teoria che l’omosessualità fosse innata e immutabile, argomentando che si trattava di una variazione normale, come contrappeso contro gli atteggiamenti morali di condanna che avevano portato all’approvazione delle leggi sulla sodomia.

Richard von Krafft-Ebing, uno psichiatra tedesco, ha presentato una prima teoria della patologia, descrivendo l’omosessualità come un disturbo “degenerativo”. Adottando la terminologia di Kertbeny, ma non le sue convinzioni normalizzanti, la Psychopathia Sexualis di Krafft-Ebing del 1886 [17] considerava i comportamenti sessuali non convenzionali attraverso la lente della teoria darwiniana del XIX secolo: i comportamenti sessuali non procreativi, masturbazione inclusa, erano considerati forme di psicopatologia. In un capovolgimento ironico della moderna teoria del “gay nato”, Krafft-Ebing credeva che sebbene si potesse nascere con una predisposizione omosessuale, tali inclinazioni dovessero essere considerate una malattia congenita. Krafft-Ebing è stato influente nel diffondere tra le comunità mediche e scientifiche sia il termine “omosessuale” così come il suo punto di vista sull’omosessualità come disturbo psichiatrico. La Psychopathia Sexualis sembra presagire molti dei presupposti patologizzanti riguardanti la sessualità umana tipici dei manuali diagnostici psichiatrici della metà del XX secolo.

Al contrario, Magnus Hirschfeld [38], anche lui psichiatra tedesco, ha offerto una visione normativa dell’omosessualità. Hirschfeld, un omosessuale dichiarato, medico e ricercatore di sessuologia, è stato un leader del movimento omofilo tedesco del suo tempo così come l’alfiere delle teorie sul terzo sesso di Ulrich [21] del XIX secolo.

  1. Teorizzazione psicoanalitica

Confutando direttamente le teorie di Hirschfeld sulla variazione normale e la teoria della patologia di Krafft-Ebing, Sigmund Freud [19] propose una teoria alternativa che avrebbe trovato la sua strada anche nell’immaginazione popolare. Poiché credeva che tutti nascessero con tendenze bisessuali, le espressioni di omosessualità potevano essere una fase normale dello sviluppo eterosessuale. Questa credenza nella bisessualità innata non consentiva la possibile esistenza del terzo sesso di Hirschfeld: “La ricerca psicoanalitica è decisamente contraria a qualsiasi tentativo di separare gli omosessuali dal resto dell’umanità come un gruppo di carattere speciale” [19], (p. 145n). Inoltre, Freud sosteneva che l’omosessualità non poteva essere una “condizione degenerativa” come sosteneva Krafft-Ebing perché, tra le altre ragioni, “si trovava in persone la cui efficienza non è compromessa e che si distinguono per sviluppo intellettuale e cultura etica particolarmente elevati” [19], (p. 139). Invece, Freud vedeva le espressioni del comportamento omosessuale degli adulti come causate da uno sviluppo psicosessuale “arrestato”, una teoria dell’immaturità. Verso la fine della sua vita, Freud scrisse: “L’omosessualità non è sicuramente un vantaggio, ma non è nulla di cui vergognarsi, nessun vizio, nessun degrado; non può essere classificata come una malattia; la consideriamo una variazione della funzione sessuale, prodotta da un certo arresto dello sviluppo sessuale”[39], (p. 423). Questa convinzione lo rese pessimista sugli sforzi per cambiare un orientamento omosessuale in uno eterosessuale: “In generale, impegnarsi a convertire un omosessuale pienamente sviluppato in un eterosessuale non offre molte più prospettive di successo del contrario, e comunque, per buone ragioni pratiche, questo secondo tentativo non viene mai messo in pratica”[28], (p. 151).

Tuttavia, dopo la morte di Freud nel 1939, la maggior parte degli psicoanalisti della generazione successiva arrivò a considerare l’omosessualità come patologica. Essi hanno proposto una comprensione rivisitata dell’omosessualità e “cure” psicoanalitiche che erano sfuggite al fondatore del campo. Le loro opinioni erano basate sulle teorie di Sandor Rado [40,41], un emigrato ungherese negli Stati Uniti le cui teorie ebbero un impatto significativo sul pensiero psichiatrico e psicoanalitico americano della metà del XX secolo. Rado sosteneva, a differenza di Freud, che non esistevano né bisessualità innata né omosessualità normale. L’eterosessualità era l’unica norma biologica e l’omosessualità veniva riconcettualizzata come un evitamento “fobico” dell’altro sesso causato da una genitorialità inadeguata. La teorizzazione di Rado ha informato il lavoro di Bieber et al. [42] e Socarides [43], analisti le cui affermazioni su possibili “cure” psicoanalitiche dell’omosessualità furono ampiamente accettate dalla loro comunità professionale sebbene mai verificate in modo significativo o empirico (cfr. Moor [44]; Tripp [45]).

A metà del XX secolo la psichiatria americana è stata fortemente influenzata da queste prospettive psicoanalitiche. Di conseguenza, nel 1952, quando l’APA pubblicò la prima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico (DSM-I) [7], elencava tutte le condizioni che gli psichiatri consideravano allora un disturbo mentale. Il DSM-I ha classificato “l’omosessualità” come un “disturbo sociopatico della personalità”. Nel DSM-II, pubblicato nel 1968 [8], l’omosessualità è stata riclassificata come “deviazione sessuale”.

  1. I sessuologi

Mentre psichiatri, medici e psicologi cercavano di “curare” l’omosessualità, i ricercatori del sesso della metà del XX secolo hanno invece studiato uno spettro più ampio di individui che includevano popolazioni “non pazienti”. Gli psichiatri e altri medici hanno tratto conclusioni da un campione distorto di pazienti in cerca di cure per l’omosessualità o per altre difficoltà e poi hanno descritto i risultati di questo gruppo auto-selezionato come casi clinici. Alcune teorie sull’omosessualità erano basate su studi sulle popolazioni carcerarie. I sessuologi, d’altra parte, hanno condotto studi sul campo in cui sono usciti e hanno reclutato un gran numero di soggetti “non pazienti” nella popolazione generale.

La ricerca più importante in quest’area è stata quella di Alfred Kinsey e dei suoi collaboratori, pubblicata in due rapporti che hanno avuto larga eco nella stampa [22,23]. I rapporti Kinsey, esaminando migliaia di persone che non erano pazienti psichiatrici, hanno scoperto che l’omosessualità è più comune nella popolazione generale di quanto generalmente si credesse, sebbene la sua ormai famosa statistica del “10%” sia oggi ritenuta più vicina all’1-4% [46]. Questa scoperta era nettamente in contrasto con le affermazioni psichiatriche dell’epoca secondo cui l’omosessualità era estremamente rara nella popolazione generale. Lo studio di Ford e Beach [47] su diverse culture e comportamenti animali, ha confermato l’opinione di Kinsey che l’omosessualità era più comune di quanto sostenuto dalla psichiatria e che si trovava regolarmente in natura. Alla fine degli anni ’50, Evelyn Hooker [24], una psicologa, pubblicò uno studio in cui confrontava i risultati dei test psicologici di 30 uomini gay con 30 controlli eterosessuali, nessuno dei quali era un paziente psichiatrico. Il suo studio non ha trovato più segni di disturbi psicologici nel gruppo maschile gay, una scoperta che confutava le convinzioni psichiatriche del suo tempo che tutti gli uomini gay avevano gravi disturbi psicologici.

  1. La decisione APA del 1973

Gli psichiatri americani per lo più hanno ignorato questa crescente mole di ricerche sul sesso e, nel caso di Kinsey, hanno espresso estrema ostilità nei confronti dei risultati che contraddicevano le loro teorie [48]. Va inoltre notato che alcuni gruppi di attivisti omofili (gay) della metà del XX secolo avevano accettato il modello di malattia proposto dalla psichiatria come alternativa alla condanna sociale dell’ “immoralità” dell’omosessualità ed erano disposti a lavorare con professionisti che cercavano di “trattare” e “curare” l’omosessualità. Altri attivisti gay, tuttavia, avevano respinto con forza il modello patologico come uno dei principali responsabili dello stigma associato all’omosessualità. È stato quest’ultimo gruppo a portare all’attenzione dell’APA le moderne teorie sulla ricerca sessuale. Sulla scia delle rivolte di Stonewall del 1969 a New York City [49], attivisti gay e lesbiche, ritenendo che le teorie psichiatriche contribuissero pesantemente allo stigma sociale antiomosessuale, interruppero gli incontri annuali del 1970 e 1971 dell’APA.

Come ha notato Bayer [1], fattori sia esterni che interni all’APA porterebbero a una riconcettualizzazione del posto dell’omosessualità nel DSM. Oltre ai risultati della ricerca della psichiatria esterna, c’era un crescente movimento antipsichiatrico [50], per non parlare dei critici degli studi culturali che consideravano ridicolizzata la storia della medicina dall’eccesso diagnostico, citando l’esempio della drapetomania, del XIX secolo, un “disturbo degli schiavi che hanno la tendenza a scappare dal loro padrone a causa di un’innata propensione alla voglia di viaggiare” [51], (p. 357).

C’era anche un emergente cambio generazionale della guardia all’interno dell’APA, emergevano giovani leader che sollecitavano l’organizzazione a una maggiore consapevolezza sociale [2]. Pochissimi psicoanalisti come Judd Marmor [5,52] stavano anche discutendo con l’ortodossia psicoanalitica riguardo all’omosessualità. Tuttavia, il catalizzatore più significativo per il cambiamento diagnostico è stato l’attivismo gay.

Le proteste degli attivisti gay sono riuscite ad attirare l’attenzione dell’APA e hanno portato a piattaforme di discussione senza precedenti nei successivi due incontri annuali del gruppo. Una piattaforma del 1971, intitolata “Gay is Good”, presentava gli attivisti gay Frank Kameny e Barbara Gittings che spiegavano agli psichiatri, molti dei quali ascoltavano questi discorsi per la prima volta, lo stigma causato dalla diagnosi di “omosessualità” [53,54,55]. Kameny e Gittings tornarono a parlare all’incontro del 1972, questa volta raggiunti da John Fryer, MD Fryer apparve nei panni del Dr. H Anonymous, uno “psichiatra omosessuale” che, data la paura realistica delle conseguenze professionali avverse per il coming out in quel momento, nascose la sua vera identità al pubblico e parlò della discriminazione che gli psichiatri gay devono affrontare nella loro stessa professione [1,2].

Mentre si svolgevano proteste e discussioni, l’APA si impegnò in un processo deliberativo interno per considerare la questione se l’omosessualità debba rimanere una diagnosi psichiatrica. Ciò includeva un simposio nella riunione annuale dell’APA del 1973 in cui i partecipanti a favore e contrari alla rimozione dovevano rispondere alla domanda: “L’omosessualità dovrebbe essere nella nomenclatura APA?” [56]. Il Comitato per la Nomenclatura, l’ente scientifico dell’APA che si occupava di questo problema, affrontò anche la questione di cosa costituisca un disturbo mentale. Robert Spitzer, che presiedeva un sottocomitato che esaminava la questione, “aveva riesaminato le caratteristiche dei vari disturbi mentali, ed era giunto alla conclusione che, con l’eccezione dell’omosessualità e forse di alcune delle altre ‘deviazioni sessuali’, tutti i disturbi mentali hanno regolarmente causato disagio soggettivo o sono stati associati ad un deterioramento generalizzato dell’efficacia sociale del comportamento”[57], (p. 211). Essendo arrivato a questa nuova definizione di disturbo mentale, il Comitato per la Nomenclatura ha convenuto che l’omosessualità di per sé non era un disturbo mentale. Diversi altri comitati APA e organi deliberativi hanno quindi riesaminato e accettato il lavoro e le raccomandazioni del Comitato per la Nomenclatura. Di conseguenza, nel dicembre 1973, il Consiglio di Amministrazione dell’APA (BOT) votò per rimuovere l’omosessualità dal DSM.

Tuttavia, gli psichiatri della comunità psicoanalitica si opposero alla decisione. Presentarono una petizione all’APA per tenere un referendum chiedendo a tutti i membri di votare a sostegno o contro la decisione del BOT. La decisione di rimuovere fu confermata da una maggioranza del 58% dei 10.000 membri votanti.

Va notato che gli psichiatri non hanno votato, come spesso riportato dalla stampa popolare, sul fatto che l’omosessualità debba rimanere una diagnosi. Ciò su cui i membri dell’APA hanno votato è stato di “favorire” o “opporsi” alla decisione del Consiglio di fondazione dell’APA e, per estensione, al processo scientifico che era stato istituito per prendere la decisione [1], (p. 148). Inoltre, gli oppositori della rimozione del 1973 hanno ripetutamente cercato di screditare l’esito del referendum dichiarando che “la scienza non può essere decisa con un voto” [58]. Tuttavia, essi di solito trascurano di menzionare che coloro che sono favorevoli al mantenimento della diagnosi sono stati quelli che per primi hanno chiesto il voto. Nel 2006 l’Unione Astronomica Internazionale ha votato se Plutone fosse un pianeta [59,60], dimostrando che anche in una scienza rigorosa come l’astronomia, l’interpretazione dei fatti è sempre filtrata attraverso la soggettività umana.

In ogni caso, gli eventi del 1973 non hanno posto fine immediatamente alla patologizzazione psichiatrica di alcune manifestazioni della omosessualità. Perché al posto dell’ “omosessualità”, il DSM-II conteneva una nuova diagnosi: Disturbo dell’orientamento sessuale (SOD). SOD considerava l’omosessualità una malattia se un individuo con attrazione per lo stesso sesso la trovava angosciante e voleva cambiare [56,57]. La nuova diagnosi legittimava la pratica delle terapie di conversione sessuale (e presumibilmente giustificava il rimborso assicurativo anche per quegli interventi), anche se l’omosessualità di per sé non era più considerata una malattia. La nuova diagnosi ha anche tenuto conto dell’improbabile possibilità che una persona insoddisfatta di un orientamento eterosessuale potesse cercare un trattamento per diventare gay [61].

La SOD è stata successivamente sostituita nel DSM-III [9] da una nuova categoria chiamata “Ego Dystonic Homosexuality” (EDH) [57]. Tuttavia, era ovvio per gli psichiatri, più di un decennio dopo, che l’inclusione prima del SOD, e poi dell’EDH, fosse il risultato di precedenti compromessi politici e che nessuna delle due diagnosi soddisfaceva la definizione di disturbo nella nuova nosologia. Altrimenti, tutti i tipi di disturbi dell’identità potrebbero essere considerati disturbi psichiatrici. “Le persone di colore insoddisfatte della loro razza dovrebbero essere considerate malate di mente?” I critici hanno posto questa domanda. Che dire delle persone basse insoddisfatte della loro altezza? Perché non la masturbazione ego-distonica [62]? Di conseguenza, l’omosessualità ego-distonica fu rimossa dalla successiva revisione, DSM-III-R, nel 1987 [10]. In tal modo, l’APA accettava implicitamente la visione dell’omosessualità come variante normale in un modo che non era stato possibile quattordici anni prima [63].

  1. Conclusioni

La revisione diagnostica dell’APA del 1973 fu l’inizio della fine della partecipazione ufficiale della medicina organizzata alla stigmatizzazione sociale dell’omosessualità. Cambiamenti simili si sono verificati gradualmente anche nella comunità internazionale degli operatori della salute mentale. Nel 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso l’omosessualità di per sé dalla Classificazione internazionale delle malattie (ICD-10) [64]. Di conseguenza, i dibattiti sull’omosessualità si sono gradualmente spostati dalla medicina e dalla psichiatria nella dimensione morale e politica, poiché le istituzioni religiose, governative, militari, dei media e dell’istruzione sono state private della razionalizzazione medica o scientifica per la discriminazione.

Di conseguenza, gli atteggiamenti culturali nei confronti dell’omosessualità sono cambiati negli Stati Uniti e in altri paesi quando coloro che hanno accettato l’autorità della Scienza su tali questioni hanno gradualmente accettato la visione normalizzante. Perché se l’omosessualità non fosse più considerata una malattia, e se non si accettassero letteralmente i divieti biblici contro di essa, e se le persone gay sono capaci e pronte a comportarsi come cittadini produttivi, allora cosa c’è di sbagliato nell’essere gay? Inoltre, se non c’è niente di sbagliato nell’essere gay, quali principi morali e legali dovrebbe sostenere la società in generale nell’aiutare le persone gay a vivere apertamente la propria vita?

Il risultato, in molti paesi, alla fine ha portato, tra le altre cose, a (1) l’abrogazione delle leggi sulla sodomia che criminalizzavano l’omosessualità; (2) l’emanazione di leggi che proteggono i diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) nella società e sul posto di lavoro; (3) la capacità del personale LGBT di servire apertamente nell’esercito; (4) l’uguaglianza nel matrimonio e le unioni civili in un numero sempre crescente di paesi; (5) l’agevolazione dei diritti di adozione dei genitori gay; (6) la facilitazione dei diritti ereditari dei coniugi gay; e (7) un numero sempre crescente di denominazioni religiose che possono consentire alle persone apertamente gay di far parte del clero.

Cosa ancora più importante, in medicina, psichiatria e nelle altre professioni della salute mentale, la rimozione della diagnosi dal DSM ha portato a un cambiamento importante dal porre domande su “cosa causa l’omosessualità?” e “come possiamo trattarla?” al concentrarsi invece sui bisogni di salute e di salute mentale delle popolazioni di pazienti LGBT [65].

Riferimenti

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=16&t=6900

GAY E SINODO DEI GIOVANI

Nell’Ottobre del 2014, solo quattro anni fa, a conclusione del Sinodo sulla famiglia, mi trovai a scrivere un articolo intitolato “Il Sinodo sulla famiglia e il topolino gay”. Il titolo alludeva al fatto che dopo le grandi aspettative suscitate dall’”Instrumentum laboris”, cioè dal documento preparatorio, la “Relatio post discerptationem “ aveva enormemente ridimensionato le cose, e la “Relatio Synodi” cioè il documento finale, aveva definitivamente mortificato qualsiasi aspettativa, limitandosi alla materiale ripetizione dei contenuti delle ”Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” firmata da Joseph Ratzinger, allora Prefetto delle Congregazione per la Dottrina della Fede, nel giugno del 2003. La montagna, dopo un lungo e faticoso travaglio, aveva partorito il topolino ma i padri sinodali ne erano rimasti così terrorizzati da affrettarsi a divorarlo prima che uscisse dall’aula del Sinodo. Ma “Sic transit gloria mundi!”

Il 28 Agosto di quest’anno scrissi un altro articolo “Papa Francesco non sa cosa sia l’omosessualità” quando Papa Francesco, nel volo di ritorno da Dublino, parlando a braccio, come è solito fare, rispondendo ad una domanda relativa all’atteggiamento che dovrebbe prendere un genitore di fronte al coming out del figlio, così si espresse:

“In quale età si manifesta questa inquietudine del figlio, è importante, una cosa è quando si manifesta da bambino, c’è… ci sono molte cose da fare… con la psichiatria… per vedere come… come sono le cose. Un’altra cosa è quando si manifesta un po’ dopo vent’anni o cose del genere, no?…”

Ero stupito che il Papa non avesse assolutamente le idee chiare su quello che la Psichiatria seria dice della omosessualità, anche se oggettivamente l’omosessualità non appare e non è certo la tematica fondamentale o il pensiero ossessivo di Papa Francesco. Va sottolineato però che, a parte questo cenno improvvido, negli atteggiamenti personali di Papa Francesco sono del tutto assenti i toni della crociata anti-gay tipici di Benedetto XVI, ai quali si ispirava anche il Sinodo sulla famiglia del 2014.

Da pochi giorni si è concluso il Sinodo sui giovani e cercherò qui di seguirne lo sviluppo relativamente al tema della omosessualità.

Il Documento finale pre-sinodale, così si esprime sul tema:

“Problemi come la pornografia distorcono la percezione della sessualità umana da parte dei giovani. La tecnologia usata in questo modo crea una ingannevole realtà parallela che ignora la dignità umana.”

“C’è spesso grande disaccordo tra i giovani, sia dentro che fuori la Chiesa, riguardo ad alcuni dei suoi insegnamenti che oggi sono particolarmente dibattuti. Tra questi troviamo: contraccezione, aborto, omosessualità, convivenza, matrimonio e la modalità di percezione del sacerdozio nelle diverse realtà della Chiesa. E’ importante notare che, indipendentemente dal livello di comprensione degli insegnamenti della Chiesa, continua ad esserci disaccordo e dibattito aperto tra gli stessi giovani su queste controverse questioni. Di conseguenza, può darsi che essi vogliano che la Chiesa cambi i suoi insegnamenti o, perlomeno, che fornisca una migliore spiegazione ed una maggiore formazione su tali questioni. Nonostante questo dibattito interno, i giovani cattolici le cui convinzioni sono in contrasto con l’insegnamento ufficiale della Chiesa desiderano comunque farne parte. Molti giovani cattolici accettano questi insegnamenti, trovando in essi una fonte di gioia. Desiderano che la Chiesa non solo continui ad attenervisi nonostante la loro impopolarità, ma che li proclami insegnandoli con maggiore profondità.”

“Noi, la Chiesa giovane, chiediamo alle nostre guide di affrontare in maniera concreta argomenti controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e senza tabù. Alcuni percepiscono la Chiesa come “antiscientifica”; per questo il dialogo con la comunità scientifica è certamente importante, in quanto la scienza è in grado di illuminare la bellezza della creazione.”

Vorrei soffermarmi in particolare su ciascuno di questi punti.

È un fatto evidente che la pornografia distorce la percezione della sessualità e non solo quella dei giovani, tuttavia la Chiesa condanna come pornografia anche la rappresentazione non distorta della sessualità. Ho insistito spesso anche io sul fatto che la pornografia non rappresenta correttamente la sessualità ma ritengo che una rappresentazione realistica della sessualità, che non la banalizzi e non la riduca a mera performance, sia non solo utile ma necessaria perché si capisca che la sessualità può essere espressione di un’affettività profonda, ma può anche essere vissuta in modo leggero ma comunque rispettoso dell’altro, e può perfino trasformarsi in una forma di sopraffazione e di violenza e questo vale sia in ambito gay che etero. Sento molti ragazzi gay usare espressioni del tipo: “Preferisco mille volte vedere una storia d’amore gay con un po’ di sesso che un porno, che alla fine non ha alcun senso ed è stato costruito solo per fini commerciali.” Bisognerebbe meditare sull’idea di una educazione sessuale (anche degli adulti) costruita sulla realtà per non lasciare spazio alla sola strumentalizzazione della sessualità, ma su questo terreno la Chiesa non si è mai espressa seriamente.

Quanto al disaccordo tra i giovani, sia dentro che fuori della Chiesa, su temi che adesso sono particolarmente dibattuti, tra i quali si trova anche l’omosessualità, va detto che il disaccordo non esiste solo tra i giovani ma anche tra le persone di età matura e anche all’interno della stessa Chiesa gerarchica. Quando il documento preparatorio parla di “giovani cattolici le cui convinzioni sono in contrasto con l’insegnamento ufficiale della Chiesa, che desiderano comunque farne parte” afferma che ci si può sentire cattolici e nello stesso tempo in contrasto con l’insegnamento ufficiale della Chiesa e questo accade proprio perché si ritiene che quell’insegnamento sia comunque non conforme allo spirito evangelico e sia viziato da visioni pregiudiziali, da eredità di altre epoche che andrebbero radicalmente riviste alla luce di una visione scientificamente fondata sulla realtà, basti a questo proposito ricordare che il Catechismo della Chiesa cattolica e i documenti pontifici in tema di omosessualità parlano di “grave depravazione”, “funesta conseguenza di un rifiuto di Dio”, “mancanza di evoluzione sessuale normale”, “costituzione patologica” , “comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale”. San Pio X, nel suo Catechismo del 1910, classifica il “peccato impuro contro natura” come secondo per gravità solo all’omicidio volontario, fra i peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”.

Tutte queste cose sono, oltre che pericolose, perfino ridicole per chi ha un minimo di conoscenza della realtà, del tutto lontane della oggettività scientifica e frutto di puri pregiudizi, queste cose andrebbero riviste radicalmente con onestà intellettuale. L’idea della omosessualità come “colpa” o come “patologia” ha ormai fatto il suo tempo ed è stata archiviata dalla comunità scientifica da decenni. L’affermazione secondo la quale « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati », contenuta nell’art. 2357 del Catechismo della Chiesa Cattolica stride fortemente con l’affermazione più volte ripetuta dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale l’omosessualità è “una variante naturale e non patologica” della sessualità umana.

Il documento preparatorio afferma che la dottrina della Chiesa è per molti cattolici fonte di gioia. Da quello che vedo ogni giorno tra i giovani gay, la dottrina della Chiesa in tema di omosessualità è una delle motivazioni di fondo per le quali i gay abbandonano la Chiesa, migrando talvolta verso altre confessioni religiose. I giovani gay abbandonano una Chiesa che li bolla come gravemente depravati, come persone che scontano le funeste conseguenze di un rifiuto di Dio, come individui sessualmente non normali, casi patologi che mettono in pratica comportamenti intrinsecamente cattivi dal punto di vista morale, secondi per gravità solo all’omicidio volontario! Mi chiedo come sia possibile provare gioia di fonte a queste affermazioni che non sono solo pericolose e violentemente omofobe ma sono radicalmente anticristiane.

Nel documento preparatorio si legge: “Noi, la Chiesa giovane, chiediamo alle nostre guide di affrontare in maniera concreta argomenti controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e senza tabù.”

Mi fermo su un solo elemento la cui presenza è sorprendente: il “gender”, una specie rimodernata di “araba fenice” di metastasiana memoria, una cosa della quale tutti parlano ma che nessuno ha mai visto! Ne parla Benedetto XVI in modo insistente, e questo non stupisce troppo, ma perfino papa Francesco ha espresso qualche preoccupazione per la teoria del gender, che però non ha alcun riscontro scientifico, né la sociologia né la psichiatria seria hanno mai parlato di questo fantomatico argomento e meno che mai nel modo assolutamente improbabile descritto dagli atti della Chiesa. La cosiddetta teoria del gender è un’invenzione di Mons. Tony Anatrella. «La teoria del “gender” ci prepara un mondo dove nulla sarà più percepito come stabile», dice lo psicanalista Tony Anatrella. «I danni provocati dal divorzio non sono nulla rispetto a quelli che può causare l’ideologia LGBT» (https://www.tempi.it/e-vietato-dirlo-ma-col-sesso-non-si-gioca/#.WBRzvPmLSUl). Aggiungo solo per inciso che Mons. Anatrella è accusato di abusi sessuali e l’articolo di Mediapart : «De nouveaux témoignages accablent Mgr Anatrella et ses thérapies sexuelles»  fornisce ampi ragguagli in proposito.

Mi chiedo come sia possibile dare spazio alle estemporanee teorie di Mons. Tony Anatrella e trascurare del tutto quello che l’Organizzazione Mondiale della Sanità va ripetendo ormai da diversi decenni. E ci si dovrebbe stupire che qualcuno possa accusare la Chiesa di anti-scientificità? Galileo docet: “il lupo perde il pel ma non il vizio.”

Vengo ora all’esame del documento finale del Sinodo relativamente alle parti concernenti l’omosessualità.

Comincio con un’osservazione: nel documento finale manca del tutto ogni riferimento alla teoria del gender, ed è un grande passo avanti, come dire che si è smesso di fare la lotta contro la befana! Era ora!

Devo aggiungere che la lettura integrale del documento, che richiede tempo e attenzione, lascia al lettore una qualche impressione di novità. I richiami al magistero di Benedetto XVI sono rari, le sottolineature della intangibilità della dottrina sono sostituite da qualche timida apertura alla necessità di un approfondimento, la tendenza è al dialogo e non all’arroccamento, non si individua un nemico in chi non condivide certi elementi della morale cattolica ma si cerca di mantenere aperto un dialogo.

Preciso che il Vaticano ha pubblicato anche gli esiti delle votazioni relative ai singoli articoli del documento. È significativo che gli art. 149 e 150 che trattano di sessualità abbiano registrato il più alto numero di non placet nel Sinodo. L’art. 149, che tratta di sessualità in modo generico ha ottenuto 214 voti favorevoli e 26 contrari, l’art. 150, che tratta più specificamente di omosessualità “senza toni da crociata” ha ottenuto 178 voti favorevoli e 65 contrari, il massimo numero di voti contrari tra tutti gli articoli del sinodo. Ricordo che per essere approvato un articolo deve ottenere ameno i 2/3 dei voti dei presenti. L’articolo 150 è passato ma col quorum più basso rispetto a tutti gli altri articoli.

Colpiscono alcuni riferimenti al lato oscuro del web che è diventato “un canale di diffusione della pornografia e di sfruttamento delle persone a scopo sessuale o tramite il gioco d’azzardo.”

Il riferimento all’abuso sessuale e agli scandali sessuali interni alla Chiesa, che pure poteva suscitare polemiche, non è stato omesso.

Si afferma che “Insieme al permanere di fenomeni antichi, come la sessualità precoce, la promiscuità, il turismo sessuale, il culto esagerato dell’aspetto fisico, si constata oggi la diffusione pervasiva della pornografia digitale e l’esibizione del proprio corpo on line.” Si prende quindi coscienza di cose oggettive e oggettivamente pericolose.

Si coglie l’imbarazzo della Chiesa nel presentare e difendere la propria morale sessuale e si sottolinea che: “Frequentemente infatti la morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna. Di fronte ai cambiamenti sociali e dei modi di vivere l’affettività e la molteplicità delle prospettive etiche, i giovani si mostrano sensibili al valore dell’autenticità e della dedizione, ma sono spesso disorientati. Essi esprimono più particolarmente un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità.” E anche qui non emergono giudizi.

L’accenno all’autenticità come valore di fondo della sessualità non era mai stato presente nei documenti ufficiali della Chiesa.

Si accenna allo sfruttamento sessuale, agli stupri di guerra, tutti temi molto sentiti dalla morale laica. In sostanza la distanza tra la morale laica e quella cattolica sembra restringersi almeno marginalmente e forse non solo, perché molti dei grandi valori cristiani sono anche grandi valori laici.

Riporto qui di seguito per esteso gli art. 149-150 che riguardano più da vicino l’omosessualità:
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Sessualità: una parola chiara, libera, autentica

art. 149. Nell’attuale contesto culturale la Chiesa fatica a trasmettere la bellezza della visione cristiana della corporeità e della sessualità, così come emerge dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero degli ultimi Papi. Appare quindi urgente una ricerca di modalità più adeguate, che si traducano concretamente nell’elaborazione di cammini formativi rinnovati. Occorre proporre ai giovani un’antropologia dell’affettività e della sessualità capace anche di dare il giusto valore alla castità, mostrandone con saggezza pedagogica il significato più autentico per la crescita della persona, in tutti gli stati di vita. Si tratta di puntare sull’ascolto empatico, l’accompagnamento e il discernimento, sulla linea indicata dal recente Magistero. Per questo occorre curare la formazione di operatori pastorali che risultino credibili, a partire dalla maturazione delle proprie dimensioni affettive e sessuali.

art. 150. Esistono questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità che hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale, da realizzare nelle modalità e ai livelli più convenienti, da quelli locali a quello universale. Tra queste emergono in particolare quelle relative alla differenza e armonia tra identità maschile e femminile e alle inclinazioni sessuali. A questo riguardo il Sinodo ribadisce che Dio ama ogni persona e così fa la Chiesa, rinnovando il suo impegno contro ogni discriminazione e violenza su base sessuale. Ugualmente riafferma la determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna e ritiene riduttivo definire l’identità delle persone a partire unicamente dal loro «orientamento sessuale» (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1 ottobre 1986, n. 16).

Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi. In questi cammini le persone sono aiutate a leggere la propria storia; ad aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale; a riconoscere il desiderio di appartenere e contribuire alla vita della comunità; a discernere le migliori forme per realizzarlo. In questo modo si aiuta ogni giovane, nessuno escluso, a integrare sempre più la dimensione sessuale nella propria personalità, crescendo nella qualità delle relazioni e camminando verso il dono di sé.
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Mi limito ad osservare che il richiamo alla Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, redatta da Ratzinger nel 1986 è puramente di stile e cita uno degli elementi meno sostanziali di quel documento dell’oscurantismo più radicale, che suscitò, a dire poco, grosse perplessità.
La parte finale dell’art. 150 contiene una formula volutamente neutra di apertura, rivolta a tutti, nessuno escluso che non rimarca alcuna condanna o esclusione.

In sintesi, il documento finale del Sinodo sembra, almeno nel linguaggio, e forse non solo nel linguaggio, contenere qualche apertura verso un modo non solo più scientifico e oggettivo ma anche più evangelico di concepire l’omosessualità. È pur sempre vero che una rondine non fa primavera e che il vento (anche quello dello Spirito) soffia dove vuole e potrebbe cambiare sempre direzione, ma si avverte l’impressione che il lievito stia cominciando a far fermentare tutta la pasta, o almeno buone porzioni di essa. Il tempo ci permetterà di capire se si tratta solo di un fatto episodico o se è realmente l’inizio di un’apertura, sulla quale mantengo comunque tutte le mie riserve, perché il buon senso e l’esperienza inducono a frenare gli entusiasmi e a seguire l’esempio di San Tommaso.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=73&t=6750

OMOSESSUALI E EDUCAZIONE SESSUALE; QUALE EDUCAZIONE SESSUALE

Sul sito dell’ANSA (sezione Salute & Benessere), in data 28 Ottobre 2016, è stato pubblicato un articolo intitolato “Genitori disorientati da temi gender, ‘disgregano’ famiglie – Pediatri Simpe, 1 mln di omosessuali ma adulti non parlano con figli”.

“Sono circa un milione, afferma la Simpe (Società Italiana Medici Pediatri), gli italiani che si dichiarano omosessuali o bisessuali, a cui si aggiungono altri due milioni che hanno sperimentato attrazione per persone dello stesso sesso. In maggioranza si tratta di giovani, perché i primi segni di un diverso orientamento di genere compaiono prima dei 18 anni nell’80% dei casi. I genitori sono però poco preparati a capire i ragazzi: fino a 1 su 3 non sa come affrontare le problematiche dell’identità di genere, il 46% però capisce che i figli attraversano l’adolescenza con evidenti incertezze e dubbi di orientamento. Solo 1 su 5 tenta di comprendere, 1 su 2 ritiene che il dialogo sia difficile. Idee confuse anche sulle nuove forme di famiglia: un genitore su 2 accetta solo quella tradizionale e 2 su 3 ritengono che le tematiche gender possano disgregare la famiglia. ‘No’ alla fecondazione eterologa, inoltre, da 1 su 2, ma ‘sì’ alle coppie di fatto per i due terzi degli intervistati.”

Secondo Giuseppe Mele, presidente della Simpe, riporta il sito dell’Ansa, “Sono moltissimi i ragazzi che devono affrontare dubbi circa l’orientamento sessuale durante il difficile periodo della adolescenza. I genitori se ne rendono confusamente conto, ma sembrano incapaci di affrontare il tema con un obiettivo educativo. Al Nord l’apertura è maggiore, ma ovunque c’è disorientamento e poca conoscenza del problema”. Sempre più spesso, dunque, “i pediatri si trovano di fronte a sistemi familiari inediti, frutto di un cambiamento culturale inarrestabile di cui dobbiamo prendere coscienza, riconoscendo la diversità e le tematiche gender – conclude – indipendentemente dal giudizio personale che ognuno può avere sull’argomento”.

Perfino papa Francesco ha avuto parole di condanna per la teoria del gender, sembra che sia veramente una cosa terribile in grado di minare le famiglie alle fondamenta. Ma qualcuno ha mai spiegato al presidente della Società italiana del medici pediatri e a papa Francesco che la cosiddetta teoria del gender è un’invenzione di Mons. Tony Anatrella? «La teoria del “gender” ci prepara un mondo dove nulla sarà più percepito come stabile», dice lo psicanalista Tony Anatrella. «I danni provocati dal divorzio non sono nulla rispetto a quelli che può causare l’ideologia Lgbt» (http://www.tempi.it/e-vietato-dirlo-ma- … BRzvPmLSUl).

Aggiungo solo per inciso che Mons. Anatrella è accusato di abusi sessuali e l’articolo di Mediapart : «De nouveaux témoignages accablent Mgr Anatrella et ses thérapies sexuelles» fornisce ampi ragguagli in proposito.

Mi chiedo come sia possibile dare spazio alle estemporanee teorie di Tony Anatrella e trascurare del tutto quello che l’Organizzazione Mondiale della Sanità va ripetendo ormai da diversi decenni. Mi chiedo a quali fonti facciano ricorso papa Francesco e il dott. Mele in tema di orientamento sessuale e di problematiche di genere per arrivare ad avallare espressioni e concetti del tutto privi di fondamento. Il dott. Mele dice che “Sono circa un milione gli italiani che si dichiarano omosessuali o bisessuali, a cui si aggiungono altri due milioni che hanno sperimentato attrazione per persone dello stesso sesso” e non fa che riportare, praticamente con le sesse parole, un dato dell’ultimo censimento istat del 2012.

Il dato potrebbe fare pensare che gli omosessuali in Italia siano circa un milione, valore che appare assolutamente sottostimato a chiunque abbia anche una minima conoscenza della realtà omosessuale. In realtà, dopo aver detto che “Secondo i risultati della rilevazione, circa un milione di persone si è dichiarato omosessuale o bisessuale (pari al 2,4% della popolazione residente), il 77% dei rispondenti si definisce eterosessuale, lo 0,1% transessuale.” Il documento dell’Istat prosegue così: “Il 15,6% non ha risposto al quesito, mentre il 5% ha scelto la modalità “altro”, senza altra specificazione. I dati raccolti, quindi, non possono essere considerati come indicativi della effettiva consistenza della popolazione omosessuale nel nostro Paese, ma solo di quella che ha deciso di dichiararsi, rispondendo ad un quesito così delicato e sensibile, nonostante l’utilizzo di una tecnica che rispettava appieno la privacy dei rispondenti (busta chiusa e sigillata e impossibilità per l’intervistatore di verificare le risposte).”

Non c’è bisogno di aggiungere che non ci si può lamentare che la gente non capisca di che cosa si sta parlando quando le semplificazioni e il linguaggio giornalistico finiscono per prevalere sui dati scientifici e quando a Mons. Anatrella (inventore del gender) è dato maggior credito che all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post, aperta sul Forum di Progetto Gay:

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