AUTOBIOGRAFIA SESSUALE di John Addington Symonds

Vi comunico che oggi ho messo in rete un mio nuovo lavoro:

“AUTOBIOGRAFIA SESSUALE DI JOHN ADDINGTON SYMONDS ”.

Si tratta di un testo di una sessantina di pagine, che è anche corredato di note che richiedono l’impaginazione tipica di un libro, e che, quindi, non può essere riportato in un post di un forum.

Il testo è basato su una recente e importante pubblicazione “The Memoirs of John Addington Symonds”, in the critical edition edited by Amber K. Regis for Palgrave Macmillan, 2016, in the Genders and Sexualities in History series, dalla quale ho tratto i testi di Symonds che cito nel mio saggio.

Non si tratta di un qualsiasi libro di Memorie ma della autobiografia sessuale dell’autore, scritta con assoluta aderenza ai fatti e con assoluta trasparenza per lasciare un documento della vera evoluzione sessuale di un Inglese colto nato nel 1840 e morto nel 1893. Ho tradotto in Italiano per la Biblioteca di Progetto Gay  due importanti libri di Symonds, e penso sia veramente utile pubblicare ora, sia in Inglese che in Italiano un testo che illustra l’evoluzione della sessualità di Symonds.

I Memoires di Symonds sono un unicum, perché sono e restano ancora oggi l’unica seria autobiografia sessuale (assolutamente libera da interessi commerciali di qualsiasi genere) che sia stata pubblicata. Va sottolineato che il testo non era originariamente destinato alla pubblicazione perché in Inghilterra, patria dell’autore, l’omosessualità era punita dalla legge criminale e il testo che vi presento sarebbe stato certamente  considerato osceno e la sua pubblicazione sarebbe stata quindi un vero crimine. Non si tratta di un romanzo. Symonds oltre a raccontare i fatti fa esplicitamente i nomi dei protagonisti. Il libro, che ha richiesto all’autore uno sforzo notevolissimo e lo ha allontanato dalla possibilità di perseguire un maggiore successo nel campo della storia dell’arte e della cultura classica, di cui si occupava a livello accademico, è quindi un contributo unico allo studio della omosessualità che al suo tempo muoveva i primi e incerti passi. Va sottolineato che Symonds si sposò ed ebbe quattro figlie, e la storia del suo matrimonio, portato avanti nonostante alcune importanti e serie storie omosessuali, è una testimonianza unica nel suo genere.

Sarò immensamente grato a chiunque leggerà il mio lavoro e vorrà farmi conoscere il suo pensiero in proposito.

Potete leggere il libro semplicemente cliccando sul seguente link:

http://gayproject.altervista.org/johh_addington_symonds_omosessuale.pdf

Ricordo che tutto il materiale di Progetto Gay è sempre e assolutamente gratuito e Progetto Gay non chiede mai dati personali e non conserva alcun dato relativo agli accessi.

STORIA DI UNA COPPIA GAY

Correva l’anno 1962 quando, finita la Scuola Media, fui mandato per il liceo in un prestigioso Istituto religioso non lontanissimo da Milano. All’epoca avevo 14 anni, ero vissuto sempre a Milano e avevo frequentato la Scuola Media a Milano in un altro Istituto religioso, di cui oggi ricordo solo i grandi corridoi coi pavimenti lucidi, gli insegnanti quasi tutti preti e il clima molto ovattato, in cui nulla penetrava del mondo esterno.

Eravamo controllati a vista dall’orario di ingresso a quello di uscita. I miei genitori conoscevano i genitori degli altri ragazzi, perché la scuola ogni tanto organizzava incontri anche tra genitori in occasioni di feste religiose. In terza media cominciai a riflettere sul fatto che in quelle occasioni facevano la comunione nella cappella della scuola, oltre noi ragazzi, che la dovevamo fare per forza, diverse mamme, ma quasi nessun papà, come se la religione fosse una cosa per donne e bambini, ma allora non mi feci troppe domande in proposito.

A quell’epoca non sapevo nulla del sesso, se non che serve a fare i bambini. Ero molto ingenuo e credevo a tutto quello che mi raccontavano gli insegnanti, che, oltre che quasi tutti preti, erano anche tutti vecchi. La ginnastica era una materia di serie B, che si faceva, perché si doveva fare per forza, in palestra e solo con esercizi individuali da svolgere rigorosamente in tuta, escluso ovviamente qualsiasi sport di gruppo. Per evitare ogni possibile rischio che la presenza in palestra potesse risultare gradevole, la palestra non era riscaldata e ci faceva un freddo cane. Nel giorno in cui si faceva la lezione di ginnastica si andava a scuola direttamente con la tuta. Non c’è bisogno di dire che spogliatoi e docce erano cose assolutamente impensabili.

I miei genitori non si occupavano molto di me, io ero affidato alla tata che cucinava per me cose diverse da quelle che mangiavano i grandi. I miei vestiti li comprava mia madre a suo gusto e io potevo solo dire sissignore. Anche logisticamente facevo parte di un mondo separato, avevo una stanza subito prima di quella della tata e questo fa capire come mi consideravano. I miei genitori andavano in vacanza per conto loro con i loro amici e io andavo al mare in un paesetto della Liguria con la tata. Devo dire che con la mia tata andavo d’accordo, a parte il fatto che era l’unica persona con la quale potevo parlare, era una brava donna e mi voleva bene, lei non aveva figli ed era vedova e mi coccolava nei limiti del distacco sociale che comunque ci divideva.

I miei genitori, nelle rare occasioni in cui parlavano con me, mi prospettavano la scuola superiore come qualcosa di serissimo e di difficilissimo che io avrei dovuto affrontare con la massima serietà perché una bocciatura (e allora succedeva) poteva rovinare definitivamente il mio ruolo sociale. La tata invece mi parlava della scuola superiore come di un posto molto più libero in cui ci sono ragazzi grandi che cominciano ad avere la loro autonomia e a fare le loro esperienze, ma io allora non capivo nemmeno a che cosa si potesse riferire.

L’ultima settimana di settembre la tata mi accompagna alla nuova scuola, vado con lei alla stazione, prendiamo il treno e impieghiamo più di due ore per arrivare a destinazione, poi comincia il viaggio in taxi. Mi guardavo intorno smarrito, poi il taxi si ferma e mi ritrovo di fronte ad un edificio sontuoso che intimidiva solo a guardarlo. La tata cerca di farmi coraggio.

Saliamo lo scalone e arriviamo agli uffici, ci fanno attendere una decina di minuti, poi ci si presenta un prete. Basta che la tata dica il mio nome, è tutto molto informale. Il prete congeda la tata e mi accompagna nella sartoria dove la sarta prende le misure per la mia divisa, poi mi accompagna in una enorme camerata con una doppia fila di letti e mi dice che il mio è il numero 18. Mi dice qual è il mio armadio per conservare le mie cose e noto che non c’è la chiave, poi mi dice di sistemare le mie cose nell’armadio e mi dà un libretto a stampa con il regolamento della scuola e del collegio, mi dice che posso andare nella sala di ricreazione “del ginnasio” per leggere il regolamento e che alle 13.00 dovrò andare al refettorio per il pranzo. Mi raccomanda di leggere con la massima attenzione il regolamento e se ne va.

La camerata era totalmente vuota, non c’erano altri ragazzi e nemmeno preti. Ho sistemato le mie cose nell’armadio e poi sono sceso nella sala di ricreazione che ho trovato tramite una piantina dell’edificio annessa al regolamento. Anche lì non c’era nessuno. Mi sono seduto su una sedia e ho cominciato a leggere, ma allora non ero capace di decodificare i significati di quei messaggi. Si insisteva moltissimo sul fatto che fosse una scuola cattolica e che come tale esigesse dagli studenti un’adesione ai principi del cattolicesimo, che io conoscevo come poteva conoscerli un ragazzo di 14 anni. C’era la gerarchia della scuola, in cui tutto era in mano ai professori e al preside, ovviamente tutti preti, e c’era la gerarchia del collegio, in cui tutto era in mano agli educatori, al padre spirituale e al rettore, ovviamente anche loro tutti preti, ma il rettore era superiore al preside perché al rettore competeva anche la “formazione spirituale” degli alunni. Tutte queste cose, allora mi sembravano ovvie.

C’era anche una parte che trattava delle punizioni per lo scarso impegno scolastico e per la condotta morale non regolare, che allora io interpretavo al livello dei miei 14 anni. Si diceva anche che ciascun alunno che avesse commesso una mancanza avrebbe dovuto accusarsene di fronte ai superiori che l’avrebbero valutata caso per caso e, se fosse stata applicata una sanzione, quella sarebbe stata annotata nelle note di comportamento che sarebbero state trasmesse mensilmente alla famiglia. Il regolamento era molto dettagliato ma nello stesso tempo molto generico, tutto, in concreto, era lasciato all’interpretazione dei superiori.

Terrorizzato dall’idea di fare tardi per il pranzo, alle 12.45 ero davanti al “refettorio del ginnasio”. I refettori erano due, uno per il ginnasio e uno per il liceo, per tenere separati i ragazzi di età diversa, e in quello del ginnasio non c’era nessuno. La porta era chiusa a chiave, alle 12.55 una cameriera ha aperto la porta e io sono entrato. Il salone era immenso, mi sono seduto al primo tavolo che ho visto ma la cameriera mi ha detto che quello era il tavolo dei superiori e allora sono andato a mettermi all’ultimo posto, ma mi ha detto che dovevo mettermi al numero 18 (lo stesso del mio letto) e così ho fatto, perché davanti ad ogni posto c’era un numero. L’ambiente era molto solenne. Sui tavoli c’era una tovaglia bianca, tutti i piatti e le posate portavano le insegne dell’istituto e così anche il tovagliolo, che era numerato. Il mio, ovviamente, portava il numero 18.

La cameriera si era fermata e stava zitta e io non capivo per quale motivo. La guardai perplesso e lei mi fece: “La preghiera!”, poi vedendo che non capivo mi disse che prima del pranzo la persona più importante presente doveva recitare la preghiera per tutti e siccome lì c’ero solo io dovevo recitarla io e aggiungere un’intenzione. Non sapevo che cosa dire e lei mi suggerì: “Segno della croce”, poi mi mise proprio in bocca le parole: “Signore, ti ringraziamo per questo cibo, fai che ci rinforzi sulla via della fede e del tuo servizio” (questa era la formula standard, per quando non c’erano giornate speciali), poi mi disse di aggiungere l’intenzione e io dissi: “Ti preghiamo per questo anno scolastico che sta per cominciare”.

Poi finalmente il pranzo fu servito. La cucina era di buon livello, opera di cuochi professionali. Un primo abbondante ben condito, un secondo di carne con contorno di verdura e la frutta. La cameriera mi avvisò che alle 13.30 dovevo andare via in ogni caso perché lei doveva chiudere il refettorio. Alle 13.30 non sapevo dove andare. L’istituto era praticamente vuoto. Sono tornato nella sala di ricreazione del ginnasio e mi sono messo a leggere delle riviste che stavano sui tavoli, ovviamente tutte riviste cattoliche e di missionari.

Nel pomeriggio, verso le 15.30 è arrivato un altro ragazzo. Ci siamo presentati, era impaurito come e più di me. Prima di tutto abbiamo cercato di capire come avremmo dovuto comportarci all’ora di cena poi abbiamo parlato di quello che ci aspettavamo dalla scuola. Alle 19 siamo andati in refettorio per la cena, io mi sono messo dove mi ero seduto all’ora di pranzo e il mio compagno si è messo accanto a me, ma la cameriera gli ha detto che lui era il numero 26 e che il suo posto era all’altro tavolo, io ho recitato la preghiera e l’intenzione e così abbiamo cenato in due, seduti a due tavoli separati in una sala enorme in cui c’eravamo solo noi.

Dopo la cena siamo tornati nella sala di ricreazione perché non sapevamo dove andare. Lì è passato un prete e ci ha detto che non si deve mai stare senza fare nulla e che potevamo andare in cappella a pregare e noi ovviamente ci siamo andati, francamente non capivo a fare che cosa, ma abbiamo obbedito come se tutto fosse assolutamente ovvio. Alle 20.45 la cappella ha chiuso e noi siamo stati mandati nella nostra camerata, dove il nostro educatore (un prete, ovviamente) ci ha dato una camicia da notte della misura adatta, fatta dalla sartoria, ovviamente con le insegne dell’istituto e un contenitore di metallo con l’essenziale per un minimo di igiene personale: sapone, dentifricio e spazzolino. Ci ha detto che l’indomani avremmo avuto 10 minuti per fare la doccia, tra le 6.10 e le 6.20, prima di andare in cappella per l’educazione religiosa. Ci ha detto che alle 21.00 dovevamo essere a letto e che lui sarebbe passato per controllare prima di spegnere la luce. Alle 21.00 eravamo a letto, l’educatore è passato ed ha spento la luce ma non ho capito da dove, perché non c’erano interruttori, poi ha detto “santa notte” non “buonanotte” e se ne è andato.

Ero abituato ad andare a dormire a mezzanotte e il fatto di dover stare a letto dalle 21.00 non mi piaceva affatto, ma le regole erano quelle. L’indomani alle sei in punto è suonata una campana, che era il segnale della sveglia. Siamo andati nella sala da bagno, dove c’erano 10 box con water e lavandino e 10 box per la doccia. I box avevano una porta con serratura ma la porta non arrivava fino a terra, ho capito solo dopo che le porte erano fatte così per controllare che in ogni cubicolo ci fosse un solo ragazzo, ma all’inizio non facevo caso a queste cose.

Alle 6.30 eravamo in cappella per l’educazione religiosa, in tutto c’erano otto ragazzi tutti del ginnasio 14-15 anni. I banchi della cappella erano numerati come i posti a tavola. La cappella non era la chiesa grande dell’istituto, ma una cappella utilizzata solo da un gruppo di classi, nel mio caso le classi del ginnasio (80 ragazzi circa) in cui diceva messa uno degli educatori a turno. Ho imparato che non c’era un educatore per classe ma che al ginnasio c’erano due educatori che ruotavano sulle due classi, in modo che si scambiavano le classi ogni mese, all’epoca non capivo il senso di tutto questo e l’ho capito soltanto parecchi anni dopo.

Comincia la messa, poi al momento dell’omelia comincia l’istruzione religiosa, centrata sull’idea di “fuggire le cattive compagnie” in cui però si dava per scontato che cosa fossero le cattive compagnie e si insisteva che “volere bene ad un compagno” significa “preoccuparsi per lui” e proprio per questo quando un compagno “non si comporta bene” è un preciso dovere morale segnalarlo ai superiori. In pratica è un dovere morale fare la spia.

Quel giorno sono arrivati molti miei nuovi compagni di studi. Eravamo una quarantina nella mia classe. Arrivavano alla spicciolata. Non c’era nemmeno la possibilità di ricordarsi i nomi perché erano troppi. Io mi guardavo intorno per vedere se c’era qualche ragazzo più bello degli altri e fu così che vidi Giuseppe G., un ragazzo che sembrava più grande della sua età e che ormai aveva ben poco di infantile. Allora non capivo perché esercitasse su di me un fascino così potente e magnetico, perché non avevo mai sentito parlare di omosessualità e non sapevo nemmeno che cosa fosse la masturbazione.

Giuseppe era il n. 32, il suo letto era lontanissimo dal mio, nella sala mensa sedeva ad un altro tavolo, avrei potuto parlare con lui solo nella sala di ricreazione, ma all’epoca mi sentivo un bambino non cresciuto e rispetto a Giuseppe provavo uno stato di soggezione come di fronte a un adulto. Ho continuato a parlare col n. 26, che avevo conosciuto il giorno prima, coi numeri 17 e 19, che mi sedevano accanto nella sala mensa, sentivo di non avere niente in comune e tutto si limitava a un ciao veloce e formale.

L’istruzione religiosa del giorno appresso è stata sulla “correzione fraterna” cioè in pratica ancora una volta sul dovere di fare la spia. Giuseppe lo vedevo solo da lontano ma più lo osservavo più mi piaceva. Il giorno appresso l’istruzione religiosa è stata su due cose distinte: “fuggire la tentazione” e “frequentare i sacramenti”. Ci veniva detto e ripetuto che un ragazzo cristiano si comunica ogni giorno ed ha un padre spirituale che lo possa guidare nella ricerca della santità. Non frequentare quotidianamente i sacramenti era visto molto male come una specie di marchio di satana, una forma di ribellione luciferina. Molti ragazzi cominciavano a storcere il naso davanti a questi discorsi che a me invece sembravano giusti e ovvi, molto semplicemente perché io non avevo niente di speciale da confessare.

Quando andai a confessarmi, senza confessionale, con uno degli educatori, mi sentii chiedere con insistenza: “Non hai da accusarti di niente altro?” e al mio “no” il confessore era alquanto perplesso. Volenti o nolenti, tutti i ragazzi finirono per accettare l’imposizione della confessione. Il primo giorno di scuola cominciò con una messa officiata da un vescovo e dal rettore, che vedevo per la prima volta e da lontano. Noi, per la prima volta, eravamo vestiti con la divisa dell’istituto e tirati a lucido fino all’incredibile. I nostri posti in chiesa erano tutti assegnati a priori. L’omelia del vescovo fu brevissima, poi parlò il rettore ma io ero distratto perché nella chiesa grande Giuseppe era capitato proprio tra me e il celebrante, una specie di “uomo dello schermo”. Giuseppe era serio durante la messa e si comportava come ogni altro collegiale obbediente.

Finita la messa siamo andati nelle aule e sono cominciate le lezioni. Prima di ogni ora di lezione il professore faceva una preghiera e invocava un santo e noi dovevamo rispondere: “Ora pro nobis”. Siamo stati caricati di compiti fin dal primo giorno: sia di Latino (che conoscevamo un po’ dalla scuola media), che di Greco, una assoluta novità. Il primo giorno avremmo dovuto imparare a leggere il pater noster in greco, una cosa che al tempo mi sembrava importantissima e mostruosamente difficile.

Non sapevo come sarebbe stata organizzata la giornata di scuola, pensavo che si potesse studiare ciascuno per proprio conto ma non era così. Alle 13.30 il pranzo, poi la ricreazione fino alle 14.30 e poi di nuovo nelle aule scolastiche del mattino fino alle 18, quando si andava in cappella per l’istruzione religiosa. Potevo vedere Giuseppe solo da lontano e la possibilità di scambiare due parole con lui era ridotta alla mezz’ora di ricreazione tra le 14 e le 14.30.

In classe eravamo tanti, la maggior parte di noi era succube dei professori e degli educatori che ci assistevano (in pratica facevano lezione anche loro il pomeriggio). Giuseppe era l’unico che aveva una personalità sua, era rispettoso e obbediente, perché non si poteva fare diversamente ma qualche volta aggiungeva delle sue considerazioni che in genere non piacevano ai professori e agli educatori, che ci ripetevano che rispondere a una domanda significa tenersi nei limiti della domanda. Giuseppe non era solo bello, ma era anche intelligente, non intendo studioso ma proprio intelligente, aveva anche lui 14 anni ma era straordinariamente sveglio.

Fin dal primo giorno di scuola ci avevano detto che agli studenti più bravi sarebbero stati dati dei riconoscimenti speciali, in pratica delle spillette da appuntare sulla giacca, come le campagne di guerra dei militari. L’alunno migliore allo scrutinio trimestrale poteva fregiarsi di una stella dorata, il secondo della classe di una stella argentata, quelli che non erano stati mai puniti potevano portare un nastrino azzurro all’occhiello. Queste cose erano molto ambite. Io non potevo certo pensare di essere il primo della classe e nemmeno il secondo ma andavo orgoglioso del mio nastrino azzurro. Anche Giuseppe aveva il suo nastrino azzurro perché non era mai stato punito, ma un giorno si tolse il nastrino anche se noi, suoi compagni, sapevamo benissimo che aveva diritto a portarlo. Nessuno, salvo noi, si accorse che si era tolto il nastrino, se se ne fossero accorti, gli educatori lo avrebbero preso come un gesto di ribellione, ma nessuno se ne accorse.

Arrivò il tempo delle vacanze di Natale e tornai a casa, fui molto contento di rivedere la mia tata, non posso dire lo stesso per mio padre e mia madre che ormai erano per me come due estranei. Il rientro a scuola dopo le vacanze di Natale fu per me un momento importantissimo. Sul treno da Milano incontrai Giuseppe che viaggiava da solo e non aveva nemmeno 15 anni, io ero con la mia tata, che però mi lasciò lo scompartimento libero perché potessi parlare con Giuseppe. Giuseppe mi trattava come un adulto e io mi sentivo a mio agio e non posso negare che mi era piaciuto fin dal primo momento il suo modo molto rispettoso di trattare la mia tata. Un contatto con Giuseppe era stato creato e avrei fatto di tutto per non perderlo.

Alla fine del quarto ginnasio fummo promossi entrambi con voti appena più che sufficienti e la cosa non mi rattristò affatto perché vidi il modo di reagire assolutamente indifferente di Giuseppe. Nelle vacanze tra il quarto e il quinto ginnasio ebbi modo di conoscere Giuseppe più da vicino e andai anche a casa sua e mi resi conto che era molto più libero di me, che coi genitori aveva anche un po’ di dialogo serio e poi, anche se allora non lo capivo, mi innamorai di lui. Stavamo sempre insieme, almeno nei limiti del possibile, con la scusa dei compiti delle vacanze che comunque si dovevano fare ed erano tanti.

Il primo ottobre eravamo di nuovo a scuola, ma io adesso avevo un amico speciale. L’istruzione religiosa prese una piega particolare e diventò in pratica un indottrinamento sulla famiglia e sul matrimonio secondo la chiesa cattolica. Si parlava spessissimo della Madonna come madre e come modello di donna, e io non capivo perché si dovesse insistere tanto su queste cose. La verginità della Madonna Mater purissima doveva essere presa come esempio, per me tutti questi discorsi non avevano alcun senso, ma per i miei compagni non erano affatto indifferenti. Non capivo l’enfasi che i preti mettevano sull’argomento ragazze ma poi piano piano mi resi conto dell’imbarazzo con cui moltissimi ragazzi affrontavano quell’argomento, che a me non faceva né caldo né freddo e notai che Giuseppe ci rideva sopra prendendo in giro gli altri compagni, lui non reagiva come gli altri. Ma per me Giuseppe era un amore assolutamente platonico e così rimase fino alla fine del Ginnasio.

Passammo gli esami di licenza ginnasiale per il rotto della cuffia ma li passammo e poi trascorremmo l’estate insieme. I miei genitori avevano conosciuto Giuseppe e si fidavano di lui, e fu così che andai in vacanza con la famiglia di Giuseppe. I genitori mi erano simpatici ma passare l’estate intera con Giuseppe, per me, era come stare in paradiso. Andammo all’Isola d’Elba in una casa della famiglia di Giuseppe. La casa era piccolina e io stavo in camera con Giuseppe. Una sera i suoi genitori si trattennero a casa di amici e io rimasi solo con Giuseppe. È stata la prima volta che ho visto un imbarazzo tremendo sulla faccia di Giuseppe, simile a quello che i nostri compagni avevano quando parlavano di ragazze. Non è stato lui la cattiva compagnia per me ma lo sono stato io per lui.

Non sapevo come comportarmi ma ho seguito l’istinto, gli ho preso la mano e l’ho stretta. Lui non sapeva che fare e io gli ho detto: “Ma di che hai paura? Non stiamo facendo niente di male.” È cominciata così, avevamo entrambi appena compiuto 16 anni. Dopo, Giuseppe era terrorizzato ed è toccato a me fargli capire che non aveva fatto niente di male, lui comunque era veramente sconvolto e si teneva lontano da me come se avesse fatto qualcosa di terribile contro di me e allora gli ho accarezzato la faccia e gli ho passato una mano tra i capelli e lui mi ha fatto un bellissimo sorriso. Il giorno appresso mi ha chiesto se ci ero rimasto male ma gli ho detto che ci ero rimasto benissimo e che gli volevo bene.

Quando si avvicinava il tempo del rientro a scuola mi chiese come avremmo fatto per la confessione e concludemmo che avremmo dovuto fingere motivi ideologici (perdita della fede) se avessimo voluto evitare di profanare i sacramenti e ci trovammo d’accordo che avremmo fatto così, e poi avremmo potuto parlare di ragazze e la cosa sarebbe stata quasi normale.

Il primo ottobre dell’anno successivo, ormai sedicenni, io e Giuseppe entrammo al liceo. Ci aspettavamo che qualcosa potesse cambiare, ma non cambiò assolutamente nulla, adesso in refettorio (il refettorio del liceo) c’erano quasi 120 ragazzi e il refettorio grande (quello del Liceo) sembrava quasi una cattedrale. Ogni tanto si vedeva a pranzo anche il rettore e il padre spirituale. L’ordine era di tipo militaresco, non ci si sedeva a tavola prima della preghiera che, anche al liceo, era accompagnata ogni giorno da intenzioni diverse. Il rettore ci diede il benvenuto e pregò per il nostro impegno negli studi e nella vita cristiana.

Durante le messe in cappella con gli altri liceali notavo che non tutti facevano la comunione e questo mi faceva pensare perché non la facevamo né io né Giuseppe, però gli altri si facevano convincere dagli educatori e la volta successiva andavano a confessarsi e si comunicavano, io e Giuseppe invece non ci lasciavamo convincere. Era ovvio fin dai primissimi giorni che il nostro modo di fare era stato notato e non era affatto gradito. Io fui chiamato dal padre spirituale, che avevo visto solo nella sala da pranzo, e sospettavo che il motivo fosse proprio il fatto che non mi accostavo ai sacramenti.

Era un prete relativamente giovane, tra i 40 e i 45 anni, aveva il modo di fare del prete in carriera che mirava a diventare rettore nel tempo di qualche anno. Io avevo chiesto ai ragazzi più grandi se avevano mai parlato col padre spirituale e mi avevano detto che non lo conoscevano proprio ma che si occupava solo dei “problemi grossi”. Andai al colloquio aspettandomi quello che sarebbe successo. Il padre spirituale mi disse che lui parlava spesso coi ragazzi che gli chiedevano consiglio: prima bugia! Poi partì prendendo le cose molto alla lontana, mi chiese come mi trovavo coi professori, ma su questo punto la risposta era scontata, poi mi chiese dei miei compagni, se ce n’era qualcuno col quale mi trovavo meglio e io ne nominai un paio di quelli che sembravano nati per fare il chierichetto a vita e ovviamente non nominai nemmeno Giuseppe, poi cominciò l’esame inquisitorio: “come va la tua vita cristiana?” e io gli dissi che avrei tanto voluto avere una vita cristiana ma che avevo perso la fede e cominciavo a sentirmi lontano da quelle cose. Lui si mise la stola, dando per scontato che io volessi confessarmi ma gli risposi che l’idea di accostarmi ai sacramenti in modo non spontaneo mi sarebbe sembrata una mancanza di rispetto verso quelli che credono veramente. Il padre spirituale rimase molto perplesso e mi licenziò aggiungendo che avrebbe pregato per me.

Ormai sapevo di essere un sorvegliato speciale, e non sopportavo proprio quella condizione, se fosse stato per me, me ne sarei andato via subito, a costo di affrontare i miei genitori a brutto muso, perché loro l’avrebbero presa malissimo, e me ne sarei andato in un liceo pubblico che pensavo sarebbe stato un mondo completamente diverso, ma non potevo abbandonare Giuseppe. Avremmo potuto farci cacciare entrambi, ma era impossibile capire con quali conseguenze. Si doveva andare avanti con una recita assurda per sfuggire a ciò che sentivamo come una forma di violenza totale. Ci sarebbero stati altri tre anni di vera e propria tortura ma eravamo pronti ad affrontarli.

Con Giuseppe non era possibile nessun contatto, neppure minimo, scambiare bigliettini ci avrebbe esposto a situazioni pericolose. Seppi più tardi che Giuseppe aveva usato uno stratagemma diverso dal mio e questo aveva sviato le indagini del padre spirituale. Lui aveva rubato il disegno di una donna nuda fatto da un altro compagno e lo aveva nascosto deliberatamente tra le pagine del suo vocabolario di latino, il foglio era irregolare ed era appoggiato alla rilegatura in due soli punti, ma lui, poi, aveva trovato quello stesso foglio messo in modo diverso, segno che qualcuno aveva sfogliato il suo vocabolario e, avendo trovato il foglio, non lo aveva preso ma lo aveva lasciato lì. Siccome gli armadietti dei libri e dei quaderni scolastici erano nell’aula dove si faceva lezione, la probabilità che fosse stato un compagno di scuola era praticamente nulla.

Avevo notato che il padre spirituale, quando incontrava Giuseppe gli diceva: “Dì tre Ave Marie alla Madonna…” Seppi solo dopo che Giuseppe aveva finito per cedere alle pressioni del padre spirituale, che se lo immaginava come Adamo tentato da Eva, e gli aveva raccontato quello che il prete si aspettava. Alla fine Giuseppe era stato costretto a prendersi gioco dei sacramenti e ne ha sofferto parecchio. Ho provato a digli tante volte che sono vere colpe solo le decisioni “libere” che recano danno al prossimo, ma non era abbastanza laico per accettare questo punto di vista.

I veri momenti di contatto con Giuseppe erano nelle vacanze. Nelle vacanze di Natale e di Pasqua si poteva uscire insieme ed erano giornate esaltanti, qualche volta si arrivava a toccarsi o a masturbarsi insieme. Allora non esisteva l’aids e per due ragazzi della nostra età le malattie veneree erano una realtà del tutto sconosciuta e impensabile. Né i miei genitori né quelli di Giuseppe hanno mai sospettato nulla, evidentemente la scuola cattolica era stata una buona palestra, ci aveva dato una buona educazione e ci aveva insegnato come “proteggerci dai pericoli che ci circondavano”.

Nelle vacanze estive tra il primo e il secondo liceo, tutti i nostri dubbi erano dissipati, avevamo 17 anni, ma sapevamo quello che volevamo, ormai ragionavamo con la nostra testa. Giuseppe andava d’accordo coi genitori ma non si sognava neppure di parlare apertamente con loro di sessualità, io con i miei avevo in pratica solo un rapporto formale, a loro andava bene così e io capivo giorno dopo giorno che solo con Giuseppe avrei potuto vivere la mia vita e che conciliare quello che provavo per Giuseppe con altre cose sarebbe stato impossibile. Tra l’altro sia io che lui eravamo stati fortunatissimi perché, senza internet e senza telefonini e con la paura di dichiararsi che c’era allora, la probabilità di trovare un altro ragazzo gay serio era quasi zero.

L’ultimo anno, ormai, non avevamo più paura di niente e di nessuno. Dovevamo studiare perché allora la maturità era terribile ma ci siamo anche divertiti, dopo le vacanze di Natale abbiamo introdotto in collegio le novelle di Boccaccio in edizione integrale “per approfondire gli studi!” E il libro ci è stato sequestrato ma non abbiamo avuto una segnalazione disciplinare per non sollevare polvere. Ma la cosa più bella è stata quando abbiamo messo nell’armadietto dei due nostri compagni “che facevano la spia” due copie del Capitale di Marx. Lì veramente si è visto che da un giorno all’altro è cominciata la caccia alla mela marcia, o sarebbe meglio dire la caccia alle streghe, ma i preti non sono arrivati a capire chi avesse introdotto quei libri e la faccenda è stata insabbiata.

Presa faticosamente (molto faticosamente) la maturità si è posto il problema della scelta della facoltà, scelta che i nostri genitori ritenevano fondamentale, mentre per noi l’unica scelta fondamentale era rimanere insieme. Mio padre mi avrebbe voluto medico, il padre di Giuseppe lo avrebbe voluto avvocato, come lui, alla fine decidemmo entrambi di studiare ingegneria e fu una scelta libera e quanto mai opportuna.

Ora siamo entrambi vecchi, over 70, la salute è un po’ incerta ma regge ancora passabilmente. Abbiamo uno studio di ingegneria bene avviato, dove nessuno sa di noi. Eravamo entrambi figli unici. I nostri genitori sono stati sempre all’oscuro di tutto. Viviamo in due villette singole confinanti un po’ fuori città, abbiamo aperto una porta nella recinzione che ci divide, ovviamente viviamo insieme da un po’, in pratica da quando siamo rimasti entrambi senza genitori 14 anni fa.

Abbiamo in comune una badante (o una signora tutto fare), un po’ una specie di tata per vecchi. Credo che lei abbia capito come stanno le cose ma non si è mai fatta problemi e non ha mai fatto chiacchiere. Abbiamo un cane, “pof”, che è in pratica di tutti e due.

Adesso siamo liberi, 60 anni fa non avremmo mai immaginato un futuro così. Sono grato alla scuola cattolica perché, per quanto possa sembrare paradossale ci ha indotto a ragionare con la nostra testa. Credimi, Project, ai nostri tempi e nelle nostre condizioni era molto difficile. Se lo credi opportuno puoi mettere questa mail nel forum.

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Risposta di Project: Grazie per la tua mail, siamo più o meno coetanei, ma io ho frequentato un liceo statale, era anche quello un ambiente chiuso ma ci si respirava un’aria molto diversa e non c’erano tentativi istituzionalizzati di educazione ideologica, anche nella mia scuola c’era una penetrazione insinuante di organizzazioni cattoliche, ma il fatto che la scuola non fosse parte di un collegio ma fosse una scuola statale dove si sta solo per le ore di lezione del mattino, consentiva comunque forme di relativo pluralismo. Uno poteva anche in una scuola statale finire invischiato in organizzazioni di lavaggio del cervello come quelle di cui parli tu, ma aveva anche la possibilità di uscirne, se voleva, e poi va aggiunta una considerazione, il collegio di cui parli aveva due caratteristiche, una era l’essere cattolico e l’altra era di essere un ambiente sociale di élite, quindi molto selettivo, ed è un’accoppiata terribile.

La tua storia mi ha ricordato, per certe atmosfere, il romanzo di Roger Peyrefitte “Les amitiés particulières”, ma il romanzo di Peyrefitte è stato pubblicato nel 1943 e si riferisce ad epoche ben anteriori agli anni ’60 del secolo scorso, gli epiloghi del libro di Peyrefitte sono tragici perché la pervasività e la violenza di quello che ritrae erano oggettivamente estreme. La storia che racconti tu è degli anni ’60 e il clima era già cambiato. Devo aggiungere che leggendo la tua mail ho avuto il timore di trovare una conclusione analoga a quella del romanzo di Peyrefitte ma per fortuna non è stato così. Dopo la fine della guerra il mondo è oggettivamente cambiato, almeno in Europa, e l’happy ending della tua storia ne è un chiaro segno. Grazie ancora per il tuo contributo.

Aggiungo un’altra considerazione: è veramente terribile vedere come il Vangelo possa essere strumentalizzato e la storia della chiesa ne mostra esempi infiniti, alcuni ben più terribili di quelli cui fai riferimento.

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Risposta di Lao: Ho letto questa storia con molto interesse, ma il periodo dai 20 ai 70 anni è stato narrato in maniera troppo sbrigativa (per quanto il titolo del thread sia chiaro, avrei voluto saperne di più). Repressione e ipocrisia devono aver contrassegnato le istituzioni educative a carattere religioso di quel periodo.

Ormai questi due uomini hanno oltre 70 anni, sono presumibilmente soli e non hanno più bisogno di lavorare, perciò non hanno niente da “temere” dalla badante o da chi per lei. Se gli altri capiscono, se ne faranno una ragione. Sono contento che l’autore della mail e Giuseppe abbiano trascorso e stiano trascorrendo la vita insieme.

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Caro Project,
intanto grazie per la tua risposta.
Rispondo all’osservazione di Lao.

Ho preso la maturità nel 1967, prima della riforma Sullo, per capirci quella che ha introdotto l’esame con solo due scritti e due orali, quindi ho fatto gli esami come erano previsti dalla riforma Gentile, con tutte le prove scritte, con gli orali di tutte le materie e con la sessione di riparazione (a settembre) per quelli che non avevano ottenuto in prima sessione la sufficienza in tutte le materie, l’esame all’epoca era veramente un incubo.

All’epoca circa il 30% degli studenti veniva bocciato alla maturità. In questo senso, avere frequentato il liceo in una scuola come quella dove ho studiato io era una garanzia non da poco, perché si trattava di una scuola rispettata e temuta dalle stesse commissioni d’esame.

Sia io che Giuseppe abbiamo corso seriamente il rischio, se non di essere bocciati, almeno di essere rimandati a settembre, cosa che allora capitava a circa il 50% degli studenti e noi ce la siamo cavata, io penso, essenzialmente perché il commissario di Italiano, che non era certamente di ispirazione cattolica ha chiesto a Giuseppe l’XI canto del Paradiso, quello di San Francesco, e a me ha chiesto addirittura Carducci. Giuseppe ha capito che il professore della commissione aveva una mentalità aperta e ha parlato di Bonifacio VIII, della corruzione ecclesiastica e della repressione dei movimenti pauperistici, tutte cose che noi avevamo studiato per conto nostro sull’enciclopedia Treccani, che era in libera consultazione nella biblioteca dell’istituto perché si riteneva che nessuno l’avrebbe letta.

Io invece mi feci portare dall’entusiasmo parlando dell’Inno a Satana, mentre il commissario interno, padre [omissis] mi guardava con occhi di fuoco come fossi il demonio incarnato. Il commissario di Italiano mi disse che aveva apprezzato il mio tema su Carlo Cattaneo. Sono andato a ritrovare il brano di Cattaneo che commentai nel mio scritto di maturità, ne ricopio qui un tratto, che è quello che mi entusiasmò: “Oggi vogliamo nella letteratura la scienza, non nel senso didattico ma nel senso dell’erudizione vasta, profonda, nel senso della solidarietà delle nazioni, nel senso umanitario, nel senso della libertà.” Io, che ero abituato a leggere solo Manzoni, mi ritrovavo in una visione del mondo che era molto più mia, quella parola “libertà” mi inebriava.

Anche Giuseppe fece il tema su Cattaneo ma si dedicò a commentare un altro brano di Cattaneo: “La letteratura, che ai nostri giorni si è tutta data al servizio della civiltà, non può più essere, come in antico, coltivata nell’isolamento; ci ridiamo ora di letterati anacoreti, alziamo sdegnosi le spalle sulle loro meditazioni egoistiche dalle quali traspira sì profonda ignoranza del mondo e delle cose, erudizione sì limitata, limitata spesso al circuito della propria città o tutt’al più della propria nazione, e che mostrano di ispirarsi a idoli da gran tempo abbattuti, a tradizioni scolastiche retoriche o prettamente classiche.” Quello che diceva Cattaneo era proprio la demolizione della cultura che ci era stata proposta, ma dovrei dire imposta, come modello.

Io e Giuseppe fummo gli unici due candidati a svolgere il tema su Cattaneo e penso che sia stato proprio questo a salvarci dal rinvio a settembre se non proprio dalla bocciatura. Con enorme scorno del nostro membro interno, padre [omissis], prendemmo entrambi otto allo scritto e otto all’orale di Italiano e ci guadagnammo anche la stima del commissario esterno di Matematica. L’esperienza degli esami mi diede per la prima volta la precisa sensazione di quanto avessi perduto nel non frequentare un liceo pubblico. Nelle altre materie prendemmo tutti sei, perché di materie scientifiche sapevamo poco o nulla e i commissari di Latino e Greco e di Storia e Filosofia erano affascinati dalla tradizione e dal nome della mia scuola. Quando la commissione andò via, il commissario di Italiano ci diede la mano e lo fece solo con noi due.

Finiti gli esami ci restava l’enorme problema di fare digerire ai nostri genitori che avremmo fatto le nostre scelte relative alla facoltà universitaria esclusivamente sulla base dei nostri criteri. Mio padre dava per scontato che io avrei seguito pedissequamente i suoi “consigli”, i genitori di Giuseppe gli avrebbero lasciato una maggiore libertà di scelta, ma comunque relativamente ad una rosa di scelte molto limitata e in ogni caso avrebbero dato per scontato che Giuseppe frequentasse l’università a Milano, ma noi avevamo in mente altri progetti, volevamo andarcene il più presto possibile da Milano per avere una nostra autonomia vera e avevamo già fatto le nostre scelte, volevamo iscriverci a Ingegneria e a Roma, non a Milano, ma fare accettare un progetto del genere ai nostri genitori e per di più sviando la loro attenzione dal fatto che una scelta simile, fatta in due, potesse nascondere motivazioni che nulla avevano a che fare con gli studi, era un’impresa degna di Agamennone.

Dovevamo trovare una strada per arrivare al risultato e dovevamo trovarla presto. I nostri genitori cominciavano a proporci compagnie femminili ben selezionate, cioè del livello sociale ed economico adatto. Provenendo da un collegio tutto maschile si dava per scontato che noi non avessimo amicizie femminili ma si dava altrettanto per scontato che noi fossimo desiderosi di averne, cosa mille miglia lontana dalla realtà.

La famiglia di Giuseppe aveva individuato per lui una ragazza “adatta” e questa idea cominciava a mettere Giuseppe di cattivo umore, ma la ragazza, che aveva fatto anche lei la maturità, si volle iscrivere all’accademia nazionale di danza a Roma, questo fatto per un verso facilitò la situazione di Giuseppe a Milano e per l’altro avrebbe potuto interferire coi nostri piani di andare a Roma, ma c’era il fatto che l’ipotetica relazione tra quella ragazza e Giuseppe era sono nelle fantasie dei genitori di Giuseppe, perché con ogni probabilità la ragazza aveva in mente progetti completamente diversi.

Poiché il tempo era poco, decidemmo innanzitutto di agire separatamente, in modo da non fare pensare ad un progetto premeditato in due. Avremmo cominciato dallo sparare molto alto, cioè dal proporre qualcosa che per i nostri genitori non fosse accettabile da nessun punto di vista. Una sera mentre i miei genitori stavano vedendo la televisione ho detto loro quali progetti avevo per il futuro: volevo lavorare per essere economicamente indipendente e avevo già mandato 10 domande di lavoro a Roma.

Avevo fatto le copie da mostrare ai miei genitori, ma ovviamente non avevo mandato le domande. I miei rimasero di sasso e mi chiesero il perché di una decisione del genere, ma io dissi che all’università c’erano anche i corsi serali per lavoratori-studenti, cosa allora non vera, anche se i miei non lo sapevano, ma che si verificò qualche anno dopo, e dissi che avrei lavorato e studiato. In realtà la cosa era più complicata di come può sembrare oggi, perché allora si diventava maggiorenni a 21 anni e io sarei rimasto comunque per altri tre anni a dipendere in tutto dai miei genitori, anche se avessi lavorato.

Mi chiesero che facoltà volevo fare e io dissi che volevo fare ingegneria, ovviamente cercarono di sconsigliarmi in tutti i modi ma io ero deciso nelle mie scelte. Alcuni figli di loro amici avevano fatto ingegneria e la cosa, al limite, non sembrava a loro così scandalosa, ma che io dovessi lavorare “come un morto di fame” non lo accettavano proprio. Fu la prima volta che vidi i miei genitori preoccupati, non di me, ma del disdoro sociale che poteva derivare loro dall’avere un figlio che lavora come “un morto di fame”.

Ormai il dado era tratto! Dopo un paio di giorni di indecisione dissi che mi avevano chiamato a lavorare a Roma a fare il bigliettaio serale in un cinema. Mio padre mi guardò schifato, come se io fossi uscito di cervello e mi avessero chiamato a fare il tenutario di una casa di tolleranza, ma non disse nulla, io ero terrorizzato che i miei decidessero di non intervenire.

Comparai un biglietto del treno per Roma e lo poggiai sul comodino, il giorno dopo mia madre venne per cercare di farmi rinsavire, ma io mi misi a fare la valigia sperando che la loro resistenza cedesse. La sera mio padre venne a Canossa e mi propose di pagarmi una casetta vicino all’università perché altrimenti, come lavoratore-studente non mi sarei mai laureato. Io accettai e dissi che dovevo comunque andare a Roma per comunicare subito a quelli del cinema che non sarei andato e che cercassero un altro e anche per cercarmi un appartamentino.

L’indomani mattina alle 5.30 esco da casa e vado in stazione con una valigetta. Sono d’accordo coi miei che starò via da casa tre giorni completi e dormirò in albergo per due notti. Giuseppe sale a Rogoredo e facciamo tutto il viaggio insieme. Lui con i suoi non ha avuto bisogno di ricorrere a trucchi di nessun genere. Il padre gli ha detto che doveva fare quello che credeva meglio e che lo avrebbero appoggiato economicamente comunque.

All’epoca, a quanto sapevo, i miei genitori e quelli di Giuseppe non si conoscevano affatto, i miei genitori conoscevano Giuseppe ma non i suoi genitori, quindi avremmo potuto prendere benissimo due appartamentini vicinissimi, ma la cosa era da valutare in concreto a Roma. Fu un viaggio lungo e stancante ma “nostro”, finalmente liberi!

Il treno era affollatissimo ma noi stavamo veleggiando verso la nostra libertà. Arriviamo a Roma Termini nel pomeriggio e fa un caldo tremendo, proprio da schiattare. Andiamo subito in albergo e ci prendiamo “due stanze singole”, in modo da avere due ricevute singole, depositiamo i bagagli e ci riposiamo un po’, poi vediamo la strada da fare per andare in zona università, ma è vicino alla stazione e ci si può andare benissimo a piedi.

Andiamo a farci un giro, compriamo un giornale di Roma, con gli annunci economici. Oggi sui giornali queste cose non ci sono più, perché sono tutte su internet, ma allora c’erano pagine intere di annunci di ogni tipo e ovviamente anche di case in affitto. Passiamo la serata a selezionare annunci con la pianta di Roma sotto mano e ne troviamo due che potrebbero andare bene. L’indomani mattina andiamo all’università a prendere l’ordine degli studi della facoltà di ingegneria, andiamo a vedere dove si tengono le lezioni e poi andiamo a vedere i due appartamenti, il primo è impresentabile e il padrone di casa non ci convince affatto, vuole fare tutto aumma aumma, cioè senza contratto, ecc. ecc..

Il secondo sarebbe una soluzione possibile, costa di più ma ha due stanze e sembra una cosa seria, si potrebbe benissimo prendere insieme, per noi andrebbe benissimo ma non sappiamo come fare accettare una cosa del genere ai nostri genitori perché risulterebbe sospetta. Lasciamo la cosa in sospeso, passiamo il pomeriggio cercando altri giornali con annunci di affitti, nel pomeriggio ne vediamo altri tre.

Troviamo una soluzione che ci sembra possibile: due appartamenti piccolissimi abbastanza vicini tra loro e che avevano entrambi il telefono, cosa fondamentale, perché al tempo non era affatto scontato che ci fosse il telefono in un appartamento per studenti. Gli appartamenti erano però un po’ più lontani da dove si faceva lezione rispetto a quelli che avevamo visto il giorno prima. La mattina del terzo giorno andiamo a vedere e la soluzione sembra tutto sommato accettabile. Paghiamo un anticipo per fissare gli appartamenti, anzi, due anticipi separati, e ci facciamo fare le ricevute. I padroni di casa sembrano abituati ad affittare appartamenti agli studenti.

Riprendiamo il treno per Milano. Giuseppe scende a Rogoredo, e cambia treno per non arrivare col mio, di questo si sarebbe potuto fare a meno ma ci sembrò necessario usare la massima prudenza. A casa spiegai ai miei quello che avevo fatto e stranamente non fecero troppe storie, perché il fatto stesso di pagare l’appartamento sembrava loro una forma di partecipazione più che sufficiente alla mia vita. Le lezioni cominciavano il 5 Novembre.

Entrammo in casa il 1° Novembre. Nei primissimi tempi io ebbi qualche problema col padrone di casa che aveva visto spesso Giuseppe uscire da casa mia e temeva che Giuseppe fosse di fatto un subaffittuario, quando vide che Giuseppe aveva preso ufficialmente il domicilio in un’altra casa sempre a Roma e che io pagavo regolarmente l’affitto, il padrone di casa non fece più storie e di fatto Giuseppe venne a vivere a casa mia, che era un po’ più vicina all’università.

I primissimi di novembre ci siamo procurati i libri necessari per gli esami e abbiamo cominciato a sfogliarli e lì è arrivato il primo trauma inatteso. Leggevamo e non capivamo quasi niente. Ci rendemmo conto che il nostro livello di conoscenza delle discipline scientifiche era pressoché nullo e, devo ammetterlo, ci prese il panico. Nel frattempo erano cominciate le lezioni che dopo i primissimi giorni cominciavano ad essere incomprensibili.

A lezione c’era una marea di gente e parecchi si comportavano come deficienti, dicevano stupidaggini per fare ridere gli altri, si lanciavano i cartoccetti con l’elastichetto, mentre i professori continuavano imperturbabili a scrivere lavagnate di formule via via sempre più incomprensibili. Andavamo a lezione ogni giorno ma perdevamo terreno ogni giorno. Capimmo che se non avessimo studiato dalla mattina alla sera non avremmo cavato un ragno da un buco. Avevamo ridotto al minimo i tempi da sottrarre allo studio, andavamo a lezione tutta la mattina, mangiavamo un panino e ci rimettevamo subito a studiare e a fare esercizi. Arrivavamo alla sera tardi con le lacrime della disperazione.

Non tornammo a Milano durante le vacanze di Natale e rimanemmo a Roma a studiare alla disperata e fu proprio allora che cominciammo a recuperare un po’ del terreno perduto. Quando cominciammo a capire qualcosa della geometria della retta e del piano nello spazio mi si aprì il cervello, cominciai a capire la logica generale della Geometria analitica. L’Analisi era trattata in modo molto astratto e teorico, ma passando dai limiti alle derivate qualcosa si cominciava a capire anche a livello intuitivo, la Fisica e la Chimica sembravano più comprensibili nella teoria ma fare i problemi ci sembrava ancora molto difficile.

Un problema a parte e quasi insormontabile era il cosiddetto Disegno civile. I nostri colleghi che venivano da altri tipi di studi facevano cose splendide senza nessuno sforzo, noi faticavamo anche con le cose più elementari e i nostri disegni erano assolute porcherie. Assonometrie e prospettive all’inizio erano per me oltre il limite del possibile. Mi sentivo proprio un incapace. Dopo Natale le aule si erano svuotate, c’era un quarto degli studenti rispetto ai primi giorni di Novembre, chi era capitato lì per sbaglio capiva che non era aria per lui e cambiava facoltà.

Andammo a sentire una sessione di esami e restammo terrorizzati, i promossi erano pochissimi e molti ripetevano l’esame più di una volta. A febbraio ci sembrò di cominciare a capire e a seguire le materie, ma gli esami erano quasi tutti su argomenti che non conoscevamo per niente e che non avevamo ancora trattato: dalle quadriche alla termodinamica, dalla chimica-fisica al calcolo combinatorio. Eravamo veramente in crisi, studiavamo da matti ma non vedevamo luce in fondo al tunnel. All’inizio di marzo eravamo finalmente in grado di seguire “alla grossa” le lezioni, studiando da matti fino a notte alta.

Gli esercizi cominciavano a venire e cominciavamo a capire la bellezza delle materie scientifiche in cui una cosa o è giusta o è sbagliata e i procedimenti hanno delle motivazioni razionali indiscutibili. Non tornammo a Milano nemmeno per Pasqua, pensavamo solo a studiare. In quel periodo il sesso tra noi era solo la medicina della disperazione e in pratica l’ultimo dei nostri pensieri, anche perché stavamo comunque insieme 24 ore su 24 e condividevamo praticamente tutti gli aspetti della vita. Il rapporto con gli altri studenti era ridotto ai minimi termini perché in pratica era un “si salvi chi può”. I professori erano personaggi mitici che vedevi da lontano salvo il momento da infarto degli esami.

Praticamente tutti gli esami avevano scritto e orale e la grande maggioranza della scrematura si faceva allo scritto. Allo scritto potevi portarti i libri che volevi, e il regolo calcolatore, una cosa che oggi è un oggetto da museo ma allora era praticamente l’unico mezzo di calcolo possibile, perché i calcolatori elettronici portatili non esistevano proprio e comunque il regolo, era l’unica alternativa concreta alle tavole dei logaritmi. Oggi ci sono le calcolatrici programmabili e ce ne sono di mostruose, allora non c’era niente di tutto questo e una parte molto grossa delle difficoltà dei problemi di fisica o di chimica era rappresentata dal calcolo numerico. Qualcuno si portava appresso le tavole dei logaritmi a sette decimali per fare calcoli più precisi, ma in realtà in quel modo il rischio degli errori di calcolo aumentava a dismisura.

I professori correggevano gli esercizi in due fasi: prima guardavano il risultato numerico, se quello era giusto, almeno approssimativamente, guardavano il procedimento e un errore di calcolo portava a calcolare come zero il punteggio di quell’esercizio. Sbagliare i calcoli era micidiale. Noi eravamo andati a cercare e a mettere insieme i testi delle prove scritte di Analisi, di Fisica e di Chimica ed avevamo preso appunti delle domande ricorrenti agli orali anche di Geometria. I corsi finivano ai primi di Giugno e a Giugno non avevamo alcuna probabilità concreta di superare nessuno degli esami previsti.

Non tornammo a Milano nemmeno d’estate perché dovevamo arrivare a fare gli esami, o almeno tre esami entro settembre, altrimenti tutto il nostro progetto sarebbe naufragato miseramente e saremmo dovuti tornare a casa nel compatimento generale. Andammo a seguire tutti gli esami della sessione estiva, di tutte le materie che avremmo dovuto fare noi. Prendevamo appunti, poi tornavamo a casa e studiavamo gli argomenti cercando di capire che cosa volessero i professori e lì mi sono accorto che di tanti argomenti che pensavo di conoscere non avevo capito assolutamente nulla. Le quadriche e la termodinamica restavano un vero mistero, avevo imparato a pappagallo tante definizioni ma me ne sfuggiva proprio il significato.

Seguendo gli esami, però, cominciammo a capire il senso delle funzioni di stato e dei processi quasi-statici e quando intuimmo il senso fisico-matematico del ciclo di Carnot ci si aprì un mondo. Decidemmo di puntare tutto su tre esami: Geometria, Analisi e Fisica e di lasciare per Novembre o per febbraio addirittura, Chimica e Disegno civile. Ai primi di luglio gli esercizi cominciavano a tornare e avevamo imparato ad usare con sicurezza il regolo, a metà di luglio avevamo finito il primo ripasso delle tre materie e cominciammo a confrontarci con le prove scritte di esame.

Le facevamo insieme, nel tempo stabilito di due ore, come se fossimo all’esame, poi ce le correggevamo a vicenda guardando le soluzioni pubblicate dopo le prove scritte e ci assegnavamo un punteggio coi criteri adottati dai professori. Ricordo che alla prima esercitazione su una vera prova di Geometria, io presi 11/30 e Giuseppe 12/30, sembrava pochissimo, ma noi solo due mesi prima saremmo stati a zero. Le cose andavano un po’ meglio con Analisi (22/30 e 21/30) e Fisica (19/30 e 18/30) perché i libri e le raccolte di esercizi svolti erano fatti molto meglio. A fine di luglio avevamo portato il risultato di Geometria intorno a 20 e quelli di Fisica e di Analisi intorno a 23.

Nei 40 giorni successivi, che precedevano le prove d’esame, procedemmo a marce forzate. Arrivammo alla vigilia degli esami con risultati medi sempre al di sopra di 20, che può sembrare poco ma significa già conoscere passabilmente le materie. Decidemmo di tentare, se avessimo preso meno di 24 avremmo rifiutato il voto e ci saremmo presentati alla sessione successiva. Arrivò il giorno dell’esame di Analisi, l’ansia era fortissima, entrammo, i candidati furono distribuiti in un’aula enorme. I testi delle prove erano diversi (A,B,C,D) ed erano assegnati per sorteggio, a me e a Giuseppe capitarono prove diverse.

Finite le due ore uscimmo con alcuni dubbi non risolti e con le brutte copie delle prove, tornammo a casa e ci correggemmo reciprocamente le prove seguendo passo passo il procedimento, io prevedevo di avere preso 22 e lui si aspettava 21, entrambi avevamo fatto errori di calcolo algebrico banale nonostante il procedimento giusto. Ci guardammo sconsolati. Due giorni dopo uscirono i risultati dello scritto, erano stati ammessi agli orali solo in otto, uno solo con 30, due con 27, Giuseppe aveva avuto 24 e io addirittura 26, gli altri erano tutti sotto il 20, non ci sembrava vero.

Avevamo una settimana prima dell’orale. Cominciammo ad interrogarci a vicenda giorno e notte e a ripetere ossessivamente dimostrazioni e teoremi. Passammo entrambi l’esame con 27 e ci fu un solo ragazzo che uscì con 30. La felicità era totale. Quella sera ci concedemmo di fare l’amore, ma dall’indomani cominciò l’ossessione di Geometria che però durò solo una settimana. Allo scritto prendemmo entrambi 23, un voto che ci avrebbe dovuto portare a non presentarci all’orale, ma siccome il voto più alto allo scritto era stato 26 pensammo di presentarci lo stesso e uscimmo entrambi con 25, un voto che non ci sembrava un gran che, ma intanto l’esame era fatto.

Restava in sospeso la Fisica che aveva lo scritto “col calcolo numerico” che ci terrorizzava, l’esame era previsto per la metà di ottobre e c’era un minimo di tempo. Decidemmo di focalizzarci proprio sugli argomenti più difficili: termodinamica e onde. I nostri livelli nello scritto erano saliti intorno al 26 e questo ci incoraggiava. Andammo a fare le prove e uscimmo entrambi con un 22, ma il nostro 22 veniva dopo un solo 25 e un solo 23, decidemmo di giocarci il tutto per tutto e di andare all’orale. Mi chiesero “conservazione del momento angolare e legge delle aree”, “secondo principio della termodinamica” e “battimenti” a Giuseppe fecero fare esercizi scritti anche all’orale. Uscimmo entrambi con 26, ci rimanemmo male ma accettammo il voto.

In pratica eravamo partiti da zero ed avevamo una media di 26, che poteva sembrare poco solo se vista da fuori, per noi era una conquista, era la certificazione che si poteva andare avanti.

Per preparare l’esame di chimica avemmo più tempo, Giuseppe uscì con 27 e io con 28 e mi sembrò di toccare il cielo con un dito.

Ci restava l’incubo di Disegno civile, un esame che in genere serviva agli altri per alzare la media, ma per me fu esattamente il contrario, lì la prova era in pratica solo grafica e l’orale era una discussione dello scritto. Giuseppe passò con 25, io avevo fatto veramente una tavola che era una porcheria. Il professore mi chiama e mi fa un gesto per farmi capire che la prova era indecente, e mi scrive su un foglietto un 23, ma non lo scrive sulla tavola, cioè non lo scrive come voto definitivo, io parto a raffica spiegando tutti gli errori che avevo fatto, dopo qualche minuto gira il foglietto e scrive 24 e lo sottolinea due volte al che io faccio cenno di sì. Quando sono uscito non mi sembrava vero.

Il 5 Novembre alla ripresa delle lezioni avevamo superato TUTTI gli esami previsti e potevamo dedicarci alle materie del secondo anno. Mi piacque moltissimo l’esame di Meccanica razionale, molto meno Analisi due con gli integrali multipli, i momenti di inerzia e le equazioni differenziali, mentre fui affascinato dall’elettromagnetismo, ma ormai le cose procedevano regolarmente, la media dei voti saliva. Il triennio poi era già più specializzato ma fino a un certo punto.

Mi incantava la Scienza delle costruzioni, molto meno la Meccanica applicata. L’elettrotecnica mi sembrò una vera scoperta, tanto che rimpiansi di avere scelto ingegneria civile. Con i colleghi del triennio il clima era diverso, eravamo numericamente pochi rispetto al biennio, c’era un minimo di collaborazione e hanno anche cercato di inserirci nel gruppo ma ci siamo tenuti sempre fuori dai gruppi di qualsiasi genere.

Il momento di svolta del nostro corso di studi fu l’esame di analisi numerica “con elementi di programmazione” che all’epoca era considerato solo un ulteriore esame di matematica perché l’informatica era veramente ridotta ai minimi termini. Ci si aprì davanti un mondo nuovo, capimmo che il calcolo elettronico non aveva niente a che vedere coi calcoli fatti col regolo e che cambiavano proprio le regole del gioco.

Parlammo col professore che ci prese sul serio, ci diede da sviluppare dei programmi in Fortan e in Algol, allora il Pascal non c’era ancora e la cosa aveva per noi il fascino della scoperta. I nostri programmi di calcolo erano evoluti e piacquero al professore che ci permise di accedere al laboratorio di calcolo, una cosa allora praticamente impossibile per uno studente. Fummo spinti automaticamente a uno studio matematico dell’analisi numerica di livello nettamente più alto. Analisi numerica fu il primo esame in cui avemmo la lode, cosa che ci mandò in orbita.

Mantenemmo i contatti col professore di analisi numerica e quando nel 1970 uscì il Pascal cominciammo a lavorare su programmi di calcolo delle strutture, sono cose che paragonate con quello che fanno i PC di oggi sono di una elementarità disarmante, ma all’epoca erano novità sconvolgenti, soprattutto perché evitavano il problema degli errori di calcolo.

Ci siamo laureati con la lode a Novembre 1972 con due tesi coordinate su: “Programmi di calcolo di strutture reticolari complesse linearizzabili”. Purtroppo, a causa dei rinvii della sessione di laurea non riuscimmo a fare l’esame di abilitazione in seconda sessione 1972 ma a Giugno del 1973, a 25 anni, avevamo preso l’abilitazione ed eravamo finalmente ingegneri.

Devo sottolineare che le nostre famiglie non sapevano nulla della nostra vera storia, non sapevano che avevamo vissuto insieme per anni e che ci eravamo laureati lo stesso giorno praticamente trattando gli stessi argomenti. Ora i nostri genitori si aspettavano che noi tornassimo a Milano per trovare qualche posto prestigioso, magari tramite qualche loro amico, ma noi avevamo idee abbastanza precise, volevamo aprire uno studio di ingegneria civile “avanzato” cioè basato sull’uso dei calcolatori. Oggi questa cosa sembra una assoluta ovvietà, ma 50 anni fa non lo era affatto.

Per fare una cosa minimamente dignitosa avremmo avuto bisogno di soldi, almeno per prendere un appartamento da usare come sede dello studio e per poter assumere un paio di collaboratori, essenzialmente un informatico molto aggiornato e una segretaria amministrativa capace di gestire le questioni fiscali. Per quanto riguardava i problemi dei brevetti avremmo cercato di fare da noi o al massimo di ricorrere (il meno possibile) a consulenti esterni, ma per partire ci voleva un capitale non indifferente.

Non ci facemmo portare nel mondo dei sogni e stabilimmo un principio: “mai fare il passo più lungo della gamba!” I nostri genitori si erano offerti di darci una mano economicamente ma avrebbero voluto che tornassimo a Milano, cose che noi non volevamo fare assolutamente, facemmo quindi una scelta che fu aspramente criticata: facemmo domanda di supplenza per insegnare negli istituti tecnici, e allora avere le supplenze era facile perché i laureati in materie tecniche erano pochi.

Abbiamo insegnato per tre anni negli Istituti tecnici e abbiamo messo da parte tutto quello che abbiamo potuto, non eravamo comunque in grado neppure di pagare un anticipo per acquistare un appartamento per lo studio e così decidemmo di prenderne uno in affitto e di tentare di farci imprenditori di noi stessi.

Prendemmo un appartamento di tre stanze in mezza periferia ma piuttosto ben messo e ci decidemmo a fare una spesa folle per noi all’epoca, comprammo un computer Olivetti P6060 che costava una cifra enorme, oltre 8.000 dollari, al cambio di allora quasi cinque milioni e mezzo di lire, come insegnanti noi guadagnavamo meno di 250.000 lire al mese, il che vuol dire che il computer ci costò, comprese le tasse, circa 25 mensilità di stipendio. Il computer era da ufficio, ma era pesantissimo (oltre 40 kg) e mastodontico, il che però dava al nostro ufficio un aspetto assolutamente unico e supertecnologico.

Appena attivato il P6060 ci siamo messi a lavorarci sopra e nel tempo di un mese abbiamo sviluppato i primi software, innanzitutto quelli della contabilità di ufficio, che era tutta conservata su grossi soft-disk 20×20, poi ci siamo messi a lavorare sulla progettazione di strutture reticolari in acciaio e noi avevamo la possibilità di fare calcoli mostruosamente complessi per l’epoca e senza rischio di errori, in pratica potevamo stampare e consegnare in un giorno la progettazione di una struttura reticolare complessa che agli altri richiedeva almeno 15 giorni e certamente era assai meno precisa.

Purtroppo non c’era modo per disegnare tramite computer come si fa adesso col CAD e quindi ci voleva comunque un disegnatore meccanico che fosse in grado di eseguire le tavole presto e bene. Ci rivolgemmo ad un nostro alunno molto bravo (Martin) che venne a lavorare per noi, gli demmo un tecnigrafo di ultima generazione, uno strumento che oggi è un oggetto da museo.

Il lavoro cominciava ad arrivare, noi non ci preoccupavamo di seguire i lavori in cantiere ma solo della progettazione e dedicavamo tutto il tempo libero alla progettazione del software. In pochi anni fummo in grado di comprare un appartamento più grande per lo studio, oltre Martin assumemmo anche la sua ragazza, che si chiamava Martina (combinazione più unica che rara).

Poi ci allargammo ancora e assumemmo uno dei primi informatici professionalmente formati, soprattutto per scegliere computer che fossero all’avanguardia perché in quegli anni l’evoluzione era rapidissima. Smettemmo dopo qualche anno di usare software autoprodotto e cominciammo a padroneggiare software commerciali specializzati e abbiamo continuato su questa strada fino ad ora.

Con gli anni ci siamo comprati due case per noi, in ciascuna delle case c’è una stanza singola e una stanza matrimoniale, come se fossero case destinate a ospitare famiglie tradizionali. Non abbiamo mai invitato persone estranee a casa nostra, quelle rarissime volte che i nostri genitori venivano a Roma, la stanza matrimoniale, in teoria quella degli ospiti, era per loro. Oggi i nostri genitori non ci sono più e non abbiamo fratelli, dobbiamo pensare solo a noi stessi e alla vecchiaia che avanza grandi passi, finché la salute ci assiste stiamo bene così!
Prego Project, se lo crede opportuno, di aggiungere questa mail alla nostra precedente. Grazie!

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay (sul Forum la discussione ha conservato il titolo iniziale):

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VATICANO E PROPOSTA DI LEGGE ZAN

Il rapporto tra la Chiesa cattolica e l’omosessualità, nella storia, è sempre stato di condanna senza appello. Il catechismo della Chiesa cattolica e i documenti pontifici in tema di omosessualità parlano di “grave depravazione” [1], “funesta conseguenza di un rifiuto di Dio” [2],“mancanza di evoluzione sessuale normale” [3], “costituzione patologica” [4], “comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale” [5]. San Pio X, nel suo Catechismo del 1910, classifica il “peccato impuro contro natura” come secondo per gravità solo all’omicidio volontario, fra i peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio” [6]. E il Catechismo aggiunge [7] “Questi peccati diconsi gridare vendetta al cospetto di Dio, perché lo dice lo Spirito Santo e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punirli con più severi castighi”. Queste affermazioni sono “la dottrina ufficiale della Chiesa circa l’omosessualità” e non hanno bisogno di commento. Non vi è dubbio che un omosessuale per essere cattolico dovrebbe considerare l’omosessualità il peggiore dei vizi.

Insegnare queste “verità” significa oggettivamente emarginare e perseguitare gli omosessuali. Benedetto XVI, quando era ancora Prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede, nella LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA SULLA CURA PASTORALE DELLE PERSONE OMOSESSUALI – 1° ottobre 1986, e nelle CONSIDERAZIONI CIRCA I PROGETTI DI RICONOSCIMENTO LEGALE DELLE UNIONI TRA PERSONE OMOSESSUALI- 3 giugno 2003,[8] è arrivato a scrivere cose che suscitano reazioni di sdegno morale in qualsiasi coscienza libera. Papa Francesco ha alleggerito i toni ma la Chiesa ha alla spalle secoli di tradizioni omofobe e di predicazione dell’odio e della discriminazione dietro l’apparenza della “cura pastorale”. La dottrina della Chiesa in materia di sessualità afferma cose che sono l’esatto contrario di quelle affermate dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Questa predicazione di odio e il risultato del radicale rifiuto di aprire gli occhi su una realtà che non può essere valutata sulla base di preconcetti dogmatici ma deve essere affrontata con onestà intellettuale, se la si vuole capire veramente. Non ci si può aspettare dalla Chiesa il rispetto di una visione laica della vita, cioè di una visione che guarda alla realtà e non a San Paolo e ad altre siffatte autorità per interpretare fenomeni reali che coinvolgono la vita di milioni di persone, persone che non reclamano affatto una “cura pastorale” ma la libertà di essere quello che sono e qui non parlo di cattolici ma di chi cattolico non ci si sente per nessun motivo. La Chiesa, nonostante le apparenze non cambia, proprio perché sul messaggio di Cristo si è costruita una struttura che col messaggio di Cristo ha ben poco a che vedere. Cristo non è patrimonio esclusivo di nessuno ed è un esempio anche per chi è radicalmente laico e, francamente, pensare che il messaggio di Cristo si debba tradurre nel diritto “concordatario” della Chiesa di professare dottrine sostanzialmente d’odio, fa rabbrividire. Basti pensare alle cosiddette terapie riparative che la Chiesa ha sostenuto e che l’IRCT (International Rehabilitation Council for Torture Victims) nel suo Thematic Report 2020, dedicato alle “reparative therapies”, “It’s Torture Not Therapy” (https://issuu.com/irct/docs/irct_resear … 8/78929238) considera esplicitamente come forme di tortura. Rinvio chiunque voglia comprendere di che cosa stiamo parlando ad un noto articolo di Davide Varì, rapidamente sparito da Internet, ma qui reperibile: http://progettogaytest.altervista.org/t … rative.htm. Chi ha orecchio per intendere intenda.
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[1] Catechismo della Chiesa cattolica, 2357
[2] Congregazione per la Dottrina della Fede. Persona Humana. Alcune questioni di etica sessuale – 29 Dicembre 1975, n. 8 – Relazioni omosessuali
[3] Ibidem.
[4] Ibidem
[5] Congregazione per la Dottrina della Fede – Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 3.
[6] Catechismo maggiore, n. 966.
[7] n.967.
[8] Entrambi i documenti si possono leggere nell’articolo: 

https://gayproject.wordpress.com/2013/0 … essualita/

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CRONACA DI UN DISASTRO GAY ANNUNCIATO

Ciao Project, tempo fa pensavo di mandarti una mail sulle coppie gay, perché l’argomento mi interessa in prima persona, ma questa mail ha un’origine del tutto diversa. Io ho 32 anni, sono gay, non saprei dire se ho un compagno oppure no, e avevo pensato che il mio per così dire “problema” fosse un problema particolarmente serio, ma questo finché non mi sono reso conto che mi posso considerare fortunatissimo. Ho un gruppo di amici, che io e il mio “compagno” frequentiamo ormai da anni. Abbiamo sempre pensato di essere gli unici gay del gruppo. Gli altri lo sanno, o almeno penso che lo abbiano capito, nessuno ne ha mai parlato, né noi né loro, ma dovrebbero averlo capito. Tra gli amici ce ne sono alcuni molto estroversi, sia ragazzi che ragazze, e qualcuno un po’ più riservato. Io e il mio “compagno” siamo radicalmente laici, voglio dire che non siamo credenti, la chiesa ci sembra qualcosa di completamente estraneo e addirittura ostile. Con questo papa, forse un po’ meno, ma è comunque un mondo lontanissimo dal nostro modo di vedere le cose. Nel gruppo di amici ci sono anche cattolici, diciamo così “normali” cioè senza troppi entusiasmi ma che ancora si riconoscono in quegli ambienti, e poi c’è un ragazzo, che qui chiamerò Paolo (perché cita sempre san Paolo!) col quale il discorso, sia da parte mia che da parte del mio “compagno” è stato sempre molto difficile. Lui aveva una ragazza da anni, conosciuta in ambiente sempre cattolico. Vorrei fare una premessa: io e il mio “compagno” non ci sentiamo cattolici ma non odiamo nessuno e non abbiamo presupposti radicalmente laicisti e mangiapreti. Abbiamo conosciuto anche preti degni del massimo rispetto, intendo degni del massimo rispetto anche da parte di non credenti come noi, perché alla fine non conta quello che dici ma quello che fai. Dico questo per chiarire che non abbiamo uno spirito di repulsione verso tutti gli ambienti cattolici, perché dire cattolico può significare tutto e il contrario di tutto, come d’altra parte anche dire gay può significare tutto e il contrario di tutto.
Torno a Paolo. Fin da quando l’ho conosciuto, Paolo ha mostrato nei miei confronti una specie di distacco, diciamo di splendido isolamento. Si parlava pure, ogni tanto, ma solo di banalità, lui, nel gruppo, aveva i suoi amici, quelli più radicalmente cattolici, e siccome mi aveva sentito dire la mia e non gli piaceva quello che io dicevo, mi teneva a distanza, ma lo faceva solo lui, con i suoi amici “cattolici” io avevo un rapporto ottimo, si scherzava e si parlava di tutto, con lui no, il dialogo era minimo e limitato a cose ovvie, lui non si mescolava con chi non la pensava come lui. Poi il mio compagno è entrato nel gruppo e Paolo con lui aveva un minimo di rapporto, perché il mio compagno è molto più prudente di me, e avendo capito al volo chi era Paolo, si è ben guardato dal dire quello che pensava. Il mio compagno riteneva Paolo un ragazzo un po’ chiuso, un po’ fissato con la religione, ma tutto sommato uno “abbastanza simpatico”. Noi non abbiamo detto che eravamo una coppia gay, penso che alla maggior parte degli amici non importasse nulla di questo fatto e quindi non ne abbiamo parlato, ma tra noi avevamo dei comportamenti un po’ troppo sciolti per essere solo una coppia di amici. Paolo veniva sempre con la sua ragazza ma faceva delle cose che non capivo e che mi davano fastidio, rimproverava la ragazza in pubblico per delle cose che a me sembravano del tutto prive di senso, la zittiva facendole fare la figura della stupida, mi sono chiesto perché la ragazza tollerasse tutto questo, se io avessi fatto col mio compagno la decima parte di quello che Paolo faceva con la ragazza, il mio compagno mi avrebbe fatto volare dalla finestra. Un giorno si comincia a parlare di vita di coppia, gli amici cattolici “normali” dicevano cose tutto sommato accettabili o quasi anche per me e per il mio compagno, ma quelle cose a un certo punto hanno fatto scattare Paolo che è partito lancia in resta contro una ragazza che aveva osato sostenere che le esperienze prematrimoniali sono fondamentali e possono evitare “matrimoni sbagliati”. Paolo è scattato proprio all’espressione “matrimoni sbagliati” e ha cominciato a citare san Paolo. Al che io e il mio compagno ci siamo scambiati uno sguardo di intesa, come per dire: “Ma questo viene proprio dalla Luna!” Poi la ragazza gli ha detto che uno non deve subire passivamente gli atteggiamenti dei genitori e lì Paolo si è proprio scaldato dicendo che “onora il padre e la madre” è un comandamento e che non bisogna mai dimenticarsene, ecc. ecc. Una ragazza gli ha detto: “se mia madre si vuole impicciare dei fatti miei e mi vuole dire con che ragazzo mi devo mettere io non la posso mica stare a sentire rovinandomi la vita, lei la sua vita l’ha avuta, la mia è mia!“ Poi Paolo è scivolato sull’argomento gay e ha detto cose veramente assurde, che le coppie etero hanno il dovere di essere “serie” perché devono collaborare al disegno di Dio mettendo figli al mondo e non possono fare “come i gay” che pensano solo “a divertirsi”. Questa espressione mi ha fatto proprio venire i nervi, ho scambiato un’occhiata di intesa col mio compagno e poi ho detto a Paolo: “Ma ti rendi conto delle stupidaggini che dici? Ma tu hai amici gay?” Lui mi ha guardato e ha detto: “Non ho mai avuto amici gay!” e io gli ho detto: “No! Non è vero! Un amico gay ce l’hai e sono io!” Il mio compagno è intervenuto e ha detto: “Hai due amici gay, l’altro sono io!” Project, tu non ci crederai, ma Paolo ha pensato che ci fossimo messi d’accordo per prenderlo in giro e non ha creduto minimamente al fatto che fossimo gay… per lui i gay sono proprio di un’altra specie zoologica. Poi trascinati dalla sua incredulità anche gli altri hanno considerato il nostro dichiararci come un modo di prendere in giro Paolo. Tutto questo accadeva circa due anni fa. Da qualche mese a questa parte le cose sono un po’ cambiate, Paolo considera me e il mio compagno due amici burloni, ma etero al 100%, altrimenti non avrebbe mai accettato la nostra amicizia, ma abbiamo avuto l’occasione di parlare con lui anche un po’ più seriamente. Project, io e il mio compagno stiamo pensando seriamente che Paolo possa essere gay. Va sempre in giro con la ragazza appresso, o meglio al seguito, ma io vedo i nostri amici etero che comportamento hanno con le loro ragazze, beh il comportamento di Paolo è totalmente diverso: mai una carezza, una coccola, ma nemmeno mai una parola carina per la ragazza, che evidentemente nel mondo di Paolo non conta proprio niente, o meglio conta come qualcosa che lo riporta ad un modello eterosessuale, col quale però, è evidente che non ha nulla a che spartire. I miei amici etero, sia ragazzi che ragazze parlano anche di sesso, ne parlano poco ma succede e ne parlano come della cosa più ovvia del mondo, Paolo non ne parla mai, schiva proprio l’argomento in modo sistematico. Gli altri parlano ogni tanto pure di omosessualità. Nei discorsi di Paolo le parole: gay o omosessuale, non compaiono mai, nemmeno per sbaglio e il richiamo alla religione è solo visto in chiave di freno e di limitazione, mai in termine di liberazione o di entusiasmo. Ne ho parlato col mio “compagno” e siamo arrivati alla conclusione che avremmo potuto “forse” dirgli di noi, ammesso e non concesso che fosse in grado di capire che non era uno scherzo, ci abbiamo anche provato, ma ogni volta che si accorgeva che stava per succedere qualcosa del genere si dileguava immediatamente. Io e il mio compagno non frequentiamo la chiesa, ma una coppia dei nostri amici che invece va in parrocchia ci ha riferito di una predica fatta da uno dei sacerdoti il quale ha detto che il matrimonio è il rimedio della concupiscenza ma non ha riferito il discorso agli etero, come si fa di solito, ma lo ha generalizzato dicendo che il matrimonio è anche il rimedio della omosessualità. Espressione che manifesta la più radicale ignoranza in materia di sessualità. La coppia di nostri amici che era presente ha avuto l’impressione che il discorso non fosse generico ma che fosse diretto a Paolo che era lì in prima fila e non si è mosso di un millimetro fino alla fine. I miei due amici etero probabilmente hanno pensato quello che avevamo pensato io e il mio compagno, ma in una situazione simile che fai? Affronti Paolo in modo diretto? O dici alla ragazza di stare attenta e di capire bene se è il caso di andare avanti? Io e il mio compagno abbiamo parlato di Paolo con questa coppia di amici e loro ci hanno detto che il prete che aveva detto quelle cose era considerato un personaggio “un po’ strano” e scomodo pure dal parroco che aveva cercato di limitarne la sfera di azione. In parrocchia lo evitavano tutti, salvo Paolo, che invece ne era entusiasta. Che prove avevamo? Praticamente nessuna prova concreta, ma eravamo in quattro ad avere avuto la stessa sensazione. Abbiamo deciso che prendere Paolo di petto fosse una cosa non praticabile e che avremmo solo potuto portare la discussione su questi argomenti per vedere le reazioni di Paolo, e lo abbiamo fatto, ma la reazione è stata nulla. La coppia di amici etero è partita dalla necessità dell’onestà assoluta nel matrimonio, come dire che ciascuno dei coniugi deve sapere tutto dell’altro e che ingannare il coniuge significa usarlo e rovinargli la vita, ma Paolo era un muro di gomma, non ascoltava nemmeno. Abbiamo notato un’altra cosa, per un bel po’ di tempo, ogni tanto Paolo faceva qualche sparata contro i gay anche in nostra presenza perché all’inizio pensava che noi fossimo effettivamente etero, poi le frasi sui gay sono sparite del tutto, l’argomento è stato censurato al 100%. La coppia etero mi dice che Paolo dice le stesse cose che dice il prete un po’ strano e che l’idea del matrimonio come “ideale di castità” sta cominciando a diventare uno dei cavalli di battaglia di Paolo. Un giorno io e il mio compagno ne abbiamo parlato seriamente e abbiamo deciso di passare all’azione, ma prima di mettere in pratica il nostro progetto, la coppia etero di nostri amici ci ha riferito che “durante la messa” il prete un po’ strano ha annunciato la data del matrimonio di Paolo con la sua ragazza. Al che, dopo avere meditato a lungo, pensando che ormai Paolo non fosse più recuperabile, abbiamo deciso di desistere, e ci siamo detti: “Possiamo impedire un disastro annunciato? … Purtroppo no! Ciascuno è libero, anche di sbagliare e di fare danni.” Ci siamo anche detti che in fondo noi non avevamo prove o ammissioni da parte di Paolo, ma vedere la sua faccia dopo le pubblicazioni del matrimonio era una risposta più che evidente. Un ragazzo che sta per sposarsi dovrebbe essere raggiante ma non era così per niente. Paolo sapeva che stava a andando a mettersi in trappola e stava per tirare anche la ragazza nella sua stessa trappola. Paolo ci ha detto che intendeva limitare la cerimonia solo ai familiari stretti, evidentemente sapeva bene che per i suoi amici, e in particolare per quattro dei suoi amici, andare al matrimonio sarebbe stato imbarazzante e quindi ha evitato a priori qualsiasi situazione imbarazzante. Il matrimonio è stato officiato fuori della parrocchia dal prete un po’ strano. Potremmo avere sbagliato del tutto le nostre valutazioni … semplicemente non lo sapremo mai, perché “ciò che Dio ha unito l’uomo non osi separare!” Anche se certe volte questa frase è un’autentica bestemmia. Dopo il matrimonio non abbiamo saputo più niente né di Paolo né della moglie. Spariti nel nulla.

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La lettura di questa mail, di cui alcuni contenuti sono stati deliberatamente omessi per ragioni di privacy, non richiederebbe di per sé alcun commento. Mi limiterò perciò a pochissime righe. Nel leggere la storia mi è venuta in mente la relazione romantica tra i poeti Fitz-Greene Halleck e Joseph Rodman Drake. Fitz-Greene Halleck (8 luglio 1790 – 19 novembre 1867) aveva cinque anni più del suo amico Joseph Rodman Drake (7 agosto 1795 – 21 settembre 1820).

Drake nel 1816, ancora giovanissimo, sposò Sarah (figlia di Henry Eckford, un architetto navale) da cui ebbe una figlia. Morì di consunzione all’età di 25 anni. Halleck non si sposò mai, si era innamorato a 19 anni di un giovane cubano, Carlos Menie, al quale aveva dedicato alcune delle sue prime poesie. Hallock,1) il biografo di Halleck, ipotizza con estremo buon senso, che Halleck fosse innamorato del suo amico Drake. James Grant Wilson ha sottolineato il modo in cui Halleck, che fu presente alle nozze in qualità di migliore amico dello sposo (un ruolo formale, all’epoca), descrisse il matrimonio:

“[Drake] si è sposato e, poiché il padre di sua moglie è ricco, immagino che non scriverà più. Era povero come lo sono i poeti, naturalmente, e si è offerto in sacrificio al santuario di Imene per evitare ’dolori e pene’ della povertà. Ho officiato come testimone dello sposo (groomsman), anche se molto contro la mia volontà. La moglie era di buon carattere, e lo ama alla follia. È forse l’uomo più bello di New York, – una faccia come un angelo, una forma come un Apollo – e, dato che ben sapevo che il suo aspetto era il veramente indicativo del suo pensiero, durante la cerimonia mi sentii come se stessi commettendo un crimine nell’aiutare e assistere un tale sacrificio.”2)

Qui si si tratta con ogni probabilità di un omosessuale che ha scelto la via del matrimonio per ragioni essenzialmente economiche, nel caso della storia di Paolo il matrimonio “sembra” essere dovuto a ragioni religiose, ma è veramente osceno in prima luogo che si incoraggi un omosessuale a sposare una donna con l’idea che il matrimonio è addirittura il rimedio della omosessualità! Ma forse è ancora più osceno che si tenti di consacrare una simile unione, con le parole “ciò che Dio ha unito l’uomo non osi separare.” Una frase che ha un suo senso molto serio che è stata stravolta e abusata per giustificare un abuso del matrimonio pilotato da un prete. Se è vero che il parroco aveva notato che c’era qualcosa che non andava, è pure fero che non ha fatto comunque nulla per evitare obbrobri di questo genere. Chi ha orecchio per intendere intenda!

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1) Hallock, John Wesley Matthew. “The First Statue: Fitz-Greene Halleck and Homotextual Representation in Nineteenth-Century America.” Ph.D. Dissertation, Temple University; DAI, Vol. 58-06A (1997): 2209, Temple University. E anche Hallock, John Wesley Matthew, “American Byron: Homosexuality & The Fall Of Fitz-Greene Halleck” (Madison, Wisconsin: U. of Wisconsin Press, 2000).

2) «[Drake] has married, and, as his wife’s father is rich, I imagine he will write no more. He was poor, as poets, of course, always are, and offered himself a sacrifice at the shrine of Hymen to shun the ’pains and penalties’ of poverty. I officiated as groomsman, though much against my will. His wife was good natured, and loves him to distraction. He is perhaps the handsomest man in New York, — a face like an angel, a form like an Apollo; and, as I well knew that his person was the true index of his mind, I felt myself during the ceremony as committing a crime in aiding and assisting such a sacrifice.» James Grant Wilson, “The Life and Letters of Fitz-Greene Halleck”. New York: Appleton and Company, 1869: 184.

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LA C.E.I. E LA LEGGE ANTI OMOFOBIA

In questi ultimi giorni si fa un gran parlare della proposta di legge contro l’omofobia in discussione in Parlamento. I toni della discussione si sono scaldati e molti soggetti sono scesi in campo.

Seguendo il modo di procedere tipico di Progetto Gay, prima di qualunque altra considerazione è opportuno conoscere con precisione il testo della Proposta di Legge in discussione, tenendo ben presente che l’Italia  è una Repubblica che si riconosce nei valori affermati e protetti dalla Costituzione e che gli Organi dello Stato  hanno l’obbligo di rendere effettivi ed operanti i principi costituzionali, che sono principi giuridici laici e assolutamente aconfessionali.

Il 17 maggio 2020, in occasione della Giornata internazionale contro l’omobofia, la transfobia e la bifobia, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«La ricorrenza del 17 maggio è stata scelta, in ambito internazionale, per promuovere il contrasto alle discriminazioni, la lotta ai pregiudizi e la promozione della conoscenza riguardo a tutti quei fenomeni che, per mezzo dell’omofobia, della transfobia e della bifobia, perpetrano continue violazioni della dignità umana.

Le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale costituiscono una violazione del principio di eguaglianza e ledono i diritti umani necessari a un pieno sviluppo della personalità umana che trovano, invece, specifica tutela nella nostra Costituzione e nell’ordinamento internazionale.  

È compito dello Stato garantire la promozione dell’individuo non solo come singolo, ma anche nelle relazioni interpersonali e affettive. Perché ciò sia possibile, tutti devono essere messi nella condizione di esprimere la propria personalità e di avere garantite le basi per costruire il rispetto di sé. La capacità di emancipazione e di autonomia delle persone è strettamente connessa all’attenzione, al rispetto e alla parità di trattamento che si riceve dagli altri.

Operare per una società libera e matura, basata sul rispetto dei diritti e sulla valorizzazione delle persone, significa non permettere che la propria identità o l’orientamento sessuale siano motivo di aggressione, stigmatizzazione, trattamenti pregiudizievoli, derisioni nonché di discriminazioni nel lavoro e nella vita sociale».

Nella stessa giornata, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte così è intervenuto sullo stesso argomento:

La Giornata internazionale contro l’omofobia non è una semplice ricorrenza, un’occasione celebrativa. Deve essere anche un momento di riflessione per tutti e, in particolare, per chi riveste ruoli istituzionali ad attivarsi per favorire l’inclusione e il rispetto delle persone.

Come ha ricordato oggi il Presidente Mattarella le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale ledono i diritti umani necessari a un pieno sviluppo della personalità umana. Queste discriminazioni sono contrarie alla Costituzione perché calpestano il valore fondamentale della dignità della persona e il principio di uguaglianza e si alimentano di pregiudizi che celano arretratezza culturale.

Per questo il mio invito a tutte le forze politiche perché possano convergere su una legge contro l’omofobia che punti anche a una robusta azione di formazione culturale: la violenza è un problema culturale e una responsabilità sociale.”

Devo sottolineare che il Presidente Mattarella, come è suo dovere, in quanto primo garante dei valori costituzionali, non ha espresso un suo parere personale ma una stretta valutazione giuridica relativa all’applicazione del dettato costituzionale. Mattarella non ha invitato a provvedere a qualcosa che a lui sembrava opportuno, ma ha richiamato il Governo al dovere di provvedere alla tutela effettiva dei diritti costituzionalmente garantiti.

La risposta di Conte non è un semplice atto di omaggio al Presedente della Repubblica, ma la presa d’atto di un dovere costituzionale al quale non ci si può sottrarre.

Tanto premesso, riporto integralmente qui di seguito la Relazione al Progetto di Legge, d’iniziativa dei Deputati Laura Boldrini e Roberto Speranza, presentata il 23 marzo 2018.

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

  1. 107

PROPOSTA DI LEGGE

d’iniziativa dei deputati
BOLDRINI, SPERANZA

Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, per il contrasto dell’omofobia e della transfobia nonché delle altre discriminazioni riferite all’identità sessuale

Presentata il 23 marzo 2018

  Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge riproduce, con alcune modificazioni e integrazioni, il contenuto della proposta di legge atto Camera n. 245, di Scalfarotto e altri, presentata all’inizio della XVII legislatura e approvata dalla Camera dei deputati il 19 settembre 2013 in testo unificato con le proposte di legge atti Camera nn. 280 e 1071. Il provvedimento non è stato poi approvato dal Senato ove l’esame si è arrestato in Commissione.
Obiettivo della proposta di legge è quello di sanzionare, modificando la legge Mancino-Reale, le condotte di istigazione e di violenza finalizzate alla discriminazione in base all’identità sessuale della persona, definita come l’insieme, l’interazione o ciascuna delle seguenti componenti:

   a) il sesso biologico della persona;

   b) la sua identità di genere (la percezione che una persona ha di sé come uomo o donna, anche se non corrispondente al proprio sesso biologico);

   c) il suo ruolo di genere (qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse all’essere uomo o donna);

   d) l’orientamento sessuale (l’attrazione emotiva o sessuale nei confronti di persone dello stesso sesso, di sesso opposto o di entrambi i sessi).

  A differenza del testo unificato approvato dalla Camera il 19 settembre 2013, la presente proposta di legge intende dunque colpire non soltanto i casi di omofobia e di transfobia ma le condotte di apologia, di istigazione e di associazione finalizzata alla discriminazione, comprese quelle motivate dall’identità sessuale della vittima.
Si tratta di un intervento reso quanto mai necessario e urgente dalle dimensioni impressionanti che hanno assunto nel nostro Paese i casi di discriminazione di violenza nei confronti delle donne e delle persone LGBTI.
La relazione finale della Commissione Jo Cox sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio istituita nella XVII legislatura dalla Presidente della Camera dei deputati ha evidenziato come tali categorie di persone siano i principali bersagli di odio nel nostro Paese.
Per quanto riguarda le donne, l’11,9 per cento di esse ha subìto, nell’ambito delle relazioni di coppia, aggressioni verbali violente, intimidazioni e violenze psicologiche dal proprio partner. Un’analoga situazione riguarda l’8,5 per cento delle donne che lavorano e cercano lavoro.
Il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subìto almeno una volta una violenza fisica o sessuale, per lo più da un partner o ex partner. Il 16,1 per cento ha subìto stalking.
Le donne sono di gran lunga le maggiori destinatarie del discorso d’odio on line. A livello europeo, una donna su dieci dai 15 anni in su è stata oggetto di cyberviolenza. In generale le donne corrono più rischi di aggressioni e molestie virtuali su tutti i social media.
L’indagine svolta dall’Osservatorio VOX sulle comunicazioni via Twitter ha rilevato che le donne sono oggetto del 63 per cento di tutti i tweet negativi rilevati nel periodo agosto 2015-febbraio 2016.
Per quanto riguarda le persone LGBTI, la relazione finale della Commissione Jo Cox riporta che ha subìto minacce o aggressioni fisiche il 23,3 per cento della popolazione omosessuale o bisessuale a fronte del 13,5 per cento degli eterosessuali. Analogamente, è stato oggetto di insulti e umiliazioni il 35,5 per cento dei primi a fronte del 25,8 per cento dei secondi.
A livello dei social media, le persone LGBT sono a pari merito con i migranti come oggetto d’odio nei messaggi su Twitter: secondo l’indagine VOX rispettivamente nel 10,8 per cento e nel 10,9 per cento dei casi, a grande distanza dalle donne.
Questa situazione richiede con evidenza e urgenza che si appresti un quadro organico di misure preventive e di contrasto mediante interventi a livello legislativo, culturale e comunicativo. La presente proposta di legge intende essere un primo, necessario tassello di questa strategia di intervento.
Passando all’illustrazione del contenuto della presente proposta di legge, l’articolo 1 definisce l’identità sessuale, con la finalità di circoscrivere il campo d’applicazione delle fattispecie penali novellate dagli articoli successivi, al fine di evitare la censura – che era stata mossa ad analoghi progetti di legge in tema di omofobia presentati nella XV legislatura – di indeterminatezza della fattispecie penale. Nella definizione delle componenti dell’identità sessuale sono compresi l’identità o i ruoli di genere, nonché i diversi orientamenti sessuali (omosessuale, eterosessuale o bisessuale) così come pacificamente riconosciuti dalla legislazione e dalle scienze psico-sociali, che nulla hanno in comune con comportamenti genericamente afferenti alla sfera sessuale, siano essi leciti o illeciti.
L’articolo 2 interviene sul delitto di apologia e istigazione alla discriminazione previsto dalla legge n. 654 del 1975:

   per inasprire la pena, sostituendo (lettera a)) le pene alternative della reclusione o della multa con la sola pena della reclusione (confermandone la durata massima in un anno e sei mesi);

   per sostituire il verbo propagandare con il verbo diffondere («idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico») e specificare che la diffusione può avvenire «in qualsiasi modo»;

   per sostituire il verbo istigare con il verbo incitare («a commettere o commette atti di discriminazione»). Con riguardo sia agli atti di discriminazione sia alla commissione di violenza o di atti di provocazione alla violenza, la proposta di legge intende dunque reintrodurre il testo originario di questa disposizione della legge del 1975, in vigore fino al 2006, ovvero fino all’entrata in vigore dell’articolo 13 della legge n. 85 del 2006 che ha novellato il testo;

   per inserire tra i motivi della discriminazione l’identità sessuale della vittima.

  Le pene previste differiscono per la gravità delle condotte realizzate. In caso di incitamento a commettere o di commissione di atti di discriminazione, è mantenuta l’attuale previsione della reclusione fino a un anno e sei mesi – a tanto ridotta dalla riforma del 2006 – eliminando, tuttavia, l’alternatività con la multa. Analogamente, in caso di incitamento alla violenza o di commissione di atti violenti, non viene modificata la pena prevista, che va da sei mesi a quattro anni.
La scelta di non modificare le pene attualmente previste, anziché inasprirle così com’era nel testo vigente prima della riforma del 2006, si giustifica alla luce delle modifiche alle sanzioni accessorie, come si dirà nell’illustrazione del successivo articolo 4 della proposta di legge. Coerentemente con il principio costituzionale della rieducazione del condannato, cui devono tendere le pene, appare più efficace – in materia di reati d’odio – l’applicazione di sanzioni accessorie, piuttosto che la reclusione.
Ai fattori di discriminazione considerati dall’articolo 3 della legge Mancino-Reale la presente proposta di legge aggiunge l’identità sessuale.
L’articolo 3 della proposta interviene sul decreto-legge n. 122 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 205 del 1993, apportandovi alcune modificazioni. In primo luogo, con finalità di coordinamento, aggiunge la discriminazione motivata dall’identità sessuale della vittima nel titolo del provvedimento, nella rubrica del primo articolo e tra le finalità che aggravano i delitti comportando un aumento di pena sino alla metà. In particolare, per quanto riguarda le novelle all’articolo 3 del decreto-legge (circostanza aggravante), la proposta di legge sostituisce l’espressione «finalità» (di discriminazione) con l’espressione «motivi».
Quindi, sulla base delle modifiche, le pene per i reati punibili con pena diversa dall’ergastolo sono aumentate fino alla metà ove tali reati siano commessi per motivi relativi all’identità sessuale della vittima (ovvero per motivi di discriminazione o di odio etnico).
L’articolo 3 della proposta di legge, inoltre, sostituendo all’articolo 3 del decreto-legge il comma 2, specifica che l’aggravante prevista dal comma 1 è da ritenersi sempre prevalente sulle eventuali attenuanti. Rispetto al testo dell’atto Camera n. 245 si consente tuttavia al giudice di valutare quale circostanza attenuante, la minore età dell’autore del reato (articolo 98 del codice penale).
L’articolo 4 della proposta di legge sostituisce la disciplina della pena accessoria dell’obbligo di prestare un’attività non retribuita in favore della collettività. A tal fine la proposta di legge (comma 3 dell’articolo 4):

   a) elimina dall’articolo 1 del decreto-legge n. 122 del 1993 tutte le disposizioni che attualmente regolamentano tale pena accessoria, come una delle possibili pene accessorie cui il giudice può ricorrere (articolo 1, comma 1-bis, lettera a), e commi da 1-ter a 1-sexies);

   b) introduce un nuovo articolo nel decreto-legge n. 122 del 1993.

  Dalla novella dell’articolo si ricava che in sede di condanna il giudice:

   dovrà sempre disporre la pena accessoria dei lavori di pubblica utilità;

   potrà disporre la pena accessoria dell’obbligo di dimora (lettera b)), della sospensione della patente o dei documenti per l’espatrio (lettera c)), del divieto di partecipare per un minimo di tre anni ad attività di propaganda elettorale (lettera d)).

  L’articolo 5 della proposta di legge, riprendendo un’espressa raccomandazione rivolta più volte all’Italia dal Consiglio d’Europa e ripresa dalla Commissione Jo Cox della Camera, istituisce l’Autorità garante della parità di trattamento e della rimozione delle discriminazioni, che sostituisce l’Ufficio per il contrasto delle discriminazioni (UNAR). Rispetto a tale Ufficio, l’Autorità garante è configurata quale autorità indipendente e può dunque svolgere le proprie funzioni da una posizione di maggior autonomia. A tal fine, la nomina dei componenti è affidata all’intesa dei Presidenti di Camera e Senato, che dovranno scegliere tra persone di notoria indipendenza. L’Autorità potrà, tra l’altro, ricevere i reclami e le segnalazioni delle vittime di discriminazione e svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell’autorità giudiziaria, inchieste al fine di verificare l’esistenza di fenomeni discriminatori e, in caso di accertamento di violazioni, formulare specifiche raccomandazioni.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Definizioni relative all’identità sessuale).

  1. Ai fini della legge penale, si intende per:

   a) «identità sessuale»: l’insieme, l’interazione o ciascuna delle seguenti componenti: sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale;

   b) «identità di genere»: la percezione che una persona ha di sé come uomo o donna, anche se non corrispondente al proprio sesso biologico;

   c) «ruolo di genere»: qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse all’essere uomo o donna;

   d) «orientamento sessuale»: l’attrazione emotiva o sessuale nei confronti di persone dello stesso sesso, di sesso opposto o di entrambi i sessi.

Art. 2.
(Modifiche all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654).

  1. Il comma 1 dell’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, è sostituito dal seguente:

   «1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione dell’articolo 4 della convenzione, è punito:

   a) con la reclusione fino a un anno e sei mesi chiunque, in qualsiasi modo, diffonde idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima;

   b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima».

  2. Al comma 3 dell’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima».

Art. 3.
(Modifiche al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205).

  1. Al titolo del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, le parole: «e religiosa» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosa o motivata dall’identità sessuale della vittima».
2. Alla rubrica dell’articolo 1 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima».
3. Al comma 1 dell’articolo 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) le parole: «per finalità» sono sostituite dalle seguenti: «per motivi»;

   b) dopo le parole: «o religioso» sono inserite le seguenti: «o relativi all’identità sessuale della vittima».

  4. Il comma 2 dell’articolo 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, è sostituito dal seguente:

   «2. La circostanza aggravante prevista dal comma 1 è sempre considerata prevalente sulle circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98 del codice penale, ai fini del bilanciamento di cui all’articolo 69 del codice penale».

Art. 4.
(Pena accessoria dell’attività non retribuita in favore della collettività).

  1. Dopo l’articolo 1 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, come modificato dalla presente legge, è inserito il seguente:

   «Art. 1-bis. – (Attività non retribuita in favore della collettività). – 1. Con la sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, o per uno dei reati previsti dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962, il giudice dispone la pena accessoria dell’obbligo di prestare un’attività non retribuita in favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità, secondo le modalità stabilite ai sensi del comma 2.
2. L’attività non retribuita in favore della collettività, da svolgere al termine dell’espiazione della pena detentiva per un periodo da sei mesi a un anno, deve essere determinata dal giudice con modalità tali da non pregiudicare le esigenze lavorative, di studio o di reinserimento sociale del condannato.
3. Possono costituire oggetto dell’attività non retribuita in favore della collettività: la prestazione di attività lavorativa per opere di bonifica e di restauro degli edifici danneggiati con scritte, emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui al comma 3 dell’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654; lo svolgimento di lavoro in favore di organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, quali quelle operanti nei confronti delle persone disabili, dei tossicodipendenti, degli anziani, degli stranieri o in favore delle associazioni di tutela delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali o transgender; la prestazione di lavoro per finalità di protezione civile, di tutela del patrimonio ambientale e culturale e per altre finalità pubbliche.
4. L’attività può essere svolta nell’ambito e in favore di strutture pubbliche o di enti e organizzazioni privati».

  2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento adottato con decreto del Ministro della giustizia sono determinate le modalità di svolgimento dell’attività non retribuita in favore della collettività, di cui all’articolo 1-bis del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, introdotto dal comma 1 del presente articolo.
3. La lettera a) del comma 1-bis e i commi 1-ter, 1-quater, 1-quinquies e 1-sexies dell’articolo 1 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, sono abrogati.

Art. 5.
(Autorità garante della parità di trattamento e della rimozione delle discriminazioni).

  1. È istituita l’Autorità garante della parità di trattamento e della rimozione delle discriminazioni, di seguito denominata «Autorità».
2. L’Autorità opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione ed è organo collegiale costituito dal presidente e da due membri, nominati con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Essi sono scelti tra persone di notoria indipendenza, non dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che assicurano autonomia e competenza nelle discipline afferenti la tutela dei diritti umani.
3. I componenti dell’Autorità restano in carica per cinque anni non prorogabili e non possono ricoprire cariche istituzionali, anche elettive, ovvero incarichi in partiti politici.
4. L’Autorità ha diritto di corrispondere con tutte le pubbliche amministrazioni e con gli enti di diritto pubblico, nonché di chiedere ad essi, oltre a notizie e informazioni, la collaborazione per l’adempimento delle sue funzioni.
5. All’Autorità sono attribuite le seguenti funzioni:

   a) fornire assistenza, nei procedimenti giurisdizionali o amministrativi intrapresi, alle persone che si ritengono lese da comportamenti discriminatori;

   b) esaminare i reclami e le segnalazioni relativi a discriminazioni presentati dagli interessati o dalle associazioni operanti nel settore;

   c) svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell’autorità giudiziaria, inchieste al fine di verificare l’esistenza di fenomeni discriminatori e, in caso di accertamento di violazioni, formulare specifiche raccomandazioni;

   d) promuovere misure specifiche, compresi progetti di azioni positive, dirette a evitare o compensare le situazioni di svantaggio connesse alla razza, all’origine etnica o all’identità sessuale;

   e) diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela vigenti anche mediante azioni di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul principio della parità di trattamento e la realizzazione di campagne di informazione e comunicazione;

   f) formulare pareri su questioni connesse alle discriminazioni per razza, origine etnica e identità sessuale, nonché proposte di modifica della normativa vigente;

   g) redigere una relazione annuale per le Camere sull’effettiva applicazione del principio di parità di trattamento e sull’efficacia dei meccanismi di tutela, nonché una relazione annuale al Presidente del Consiglio dei ministri sull’attività svolta;

   h) promuovere studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze anche con le altre organizzazioni non governative operanti nel settore e con gli istituti specializzati di rilevazione statistica, anche al fine di elaborare linee guida in materia di lotta alle discriminazioni.

  6. L’Autorità si avvale di personale proveniente dalle pubbliche amministrazioni, anche in posizione di comando o di distacco, ove consentito dai rispettivi ordinamenti.
7. È soppresso l’Ufficio per il contrasto delle discriminazioni di cui all’articolo 7 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215.
8. Per il funzionamento dell’Autorità è autorizzata la spesa di 200.000 euro a decorrere dal 2018. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2018-2020, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.”

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La C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana) ha diffuso ieri, 10 Giugno una presa di posizione ufficiale sulla Proposta di Legge, dal titolo “Omofobia: non serve una nuova legge” di cui è bene conoscere l’intero testo, che riposto qui si seguito:

“Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde”, sottolinea Papa Francesco, mettendo fuorigioco ogni tipo di razzismo o di esclusione come pure ogni reazione violenta, destinata a rivelarsi a sua volta autodistruttiva.

Le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale – costituiscono una violazione della dignità umana, che – in quanto tale – deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking… sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini.

Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio.

Questa consapevolezza ci porta a guardare con preoccupazione alle proposte di legge attualmente in corso di esame presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati contro i reati di omotransfobia: anche per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni.

Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso.

Crediamo fermamente che, oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore, si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto.

Nella misura in cui tale dialogo avviene nella libertà, ne trarranno beneficio tanto il rispetto della persona quanto la democraticità del Paese.

Roma, 10 giugno 2020                                               La Presidenza della CEI”

L’intervento delle C.E.I. va considerato attentamente.

Si parte da una premessa che sembra concordare con il discorso di Mattarella:

Le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale – costituiscono una violazione della dignità umana, che – in quanto tale – deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking… sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini.

ma subito dopo si esprime in maniera diametralmente opposta a quella di Mattarella:

Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio.

Mi chiedo che cosa succederebbe se qualcuno presentasse una Legge per escludere dalle tutele della Legge Mancino-Reale le discriminazioni su base religiosa, sostenendo che “un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio.”

Ma la C.E.I va oltre.

“Questa consapevolezza ci porta a guardare con preoccupazione alle proposte di legge attualmente in corso di esame presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati contro i reati di omotransfobia: anche per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni.”

Nel linguaggio velato e diplomatico che le è proprio la C.E.I. non attacca il testo della Proposta di Legge in sé ma esprime preoccupazione e ritiene che non vi sia urgenza di nuove disposizioni.

Finalmente, dopo tante premesse, si giunge ad esprimere le preoccupazioni di fondo:

“Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso.”

La C.E.I. si presenta quindi come preoccupata della difesa dei valori costituzionalmente garantiti e in specie del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, sancito dal primo comma dell’art. 21 della Costituzione:

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”

Contro gli abusi repressivi di questo diritto derivanti dalla derive liberticide conseguenti alla introduzione della legge anti omofobia, la C.E.I. si fa paladina della libertà! Mi chiedo quali siano le scelte educative cui si riferisce la C.E.I. Ricordo a questo proposito che il Catechismo della Chiesa cattolica e i documenti pontifici in tema di omosessualità parlano di “grave depravazione”, “funesta conseguenza di un rifiuto di Dio”, “mancanza di evoluzione sessuale normale”, “costituzione patologica”, “comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale”. San Pio X, nel suo Catechismo del 1910, classifica il “peccato impuro contro natura” come secondo per gravità solo all’omicidio volontario, fra i peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”. E il Catechismo aggiunge “Questi peccati diconsi gridare vendetta al cospetto di Dio, perché lo dice lo Spirito Santo e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punirli con più severi castighi”, per non parlare del giudizio del papa emerito che ritiene il “matrimonio omosessuale” un segno del potere spirituale dell’Anticristo. Mi chiedo se la C.E.I. considera queste affermazioni come manifestazioni del libero pensiero tutelate dell’art. 21 della Costituzione. Sorvoliamo sulla “funesta conseguenza di un rifiuto di Dio” e sulle valutazioni della gravità dei peccati operata da San Pio X, perché queste valutazioni sono tutte interne alla Chiesa, ma francamente ritengo oltraggioso, oltre che falso, parlare di omosessualità come grave depravazione, come mancanza di evoluzione sessuale normale, come costituzione patologica e come comportamento intrinsecamente cattivo da un punto di vista morale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha smentito più volte categoricamente queste affermazioni della Chiesa cattolica. La morale non è appannaggio di nessuna chiesa e il primo principio della morale è il rispetto del prossimo. Che cosa direbbe la C.E.I. se qualcuno sostenesse pubblicamente che farsi prete è conseguenza di una “mancanza di evoluzione sessuale normale,” che il celibato è una grave depravazione contro natura e un comportamento patologico?

Ma per capire che cosa c’è sotto la dichiarazione della C.E.I. è opportuno leggere un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede “Alcune Considerazioni concernenti la Risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, del 24 luglio 1992. Per dovere di completezza riporto il testo per intero.

PREMESSA

Recentemente, in diversi luoghi è stata proposta una legi­slazione che renderebbe illegale una discriminazione sulla base della tendenza sessuale. In alcune città le autorità municipali hanno reso accessibile un’edilizia pubblica, per altro riservata a famiglie, a coppie omosessuali (ed eterosessuali non sposate). Tali iniziative, anche laddove sembrano più dirette a offrire un sostegno a diritti civili fondamentali che non indulgenza nei confronti dell’attività o di uno stile di vita omosessuale, possono di fatto avere un impatto negativo sulla famiglia e sulla società. Ad esempio, sono spesso implicati problemi come l’adozione di bambini, l’assunzione di insegnanti, la necessità di case da parte di autentiche famiglie, legittime preoccupazioni dei proprietari di case nel selezionare potenziali affittuari.

Mentre sarebbe impossibile ipotizzare ogni possibile conseguenza di proposte legislative in questo settore, le seguenti osservazioni cercheranno di indicare alcuni principi e distinzioni di natura generale che dovrebbero essere presi in considerazione dal coscienzioso legislatore, elettore, o autorità ecclesiale che si trovi di fronte a tali problemi.

La prima sezione richiamerà passi significativi dalla Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali pubblicata nel 1986 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. La seconda sezione tratterà della loro applicazione.

PASSI SIGNIFICATIVI DELLA «LETTERA» DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

1) La Lettera ricorda che la Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale pubblicata nel 1975 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede «teneva conto della distinzione comunemente operata fra condizione o tendenza omosessuale e atti omosessuali»; questi ultimi sono «intrinsecamente disordinati» e «non possono essere approvati in nessun caso» (n. 3).

2) Dal momento che «nella discussione che seguì la pubblicazione della (summenzionata) Dichiarazione, furono proposte delle interpretazioni eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno si spinse fino a definirla indifferente o addirittura buona», la Lettera prosegue precisando che la particolare inclinazione della persona omosessuale, «benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata. Pertanto coloro che si trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l’attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un’opzione moralmente accettabile» (n. 3).

3) «Come accade per ogni altro disordine morale, l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico» (n. 7).

4) Con riferimento al movimento degli omosessuali, la Lettera afferma: «Una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione» (n. 9).

5) «È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi Pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona. Benché la pratica dell’omosessualità stia minacciando seriamente la vita e il benessere di un gran numero di persone, i fautori di questa tendenza non desistono dalla loro azione e rifiutano di prendere in considerazione le proporzioni del rischio, che vi è implicato» (n. 9).

6) «Essa (la Chiesa) è consapevole che l’opinione, secondo la quale l’attività omosessuale sarebbe equivalente, o almeno altrettanto accettabile, quanto l’espressione sessuale dell’amore coniugale, ha un’incidenza diretta sulla concezione che la società ha della natura e dei diritti della famiglia, e li mette seriamente in pericolo» (n. 9).

7) «Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei Pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni.

Tuttavia, la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata. Quando tale affermazione viene accolta e di conseguenza l’attività omosessuale è accettata come buona, oppure quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, né la chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano» (n. 10).

8) «Dev’essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità» (n. 11).

9) «Nel valutare eventuali progetti legislativi, si dovrà porre in primo piano l’impegno a difendere e promuovere la vita della famiglia» (n. 17).

II APPLICAZIONI

10) La «tendenza sessuale» non costituisce una qualità paragonabile alla razza, all’origine etnica, ecc. rispetto alla non­ discriminazione. Diversamente da queste, la tendenza omosessuale è un disordine oggettivo (cf. Lettera, n. 3) e richiama una preoccupazione morale.

11) Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio, nella collocazione di bambini per adozione o affido, nell’assunzione di insegnanti o allenatori di atletica, e nel servizio militare.

12) Le persone omosessuali, in quanto persone umane, hanno gli stessi diritti di tutte le altre persone incluso il diritto di non essere trattate in una maniera che offende la loro dignità personale (cf. n. 10). Fra gli altri diritti, tutte le persone hanno il diritto al lavoro, all’abitazione, ecc. Nondimeno questi diritti non sono assoluti. Essi possono essere legittimamente limitati a motivo di un comportamento esterno obiettivamente disordinato. Ciò è talvolta non solo lecito ma obbligatorio, e inoltre si imporrà non solo nel caso di comportamento colpevole ma anche nel caso di azioni di persone fisicamente o mentalmente malate. Così è accettato che lo stato possa restringere l’esercizio di diritti, per esempio, nel caso di persone contagiose o mentalmente malate, allo scopo di proteggere il bene comune.

13) Includere la «tendenza omosessuale» fra le considerazioni sulla base delle quali è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l’omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta «affirmative action» o trattamento preferenziale nelle pratiche di assunzione. Ciò è tanto più deleterio dal momento che non vi è un diritto all’omosessualità (cf n. 10) che pertanto non dovrebbe costituire la base per rivendicazioni giudiziali. Il passaggio dal riconoscimento dell’omosessualità come fattore in base al quale è illegale discriminare può portare facilmente, se non automaticamente, alla protezione legislativa e alla promozione dell’omosessualità. L’omosessualità di una persona sarebbe invocata in opposizione a un asserita discriminazione e così l’esercizio dei diritti sarebbe difeso precisamente attraverso l’affermazione della condizione omosessuale invece che nei termini di una violazione di diritti umani fondamentali.

14) La «tendenza sessuale» di una persona non è paragonabile alla razza, al sesso, all’età, ecc. anche per un’altra ragione che merita attenzione, oltre quella sopramenzionata. La tendenza sessuale di un individuo non è in genere nota ad altri a meno che egli identifichi pubblicamente se stesso come avente questa tendenza o almeno qualche comportamento esterno lo manifesti. Di regola, la maggioranza delle persone a tendenza omosessuale che cercano di condurre una vita casta non rende pubblica la sua tendenza sessuale. Di conseguenza il problema della discriminazione in termini di impiego, alloggio, ecc. normalmente non si pone.

Le persone omosessuali che dichiarano la loro omosessualità sono in genere proprio quelle che ritengono il comportamento o lo stile di vita omosessuale essere «indifferente o addirittura buono» (cf. n. 3), e quindi degno di approvazione pubblica. È all’interno di questo gruppo di persone che si possono trovare più facilmente coloro che cercano dì «manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi Pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile» (cf n. 9), coloro che usano la tattica di affermare con toni di protesta che «qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali…è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione» (cf. n. 9).

Inoltre, vi è il pericolo che una legislazione che faccia dell’omosessualità una base per avere dei diritti possa di fatto incoraggiare una persona con tendenza omosessuale a dichiarare la sua omosessualità o addirittura a cercare un partner allo scopo di sfruttare le disposizioni della legge.

15) Dal momento che nella valutazione di una proposta di legislazione la massima cura dovrebbe essere data alla respon­sabilità di difendere e di promuovere la vita della famiglia (cf. n. 17), grande attenzione dovrebbe essere prestata ai singoli provvedimenti degli interventi proposti. Come influenzeranno l’adozione o l’affido? Costituiranno una difesa degli atti omosessuali, pubblici o privati? Conferiranno uno stato equivalente a quello di una famiglia a unioni omosessuali, per esempio, a riguardo dell’edilizia pubblica o dando al partner omosessuale vantaggi contrattuali che potrebbero includere elementi come partecipazione della «famiglia» nelle indennità di salute prestate a chi lavora (cf. n. 9)?

16) Infine, laddove una questione di bene comune è in gioco, non è opportuno che le Autorità ecclesiali sostengano o rimangano neutrali davanti a una legislazione negativa anche se concede delle eccezioni alle organizzazioni e alle istituzioni della Chiesa. La Chiesa ha la responsabilità di promuovere la vita della famiglia e la moralità pubblica dell’intera società civile sulla base dei valori morali fondamentali, e non solo di proteggere se stessa dalle conseguenze di leggi perniciose (cf. n. 17).”

Non mi pongo il problema se le affermazioni contenute in questo documento siano libere manifestazioni del pensiero tutelate dall’articolo 21 della Costituzione o se possano costituire istigazione alla discriminazione delle persone omosessuali incriminabile ai sensi della definenda Legge anti-omofobia, una sola cosa è del tutto evidente: quanto affermato nel documento è in radicale contrasto con i principi della Costituzione italiana. Non entro in questioni concernenti la religione, ma il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede rappresenta una lesione sostanziale dei diritti costituzionalmente garantiti e pertanto è inaccettabile per chiunque sia abituato ad atmosfere di libertà. Concludo con una citazione di Carducci:

“Ahi giorno sovra gli altri infame e tristo,

Quando vessil di servitú la Croce

E campion di tiranni apparve Cristo!”

(Juvenilia – Voce dei preti)

 

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1) Catechismo della Chiesa cattolica, 2357.

2) Congregazione per la Dottrina della Fede. Persona Humana. Alcune questioni di etica sessuale – 29 Dicembre 1975, n. 8 – Relazioni omosessuali.

3) Ibidem.

4) Ibidem.

5) Congregazione per la Dottrina della Fede – Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 3.

6) Catechismo maggiore, n. 966.

7) n.967.

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UNA COPPIA GAY DIVISA DALLA ZONA ROSSA III

Mail del 30/03/2010
Caro Project,
oggi i dati della Protezione Civile sono confortanti, dovrei essere più tranquillo e invece mi sento agitatissimo e non riesco ad andare avanti, Paolo stanotte lavora, l’ho sentito nel primo pomeriggio, lui tende a tranquillizzarmi, a rassicurarmi, ma quando sento il telegiornale e dicono che sono morti altri medici mi viene il terrore, un’ansia terribile e penso che ci possa essere anche lui. Lui mi dice che anche se prendesse il virus, lui non dovrebbe correre grossissimi rischi perché è giovane e la mortalità per quelli della sua età è bassa, ma tanti dei suoi colleghi sono risultati positivi e tanti sono anche morti. Lui non ha dubbi, si deve andare avanti, si deve mettere da parte ogni emozione per mantenere il massimo livello possibile di operatività. Mi dice sempre che si augura che tutta questa spaventosa avventura possa cambiare tanti modi assurdi di ragionare. Mi ha citato una frase di Papa Francesco che lo ha colpito molto, perché è quello che ha sempre pensato anche lui: “Pensavamo di rimanere sempre sani in un mondo malato”. Avverto chiaramente che Paolo è stanco sfinito, lo avverto perché prima parlavamo molto su skype, adesso invece parliamo meno perché lui ha bisogno di dormire e allora lo lascio tranquillo, ma quando chiudo la chiamata mi comincia a prendere lo sconforto, ho paura, ho maledettamente paura. La gente comincia a rilassarsi e a pensare che ormai se ne sta uscendo, ma Paolo mi ripete continuamente che non è così, che la cosa può scappare di mano con estrema facilità e che si potrebbe ricominciare come prima e peggio di prima. Mi ripete che da loro non è cambiato ancora nulla e che non cambierà nulla ancora per parecchi giorni, lui dice almeno tre settimane. Adesso hanno un po’ di mezzi in più rispetto ai primi giorni, se c’è qualcosa che fa la differenza, se mai, è proprio questo, è sempre una lotta ma un po’ meno alla disperata. La gente continua a morire esattamente come prima anche se i medici possono almeno dire di avere fatto tutto il possibile. Paolo mi dice che per tornare a livelli accettabili il numero dei ricoverati in terapia intensiva dovrebbe diminuire almeno del 50%, ma ci vorrà tempo e la gente continuerà a morire. Lui pensa a tanti altri paesi in cui non c’è un servizio sanitario pubblico in grado di reagire come il nostro e mi dice che lì la mortalità sarà per forza molto più alta. Ormai noi ci sentiamo al massimo per mezz’ora al giorno, lo vedo stanco, molto più magro del solito ma è anche tranquillo, non so come faccia ad essere tranquillo, è evidente che è consapevole di fare qualcosa di fondamentale, mi dice che la cosa che gli riesce più difficile è non farsi abbattere dagli insuccessi, che sono tanti, tantissimi. Non riseco a dormire, Project, chiedo a Dio di salvarlo ma quando lo faccio mi vengono mille dubbi, perché lui e non anche gli altri? Che senso ha pregare? Perché succedono catastrofi come questa epidemia? O forse ci accorgiamo dei disastri che sconvolgono il mondo solo quando capitano a noi. Non riesco nemmeno a pregare, mi sembra un atto di egoismo, un chiedere qualcosa per sé, mentre forse bisognerebbe solo dire: “sia fatta la tua volontà” anche se non ne capiamo il senso o ci rifiutiamo di capirlo perché ci tocca personalmente. Certe volte mi sorprendo a fare ragionamenti assurdi, quasi a cercare di fare un contratto con Dio: Lui mi salva il mio Paolo e io rinuncio al sesso, ma poi mi sembra una specie di mercato stupido, se penso che per avere Paolo indenne devo rinunciare al sesso vuol dire che in fondo anche io penso che il sesso tra noi sia una cosa negativa, ma io non lo penso affatto, perché non è così, e poi non devo chiedere nulla per me, sarà quello che sarà, è andrà accettato comunque, anche se potrà essere qualcosa di terribile, come l’hanno accettato decine di migliaia di persone. In certi momenti ho anche meno paura della morte, della mia personale, dico, perché la vedo meno come un dramma personale e più come un destino collettivo e vorrei dire quasi naturale. Non ce la faccio più, Project, penso a Paolo in ogni momento, provo a immaginare che cosa sta facendo in quel momento e sogno che l’incubo finisca il più presto possibile e che si possa tornare insieme nella sua casetta ai piedi delle Alpi, ma tutto questo mi sembra ancora maledettamente lontano e incerto. Pensa anche a me, se puoi, Project, leggere le tue mail mi aiuta ad andare avanti con meno angoscia.
Ovviamente puoi fare l’uso che vuoi di questa mail.
Ti abbraccio.
Pietro

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UNA COPPIA GAY DIVISA DALLA ZONA ROSSA II

L’email che segue (che ho ricevuto il 24/3/2020) rappresenta il seguito del post:  http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=22&t=6863 (email che avevo ricevuto il 13/3/2020)

Caro Project,

ti avevo scritto qualche giorno fa, penso ti ricorderai di Pietro e Paolo. Ti scrivo nei lunghi momenti di vuoto in cui non posso sentire Paolo e mi ritrovo da solo a riflettere su quello che sta succedendo.

La situazione generale dell’epidemia basterebbe da sola a chiunque per cominciare un ripensamento di tutta la vita, per chi ha perso persone care la situazione è terribile, si vede svanire in pochi giorni il progetto di una vita, la morte sconvolge le famiglie nel modo più violento e inatteso, ma per me e per Paolo la situazione non è per fortuna così drammatica, io ho paura per lui, so che è prudente e molto scrupoloso ma basta veramente poco per fare la differenza.

Quanto a me, che sono il meno esposto in modo diretto, ho cominciato a mettere in dubbio tante mie certezze, mi sento molto più fragile di prima, sto svalutando un sacco di cose che prima consideravo fondamentali, come la sicurezza economica e un’ampia possibilità di fare le mie scelte ma mi sento debole perché sono esposto al rischio di perdere Paolo e sarebbe per me una tragedia alla quale non oso neppure pensare.

Il padre di un mio amico è morto per il virus e altri due miei amici hanno un genitore in ospedale. Molti hanno paura e cercano di tirare avanti giorno per giorno come possono perché devono pure lavorare per sopravvivere. Io lavoro da casa, non corro rischi seri, almeno per il momento, ma sono preoccupato per Paolo, penso a lui in ogni momento della giornata perché è proprio in prima linea e lo sento stremato dalla fatica e abbattuto per quello che deve vedere ogni giorno e che quando parla con me cerca sistematicamente di omettere.

Gli ho sempre voluto bene, ma vedendo come si impegna per gli altri fino allo sfinimento comincio a considerarlo un mezzo santo, e penso che non sarò mai al suo livello. In questi giorni ha visto morire tantissima gente, ha cercato di dare conforto come era possibile e finché era possibile, ma poi vedeva cedere quelle persone che aveva cercato di salvare in ogni modo. Mi dice che ormai per lui la morte non è solo una realtà quotidiana ma una cosa che deve vedere più volte al giorno. Quando qualcuno esce dalla rianimazione si sente felice e in effetti qualche volta si tratta quasi di un miracolo.

Lui era già prima un ragazzo ottimo, generoso, altruista, ma adesso lo vedo proprio in un’altra atmosfera e, se possibile, gli voglio bene anche più di prima, perché l’ho visto all’opera, ho visto la sua dimensione morale. Ieri mi ha chiesto di dire una preghiera per lui, e io mi sono spaventato e gli ho chiesto sera positivo e mi ha detto di no, mi aveva chiesto una preghiera per essere aiutato ad andare fino in fondo e a non mollare, aveva bisogno di una forza più grande, di una consolazione, penso, da poter trasmettere a tutte le persone che cerca di curare ogni giorno.

Oggi mi sono fermato a pregare per lui, che poi è una cosa che non faccio mai, ma nella mia preghiera c’era qualcosa di egoistico, io pregavo di non perderlo, perché per me è essenziale come la luce del sole, ma lui mi aveva chiesto una cosa diversa, cioè di pregare per avere la forza di andare avanti. Io so che sta correndo rischi seri e sono molto spaventato e mi pare pure giusto chiedere al Signore che non me lo tolga, anche se siamo una coppia gay, perché noi ci vogliamo bene veramente.

Stasera mi sento molto agitato, certe volte la notte non riesco a prendere sonno, mi manca, mi manca dannatamente ma so che lui ha il suo dovere da compiere e che lo farà fino in fondo. Io non ho mai visto morire nessuno, ho visto dei morti, ma non ho mai visto morire nessuno, ma lui queste cose le vede ogni giorno e penso che sia proprio il vedere la sofferenza e la morte che gli dia una spinta fortissima a fare quello che fa.

Ieri mi ha raccontato che una signora che era uscita dalla terapia intensiva e che lui aveva assistito per giorni gli aveva regalato un rosario di legno e gli aveva detto che avrebbe pregato per lui e per la sua ragazza, lui si è commosso e ha detto alla signora che non aveva una ragazza ma un ragazzo perché era gay e la signora gli ha detto che andava bene lo stesso e che avrebbe pregato anche per il suo ragazzo, che lui era un bravo ragazzo e avrebbe potuto dare tanto al suo ragazzo. Poi la signora si è messa a piangere, perché aveva un figlio più o meno dell’età di Paolo. Quando mi ha raccontato questa storia aveva la voce rotta dall’emozione! Come fai a non amare un uomo come Paolo? Lo avrei abbracciato fortissimo! Lo avrei sollevato da terra per fargli sentire che gli voglio bene! Sono molto scosso e ansioso, Project, ma per me questi giorni sono un’esperienza profondissima che mi sta cambiano la vita.

Pietro

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GAY E SINODO DEI GIOVANI

Nell’Ottobre del 2014, solo quattro anni fa, a conclusione del Sinodo sulla famiglia, mi trovai a scrivere un articolo intitolato “Il Sinodo sulla famiglia e il topolino gay”. Il titolo alludeva al fatto che dopo le grandi aspettative suscitate dall’”Instrumentum laboris”, cioè dal documento preparatorio, la “Relatio post discerptationem “ aveva enormemente ridimensionato le cose, e la “Relatio Synodi” cioè il documento finale, aveva definitivamente mortificato qualsiasi aspettativa, limitandosi alla materiale ripetizione dei contenuti delle ”Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” firmata da Joseph Ratzinger, allora Prefetto delle Congregazione per la Dottrina della Fede, nel giugno del 2003. La montagna, dopo un lungo e faticoso travaglio, aveva partorito il topolino ma i padri sinodali ne erano rimasti così terrorizzati da affrettarsi a divorarlo prima che uscisse dall’aula del Sinodo. Ma “Sic transit gloria mundi!”

Il 28 Agosto di quest’anno scrissi un altro articolo “Papa Francesco non sa cosa sia l’omosessualità” quando Papa Francesco, nel volo di ritorno da Dublino, parlando a braccio, come è solito fare, rispondendo ad una domanda relativa all’atteggiamento che dovrebbe prendere un genitore di fronte al coming out del figlio, così si espresse:

“In quale età si manifesta questa inquietudine del figlio, è importante, una cosa è quando si manifesta da bambino, c’è… ci sono molte cose da fare… con la psichiatria… per vedere come… come sono le cose. Un’altra cosa è quando si manifesta un po’ dopo vent’anni o cose del genere, no?…”

Ero stupito che il Papa non avesse assolutamente le idee chiare su quello che la Psichiatria seria dice della omosessualità, anche se oggettivamente l’omosessualità non appare e non è certo la tematica fondamentale o il pensiero ossessivo di Papa Francesco. Va sottolineato però che, a parte questo cenno improvvido, negli atteggiamenti personali di Papa Francesco sono del tutto assenti i toni della crociata anti-gay tipici di Benedetto XVI, ai quali si ispirava anche il Sinodo sulla famiglia del 2014.

Da pochi giorni si è concluso il Sinodo sui giovani e cercherò qui di seguirne lo sviluppo relativamente al tema della omosessualità.

Il Documento finale pre-sinodale, così si esprime sul tema:

“Problemi come la pornografia distorcono la percezione della sessualità umana da parte dei giovani. La tecnologia usata in questo modo crea una ingannevole realtà parallela che ignora la dignità umana.”

“C’è spesso grande disaccordo tra i giovani, sia dentro che fuori la Chiesa, riguardo ad alcuni dei suoi insegnamenti che oggi sono particolarmente dibattuti. Tra questi troviamo: contraccezione, aborto, omosessualità, convivenza, matrimonio e la modalità di percezione del sacerdozio nelle diverse realtà della Chiesa. E’ importante notare che, indipendentemente dal livello di comprensione degli insegnamenti della Chiesa, continua ad esserci disaccordo e dibattito aperto tra gli stessi giovani su queste controverse questioni. Di conseguenza, può darsi che essi vogliano che la Chiesa cambi i suoi insegnamenti o, perlomeno, che fornisca una migliore spiegazione ed una maggiore formazione su tali questioni. Nonostante questo dibattito interno, i giovani cattolici le cui convinzioni sono in contrasto con l’insegnamento ufficiale della Chiesa desiderano comunque farne parte. Molti giovani cattolici accettano questi insegnamenti, trovando in essi una fonte di gioia. Desiderano che la Chiesa non solo continui ad attenervisi nonostante la loro impopolarità, ma che li proclami insegnandoli con maggiore profondità.”

“Noi, la Chiesa giovane, chiediamo alle nostre guide di affrontare in maniera concreta argomenti controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e senza tabù. Alcuni percepiscono la Chiesa come “antiscientifica”; per questo il dialogo con la comunità scientifica è certamente importante, in quanto la scienza è in grado di illuminare la bellezza della creazione.”

Vorrei soffermarmi in particolare su ciascuno di questi punti.

È un fatto evidente che la pornografia distorce la percezione della sessualità e non solo quella dei giovani, tuttavia la Chiesa condanna come pornografia anche la rappresentazione non distorta della sessualità. Ho insistito spesso anche io sul fatto che la pornografia non rappresenta correttamente la sessualità ma ritengo che una rappresentazione realistica della sessualità, che non la banalizzi e non la riduca a mera performance, sia non solo utile ma necessaria perché si capisca che la sessualità può essere espressione di un’affettività profonda, ma può anche essere vissuta in modo leggero ma comunque rispettoso dell’altro, e può perfino trasformarsi in una forma di sopraffazione e di violenza e questo vale sia in ambito gay che etero. Sento molti ragazzi gay usare espressioni del tipo: “Preferisco mille volte vedere una storia d’amore gay con un po’ di sesso che un porno, che alla fine non ha alcun senso ed è stato costruito solo per fini commerciali.” Bisognerebbe meditare sull’idea di una educazione sessuale (anche degli adulti) costruita sulla realtà per non lasciare spazio alla sola strumentalizzazione della sessualità, ma su questo terreno la Chiesa non si è mai espressa seriamente.

Quanto al disaccordo tra i giovani, sia dentro che fuori della Chiesa, su temi che adesso sono particolarmente dibattuti, tra i quali si trova anche l’omosessualità, va detto che il disaccordo non esiste solo tra i giovani ma anche tra le persone di età matura e anche all’interno della stessa Chiesa gerarchica. Quando il documento preparatorio parla di “giovani cattolici le cui convinzioni sono in contrasto con l’insegnamento ufficiale della Chiesa, che desiderano comunque farne parte” afferma che ci si può sentire cattolici e nello stesso tempo in contrasto con l’insegnamento ufficiale della Chiesa e questo accade proprio perché si ritiene che quell’insegnamento sia comunque non conforme allo spirito evangelico e sia viziato da visioni pregiudiziali, da eredità di altre epoche che andrebbero radicalmente riviste alla luce di una visione scientificamente fondata sulla realtà, basti a questo proposito ricordare che il Catechismo della Chiesa cattolica e i documenti pontifici in tema di omosessualità parlano di “grave depravazione”, “funesta conseguenza di un rifiuto di Dio”, “mancanza di evoluzione sessuale normale”, “costituzione patologica” , “comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale”. San Pio X, nel suo Catechismo del 1910, classifica il “peccato impuro contro natura” come secondo per gravità solo all’omicidio volontario, fra i peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”.

Tutte queste cose sono, oltre che pericolose, perfino ridicole per chi ha un minimo di conoscenza della realtà, del tutto lontane della oggettività scientifica e frutto di puri pregiudizi, queste cose andrebbero riviste radicalmente con onestà intellettuale. L’idea della omosessualità come “colpa” o come “patologia” ha ormai fatto il suo tempo ed è stata archiviata dalla comunità scientifica da decenni. L’affermazione secondo la quale « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati », contenuta nell’art. 2357 del Catechismo della Chiesa Cattolica stride fortemente con l’affermazione più volte ripetuta dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale l’omosessualità è “una variante naturale e non patologica” della sessualità umana.

Il documento preparatorio afferma che la dottrina della Chiesa è per molti cattolici fonte di gioia. Da quello che vedo ogni giorno tra i giovani gay, la dottrina della Chiesa in tema di omosessualità è una delle motivazioni di fondo per le quali i gay abbandonano la Chiesa, migrando talvolta verso altre confessioni religiose. I giovani gay abbandonano una Chiesa che li bolla come gravemente depravati, come persone che scontano le funeste conseguenze di un rifiuto di Dio, come individui sessualmente non normali, casi patologi che mettono in pratica comportamenti intrinsecamente cattivi dal punto di vista morale, secondi per gravità solo all’omicidio volontario! Mi chiedo come sia possibile provare gioia di fonte a queste affermazioni che non sono solo pericolose e violentemente omofobe ma sono radicalmente anticristiane.

Nel documento preparatorio si legge: “Noi, la Chiesa giovane, chiediamo alle nostre guide di affrontare in maniera concreta argomenti controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e senza tabù.”

Mi fermo su un solo elemento la cui presenza è sorprendente: il “gender”, una specie rimodernata di “araba fenice” di metastasiana memoria, una cosa della quale tutti parlano ma che nessuno ha mai visto! Ne parla Benedetto XVI in modo insistente, e questo non stupisce troppo, ma perfino papa Francesco ha espresso qualche preoccupazione per la teoria del gender, che però non ha alcun riscontro scientifico, né la sociologia né la psichiatria seria hanno mai parlato di questo fantomatico argomento e meno che mai nel modo assolutamente improbabile descritto dagli atti della Chiesa. La cosiddetta teoria del gender è un’invenzione di Mons. Tony Anatrella. «La teoria del “gender” ci prepara un mondo dove nulla sarà più percepito come stabile», dice lo psicanalista Tony Anatrella. «I danni provocati dal divorzio non sono nulla rispetto a quelli che può causare l’ideologia LGBT» (https://www.tempi.it/e-vietato-dirlo-ma-col-sesso-non-si-gioca/#.WBRzvPmLSUl). Aggiungo solo per inciso che Mons. Anatrella è accusato di abusi sessuali e l’articolo di Mediapart : «De nouveaux témoignages accablent Mgr Anatrella et ses thérapies sexuelles»  fornisce ampi ragguagli in proposito.

Mi chiedo come sia possibile dare spazio alle estemporanee teorie di Mons. Tony Anatrella e trascurare del tutto quello che l’Organizzazione Mondiale della Sanità va ripetendo ormai da diversi decenni. E ci si dovrebbe stupire che qualcuno possa accusare la Chiesa di anti-scientificità? Galileo docet: “il lupo perde il pel ma non il vizio.”

Vengo ora all’esame del documento finale del Sinodo relativamente alle parti concernenti l’omosessualità.

Comincio con un’osservazione: nel documento finale manca del tutto ogni riferimento alla teoria del gender, ed è un grande passo avanti, come dire che si è smesso di fare la lotta contro la befana! Era ora!

Devo aggiungere che la lettura integrale del documento, che richiede tempo e attenzione, lascia al lettore una qualche impressione di novità. I richiami al magistero di Benedetto XVI sono rari, le sottolineature della intangibilità della dottrina sono sostituite da qualche timida apertura alla necessità di un approfondimento, la tendenza è al dialogo e non all’arroccamento, non si individua un nemico in chi non condivide certi elementi della morale cattolica ma si cerca di mantenere aperto un dialogo.

Preciso che il Vaticano ha pubblicato anche gli esiti delle votazioni relative ai singoli articoli del documento. È significativo che gli art. 149 e 150 che trattano di sessualità abbiano registrato il più alto numero di non placet nel Sinodo. L’art. 149, che tratta di sessualità in modo generico ha ottenuto 214 voti favorevoli e 26 contrari, l’art. 150, che tratta più specificamente di omosessualità “senza toni da crociata” ha ottenuto 178 voti favorevoli e 65 contrari, il massimo numero di voti contrari tra tutti gli articoli del sinodo. Ricordo che per essere approvato un articolo deve ottenere ameno i 2/3 dei voti dei presenti. L’articolo 150 è passato ma col quorum più basso rispetto a tutti gli altri articoli.

Colpiscono alcuni riferimenti al lato oscuro del web che è diventato “un canale di diffusione della pornografia e di sfruttamento delle persone a scopo sessuale o tramite il gioco d’azzardo.”

Il riferimento all’abuso sessuale e agli scandali sessuali interni alla Chiesa, che pure poteva suscitare polemiche, non è stato omesso.

Si afferma che “Insieme al permanere di fenomeni antichi, come la sessualità precoce, la promiscuità, il turismo sessuale, il culto esagerato dell’aspetto fisico, si constata oggi la diffusione pervasiva della pornografia digitale e l’esibizione del proprio corpo on line.” Si prende quindi coscienza di cose oggettive e oggettivamente pericolose.

Si coglie l’imbarazzo della Chiesa nel presentare e difendere la propria morale sessuale e si sottolinea che: “Frequentemente infatti la morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna. Di fronte ai cambiamenti sociali e dei modi di vivere l’affettività e la molteplicità delle prospettive etiche, i giovani si mostrano sensibili al valore dell’autenticità e della dedizione, ma sono spesso disorientati. Essi esprimono più particolarmente un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità.” E anche qui non emergono giudizi.

L’accenno all’autenticità come valore di fondo della sessualità non era mai stato presente nei documenti ufficiali della Chiesa.

Si accenna allo sfruttamento sessuale, agli stupri di guerra, tutti temi molto sentiti dalla morale laica. In sostanza la distanza tra la morale laica e quella cattolica sembra restringersi almeno marginalmente e forse non solo, perché molti dei grandi valori cristiani sono anche grandi valori laici.

Riporto qui di seguito per esteso gli art. 149-150 che riguardano più da vicino l’omosessualità:
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Sessualità: una parola chiara, libera, autentica

art. 149. Nell’attuale contesto culturale la Chiesa fatica a trasmettere la bellezza della visione cristiana della corporeità e della sessualità, così come emerge dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero degli ultimi Papi. Appare quindi urgente una ricerca di modalità più adeguate, che si traducano concretamente nell’elaborazione di cammini formativi rinnovati. Occorre proporre ai giovani un’antropologia dell’affettività e della sessualità capace anche di dare il giusto valore alla castità, mostrandone con saggezza pedagogica il significato più autentico per la crescita della persona, in tutti gli stati di vita. Si tratta di puntare sull’ascolto empatico, l’accompagnamento e il discernimento, sulla linea indicata dal recente Magistero. Per questo occorre curare la formazione di operatori pastorali che risultino credibili, a partire dalla maturazione delle proprie dimensioni affettive e sessuali.

art. 150. Esistono questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità che hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale, da realizzare nelle modalità e ai livelli più convenienti, da quelli locali a quello universale. Tra queste emergono in particolare quelle relative alla differenza e armonia tra identità maschile e femminile e alle inclinazioni sessuali. A questo riguardo il Sinodo ribadisce che Dio ama ogni persona e così fa la Chiesa, rinnovando il suo impegno contro ogni discriminazione e violenza su base sessuale. Ugualmente riafferma la determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna e ritiene riduttivo definire l’identità delle persone a partire unicamente dal loro «orientamento sessuale» (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1 ottobre 1986, n. 16).

Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi. In questi cammini le persone sono aiutate a leggere la propria storia; ad aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale; a riconoscere il desiderio di appartenere e contribuire alla vita della comunità; a discernere le migliori forme per realizzarlo. In questo modo si aiuta ogni giovane, nessuno escluso, a integrare sempre più la dimensione sessuale nella propria personalità, crescendo nella qualità delle relazioni e camminando verso il dono di sé.
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Mi limito ad osservare che il richiamo alla Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, redatta da Ratzinger nel 1986 è puramente di stile e cita uno degli elementi meno sostanziali di quel documento dell’oscurantismo più radicale, che suscitò, a dire poco, grosse perplessità.
La parte finale dell’art. 150 contiene una formula volutamente neutra di apertura, rivolta a tutti, nessuno escluso che non rimarca alcuna condanna o esclusione.

In sintesi, il documento finale del Sinodo sembra, almeno nel linguaggio, e forse non solo nel linguaggio, contenere qualche apertura verso un modo non solo più scientifico e oggettivo ma anche più evangelico di concepire l’omosessualità. È pur sempre vero che una rondine non fa primavera e che il vento (anche quello dello Spirito) soffia dove vuole e potrebbe cambiare sempre direzione, ma si avverte l’impressione che il lievito stia cominciando a far fermentare tutta la pasta, o almeno buone porzioni di essa. Il tempo ci permetterà di capire se si tratta solo di un fatto episodico o se è realmente l’inizio di un’apertura, sulla quale mantengo comunque tutte le mie riserve, perché il buon senso e l’esperienza inducono a frenare gli entusiasmi e a seguire l’esempio di San Tommaso.

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PAPA FRANCESCO NON SA CHE COSA SIA L’OMOSESSUALITA’

Papa Francesco, nel volo di ritorno da Dublino, parlando a braccio, come è solito fare, rispondendo ad una domanda relativa all’atteggiamento che dovrebbe prendere un genitore di fronte al coming out del figlio, così si è espresso:

“In quale età si manifesta questa inquietudine del figlio, è importante, una cosa è quando si manifesta da bambino, c’è … ci sono tante cose da fare… con la psichiatria o.. , o… per vedere come sono le cose. Un’altra cosa è quando si manifesta un po’ dopo vent’anni o cose del genere…”

Mi chiedo senza spirito di polemica come possa un Papa non avere la più pallida idea di che cosa sia realmente l’omosessualità.

Nella classificazione dei disordini mentali e comportamentali contenuta nella decima formulazione del documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la classificazione della malattie (ICD-10), l’omosessualità non è più in alcun modo considerata una malattia e si riconosce l’esistenza di forme distoniche di tutti gli orientamenti sessuali. L’omosessualità eco-distonica è una omosessualità riconosciuta dal soggetto ma non accettata. Se un omosessuale, pienamente cosciente di essere omosessuale, entra in conflitto col suo orientamento sessuale per ragioni religiose, morali o sociali e desidera cambiare orientamento sessuale, si dice che la sua è una omosessualità ego-distonica. Questa categoria è ormai desueta e l’omosessualità ego-distonica non è più classificata come disturbo mentale, ma come semplice disagio dovuto a ragioni culturali o sociali. L’ICD-10 è stato approvato dalla 43esima Assemblea della OMS nel maggio del 1990 ed è entrato in uso negli Stati aderenti alla OMS dal 1994. È attesa la pubblicazione del l’ICD-11 entro il 2018, e si prevede che sia completamente eliminato qualsiasi riferimento alla omosessualità anche ego-distonica.

Il mantenimento della categoria di “Omosessualità ego-distonica” ha alimentato il florido mercato delle terapie di conversione mirate al riportare gli omosessuali alla eterosessualità, perché queste pratiche aberranti erano considerate ufficialmente forme di cura per una “malattia” e quindi erano rimborsabili dalle assicurazioni sanitarie o dai servizi sanitari nazionali, ove presenti.

L’omosessualità era stata eliminata fin dal 1973 dal DSM (Diagnostic and Statistical Manual del American Psychiatric Association (APA)), dopo un percorso molto tortuoso in cui resistenze di tipo ideologico, opportunismi politici e interessi economici si intrecciavano in vario modo, in un territorio di confine in cui la scienza (psichiatria) rischiava di perdere anche l’apparenza dell’oggettività. Rinvio a questo proposito a un bell’articolo di Jack Drescher: Out of DSM: Depathologizing Homosexuality https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4695779/ che illustra il percorso che ha portato alla depatologizzazione della omosessualità da parte dell’APA.

Riporto qui di seguito un documento fondamentale in tema di terapie riparative:
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Organizzazione Panamericana della Sanità
Ufficio Regionale della
Organizzazione Mondiale della Sanità

“CURE” PER UNA MALATTIA CHE NON ESISTE

Le presunte terapie volte a cambiare l’orientamento sessuale mancano di giustificazione medica e sono eticamente inaccettabili.

Introduzione

Moltissimi esseri umani vivono la loro vita circondati da rifiuto, maltrattamenti e violenza per il loro essere percepiti come “diversi”. Tra loro, milioni sono vittime di atteggiamenti di diffidenza, disprezzo e odio a causa del loro orientamento sessuale. Queste espressioni di omofobia sono basate sull’intolleranza derivante da cieco fanatismo ma anche da concezioni pseudoscientifiche che considerano il comportamento sessuale non-eterosessuale e non procreativo una “deviazione” o il risultato di un “difetto di sviluppo”.

Qualsiasi siano le sue origini e le sue manifestazioni, ogni forma di omofobia ha effetti negativi sulle persone colpite, le loro famiglie e gli amici e la società in generale. Sono moltissimi i racconti e le testimonianze di sofferenze, sensi di colpa e di vergogna, esclusione sociale, minacce e lesioni e sono moltissime le persone che sono state brutalizzate e torturate fino al punto da riportare lesioni, cicatrici permanenti e anche la morte. Di conseguenza, l’omofobia rappresenta un problema di salute pubblica che deve essere affrontato energicamente.

Ogni espressione di omofobia è deplorevole ma i danni causati da professionisti della sanità a causa di ignoranza, pregiudizio, intolleranza o sono assolutamente inaccettabili e devono essere evitati a tutti i costi. Non solo è di fondamentale importanza che ogni persona che utilizza i servizi sanitari sia trattata con dignità e rispetto, ma è anche fondamentale impedire l’applicazione di teorie e modelli che vedono l’omosessualità come una “deviazione” o una scelta che può essere modificata attraverso il “potere della volontà” o attraverso presunti “supporti terapeutici”.

In molti paesi delle Americhe, è stata evidenziata una promozione continua, attraverso presunte “cliniche” o “singoli terapeuti”, di servizi volti a “curare” l’orientamento non-eterosessuale, un approccio noto come “riparativo” o “terapia di conversione.”1 Preoccupa il fatto che questi servizi sono spesso forniti non solo al di fuori della sfera di attenzione pubblica, ma in modo clandestino. Dal punto di vista dell’etica professionale e dei diritti umani protetti dai trattati regionali e universali e dalle convenzioni, come la Convenzione americana sui diritti umani e dal suo protocollo addizionale (“Protocollo di San Salvador”) 2, queste pratiche sono ingiustificabili e devono essere denunciate e assoggettate a sanzioni adeguate.

L’omosessualità come variante naturale e non patologica

Gli sforzi volti a modificare gli orientamenti sessuali non eterosessuali non hanno giustificazione medica in quanto l’omosessualità non può essere considerata una condizione patologica.3 I professionisti concordano sul fatto che l’omosessualità rappresenta una variante naturale della sessualità umana, senza alcun effetto intrinsecamente nocivo sulla salute delle persone interessate o delle persone vicine a loro. In nessuna delle sue manifestazioni individuali l’omosessualità costituisce un disturbo o una malattia, e quindi non necessita di cura. Per questo motivo l’omosessualità è stata rimossa da diversi decenni dai sistemi di classificazione delle malattie.4

L’inefficacia e la nocività delle “terapie di conversione”

Oltre alla mancanza di indicazione medica, non vi è alcuna prova scientifica dell’efficacia degli sforzi di riorientamento sessuale. Anche se alcune persone riescono a limitare l’espressione del loro orientamento sessuale in termini di comportamento, l’orientamento in sé appare in genere come una caratteristica integrale della persona, che non può essere modificata. Allo stesso tempo, abbondano le testimonianze sui danni alla salute fisica e mentale derivanti dalla repressione dell’orientamento sessuale di una persona. Nel 2009, l’American Psychological Association ha condotto una revisione di 83 casi di persone che erano state oggetto di interventi di “conversione”.5 Non solo è stato impossibile dimostrare variazioni dell’orientamento sessuale dei soggetti ma lo studio ha rilevato anche che l’intenzione di cambiare l’orientamento sessuale è legata alla depressione, all’ansia, all’insonnia, al senso di colpa e di vergogna, e anche a propositi e a comportamento suicidari. Alla luce di queste evidenze, il suggerire ai pazienti che essi soffrono di un “difetto” e che essi dovrebbero cambiare costituisce una violazione del primo principio dell’etica medica: “In primo luogo, non fare del male”. Si tratta di una lesione del diritto all’integrità personale nonché del diritto alla salute, soprattutto nelle sue dimensioni psicologiche e morali.

Segnalazioni di violazioni della integrità personale e di altri diritti umani

Come fattore aggravante, le “terapie di conversione” devono essere considerate minacce per il diritto all’autonomia personale e all’integrità personale. Ci sono diverse testimonianze di adolescenti che sono stati sottoposti a interventi “riparativi” contro la loro volontà, molte volte su iniziativa delle loro famiglie. In alcuni casi, le vittime sono state internate e private della loro libertà, a volte fino al punto di essere tenute in isolamento per parecchi mesi.6 Le testimonianze offrono racconti di trattamento degradante, estrema umiliazione, violenza fisica, condizionamento forzato attraverso scosse elettriche o sostanze chimiche e persino molestie sessuali e tentativi di “stupro riparativo”, soprattutto nel caso delle donne lesbiche. Tali interventi violano i diritti umani e la dignità delle persone interessate, indipendentemente dal fatto che il loro effetto “terapeutico” è nullo o addirittura controproducente. In questi casi, il diritto alla salute non è stato protetto come richiesto dagli obblighi nazionali e internazionali stabiliti attraverso il Protocollo di San Salvador e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.

Conclusione

Gli operatori sanitari che offrono “terapie riparative” aderiscono a puri pregiudizi sociali e manifestano una forte ignoranza in materia di sessualità e di salute sessuale. Contrariamente a quanto molti credono o presumono, non vi è alcuna ragione – con l’eccezione dello stigma risultante proprio da tali pregiudizi – per la quale le persone omosessuali non possano godere di una vita piena e soddisfacente. Il compito dei professionisti della salute è quello di non causare danni e di offrire un sostegno ai pazienti per alleviare le loro sofferenze e i loro problemi, certamente non di rendere questi problemi più gravi. Un terapeuta che classifica i pazienti non-eterosessuali come “devianti” non solo li offende, ma contribuisce anche all’aggravamento dei loro problemi. Le terapie “riparative” o ” di conversione” non hanno alcuna indicazione medica e rappresentano una grave minaccia per i diritti umani e la salute delle persone. Esse costituiscono pratiche ingiustificabili che devono essere denunciate e assoggettate a sanzioni adeguate.

Raccomandazioni

Per i governi:

I maltrattamenti omofobi da parte degli operatori sanitari o di altri membri del team di assistenza sanitaria violano gli obblighi in termini di diritti stabiliti dai trattati universali e regionali. Tali trattamenti sono inaccettabili e non dovrebbero essere tollerati.

Le terapie “riparative” o “di conversione” e le cliniche che le offrono dovrebbero essere segnalate e assoggettate a sanzioni adeguate.
Le istituzioni che offrono tali “trattamenti” al margine del settore sanitario devono essere considerate come lesive del diritto alla salute, perché assumono un ruolo propriamente di pertinenza del settore sanitario e recano pregiudizio al benessere individuale e collettivo.7

Le vittime di maltrattamento omofobi devono essere trattate in accordo con i protocolli per fornire loro sostengono nel recupero della loro dignità e autostima.
Questo include l’obbligo di fornire loro un trattamento per il danno fisico ed emotivo e la protezione dei loro diritti umani, in particolare del diritto alla vita, all’integrità personale, alla salute, e all’uguaglianza di fronte alla legge.

Per le istituzioni accademiche:

Le istituzioni pubbliche responsabili della formazione degli operatori sanitari dovrebbero comprendere nei loto programmi corsi sulla sessualità umana e la salute sessuale, con un focus particolare sul rispetto della diversità e l’eliminazione di atteggiamenti di patologizzazione, rifiuto e odio verso le persone non-eterosessuali. La partecipazione di queste persone alle attività didattiche contribuisce allo sviluppo di modelli di ruolo positivi e all’eliminazione degli stereotipi comuni sulle comunità di persone non-eterosessuali.

La formazione di gruppi di sostegno all’interno delle facoltà e all’interno della comunità studentesca contribuisce a ridurre l’isolamento e a promuovere la solidarietà e le relazioni di amicizia e di rispetto tra i membri di questi gruppi.

Meglio ancora è la formazione di “alleanze di diversità sessuali” che includono persone eterosessuali.

Le molestie omofobe e i maltrattamenti da parte dei docenti della facoltà e degli studenti sono inaccettabili e non dovrebbero essere tollerate.

Per le associazioni di professionali:

Le associazioni professionali devono divulgare i documenti e le risoluzioni provenienti dalle istituzioni e dalle agenzie nazionali e internazionali che richiedono la de-psicopatologizzazione della diversità sessuale e la prevenzione di qualsiasi intervento finalizzato al cambiamento dell’orientamento sessuale.

Le associazioni professionali dovrebbero adottare posizioni chiare e definite in materia di tutela della dignità umana e dovrebbero definire le azioni necessarie per la prevenzione e il controllo dell’omofobia come problema di salute pubblica che incide negativamente sul godimento dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali.

L’applicazione delle cosiddette terapie “riparative” o “di conversione” deve essere considerata come fraudolenta e come una violazione dei principi fondamentali di etica medica. Le persone o le istituzioni che offrono questi trattamenti dovrebbero essere oggetto di sanzioni adeguate.

Per i mezzi di comunicazione:

La rappresentazione dei gruppi, delle popolazioni o degli individui non-eterosessuali nei media dovrebbe essere basata sul rispetto personale, evitando stereotipi o umorismo basato sullo scherno, sui maltrattamenti, o su violazioni della dignità o del benessere individuale o collettivo.

L’omofobia, in qualsiasi sua manifestazione ed espressa da qualsiasi persona, deve essere presentata come un problema di salute pubblica e una minaccia alla dignità umana e ai diritti umani.

L’uso di immagini positive di persone o gruppi non-eterosessuali, lungi dal promuovere l’omosessualità (in virtù del fatto che l’orientamento sessuale non può essere modificato), contribuisce a creare una visione più umana e più aperta alla diversità, a dissipare timori infondati e promuovere sentimenti di solidarietà.
La pubblicità che incita all’intolleranza omofoba dovrebbe essere denunciata come contributo all’aggravamento di un problema di salute pubblica e come una minaccia per il diritto alla vita, in particolare in quanto contribuisce alla cronica sofferenza emotiva, alla violenza fisica, e ai crimini di odio.

La pubblicità diffusa da “terapeuti”, “centri di cura”, o eventuali altri operatori che offrono servizi volti a cambiare l’orientamento sessuale dovrebbe essere considerata illegale e dovrebbe essere segnalata alle autorità competenti.

Per le organizzazioni della società civile:

Le organizzazioni della società civile possono sviluppare meccanismi di vigilanza civile per individuare le violazioni dei diritti umani delle persone non eterosessuali e segnalarle alle autorità competenti. Essi possono anche aiutare a identificare e segnalare le persone e le istituzioni coinvolte nella gestione delle cosiddette terapie “riparative” o “di conversione”.

I gruppi già esistenti o emergenti di auto-aiuto, i parenti o gli amici di persone non-eterosessuali possono facilitare il collegamento ai servizi sanitari e sociali, con l’obiettivo di proteggere l’integrità fisica e morale degli individui maltrattati, oltre che di segnalare abusi e violenze.

Promuovere interazioni rispettose e quotidiane tra persone di diverso orientamento sessuale è arricchente per tutti e promuove modi armonici, costruttivi, salutari e pacifici di convivenza comune.
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1 Human Rights Committee (2008). Concluding Observations on Ecuador(CCPR/C/ECU/CO/5), paragraph 12.
<http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrc/docs/co/CCPR.C.ECU.CO.5.doc&gt;
Human Rights Council (2011). Discriminatory Laws and Practices and Acts of Violence Against Individuals Based on Their Sexual Orientation and Gender Identity (A/HRC/19/41), paragraph 56. <http://www.ohchr.org/Documents/HRBodies/HRCouncil/RegularSession/Session19/AHRC-19-41_en.pdf&gt;
Human Rights Council (2011). Report of the Special Rapporteur on the Right of Everyone to the Enjoyment of the Highest Attainable Standard of Physical and Mental Health (A/HRC/14/20), paragraph 23.
<http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/docs/14session/A.HRC.14.20.pdf&gt;
United Nations General Assembly (2001). Note by the Secretary-General on the Question of Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (A/56/156), paragraph 24. <http://www.un.org/documents/ga/docs/56/a56156.pdf&gt;
2 I diritti umani che possono essere lesi da queste pratiche includono, tra gli altri, il diritto alla vita, all’integrità personale, alla privacy, all’uguaglianza di fonte alla legge, alla libertà personale, alla salute, e ai benefici del progresso scientifico.
3 American Psychiatric Association (2000). Therapies Focused on Attempts to Change Sexual Orientation (Reparative or Conversion Therapies): Position Statement. <http://www.psych.org/Departments/EDU/Library/APAOfficialDocumentsandRelated/PositionStatements/200001.aspx&gt;
Anton, B. S. (2010). “Proceedings of the American Psychological Association for the Legislative Year 2009: Minutes of the Annual Meeting of the Council of Representatives and Minutes of the Meetings of the Board of Directors”. American Psychologist, 65, 385–475.
<http://www.apa.org/about/governance/council/policy/sexual-orientation.pdf&gt;
Just the Facts Coalition (2008). Just the Facts about Sexual Orientation and Youth: A Primer for Principals, Educators, and School Personnel. Washington, DC. <http://www.apa.org/pi/lgbc/publications/justthefacts.html&gt;
4 World Health Organization (1994). International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (10th Revision). Geneva, Switzerland.
American Psychiatric Association (2000). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders(4th ed.,text revision). Washington, DC.
5 APA Task Force on Appropriate Therapeutic Responses to Sexual Orientation (2009). Report of the Task Force on Appropriate Therapeutic Responses to Sexual Orientation. Washington, DC.<http://www.apa.org/pi/lgbt/resources/therapeutic-response.pdf&gt;
6 Taller de Comunicación Mujer (2008). Pacto Internacional de Derechos Civiles y Políticos: Informe Sombra.
<http://www.tcmujer.org/pdfs/Informe%20Sombra%202009%20LBT.pdf&gt;
Centro de Derechos Económicos y Sociales (2005). Tribunal por los Derechos Económicos, Sociales y Culturales de las Mujeres.
<http://www.tcmujer.org/pdfs/TRIBUNAL%20DESC%20ECUADOR%20MUJERES.pdf&gt;
7 Vedi il Commento generale No. 14 da parte del Committee on Economic, Social, and Cultural Rights relativamente all’obbligo di rispettare, proteggere e conformarsi agli obblighi relativi ai diritti umani da parte degli Stati membri dell’International Covenant on Economic, Social, and Cultural Rights.
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Ovviamente Papa Francesco non conosce questi documenti ma solo il Catechismo della Chiesa Cattolica. Avrà anche coraggio nel lottare contro la pedofilia ma non ha assolutamente le idee chiare su quello che la Psichiatria seria dice della omosessualità. D’altra parte la Chiesa sembra suggerire ancora oggi, stando alle parole del Papa, una terapia riparativa da applicare in età molto anticipata.

Per capire che cosa sono in concreto le terapie riparative vi consiglio la lettura di in reportage giornalistico molto documentato concernente le “terapie riparative della omosessualità” ossia le terapie che i gruppi cattolici consigliano per risolvere il problema della omosessualità (http://progettogaytest.altervista.org/t … rative.htm) tutto sotto la supervisione di un professore di psicologia della Pontificia Università Gregoriana.

Già in altra occasione ho avuto modo di accennare alla gaia scienza di sedicenti scienziati, ma qui la cosa è più seria perché dietro queste cose c’è l’avallo della Chiesa e non si tratta quindi del solito guru isolato. In queste cose sono coinvolti uomini di Chiesa. Sono personalmente convinto che il messaggio cristiano sia una cosa serissima, o meglio una cosa che, se presa seriamente, è una cosa serissima, e ho conosciuto uomini di Chiesa che hanno veramente speso la vita per il prossimo. Mi chiedo come sia possibile che le cose che sono descritte nell’articolo ottengano l’avallo della Chiesa. Come sia possibile che un ragazzo di 15/16 anni e ancora peggio un ragazzino debba subire per volontà dei genitori una farneticante terapia “riparativa dell’omosessualità” queste cose non sono solo immorali ma sono al limite del codice penale.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=73&t=6649

CHIESA CATTOLICA E GAY AI TEMPI DI PAPA FRANCESCO

È da molto tempo che non scrivo sul tema dei rapporti tra Chiesa cattolica e Gay. Indubbiamente Papa Francesco non ha alimentato crociate contro gli omosessuali come aveva fatto più volte il suo predecessore Benedetto XVI, e questo fatto ha acceso speranze circa un ipotetico cambiamento di rotta della Chiesa cattolica in tema di omosessualità e circa ipotetiche aperture dello stesso Papa Francesco verso i gay. Dico ipotetiche perché, prima di diventare papa, l’allora Arcivescovo di Buenos Aires si era espresso con parole molto nette contro il riconoscimento legale delle unioni omosessuali (https://gayproject.wordpress.com/2013/0 … osessuali/), e anche il Sinodo sulla Famiglia, si era risolto in un fuoco di paglia e in una sostanziale riaffermazione del “magistero” di Benedetto XVI in materia di omosessualità. Non credo affatto che papa Francesco abbia mai avuto vere aperture verso i gay, ma ammesso e non concesso che le abbia avute, quello che è certo è che, come era assolutamente ovvio aspettarsi, di fatto, non è cambiato nulla. Il Catechismo, come era scontato, non è stato modificato e le cosiddette aperture si sono manifestate per quello che erano, ossia come dei tentativi di salvare la faccia.

Sono sempre rimasto stupito dall’insistenza con la quale gli omosessuali cattolici hanno cercato l’approvazione della Chiesa, un’approvazione sostanzialmente impossibile, che richiederebbe una revisione dottrinale profonda e la rinuncia della Chiesa alla pretesa dogmatica di essere l’infallibile interprete della volontà di Dio. La Chiesa è una realtà storica che del messaggio di Cristo ha fatto spesso strame e che, come tutte le realtà storiche, è profondamente condizionata della sua stessa tradizione che finisce per sovrapporsi al messaggio evangelico e per confondersi con esso, oscurandolo.

Vorrei proporre alla vostra lettura un documento a firma dell’Arcivescovo di Torino, col quale l’Arcivescovo sospende un seminario facente parte della “pastorale degli omosessuali” perché ne sarebbe stato frainteso il significato. Non entro sul fatto che il significato sia o meno stato frainteso, ma voglio sottolineare che il documento è una prova evidente che nella Chiesa nulla è cambiato e nulla potrà cambiare in tema di omosessualità.

Riporto qui di seguito il testo del messaggio dell’Arcivescovo di Torino, che si può leggere sul sito della Diocesi (http://www.diocesi.torino.it/site/pasto … -nosiglia/)

“Pastorale degli omosessuali: intervento di mons. Nosiglia
Dichiarazione dell’arcivescovo di Torino del 5 febbraio 2018
Di seguito la dichiarazione dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, del 5 febbraio 2018 riguardo alla pastorale degli omosessuali e agli interventi apparsi negli ultimi giorni su alcuni media:

A proposito di alcuni interventi dei media circa l’impegno pastorale di don Gianluca Carrega, sacerdote della Diocesi di Torino incaricato per la pastorale degli omosessuali, è opportuno precisare alcuni punti.

La Diocesi di Torino ha da diversi anni promosso un servizio pastorale di accompagnamento spirituale, biblico e di preghiera per persone omosessuali credenti che si incontrano con un sacerdote e riflettono insieme, a partire dalla  Parola di Dio, sul loro stato di vita e le scelte in materia di sessualità.

È questo un servizio che si è rivelato utile e apprezzato e che corrisponde a quanto l’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” di Papa Francesco afferma e invita a compiere: “Desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona indipendentemente dal proprio orientamento sessuale va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei confronti delle famiglie con figli omosessuali è necessario assicurare un rispettoso accompagnamento affinché coloro che manifestano una tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita” (n. 250).

Questo è lo scopo del percorso spirituale di accompagnamento e discernimento proposto in Diocesi. Esso vuole dunque aiutare le persone omosessuali a comprendere e realizzare pienamente il progetto di Dio su ciascuno di loro. Ciò non significa approvare comportamenti o unioni omosessuali, che restano per la Chiesa scelte moralmente inaccettabili: perché tali scelte sono lontane dall’esprimere quel progetto di unità fra l’uomo e la donna espresso dalla volontà di Dio Creatore (Gen. 1-2) come donazione reciproca e feconda. Questo però non significa non prendersi cura dei credenti omosessuali e della loro domanda di fede.

Per questo il percorso che la Diocesi ha intrapreso non intende in alcun modo legittimare le unioni civili o addirittura il matrimonio omosessuale su cui la “Amoris Laetitia” precisa chiaramente che “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie neppure remote tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (n. 251).

Alcune pubblicazioni hanno fornito, in questi giorni, interpretazioni diverse – spesso superficiali, a volte tendenziose – che rendono necessario chiarire le caratteristiche e i limiti del lavoro in questo ambito pastorale. Poiché si tratta di persone in ricerca, che vivono situazioni delicate e anche dolorose, è essenziale che anche l’informazione che viene pubblicata corrisponda alla verità e a una retta comprensione di quanto viene proposto, con spirito di profonda carità evangelica e in fedeltà all’insegnamento della Chiesa in materia.

Per questo ritengo, insieme con don Gianluca Carrega di cui apprezzo l’operato, che sia opportuno sospendere l’iniziativa del ritiro, al fine di effettuare un adeguato discernimento.

Mons. Cesare Nosiglia Arcivescovo di Torino”

Qualcuno si è stupito di quanto scritto dall’Arcivescovo di Torino, ma va sottolineato che il documento dell’Arcivescovo non fa che citare alla lettera la Amoris laetitia di Papa Francesco, che tratta in modo brevissimo di omosessualità soltanto in due punti, che riposto integralmente qui di seguito:

“250. La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni.[275] Con i Padri sinodali ho preso in considerazione la situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, esperienza non facile né per i genitori né per i figli. Perciò desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione»[276] e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei riguardi delle famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita.[277] 

251. Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».[278] 

[275] Cfr Bolla Misericordiae Vultus, 12: AAS 107 (2015), 409.
[276] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2358; cfr Relatio finalis 2015, 76.
[277]Cfr ibid.
[278] Relatio finalis 2015, 76; cfr Congregazione per la Dottrina della Fede,
Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (3 giugno 2003), 4.”

Il documento di Papa Francesco si richiama alla Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia, al Catechismo della Chiesa Cattolica, e alla Relazione finale del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia del 2015, che a sua volta dedica alla omosessualità solo il n. 76:

“76. La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni (cf. MV, 12). Nei confronti delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, la Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).

Si riservi una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale. Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» (Ibidem). Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso.”

La Relazione Finale del Sinodo dei Vescovi cita esplicitamente le “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” della Congregazione per la dottrina della fede, del 3 Giugno 2003, a firma dell’allora cardinale Prefetto Joseph Ratzinger. (viewtopic.php?f=78&t=3349) La dottrina della Chiesa in materia di omosessualità resta quindi esattamente quella sancita da Benedetto XVI.

Mi chiedo come facciano, oggi, i cattolici omosessuali a mantenere un atteggiamento di soggezione che comporta la subordinazione della coscienza individuale ad un “magistero” che nella sostanza non ha nulla di evangelico e non fa che perpetuare affermazioni di puro pregiudizio in netto contrasto con la verità scientifica e con l’esperienza quotidiana degli omosessuali.

Mi occupo di omosessuali da molti anni e conosco moltissimi omosessuali e molte coppie omosessuali, francamente, pensare che il piano di Dio per queste persone comporti l’obbligo della castità mi sembra un’affermazione veramente oscena.

Chi ha orecchio per intendere intenda!

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Se volete,potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul Forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=73&t=6350

Read this post in English: http://gayprojectforum.altervista.org/T-catholic-church-and-gays-at-the-time-of-pope-francis