COPPIE GAY TRA SESSO E AMORE

Caro Project, leggo da anni il forum, che mi piace e mi fa anche riflettere, vorrei dire che in certi casi mi mette in guardia contro problemi e situazioni che non avevo previsto. Ho 30 anni, il mio ragazzo ne ha 33, non siamo più giovanissimi, le cose tra noi vanno abbastanza bene, nel senso che in qualche modo vanno.

Siamo entrambi non dichiarati pubblicamente, io però tengo di più alla mia privacy, lui la sua la trascura un po’ ed è quasi convinto che le mie insistenze su questo tema siano esagerate, ma le accetta perché viviamo in ambienti molto diversi, sia a livello familiare che di lavoro. Noi non conviviamo, e la ragione, o almeno la ragione ufficiale, è essenzialmente una: la salvaguardia della mia privacy, però, anche prima che si parlasse di coming out e di convivenza, lui aveva messo bene in chiaro che l’idea di convivere con me non gli veniva affatto spontanea e che l’avrebbe considerata una forzatura.

Noi ci vediamo spesso, diciamo almeno una volta alla settimana, non di più perché i nostri orari di lavoro non si combinano e perché non viviamo nella stessa città ma in città vicine, collegate della ferrovia. La maggior parte delle volte vado io da lui, lui viene raramente a casa mia. Tra noi c’è una regola non scritta, che a me non piace per niente, cioè che non si resta a dormire a casa dell’altro e si va via in orario tale che permetta di prendere l’ultimo treno della sera, poco prima di mezzanotte. Questa regola non l’abbiamo mai decisa e non ne abbiamo mai parlato, ma l’abbiamo sempre rispettata.

Considera che lui a casa sua ha un letto solo e ne avevo uno solo anche io, poi mi venne l’idea di comprare un secondo letto, e quando lui lo vide mi chiese per chi fosse. Era evidente che era per lui, ma gli ho dovuto dire che nel caso fosse venuto a trovarmi un amico, avrebbe anche potuto restare una sera a casa mia, a lui è venuto in testa che quel letto potesse essere magari per un ragazzo che io potevo vedere quando lui non c’era, questo lo ha pensato, anche se è del tutto assurdo, ma penso che non gli sia nemmeno passato per la mente che quel letto potesse essere stato messo lì per lui e questo, non lo posso negare, mi ha indisposto parecchio, ma ci sono anche altre cose che non riesco a capire.

Un giorno siamo andati fuori insieme in campagna e ci siamo portati il pranzo al sacco ma ciascuno si è portato le provviste per sé, una volta arrivati a destinazione io ho provato a offrirgli un panino fatto da me, basandomi sui suoi gusti, ma non lo ha voluto e mi ha detto che aveva i suoi, che ovviamente non mi ha offerto. Si comporta come se io potessi contagiarlo con chissà che cosa e questo succedeva ben prima del covid. Ultimamente è molto restio a venire a casa mia, e se io insisto, lui preferisce saltare del tutto l’appuntamento per quella settimana, nell’ultimo mese, per esempio sono andato sempre io da lui e mai vice versa. Certe volte mi viene in mente che potrebbe ritenermi repellente per qualche ragione, al punto di attuare una specie di distanziamento sociale, ma poi, quando facciamo sesso, non esiste più nessuna remora, allora io vado bene al 100% e non si fa complessi di nessun genere.

Non so che peso lui dia al sesso ma penso che lo consideri molto importante ma non come elemento comunicativo, almeno quando ne parla sembra che sia così, ma quando stiamo a letto insieme non è affatto così, ma poi finita la serata di sesso (lui non usa mai la parola amore che sente come un vincolo e una limitazione), sembra quasi pentirsi di essersi lasciato andare e tornano gli atteggiamenti di distanziamento sociale e di svalutazione di quello che ha appena fatto e francamente questo atteggiamento mi crea forte disagio. È come se dopo aver fatto sesso con la massima partecipazione, ci ripensasse e si rendesse conto di avere fatto qualcosa che non voleva fare o alla quale avrebbe dovuto resistere, e allora si comporta come se fossi stato io a portarlo a fare sesso con me. Può essere anche vero che io ho favorito la strada verso il sesso, ma lui poteva benissimo dirmi di no.

In altri tempi lui aveva altri ragazzi coi quali aveva un rapporto affettivo che a me sembrava serio, in una situazione simile posso anche capire che lui svalutasse la serata di sesso passata con me, perché magari la vedeva come un tradimento nei confronti del ragazzo di cui allora si sentiva innamorato, ma adesso? Forse ha ancora un ragazzo che lui considera veramente il suo ragazzo e magari è innamoratissimo di quel ragazzo, però dico solo forse, perché non mi sembra che sia così e non posso nemmeno chiederglielo perché ho paura della risposta, e francamente sapere che nel nostro rapporto io conto per quello che faccio e non per quello che sono, mi riesce inaccettabile.

È vero che alla fine si accetta tutto o comunque molto di più di quello che si pensava, però il disagio si sente. Insomma, Project, che senso ha tutto questo? E la risposta non è così semplice, perché lui ha anche atteggiamenti che sembrano smentire del tutto questi comportamenti, con me non tende a prevalere, ha dei momenti di dolcezza e di affettività che non ti aspetteresti assolutamente. È vero che certe volte mi sento a disagio con lui ma certe volte ci sto veramente bene, paradossalmente sto bene con lui quando lui sta peggio perché magari è depresso o frustrato nelle cose che a lui interessano veramente, ma quando la depressione lascia spazio ad altri progetti io mi sento del tutto marginale e penso di staccarmi da lui, cosa che forse non sarebbe nemmeno così difficile, basterebbe non farsi sentire, non rispondere un paio di volte alle sue chiamate e penso che la cosa finirebbe da sé.

Lo penso, però non lo so e qualche volta non lo penso affatto, anzi penso proprio il contrario. Però forse, e sottolineo forse, lo sto svalutando perché magari ho chiuso le porte del mio cervello sulla base delle mie frustrazioni, che potrebbero venire anche dalle mie fisse piuttosto che dai suoi atteggiamenti. Certe volte mi chiedo: “Ma come si fa a dare al sesso solo un valore connesso al fatto in sé senza pensare all’altro in termini anche affettivi?” E penso che io non ci riesco e lui sì, o almeno così mi sembra. Però non è realmente così, lui non si sente a suo agio nemmeno riducendo il sesso a una cosa essenzialmente fisica, in sostanza non è che quei comportamenti lo fanno stare bene, lui in realtà non sta bene in nessun modo.

Dell’affettività ha evidentemente paura, mi allontana e mi scoraggia quando cerco di portarlo sul mio terreno, mi dice che devo parlargli chiaro e che se viglio fare sesso con lui glielo devo dire, ma se gli dico che non vorrei che si riducesse tutto al sesso e basta, lui mi dice che sono ipocrita e che non devo fargli discorsi “appiccicosi” che lo mettono in difficoltà. Però quando gli dico che una sua telefonata mi ha fatto piacere, lui mi risponde: “Anche a me…” e sono convinto che sia vero, cioè un contatto affettivo vero c’è e questo non lo posso negare.

All’inizio non avevo minimamente previsto una involuzione così complicata, pensavo che mi sarei dovuto adattare a lasciarlo libero o addirittura ad incoraggiarlo verso i ragazzi di cui si innamorava, ma alla fine il problema non è stato questo. Lo vedo profondamente diviso, ha paura di finire nei vincoli di una relazione troppo stretta che non gli piacerebbe affatto, ma nello stesso tempo si sente gratificato dall’essere cercato proprio come persona e non solo come partner sessuale. Questa sensazione per lui è nuova e originale ma comincia ad apprezzarla. Una relazione con la convivenza l’avevo anche sognata, ma con lui è una cosa impensabile e forse è impensabile qualsiasi tipo di relazione codificata, e qui mi sarebbe venuto di scrivere “slavo, ammesso che abbia realmente un senso, una relazione di solo sesso”, però devo dire che se per lui le cose codificate non vanno bene, una relazione vera con lui esiste e questo non lo posso negare, sembra che sia basata soprattutto sul sesso e anche lì con la presenza costante di ripensamenti e di malumori e in apparenza senza serenità.

Però lui si merita di più, lo sto denigrando senza un vero motivo. Io ho un difetto di fondo, gioco sempre di rimando, perché tra noi le cose sono complicate, e in tutto questo casino io che faccio? Semplicemente non faccio niente e aspetto che faccia tutto lui, che faccia quello che vuole ma che prenda finalmente una posizione chiara che temo che comunque non ci sarà mai. Non sarà mai il mio ragazzo, o meglio lui non accetterà mai questa definizione, ma sarà di fatto il mio ragazzo. Comincia ad avere paura che resterà solo, anche se sa che non succederà mai, ma allo stesso tempo ha allontanato tutti quelli che forse a lui ci tenevano almeno un po’ e certe volte mi sembra che stia allontanando anche me, ma solo certe volte, perché altre volte, non so se lo fa coscientemente o meno, mi ascolta con attenzione e mi gratifica in modo inatteso quanto desiderato, e forse nemmeno se ne rende conto.

Quando mi gira male, io mi convinco che non faccio che aspettarlo, settimana dopo settimana, e penso che prima o poi si stancherà anche di me, o meglio anche di fare sesso con me, perché di me, da tutti gli altri punti di vista, si è stancato da un pezzo, e forse da prima di cominciare. Ma ci sono momenti in cui credo che non ci sia uomo migliore di lui perché sento proprio la sua presenza accanto a me.

Sono un po’ frastornato, Project, comincio a pensare che cercare di vederlo tutto di una tinta unica sia proprio una partita persa. Non gli do mai colpe, non per mia generosità ma perché probabilmente proprio non ne ha, ma vedo che sta male e questo non mi piace per niente. Se lo vedessi sereno con un altro ragazzo prenderei le distanze senza ripensamenti, ma nella situazione in cui sono oggi, penso che nel suo mondo potrei esserci rimasto solo io, anche qui posso dire che lo penso, ma non lo so, perché di queste cose non parla mai. Vedremo che cosa ci porterà il futuro per il momento posso solo continuare ad a volergli bene.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questi post aperta sul Forum di Progetto Gay:

http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=22&t=7020

ELOGIO DEL MIO PARTNER GAY

Caro Project,

ti sarai domandato perché ho messo un titolo alla mail e perché non ho scritto “elogio del mio ragazzo”. Intanto non gli piace sentirsi il ragazzo di nessuno, poi perché non è più un ragazzo, ha 45 anni, e poi perché un elogio se lo merita.

Io non ho mai avuto un carattere facile, faccio molte chiacchiere, spacco il capello in quattro ma rinvio sempre le decisioni e ho paura di tutto, cioè preferisco evitare di decidere, quando posso. Ho trovato pochi ragazzi che mi corressero dietro e quei pochi, dopo poco tempo, si stancavano e se ne andavano perché mi vedevano spento e poco partecipativo. Puoi capire che chances potevo avere io di trovarmi un ragazzo. In pratica manco lo cercavo. Non ero chiuso per principio a cose del genere però erano solo eventualità che io non andavo cercando.

Poi arriva lui, ormai parecchi anni fa. Ha due anni meno di me, ma a vederlo sembra proprio giovanissimo. Ci conosciamo all’università, frequentiamo lo stesso corso di laurea ma io sono al terzo anno, lui si è appena immatricolato. Io lo avevo notato perché era proprio bello, o almeno mi piaceva molto, aveva cominciato a scambiare due parole con me, come succedeva con cento altri ragazzi, ma poi quella chiacchieratina di cinque minuti è diventata di dieci, poi di venti, poi gli ho chiesto dove abitava e gli ho detto che lo avrei accompagnato volentieri a casa, lui mi ha sorriso e mi ha detto “grazie!” Tutto è cominciato così, non abitava vicino all’università e quindi passavamo insieme almeno 20-25 minuti ogni giorno. Mi parlava dei suoi studi, di quello che avrebbe voluto fare “da grande”, ecc. ecc., io gli raccontavo dei corsi degli anni successivi, dei professori e degli esami, non parlavamo di cose personali, ma l’abitudine di accompagnarlo a casa è diventata una regola. Non potevamo studiare insieme perché eravamo di anni diversi ma stavamo bene insieme. Il discorso tra noi era più significativo per quello che non diceva che per quello che diceva, non abbiamo mai parlato di ragazze, il che ovviamente si nota. Avevamo certamente qualcosa in comune: mai in discoteca, pensavamo soprattutto a studiare e a costruirci un futuro, provavamo entrambi una certa insofferenza per il nostro ambiente familiare, e soprattutto stavamo bene insieme.

Abbiamo cominciato a vederci anche la domenica, ufficialmente per andare in giro per musei e simili, ma in pratica solo per stare insieme. Stavamo insieme solo la mattina, poi, all’ora di pranzo lo riportavo a casa perché il pomeriggio dovevamo studiare. Tra noi c’era uno scambio di sorrisi unico, la mattina della domenica giocavamo come due ragazzini, dicevamo stupidaggini e ridevamo per qualsiasi cosa. Ricordo che c’era un manifesto pubblicitario del tonno “consorcio” che lui leggeva “con-sorcio” staccando bene le parole e si metteva a ridere e la risata si contagiava!

Il tempo passava, la situazione era gradevole, molto gradevole, ma non evolveva. Ovviamente avevo fatto più di un pensierino su di lui, ma avevo mille complessi, per me il sesso era solo una questione di fantasia, l’idea di poterci provare veramente ce l’avevo ma la respingevo con mille ragionamenti, dalla paura delle malattie, al fatto che lo avrei deluso, fino a scrupoli morali di vario tipo, residuo della mia educazione cattolica, nel senso che pensavo che in qualche modo fare sesso con lui sarebbe stato un po’ come fargli fare un’esperienza negativa, diciamo come sporcarlo un po’ ecc. ecc.. Lui, in teoria, non sapeva che io fossi gay, come io non lo sapevo di lui, non ce lo eravamo mai detto esplicitamente,  ma, dopo sei mesi, solo un cretino avrebbe potuto avere dubbi e io ce li avevo e mi sentivo un cretino. Ho cominciato ad avere i dubbi amletici: glielo dico o non glielo dico? Ma non glielo dicevo comunque. Non mi chiedevo che cosa potesse pensare lui, che sarebbe stata la cosa più sana, pensavo a quello che potevo o non potevo fare io e basta, ma in questo modo non si andava avanti. Poi abbiamo cominciato a parlare di cose un po’ più personali e io ho cominciato ad avere paura che mi mettesse alle strette, ma non lo ha fatto, si è esposto lui per primo e mi ha raccontato di una mezza storia con un suo compagno di scuola che nemmeno lo guardava, ma che a lui piaceva molto, in pratica il suo coming out è stato questo. In quella situazione è ovvio che gli devi dire anche di te e io l’ho fatto e gli ho detto: “Non sono mai stato con un ragazzo, ma mi sa che non sono ancora pronto per queste cose”. La mattinata è finita come tutte le domeniche precedenti, l’ho accompagnato a casa e ci siamo salutati, ho notato che questa volta non ci siamo stretti la mano, come facevamo sempre, ma lui mi ha sorriso guardandomi negli occhi e mi ha detto: “Oggi sono molto contento” e io gli ho risposto: “Anche io”.

Project, a quel punto uno si aspetterebbe che si vada oltre, lui probabilmente se lo aspettava, ma io avrei fatto volentieri macchina indietro, avrei voluto cancellare quella domenica mattina, perché ormai avevo fatto un passo senza ritorno e avrei voluto non  averlo fatto. È paradossale, ti trovi finalmente nella condizione che porterebbe a fare sesso con il ragazzo che hai sognato, perché per me era proprio al top, gli altri erano zero in confronto, e invece hai paura e cerchi di rinviare, di prendere tempo, di non decidere. In fondo il coming out lo aveva deciso lui, io come al solito non avrei fatto nulla, e mi chiedevo che cosa avrei fatto se avesse provato lui a fare ancora un passo avanti. Qui la tentazione era grande, ma anche la paura.

I suoi tentativi sono stati molto prudenti e graduali. La prima volta che mi ha toccato deliberatamente la mano, per avere un minimo di contatto fisico con me, io l’ho tirata indietro, allora lui ha ripetuto il gesto e io l’ho lasciato fare, non sapevo che cosa fare, volevo andare oltre ma volevo anche andarmene via. Ho provato a spiegarmi, ma era perplesso, non capiva, il mio comportamento gli sembrava assolutamente assurdo, diciamo pure patologico.

Vivevamo entrambi coi nostri genitori, quindi non potevamo vederci in casa e in macchina, la domenica mattina, si poteva arrivare a tenersi un po’ per mano, cosa alla quale eravamo arrivati non senza problemi stupidi da parte mia e non senza arrabbiature immediatamente represse da parte sua. Certo però che oltre quel livello non si poteva andare e devo dire che questo mi tranquillizzava. Io ero eccitatissimo quando stavo con lui, anche solo a tenerci per mano, ed era eccitatissimo anche lui.

Una domenica mi chiede se mi piacerebbe passare con lui un weekend, gli chiedo se intende dire anche dormendo insieme e mi dice di sì, e io comincio a tergiversare come mio solito, a non rispondere e a fare finta di niente e di essere distratto, lui insiste e io gli dico che non me la sento. Lui fa una smorfia di disappunto e mi dice: “Vabbe’, ho capito…” apre lo sportello della macchina e se ne va. Mi rendo conto, a distanza di anni, che deve esserci rimasto malissimo, perché in pratica io l’avevo rifiutato. Io, invece, sul primo momento mi sono sentito un grand’uomo, un eroe morale che gli aveva detto di no perché gli voleva bene veramente, al di là del sesso! Poi però già dopo un’ora mi mancava moltissimo, pensavo che non mi avrebbe più guardato in faccia, che forse non solo non avevo fatto niente di buono per lui ma l’avevo offeso in modo profondissimo. Però anche in questa situazione non ho preso il telefono per dirgli come mi sentivo, mi sono tenuto i miei malesseri e anche la mia soddisfazione “morale” di averlo fatto per lui e non ho pensato a come lui poteva stare veramente.

Il giorno successivo vado a lezione, ma faccio un giro diverso per i corridoi per non passare davanti all’aula dove lui segue le lezioni. Alla fine dell’ultima ora di lezione me lo trovo davanti alla porta come al solito, come se niente fosse successo tra noi, non accenna al fatto che la mattina non sono passato a salutarlo come al solito, tutto si svolge come se la domenica precedente non fosse successo niente, ma lui non sta recitando, sembra proprio che l’arrabbiatura gli sia passata. La nostra vita procede come prima, io penso intanto che non l’ho perso, e la cosa mi tranquillizza parecchio, e che lui forse ha accettato l’idea che il sesso per il momento è da mettere da parte.

Un paio di settimane dopo, mi dice che la famiglia ha una casetta in montagna dove non va mai nessuno e che ci si potrebbe andare una domenica, poi mi guarda in faccia e mi dice: “Non ti salto addosso, stai tranquillo!” Io gli dico che se ne può anche parlare. Lui vuole arrivare a farmi dire che per me va bene anche per la domenica successiva, ma io ricomincio con le esitazioni e con i discorsi stupidi e lui mi dice: “Ma perché devi rovinare sempre tutto? Ma di che hai paura? Non ti attacco malattie, non sono mai stato con nessuno, proprio mai.” Io continuo a tergiversare e lui se ne esce dalla macchina e se ne va senza salutarmi.

Io di nuovo ci sto male, ma poi alla fine, per la seconda volta, mi consolo e mi dico che comunque lo faccio per il suo bene e che devo mettere da parte le malinconie. Il giorno dopo, passo davanti alla sua aula e lo saluto come se non fosse successo nulla, lui mi guarda con un atteggiamento di sfida ma non di disinteresse. Alla fine delle lezioni lo riporto a casa come al solito e lui mi dice: “Non mi dire che non ti interessa! Lo vedo benissimo che sei tentato e pure molto! Ma di che hai paura?” Io ricomincio col discorso delle malattie, “nel senso che non vorrei nemmeno io attaccargliene, io a lui”. Lui mi guarda e dice: “Mi hai detto che non sei mai stato con nessuno, allora non è vero…” Gli ho giurato che era vero e lui mi ha detto, ma se facciamo prima il test tutti e due, tu dopo non hai più scuse, ok?” Io gli ho risposto: “Beh…” e lui stava per perdere la pazienza un’altra volta, poi si è trattenuto e mi ha detto: “Intanto facciamo il test! Ok?” Io gli ho risposto facendo un cenno di sì con la testa, lui mi ha detto: “Va bene, ci penso io…” Io credevo che fosse un modo di dire e ho fatto di nuovo cenno di sì con la testa. Allora lui mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha detto: “Però non mi dare buca!” e io gli ho detto solo: “Ok!”.

Pensavo che il discorso fosse molto vago e che se ne sarebbe parlato in un futuro indefinito, e invece, non ho fatto a tempo a rientrare a casa che mi è arrivato un sms in cui mi diceva che dovevo passare a prenderlo l’indomani sotto casa sua alle 6.45, per andare insieme a fare il prelievo, perché aveva preso l’appuntamento per le 7.15, in un laboratorio vicino all’università. Io gli ho risposto “Ok”.

L’indomani ci siamo visti e siamo andati a fare il prelievo, poi la giornata ha seguito il solito corso. Non avevamo la minima ansia per il test, né lui né io. Quando l’ho riaccompagnato a casa mi ha detto: “Venerdì pomeriggio andiamo insieme a ritirarlo…” e così abbiamo fatto. I risultati erano evidentemente entrambi negativi, cosa che era praticamente scontata, non avevamo malattie sessualmente trasmissibili, ma così cadeva anche la mia scusa per dirgli di no. Mi propone di andare in montagna la domenica e io mi sento un po’ forzato e un po’ tentato e alla fine gli dico di sì.

La domenica mattina passo a prenderlo, dopo circa un’ora di macchina arriviamo alla sua casetta, un posto sperso in mezzo alle montagne. Secondo il programma concordato saremmo rientrati la sera. Io non avrei accettato di passare lì la notte per evitare di dormire con lui, so che sembra patologico, ma allora per me le cose funzionavano così. Una volta a destinazione, io volevo andare in giro per non trovarmi solo in casa con lui, non che stare con lui mi dispiacesse, anzi! Ma non sapevo che cosa mi sarei potuto aspettare e mi sentivo ancora troppo condizionato. Siamo andati in giro fino all’ora di pranzo e gli ho proposto di andare a mangiare da qualche parte, sempre per non stare a casa con lui, ma mi ha detto che si era portato il pranzo da casa e che la borsa con le provviste stava nel portabagagli, e io ho dovuto accettare di andare a casa con lui. Era inverno e faceva un freddo cane, abbiamo acceso la stufa ma il freddo si sentiva fortissimo. Abbiamo scaldato le cose cucinate e abbiamo mangiato, poi è finito quel po’ di sole che c’era e si gelava, il freddo era proprio fortissimo. Lui se ne è andato nella stanza da letto dove c’era un letto largo da una piazza e mezzo, ha tirato fuori dall’armadio una grande trapunta matrimoniale di piuma, alta come un materassino e anche una grande coperta matrimoniale di lana, ha steso la coperta di lana sul letto e la trapunta sopra, si è tolto le scarpe e si è steso sul letto, vestito com’era, e si è coperto con la trapunta, poi mi ha guardato e mi ha detto: “Che fai? Vieni, che ti muori di freddo… io non ti tocco, almeno stiamo al caldo…” Io gli ho detto: “Promesso?” e lui mi ha detto. “Promesso!” Mi sono tolto le scarpe e mi sono sdraiato sotto la trapunta accanto a lui. Effettivamente si stava bene, ma io mi tenevo a distanza da lui. Lui mi dice: “Ma avvicinati, così ci scaldiamo meglio! Siamo pure vestiti, ma di che hai paura?” Allora io mi avvicino un po’, sento il suo calore, lui si gira verso di me e mi guarda con i suoi occhi bellissimi e mi dice: “Sono contento che non sei scappato!” E io gli dico solo: “Zitto!”

Poi mi prende la mano e la stringe, la sua è caldissima, e mi dice: “Hai le mani gelate, sei freddissimo, fammi accostare che ti scaldo un po’…” Così si è creato il nostro primo contatto fisico, ho sentito il suo calore, si è appoggiato a me. Ogni tanto mi chiedeva: “Ti dà fastidio?” E io gli dicevo: “No…”. A un certo punto si è addormentato. Era pomeriggio avanzato e fuori era buio, ma la luce era accesa e io lo vedevo da vicinissimo, era sereno, si fidava totalmente di me. Io l’ho lasciato dormire, poi verso le sette l’ho dovuto svegliare perché dovevamo tornare in città. Si è stiracchiato come un gatto, poi mi ha detto: “Qui si sta bene e fuori fa un freddo cane… e se ce ne andiamo domattina? Se partiamo alle 6.30 ce la facciamo benissimo ad essere all’università in orario…” Io gli ho detto: “Ok, però devo avvisare a casa.” Lui ha detto: “Pure io.” Abbiamo chiamato senza alzarci dal letto, poi mi ha detto: “E per la cena che facciamo?” io gli ho risposto: “Ne facciamo a meno, restiamo qua che si sta bene.” Poi lui ha cominciato ad accarezzarmi la faccia e mi ha detto che si sentiva la barba, poi mi ha passato la mano tra i capelli e mi ha infilato le dita nel colletto, io un po’ l’ho lasciato fare, poi ho pensato che si potesse spingere oltre e gli ho ricordato che mi aveva promesso che non ci avrebbe provato e lui mi ha detto: “Ok, però non ho promesso che non ci avresti provato tu, a me piace tanto essere accarezzato, ti fermi quando vuoi tu, ok?” E io ho detto: “Ok!” Stavamo veramente bene, al caldo, non avevamo altri pensieri per la testa. Gli ho accarezzato per un po’ il viso e i capelli, poi, a un certo punto mi ha detto: “I pantaloni sono stretti e mi danno fastidio, ti crea problemi se me li tolgo?” Io una cosa del genere più o meno me l’aspettavo e gli ho detto: “Dai, io me ne vado a dormire nell’altra stanza, nell’armadio c’è anche un altro sacco a pelo…” Facendo una vocetta un po’ delusa mi ha risposto: “Lo so che c’è… ma mi lasceresti qui da solo?” poi ha visto la mia faccia un po’ contrariata e ha aggiunto: “Va bene, tranquillo, i pantaloni me li tengo ma non te ne andare a prendere freddo! Io vado bene almeno come stufa!” Io gli ho risposto: “Quanto sei scemo!” e lui ha detto: “Mi sa che lo scemo sei tu… ma vabbe’…” Poi si è accostato a me e mi ha detto: “Almeno posso stare un po’ così?” Io gli ho detto: “Certo!”, lui mi ha risposto: “Però se ti sto dando fastidio, dimmelo, non sei costretto a sopportarmi per forza…” Io non sapevo che cosa dire e allora non ho detto nulla ma gli ho passato un braccio sopra le spalle e lui si è stretto ancora di più a me e mi ha detto solo: “Buonanotte!”

Questa è stata la prima notte che abbiamo passato insieme. Posso dire che ero estremamente felice, sentire il suo calore mi sembrava bellissimo. Forse proprio il fatto che lui non abbia insistito per arrivare a fare sesso con me ha cominciato a spuntare le mie armi, se avesse cercato di andare oltre mi sarei sentito quasi in dovere di dirgli di no, quasi per principio, ma lui non aveva insistito e non se ne era nemmeno andato sbattendo la porta. Durante quella notte ho dormito pochissimo. Lui era addormentato accanto a me e mi faceva una tenerezza fortissima ed era una tenerezza sessuale, io potevo cercare di negarlo, di sublimare, di fare finta che non fosse così, ma era così, e cominciavo a rendermene conto. Mi chiedevo: “Ma perché devo resistere a questo ragazzo? Ma che ci sarebbe di male se tra noi ci fosse anche un po’ di sesso? Perché dovrei pensare che è meglio dirgli di no per il suo stesso bene? Il suo bene lo deve valutare lui. Se a lui sta bene e sta bene anche a me, dove sta il problema? E poi, il fatto di stare insieme nello stesso letto era una cosa tenera, il nostro era un volerci bene, piano piano cominciavo ad accettare l’idea, ma mi dicevo che bisognava procedere con calma, per tappe successive, senza correre troppo.

L’indomani la sveglia ha suonato alle sei in punto, intorno era notte fonda, uscire da sotto l’imbottita è stato veramente un trauma. Lui mi chiede: “Come sei stato stanotte?” Io gli dico: “Benissimo”, e lui mi dice: “Ci veniamo anche sabato prossimo?” e io gli faccio cenno di sì con la testa, allora lui mi fa gli occhi indiavolati e comincia a muoversi verso di me come se volesse provare un approccio sessuale, io alzo le braccia per difendermi e lui mi scarmiglia solo i capelli e mi dice ridendo: “Hai avuto paura eh!” Io gli dico: “Non sfottere!” Poi ripartiamo. Durante il viaggio riprende il discorso: “Però la prossima volta senza pantaloni…” io gli ripeto: “Non sfottere!” e lui mi dice: “Tanto tu stai nell’altra stanza!”

La settimana trascorse coi soliti ritmi: lezioni e studio, ma io cominciavo a vedere nel mio cervello quello che sarebbe potuto accadere nel weekend successivo e cominciavo pure a fare i paragoni tra quelle fantasie e i miei cosiddetti principi morali. Dopotutto i test li avevamo fatti, lui sembrava che ci volesse proprio arrivare, perché avrei dovuto continuare a dirgli di no? Non mi sembrava più una cosa ovvia il fatto che il sesso potesse lasciargli qualcosa di negativo. Combattevo con me stesso o meglio coi residui della mia educazione, però, giorno dopo giorno mi andavo convincendo che il sabato successivo avrei veramente fatto un passo decisivo. Il sabato arrivò, ricordo che la mattina feci una doccia più accurata del solito, segno che consideravo almeno come probabile il fatto che tra noi sarebbe successa qualcosa proprio a livello fisico. Andai a prenderlo a casa sua e partimmo. Era una tipica giornata gelida d’inverno, io avevo le catene in macchina perché, specialmente di notte la strada poteva essere ghiacciata. Quando entrò in macchina sentii una ventata di profumo più intensa del solito e pensai che anche lui potesse aver fatto una doccia molto più accurata e questo pensiero mi fece pensare a una forma di complicità non dichiarata e mi fece sorridere. Per tutto il viaggio lui non parlò di argomenti, diciamo così, pericolosi, ma certi silenzi erano troppo lunghi e non erano normali, come mio solito evitai comunque di affrontare l’argomento. Ci fermammo a fare colazione lungo la strada, tutti imbacuccati, e poi riprendemmo il viaggio. Questa volta lui aveva portato una grossa borsa piena di provviste che dovevano bastare per il pranzo e la cena del sabato e per il pranzo della domenica. Data la giornata, non sarebbe servito nemmeno il frigorifero, gli accordi erano che saremmo rientrati la domenica pomeriggio per evitare il rischio delle strade ghiacciate.

Una volta a destinazione pensavamo di andare a fare una passeggiata in paese, ma faceva così freddo e tirava un vento così forte che un’idea simile ci sembrò del tutto assurda. Sistemammo le provviste, ma ci volle poco, poi cominciammo a sentirci congelati. Era ancora presto, non erano nemmeno le dieci del mattino. Accendemmo il riscaldamento. La casa era una tipica casetta di montagna, di quelle col soffitto basso per non disperdere il calore, ma faceva comunque un freddo cane. Lui mi disse: “Mi sa che io vado a mettermi a letto, se no mi congelo.” Tirò fuori dall’armadio La coperta e l’imbottita, come la volta precedente. Una volta sistemato il letto, mi disse: “Senza pantaloni?” Io lo guardai con due occhi di fuoco e lui mi rispose: “Va bene, va bene! Coi pantaloni!” Qui io mi sentii spiazzato, avrei voluto che lui insistesse e io avrei ceduto, ma lui scelse la via morbida ed evitò di insistere e io ci rimasi proprio male e cercai di rimediare aggiungendo: “Stasera senza…” Mi guardò con tanto d’occhi e fece una faccia furbetta e disse solo “Wow! … almeno stiamo più comodi…” Io lo guardai e gli dissi: “Non mi prendere in giro!” Lui disse solo: “Beh, intanto vieni a letto adesso…” Ci mettemmo a letto coi pantaloni ma ormai le remore della prima volta non c’erano più, lui si accostò stretto a me e mi abbracciò e rimanemmo così per tutto il tempo che ci volle per riprendere calore, ormai il tenerci per mano e l’accarezzarci era una cosa automatica e scontata. Notavo però che le carezze, sia le sue che le mie, anche se erano insistenti, si tenevano alla larga dalla zona, diciamo così, più pericolosa. Nessuno di noi due voleva fare passi falsi. Questa volta non provavo scrupoli di nessun genere, mi comportavo in modo molto più spontaneo del solito anche se non proprio spontaneo al 100%, per me era una sensazione stranissima, stavo con un altro ragazzo e potevo comportarmi in modo spontaneo o quasi, e lui mi corrispondeva, mi capiva, provava le stesse cose che provavo io, non lo sentivo come un individuo diverso da temere e dal quale tenersi comunque a una certa distanza, non mi sentivo aggredito da lui, stavo cominciando a vedere la sessualità in un altro modo, cioè come complicità, come gioco di coppia ed era una cosa che mi piaceva molto.

Siamo rimasti a coccolarci al caldo per un paio d’ore e mi sentivo veramente felice. Poi è venuto il momento di alzarsi per preparare il pranzo. È stato letteralmente un momento da brivido. Prima mi sono messo seduto nel letto, diciamo così, per raffreddare i bollenti spiriti, perché ero in erezione e non mi andava di farmi vedere così, l’aria gelida ha effettivamente prodotto i suoi effetti in pochissimo tempo e allora sono uscito dall’imbottita e mi sono rimesso la giacca a vento, perché faceva un freddo terribile anche dentro casa, lui invece ha aspettato un po’ ad alzarsi e non gli ho chiesto perché, anche se potevo immaginarlo. Sono andato in cucina e ho messo il pranzo nel microonde. Nel frattempo lui si è alzato e mi ha raggiunto in cucina e ha messo a fare una pentola intera di tè bollente. Dopo pochi minuti il pranzo era ormai scaldato e abbiamo mangiato tutto in 10 minuti. Avevamo i piatti di carta, quindi non c’erano nemmeno i piatti da lavare. E poi per lavare i piatti sarebbe stato necessario aspettare gli effetti del riscaldamento perché nei tubi l’acqua non scorreva perché era ghiacciata. Fuori ha cominciato a nevicare fitto. Lui mi ha detto: “Speriamo che smetta presto, se no la strada si ghiaccia e non possiamo più rientrare. Comunque qui c’è tutto quello che serve per la sopravvivenza per parecchi giorni… Se stanotte nevica molto e domani c’è sole bisogna spalare la neve almeno fino alla macchina e dalla macchina alla strada. La macchina ha l’antigelo, quindi dovrebbe ripartire comunque, ma bisognerà mettere le catene almeno fino a valle.” Gli chiedo: “Qui c’è la tv?”, mi dice di no, gli chiedo se c’è internet e mi dice che c’è, io gli dico: “Che facciamo?” e lui mi risponde: “Ce ne torniamo al letto, … senza i pan… “. Non gli permetto di finire la frase e lo guardo con occhi di fuoco, ma più per gioco che per altro e lui risponde: “Ma i pantaloni danno fastidio… è solo per quello … insomma… e poi guarda non ti salto addosso, puoi stare quasi sicuro… “. Gli dico: “Come sarebbe a dire quasi?” e lui mi risponde: “Vabbe’, il primo passo lo faccio fare a te … comunque tu hai promesso che stasera si va a dormire senza, te lo ricordi?” Io ho risposto con un mugolio: “Mh… “ Lui ha insistito: “Come hai detto? Non ho capito… “ e io gli ho strillato: “Sì, però stasera… “ Lui non ha mollato la presa e ha continuato: “Ma adesso è già sera … e poi ci vogliamo alzare un’altra volta per mangiare? Naaa! Una volta al giorno basta!” Io ero molto tentato e gli ho detto: “La prima mossa falla tu…” Lui ha risposto: “Wow! Allora procedo…” Si è sfilato i pantaloni restando sotto l’imbottita e li ha lanciati sulla sedia, poi ha detto: “Ah… almeno sto comodo!” Io non mi decidevo a fare la mia parte e mi aspettavo che lui mi incitasse a farla, ma non lo fece e si limitò a dire: “Così sto molto meglio … se te li togli pure tu non ti salto addosso, staresti più comodo, poi se hai paura, fai come vuoi…” A questo punto gli ho fatto un discorso strano e gli ho detto: “Tu mi ripeti sempre che non mi salti addosso, mannaggia, mi sa che ti sembro proprio imbranato…” Lui mi ha risposto: “Imbranato no, ma frenato sì…” Allora anche io mi sono tolto i pantaloni e li ho lanciati sulla sedia, effettivamente mi sentivo molto meglio così. Mi ha chiesto se mi sentivo in qualche modo costretto a fare cose che non volevo e gli ho risposto convintamente di no. Lui aveva due anni meno di me ed era molto meno imbranato di me. Poi mi ha chiesto: “Mi posso appoggiare a te?” E gli ho detto di sì. Ci siamo abbracciati e il contatto fisico è stato fortissimo, ci siamo tenuti stretti per alcuni minuti, poi mi ha stretto la mano e ha intrecciato le sue dita con le mie e mi ha detto: “Veramente è stato bellissimo!” e io gli ho risposto: “Sì, una cosa fortissima che non avevo mai provato”.

La notte non abbiamo dormito ed è stata per noi la prima volta, molto timida e prudente ma molto coinvolgente e molto vera. Una volta finito con il sesso io ero veramente contento però mi sono accorto che lui era molto malinconico. Non sapevo che fare. Gli ho chiesto come si sentiva e mi ha detto che non lo sapeva, che era stato bene ma aveva tanti pensieri per la testa, una grande confusione dove c’è di tutto, dalla felicità alla tristezza. Aveva le lacrime agli occhi. Gli ho chiesto: “Ma c’è qualcosa che non va? Ho fatto qualcosa di sbagliato?” Mi ha guardato e mi ha detto: “Non parlare, abbracciami e basta…” Io l’ho abbracciato e l’ho tenuto stretto, ma era chiuso nella sua malinconia. Poi mi ha detto: “Ti sei sentito costretto in qualche modo?” Gli ho risposto: “Ma quando mai…” e l’ho stretto più forte, poi si è addormentato tra le mie braccia.

La nostra storia è cominciata così tanti anni fa. Negli anni successivi le cose si sono complicate per ragioni esterne, tra noi non ci sono mai state vere incomprensioni. Lui mi ha fatto sentire amato, importante, mi ha considerato un elemento determinante nella sua vita, come d’altra parte lui lo è stato nella mia. Ne sono innamorato oggi più di allora perché è un uomo eccezionale che si spende per gli altri, che non è mai andato appresso al denaro, che è profondamente altruista ed è esattamente l’opposto di un arrivista. Ha ottenuto grandi successi nel lavoro perché lavora moltissimo ma purtroppo è anche molto stressato, io sono stato spesso la sua valvola di sfogo, cosa che mi onora e mi riempie di felicità, da qualche anno però lui lavora all’estero. Io trascorro con lui le mie ferie, ma poi nel resto dell’anno possiamo sentirci solo in chat e per un tempo limitato, perché ha mille impegni. È un uomo profondamente buono, con me ha avuto una delicatezza e un rispetto unici, mi ha voluto bene e me lo ha dimostrato in mille modi. Quando ho qualche dubbio su una scelta, mi chiedo come si comporterebbe lui nella stessa situazione e cerco di fare quello che farebbe lui. Adesso è ancora bello, ma non siamo più ragazzi e chiaramente a livello fisico sia lui che io, non siamo più quelli di vent’anni fa, ma lo stimo come uomo, ho scoperto tanti aspetti della sua personalità che mi hanno affascinato. Non è mai aggressivo, è calmo, è molto dolce e paziente, mi incoraggia, mi sostiene e mi permette di fare lo stesso con lui, qualche volta mi tira un po’ le orecchie e mi dice che dovrei essere più aperto a capire i problemi degli altri, ma non si riferisce ai suoi problemi ma ai problemi di quelli che non la pensano come noi. C’è un solo punto che mi preoccupa veramente ed è il fatto che è stressatissimo dal lavoro, certe volte, quando la sera ci sentiamo in chat, e io parlerei con lui per ore, siamo comunque costretti a limitare i tempi e molte volte gli dico solo che gli voglio bene e lui mi risponde “Anche io! Se non ci fossi tu io non sarei nessuno!” Questa frase, anche se non è vera, mi fa sentire orgoglioso. Io spero che la nostra vita proceda così ancora per tanti anni!!

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UNA COPPIA INTERGENERAZIONALE DI INGEGNERI GAY

Ciao Project,

leggo regolarmente il forum, ma tu non rispondi mai, lasci che lo facciano gli altri. I pochissimi che lo fanno lo fanno magistralmente ed è già qualcosa. Aggiungo solo che una risposta, almeno privata, me la devi.

Ho 47 anni, vedo avvicinarsi a grandi passi la cinquantina, l’età limite, un po’ la resa dei conti di noi gay, lo spartiacque tra quelli che sono ancora alla ricerca, se si può dire così, e quelli che ormai hanno fatto fallimento, almeno nella vita affettiva. So che è solo una data simbolica ma la vedo avvicinarsi con una certa ansia.

Non posso dire di non aver fatto esperienze, anzi ne ho fatte probabilmente troppe, qualcuna pure travolgente, che alla fine mi ha lasciato travolto come se mi fosse passato sopra un tir, ma adesso è tutta acqua passata da un pezzo, poi ho avuto qualche anno in cui mi sentivo assolutamente refrattario a qualsiasi tipo di storia, ho avuto ragazzi e non più ragazzi che con me ci hanno provato seriamente ma proprio non mi dicevano niente, parlavano troppo o troppo poco o di cose che non mi interessavano, e non mi attraevano nemmeno sessualmente. Ma questo periodo di indifferenza affettiva non è stato inutile. ho lavorato tanto, mi sono laureato con un immenso ritardo ma ci sono arrivato e mi sono trovato un lavoro migliore, con i ragazzi, comunque, avevo già 5 anni fa la chiara impressione di avere chiuso la partita.

A quarantadue anni, l’anno in cui mi sono laureato, ho conosciuto per puro caso all’università un ventiquattrenne, che qui chiamerò Luca. All’inizio dell’anno accademico lo avevo notato subito per due ragioni, prima di tutto era l’unico bel ragazzo del gruppo e poi perché oltre ad essere classicamente bello, aveva una faccia intelligente, che lasciava sperare bene, cioè mi era pure simpatico. I primissimi giorni ci si salutava a distanza ma niente di più. Io mi ero preso due anni di pausa dal lavoro (in pratica non ero pagato) per portare a termine gli studi e vivevo dei miei risparmi cercando di spendere il meno possibile.  

Con Luca ci siamo conosciuti chiacchierando durante gli intervalli tra le lezioni, anche lui doveva laurearsi, ma lui era perfettamente in regola con gli studi, anzi, era uno dei pochissimi in regola con gli studi, mentre io mi sentivo proprio vecchio e andavo avanti con la forza della disperazione in una situazione che per me era chiaramente imbarazzante: dovevo per forza arrivare alla laurea, altrimenti avrei buttato via due anni senza concludere niente e l’atmosfera del fallimento sarebbe diventata oppressiva. Insomma, mi capita una cosa assolutamente inattesa e che io avevo desiderato molto, ci mettono nello stesso gruppo di studio, perché nella nostra facoltà alcuni esami si preparano in gruppo, svolgendo ciascuno un parziale di un progetto complessivo. Nel gruppo siamo in quattro: io, Luca, Letizia e Carmen. Letizia e Carmen sono amiche e si conoscono da anni, ma sono in lieve ritardo con gli studi (un paio d’anni). Il professore ci assegna il tema del progetto e ci dice che abbiamo circa due mesi per elaborarlo.

Come era inevitabile ci incontriamo la prima volta in un bar vicino all’università per organizzare il lavoro. Letizia e Carmen cominciano a farmi mille domande, sono parecchio impiccione, mi chiedono se sono sposato, se ho una ragazza e io mi sento in imbarazzo, vedo Luca che fa strane facce, non capisco se per le domande fuori luogo o per le mie risposte impacciate, poi fa cenno di andare al sodo e di pensare al lavoro che dobbiamo fare, ma le ragazze mi fanno comunque un’ultima domanda sulla ragione del mio enorme ritardo negli studi e si tranquillizzano relativamente quando dico che lavoro da diversi anni, e allora cominciano a fare mille domande a Luca, che indubbiamente è una persona molto più interessante di me, ma lui non si fa coinvolgere, le guarda con faccia scocciata, non risponde, taglia corto e dice: “Ragazze, stiamo qui per organizzare un progetto di studio, quindi cerchiamo di non perdere di vista l’obiettivo…” Già questo suo modo di affrontare il problema mi era piaciuto (molto meno imbranato del mio!). Le ragazze erano un po’ piccate, capivano di essere state zittite, anche se educatamente. Luca non faceva chiacchiere. Vedendo che la cosa andava per le lunghe tra silenzi e imbarazzi, a un certo punto ha detto: “Facciamo così, adesso ci pensate e ci rivediamo mercoledì dopo la lezione e così lavoriamo su qualcosa di concreto”, poi si è alzato. Le ragazze erano stranite, direi stizzite, hanno salutato più per educazione che per simpatia e se ne sono andate, Luca mi ha chiesto se volevo un passaggio e io gli ho detto ovviamente di sì.

Luca guida con la massima prudenza, mentre mi accompagna a casa parliamo solo del progetto e capisce subito che lavoro in un settore che è proprio quello del nostro corso di laurea, parliamo di cose tecniche e lui mi dice che si vede che ho la competenza di quelli che nel settore ci lavorano, quando arriva sotto casa mia mi dice: “Se ti va domani ci vediamo e abbozziamo il progetto.” Gli chiedo: “Con le ragazze?” Mi risponde: “No! Altrimenti non facciamo nulla!” Allora lo invito a venire da me, mi dice che va bene e che per l’orario lo decideremo l’indomani a lezione. Ci salutiamo senza darci la mano, io scendo dalla macchina e lo saluto agitando il braccio, lui non risponde al saluto, penso che forse sta attento alla guida o forse del mio saluto non se n’è nemmeno accorto.

A casa mi sentivo gasatissimo, non tanto per il progetto da sviluppare ma perché lo avrei sviluppato con Luca, il ragazzo più bello che avevo visto negli ultimi anni e mi sembrava pure intelligente, ma di più non sapevo.

Il giorno appresso è venuto a casa mia, temevo che si intrufolasse un po’ dappertutto, come altri ragazzi avevano fatto, ma non è successo niente del genere, siamo stati sempre nella stanza dove lavoro e abbiamo parlato solo del progetto, anzi, non direi che abbiamo solo parlato, mi ha chiesto se avevo il CAD e si è messo al computer, non c’è bisogno di dire che era molto più bravo di me, tanto che io ho potuto imparare da lui alcuni trucchetti che non conoscevo. Alla fine del pomeriggio, una bozza concreta del progetto era già fatta, molti aspetti di dettaglio restavano da definire, anche di quelli importanti, ma l’idea di base c’era e sembrava accettabile sia a lui che a me. Finito il lavoro, l’ho invitato a restare per la cena ma non ha accettato e mi ha detto: “Oggi non posso, magari la prossima volta…”

Luca era un ragazzo bellissimo ma parlava solo di lavoro, direi che era un eccellente collega di lavoro ma non era un amico e di lui non sapevo nulla. Mi ero permesso di chiedergli in che materia stesse facendo la tesi e avevo scoperto che la faceva nella stessa materia in cui io stavo facendo la mia e in un argomento molto vicino al mio. Mi ha detto che si sarebbe potuto sviluppare insieme un software specifico per risolvere alcuni problemi di calcolo molto rognosi e mi ha fatto vedere come, anche se tenendosi ovviamente molto sulle generali. Lui ha visto che io ne capivo e che lo seguivo benissimo e mi ha detto: “Ci potremmo lavorare insieme?” Io gli ho detto solo: “Certo! E verrà una cosa mostruosamente ben fatta!”

Il mercoledì dell’incontro con le due ragazze, la mattina, abbiamo saputo che Letizia e Carmen avevano chiesto al professore di passare ad un altro gruppo, un gruppo di 3 ragazze, che così diventavano 5. Luca mi ha guardato e ha detto semplicemente: “Beh, così perdiamo meno tempo e lavoriamo meglio!”

Il lavoro andava avanti alla grande, ma era solo lavoro e aveva l’aria che sarebbe rimasto solo lavoro fino alla fine, però le cose non sono andate esattamente così. Io davo per scontato che Luca fosse etero, fosse un etero forse al momento più interessato ai progetti che alle ragazze, ma comunque etero, non parlava mai di ragazze ma non parlava di cose private a nessun livello. Un giorno, un paio di settimane prima degli esami, finita la lezione mi dice: “Domani mi invito a pranzo a casa tua perché è il tuo compleanno, ok?” Io gli dico: “Benissimo! Ma come fai a saperlo?” E mi risponde: “Io so molte più cose di quello che credi… ma ne parliamo domani.”

Quella frase per me era sconvolgente. Sapeva in che giorno sono nato e mi diceva che sapeva molto più di quello che io potessi immaginare. Pensai che magari lui avesse conosciuto qualcuno dei ragazzi coi quali ero stato, ma la cosa mi sembrava improbabile, perché erano tutti molto più grandi di lui. Poteva sapere che ero gay? E da chi lo avrebbe saputo? All’università non lo sapeva nessuno. La notte non ci ho dormito. La mattina, già mezzo rincitrullito per la notte in bianco, ero tanto in agitazione che della lezione non ho seguito nulla. Poi siamo andati a casa mia e lui ha tirato fuori dalla borsa un pacchetto e me lo ha dato. Non c’era biglietto, ma solo il pacchetto, lo apro e dentro c’è una chiavetta di memoria per computer, lo ringrazio, e lui mi dice: “Dentro c’è la bozza del programma di cui abbiamo parlato, ci sono ancora tante cose che non sono soddisfacenti e adesso ti devi dare da fare perché questa è più competenza tua che mia!” Metto la chiavetta nel computer e passiamo tutto il pomeriggio e buona parte della serata a cercare di sistemare le cose in sospeso, ma non ci riusciamo. I risultati sono insoddisfacenti. Gli dico: “Lasciami la chiavetta un paio di giorni, che ci lavoro sopra, una mezza idea di come fare ce l’ho ma ci devo lavorare…” Ci salutiamo e lui se ne va.

Nota, Project, che il pomeriggio era stato un esaltante pomeriggio di lavoro, ma niente di più, ero stato in ansia aspettandomi che lui mi dicesse chissà quali segreti su di me e invece non era successo niente del genere, io mi aspettavo un regaletto, e invece era un lavoro da fare, però mi ero reso conto che, almeno sul lavoro, ci capivamo perfettamente. Poi, visto da vicino, Luca era proprio bellissimo, certo avere un ragazzo come Luca sarebbe stato bellissimo, ma anche avere un collega di studio e magari di lavoro come Luca non era certamente una cosa da poco. Non lo volevo deludere! Mi sono messo a lavorare sul programma come se aspirassi al Nobel e alla fine ho trovato la soluzione seguendo procedimenti matematici più evoluti di quelli seguiti da Luca. L’indomani gli porto la chiavetta col programma funzionante. Mi guarda negli occhi e mi dice: “Sei un genio! Ma ci sai proprio fare alla grande!”

Arriva il giorno degli esami e andiamo insieme ad illustrare il progetto, gli elaborati grafici sono da urlo, non c’è bisogno di dire che gli esami sono andati nel modo migliore possibile, ma in un certo senso noi lo davamo per scontato.

Dopo quell’esame avevamo ancora da perfezionare il programma di calcolo, ma l’informatica non era proprio il suo forte e il lavoro in pratica l’ho fatto da solo e gliel’ho portato già fatto, gli ho spiegato passo per passo tutto quello che avevo fatto e lui mi ha detto che valeva la pena di presentarlo al professore, cosa che abbiamo fatto, abbiamo detto che lo avevamo fatto insieme e che intendevamo usarlo per le nostre tesi. Il professore ha detto che era un lavoro molto originale e lo ha apprezzato.

In pratica, dopo queste belle cose, io non avrei avuto più niente da spartire con Luca e la cosa mi metteva di cattivo umore, pensavo che lo avrei perso, ma non è successo. Non si faceva sentire spesso, ma qualche volta mi chiamava e mi veniva a trovare, parlavamo delle nostre tesi, ma anche d’altro e piano piano tra di noi si è creata una strana amicizia, oggettivamente molto dissimmetrica, perché lui aveva 18 anni meno di me, ma la differenza di età sembrava non avere nessun peso, in fondo era un’amicizia e niente di più, anche adesso che ci conoscevamo un po’ meglio non c’era mai spazio per discorsi che entrassero troppo nel privato.

Ci siamo laureati lo steso giorno e abbiamo festeggiato soltanto tra noi. Lui ha trovato subito lavoro, io ci ho messo un po’ di più ma poco. Ero contento di essermi laureato anche se ero in età non dico da pensione ma certo non da primo lavoro, però ero triste di perdere Luca. Ma Luca non è sparito e anzi i nostri contatti si sono fatti più frequenti.

Non avevo mai visto Luca con una ragazza e lui non aveva mai parlato di ragazze, ma nemmeno di ragazzi, però io cominciavo a pensare che fosse gay e che con me si sentisse a suo agio e questo da un lato mi incoraggiava ad andare avanti e dall’altro mi frenava e mi creava una marea di problemi. Ho vissuto giornate molto difficili in quella situazione, che comunque era ancora soltanto un’ipotesi.

Poi un giorno viene a casa mia e non si siede sulla poltrona come faceva di solito ma viene a sedersi accanto a me sul divano e mi chiede: “Posso appoggiarmi a te?” Ovviamente io gli dico di sì e lui mi spiazza e mi dice: “Io non ho mai fatto sesso con nessuno e la prima volta voglio che sia con te.” Io, in fondo me lo aspettavo, gli ho preso la mano destra e gliel’ho stretta con forza, poi gli ho detto: “Tu non sei mai stato con nessuno, io invece sì e sarebbe meglio che prima facessi il test.” Lui mi ha detto: “Lo facciamo insieme, così stai più tranquillo anche tu.” E lo abbiamo fatto: eravamo entrambi negativi.

È successo quello che doveva succedere. Alla fine mi ha detto: “Mi sono sentito a mio agio, è stata una cosa bella, non so come andrà a finire ma è stata una cosa bella!” Io gli ho detto che anche io ero stato bene ma che mi sembrava di essere un ladro della sua giovinezza. Lui mi ha detto: “Non ti fare complessi, io preferisco stare con uno della tua età, i coetanei mi interessano meno, e francamente credo di aver fatto la cosa giusta. Poi magari le cose cambieranno, ma adesso è così.”

In questo modo è cominciata la nostra relazione. Devo dire che la fase dei complessi è durata poco, lo vedevo molto coinvolto e la complicità tra noi era totale, c’era una cosa, però, che mi metteva in crisi, lui voleva anche uscire con me, non capiva perché io cercassi di tenere la nostra relazione strettamente privata. Ho dovuto dirgli che mi sentivo in imbarazzo e lui sul primo momento l’ha presa male, come se io mi vergognassi di lui e io ho avuto paura che la nostra storia potesse essere arrivata al capolinea, poi, un po’ a malincuore, ha finito per accettare e per capire il mio punto di vista e la questione è stata superata.

Per me, in teoria, il rapporto con Luca avrebbe dovuto rappresentare la realizzazione di un sogno, ma non è stato così. Gli volevo bene e molto, ma mi sentivo profondamente in colpa e lui se ne accorgeva e pensava che io volessi troncare, siamo stati più volte sul punto di mandare tutto in rovina ma alla fine non è successo. Proprio in quel periodo ho scoperto Progetto gay, e ho letto nel manuale (Essere gay) il capitolo sui rapporti intergenerazionali, per me è stato illuminante, ci ho ritrovato esattamente quello che è successo tra me e Luca e tutta la dinamica della faccenda mi è sembrata molto più lineare. Non posso dire di aver messo da parte le mie ansie e i miei dubbi, ma ho potuto capire quello che poteva passare per la mente di Luca.

Cerco sempre di dirgli e di ripetergli che deve sentirsi libero comunque e che il volersi bene non è mai un vincolo, ma quando glielo dico mi guarda con una faccia arrabbiata e mi dice: “Ancora questi discorsi? Falla finita!” e questo mi piace molto. Adesso abbiamo in progetto di andare a vivere insieme, ma il problema dei rapporti sociali e della gente che vede c’è eccome. Una via sarebbe andare a vivere fuori città, cioè proprio in campagna, che forse sarebbe l’ideale, ma poi, per il lavoro, sarebbe un problema enorme, o si potrebbero comprare due appartamenti da rendere comunicanti, o magari due appartamenti anche in stabili diversi, che forse sarebbe pure meglio, ma molto vicini, tipo 50-100 metri uno dall’altro.

Ma penso che il problema più grosso sarebbero i suoi genitori, che abitano nella nostra città e che magari potrebbero venire a trovarlo quando meno se lo aspetta. E poi i suoi genitori sono molto all’antica e di Luca non sanno nulla e si aspettano che adesso, dopo la laurea e il lavoro, arrivino automaticamente il matrimonio e i figli. Che cosa direbbero se invece scoprissero che Luca convive con uno che ha quasi vent’anni più di lui? Se avessimo due appartamenti comunicanti, magari con una porta scorrevole accessibile dall’interno di un armadio sarebbe ancora meglio! Certe volte parto in quarta con idee da James Bond e da spie di altri tempi! Comunque lui i suoi genitori li teme. La madre ha solo quattro anni più di me, il padre sette! Confesso che sono ancora complessato da queste cose e oscillo molto tra lo sperare che la convivenza si concretizzi rapidamente e l’idea che qualcuno, intendo un suo coetaneo, possa arrivare a portarmelo via, certe volte penso che questa sarebbe la soluzione migliore, ma alla fine vedo questa ipotesi molto lontana dalla realtà.

Ho paura che se ne possa andare da un momento all’altro ma in un certo senso penso che sarebbe la soluzione migliore, e poi ho paura del futuro perché io sono ancora in buone condizioni ma gli anni passano e la paura di diventare solo una zavorra c’è eccome, e questo è il motivo di fondo per cui tendo a frenare un po’ sull’idea di andare a vivere insieme. E poi che cosa potrebbe raccontare ai genitori. Lui vive da sempre coi genitori, anche adesso che lavora vive a casa dei genitori, come potrebbe motivare l’idea di andarsene a stare per conto suo nella stessa città? Non avrebbe proprio senso! E se poi uscisse fuori che il motivo sono io mi posso immaginare il casino che ne verrebbe fuori. Adesso io e Luca siamo molto uniti, anche perché di fatto lui non ha amici e io per lui sono il suo “ragazzo” ma anche il suo amico, praticamente l’unico. Al momento va tutto bene, ci vediamo ogni due o tre giorni il pomeriggio a casa mia compatibilmente coi nostri orari di lavoro e stiamo bene, ma è rarissimo che possiamo passare una notte insieme. Mi sento tra color che son sospesi, Project, mi sento vivo, certamente molto più di prima, ma anche caricato di responsabilità perché mi sento anche un po’ papà, penso che devo dare un esempio positivo e ci provo con tutto me stesso.

Non siamo una coppia da romanzo di appendice, no! Ci vogliamo bene, ma discutiamo spesso, anche molto animatamente, lui non è minimamente remissivo, io in genere lo seguo senza discutere troppo, ma le rare volte che non lo faccio lui mi lascia strada libera e mi ascolta. Insomma siamo ormai incamminati nella strada della convivenza, che ci si arrivi o meno non è affatto scontato. Tutto questo mi è capitato quando io avevo già gettato le armi! La vita riserva sorprese inimmaginabili e ti stupisce, ti rendi conto che per qualcuno la tua vita ha un senso e un valore e capisci che a quasi 50 anni si può vivere una vera storia d’amore. Project, so che questa frase suona molto ingenua e ben poco adatta ad un quasi cinquantenne, ma è proprio quello che penso in questi giorni.

Ricordati che aspetto la tua risposta!

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GAY E AMICI ETERO

Ciao Project,
giorni fa mi ha colpito una frase su una mail di un ragazzo che diceva che il suo ragazzo deve essere prima di tutto un amico vero. Io ho avuto ragazzi e anche amici, ma non so quanti di loro sono stati anche miei amici veri, probabilmente pochissimi. Ho detto una banalità, lo so, penso che comunque l’amicizia vera sia una cosa rara e questo si era capito.

So bene che non devo aspettarmi troppo da nessuno perché anche io penso di essere stato una delusione per quasi tutti i miei ragazzi, se non proprio per tutti, almeno qualche volta, e anche per i miei amici. In fondo tutto questo discorso serve solo a smitizzare gli innamoramenti e le amicizie, specialmente quelle non messe alla prova, e a capire che la felicità o un suo surrogato meno mitico si può trovare soprattutto nel quotidiano e nel banale, a patto che non sia poi troppo banale.

Bisogna consolarsi con quello che c’è, che non è detto che sia pochissimo. Però questo significa anche cominciare a dare un valore a tante cose che prima non si vedevano perché il mito delle cose travolgenti e totali polarizzava tanto l’attenzione da non farci vedere niente altro.

Non ti racconterò certo una storia d’amore travolgente, che non è cosa per me, e poi in giro ce ne sono pure troppe, ma solo una piccola storia di rispetto e di affetto tra persone che non hanno fuso le loro vite, che anzi hanno continuato ad andare ciascuno per la propria strada, ma che ci hanno trovato un valore in più perché si sono incontrate.

Project, io ti parlerò della mia amicizia con un ragazzo, ma potrebbe anche essere una ragazza, qui, finalmente, il sesso non c’entra! Per carità, non ho niente contro il sesso, ma spesso promette cose che poi non mantiene affatto, il che non vuol dire che è sempre una delusione ma soltanto che probabilmente promette troppo. Certe amicizie invece non promettono niente, sono piccole cose ma ti aiutano ad andare avanti e a capire tanti aspetti della vita.

Nell’Aprile del 2011, io ho 26 anni, ho vissuto tutte le classiche esperienze tipiche dei ragazzi gay: isolamento all’interno della famiglia, genitori che non sanno e non capirebbero, amici che non sanno e che non capirebbero, ecc. ecc., tanta fantasia, tanta pornografia, tante storie lette sul tuo forum, tante mezze storie accennate più che cominciate e tante mezze delusioni.

Tra gli amici ce n’è uno col quale mi trovo a mio agio, si chiama Guido, ci conosciamo dai tempi della scuola. Lui parla poco e anche piuttosto lentamente, non parla a macchinetta, è sempre calmo ma penso sia molto frenato e un po’ nevrotico, non è un leader, non partecipa granché alle discussioni, ascolta e ricorda ma non dice la sua. All’università abbiamo fatto facoltà molto diverse, io verso il giuridico, lui verso cose più scientifiche.

È l’unico mio ex-compagno di scuola col quale ho mantenuto contatti per tutto il periodo dell’università, non grandi contatti, ma ci si sentiva più o meno ogni mese e si andava a prendere una pizza insieme parlando del più e del meno. Le conversazioni non erano impegnate, non finivamo a parlare di cose personali, si parlava un po’ di politica, e lì ci capivamo abbastanza, e anche un po’ di cose di studio sue e mie. Alla fine della pizza non ci siamo mai trattenuti a parlare a lungo, semplicemente ci salutavamo e tornavamo a casa, il tutto era apparentemente molto banale.

Preciso che Guido secondo me non è un bel ragazzo, non sono mai stato interessato a lui sotto quel punto di vista. Non sapevo nulla della sua vita privata, cioè non sapevo se fosse gay o etero e nemmeno me lo domandavo, tanto più che di quegli argomenti non si parlava mai. Quando ci sentivamo mi faceva piacere, perché sapevo che avrei passato una serata tranquilla. Quando mi vedeva meno tranquillo mi incoraggiava ma in modo generico, non mi faceva domande, era molto rispettoso del mio privato e d’altra parte non mi parlava mai del suo.

Quando mi chiamava al telefono era molto sintetico e comunque mi chiamava raramente, in genere mi chiamava lui, io non lo chiamavo mai perché sapevo che prima o poi lo avrei risentito. In quegli anni io vivevo le mie prime storie coi ragazzi alternando alti e bassi sulle montagne russe dell’amore. Certe volte avrei voluto parlare di queste cose con Guido, poi mi dicevo che lui non avrebbe capito e lasciavo perdere, i rapporti con Guido erano una cosa a parte, non intrecciata con la mia vita amorosa.

Una sera usciamo per la solita pizza e noto che porta la fede al dito, non una fedina, ma una classica fede matrimoniale di tipo tradizionale, gli chiedo come mai e mi dice che si è sposato 15 giorni pima ma non mi aveva detto nulla per non farmi sentire in obbligo in nessun modo, io resto perplesso del fatto che me lo abbia detto solo a cose fatte, ma lui cambia subito discorso e mi propone una cosa che non mi sarei mai immaginato, cioè mi propone di andare una sera a cena a casa sua, io capisco che ci tiene molto e accetto, poi però lui cambia di nuovo discorso e finiamo a parlare delle solite cose.

La settimana appresso vado a cena a casa sua, mi presenta la moglie, Lucia, una ragazza giovane e molto carina, che mi tratta molto familiarmente e mi mette a mio agio in un modo che non avrei mai immaginato. Guido e Lucia sono una coppia tranquilla, direi che l’aria che si respira a casa loro è di serenità. La cena è ottima e molto familiare e la conversazione è leggera e gradevole, in sostanza una bella serata.

Alla fine Guido mi accompagna alla macchina e gli dico: “Sono stato proprio bene e sono contento per te e per Lucia!” E glielo dico con piena convinzione, lui me lo legge negli occhi e mi sorride, lì ho capito che teneva veramente al mio parere. Poi ci siamo salutati nel solito modo. Nei mesi successivi abbiamo continuato a vederci coi ritmi di sempre, in pratica tra noi col suo matrimonio non è cambiato nulla.

Nel frattempo io avevo cominciato la più lunga e la più tormentata delle mie storie con un ragazzo (Lucio). Di Lucio non ho detto nulla a Guido, un po’ perché volevo che quelle restassero cose mie e volevo comportarmi anche io con lui come si era comportato lui con me, e un po’ perché non sapevo come avrebbe reagito.

Nel Marzo 2018 la storia con Lucio è andata in crisi e io sono caduto in un periodo molto nero. Guido lo ha notato, capiva che era successo qualcosa che mi aveva messo in crisi, me ne ero reso conto perché era più premuroso nei miei confronti, mi chiamava più spesso al telefono anche se ormai era diventato due volte papà e aveva da pensare alla famiglia.

Una sera usciamo in un momento in cui ero veramente in difficoltà e mi dice semplicemente: “Che è successo?” Io gli dico: “Col mio ragazzo abbiamo rotto…” Lui non si scompone assolutamente ma resta in silenzio aspettando che io gli dica il resto e allora io vado avanti, lui non mi interrompe. Alla fine mi dice solo: “Non te la prendere con Lucio, lui può non avere capito niente e potrebbe starci male anche lui…” Questa ultima cosa mi ha fatto accendere una lampadina nel cervello e gli ho chiesto: “Tu che faresti?” Mi ha risposto: “Io lo chiamerei subito.” Gli ho detto: “Adesso?” E lui mi ha risposto: “Sì”.

Io ho preso il cellulare, sono uscito dalla pizzeria e ho chiamato subito Lucio. Lucio era in crisi peggio di me e era evidente che eravamo entrambi contenti di risentirci. Dopo 40 minuti ho visto Guido uscire dalla pizzeria con due pizze da asporto, una l’ha data a me e mi ha detto sottovoce: “Io vado a piedi, tu pensa a Lucio…” Io ho continuato a parlare con Lucio e abbiamo ricominciato a vederci e alla fine è stata una cosa positiva, perché stavamo male entrambi e per ragioni soprattutto di puntiglio. I problemi con Lucio si sono risolti, almeno sul momento, e entrambi abbiamo riguadagnato un po’ di serenità.

Circa un mese dopo ho rivisto Guido e gli ho detto che il problema con Lucio era superato, lui mi ha detto solo: “Mi fa piacere.” E ha sorriso, poi abbiamo parlato d’altro. Il problema che io Lucio fossimo due ragazzi non è stato mai preso in considerazione, per Guido era del tutto irrilevante. Guido non è quello che ascolta i miei problemi d’amore, ma uno di cui mi fido e che tante volte mi capisce al volo senza che io abbia nemmeno bisogno di parlare, lui sdrammatizza le cose anche con il non parlarne troppo. Non ama il bla bla, è operativo, se devi fare una cosa, per lui, la devi fare e basta, senza metterti a ragionarci sopra a vuoto.

Sono andato di recente a cena a casa sua e ho visto che lui ha un modo di trattare Lucia che mi incanta, non è espansivo ma rassicurante, è l’uomo del fare più che del parlare, quando sono arrivato era in cucina con Lucia e stavano cucinando insieme. Se devo pensare a un modello di coppia felice penso a Guido e Lucia, loro sono etero, ok, hanno figli, ma soprattutto non si creano problemi stupidi, chiacchierano poco e si impegnano insieme. Mi dispiace dirlo, ma tra i gay una cosa del genere è piuttosto rara, anche se penso che sia rara pure tra gli etero.

Vorrei che il mio rapporto con Lucio fosse simile a quello di Guido e Lucia, ma noi non siamo a quel livello, siamo ancora due galletti che si beccano o due ragazzini non cresciuti che hanno conservato l’abitudine di fare la lotta tra di loro. Piano piano stiamo imparando ma penso che la strada sarà ancora lunga. Lucio è un po’ geloso di Guido e io gli dico: “Ma Guido ha moglie e due figli!” e lui mi risponde: “Mh … forse, ma mi sa che non me la conti giusta!” e poi si mette a ridere e si mette a inseguirmi per tutta la casa.

La tecnica del parlare poco tipica di Guido funziona anche tra me e Lucio, a Lucio piace parlare, ma adesso parla meno e tra noi ci sono più gesti affettuosi, quando viene da me andiamo insieme a fare la spesa al supermercato (un supermercato piccolo) e le signore che incontriamo ci guardano con curiosità, perché non sono abituate a vedere due uomini insieme al supermercato a fare la spesa, a un certo momento mi sono sentito un po’ troppo osservato da una signora anziana e sono stato un po’ in imbarazzo, e allora, per cavarmi dall’impaccio e anche un po’ per ridere, ho cercato di fare passare me o lui per un giovane papà e gli ho detto a voce alta: “Ricordati di prendere i pannolini!” E lui mi ha risposto: “Ma non ne hai bisogno!” E la signora ci ha guardato molto perplessa!

Concludo qui, ovviamente, Project, fai della mail quello che credi, i nomi sono tutti di fantasia.

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http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=22&t=6994

RELAZIONI GAY E CONVIVENZA

In questo ultimo periodo mi è capitato spesso di incontrare in chat ragazzi gay che hanno un compagno ma che si sono trovati a dover fare i conti con disillusioni almeno parziali, cercherò quindi di schematizzare e di riassumere i nodi del problema.

Prima di tutto l’espressione “avere un compagno” è estremamente generica, si va dalla convivenza stabile ormai da diversi anni alla relazione che è ancora agli esordi ed è tutta da verificare, fino alla relazione a distanza in cui manca un contatto reale che non sia assolutamente episodico e breve. Ovviamente in una tale varietà di situazioni il concetto di “mitizzazione” assume connotati molto vari e scarsamente omogenei.

Il mito, di per sé, incarna un archetipo di comportamento che o viene recepito dall’esterno o viene creato autonomamente. La mitizzazione di persone reali è l’esempio tipico del mito auto-costruito, identificando la persona con il ruolo che ricopre o si vorrebbe che ricoprisse e proiettando su quella persona i nostri personali archetipi di quel ruolo. Attribuire anche solo ipoteticamente un ruolo a una persona equivale a rivestire quella persona di qualità e di attributi che spesso si danno per scontati, perché i meccanismi proiettivi ci portano a vedere soprattutto, se non esclusivamente, quello che vogliamo vedere.

Alcuni decenni or sono, quando non esistevano mezzi di comunicazione a distanza, la conoscenza delle persone era numericamente molto più limitata ma anche molto più diretta di quella che si realizza oggi tramite i social media. Oggi i social non ci permettono di vedere e di valutare i comportamenti degli altri ma soltanto di conoscere l’immagine che essi intendono darci di sé, cioè di conoscere la loro auto-rappresentazione. Ovviamente le rappresentazioni di sé variano a seconda degli scopi che si intende perseguire. Nella ricerca della cosiddetta anima gemella, spesso, l’immagine di sé che si tende a fornire viene costruita sul momento, sfruttando le informazioni che già conosciamo sul nostro interlocutore.

L’informazione fondamentale è la fotografia, con la quale si valuta istintivamente se l’altro è o non è per noi oggetto di interesse. Se non lo è, ossia se la foto non corrisponde ai nostri archetipi, il tono della conversazione è basso, gli apprezzamenti sono limitati, non si cerca di approfondire il rapporto ma di farlo scivolare verso la banalità e verso una dissoluzione a breve termine. Se invece la foto ci interessa, il tono del linguaggio cambia e si cerca di manifestare un interesse concreto, il discorso si scalda, si entra subito nel personale, si sta attenti a dare un’immagine positiva di sé secondo il metro dell’interlocutore. La prima cosa che si apprezza è la bellezza, che è l’elemento oggettivamente di maggior impatto al primo contatto visivo. L’ascolto si fa estremamente attento, si dà spazio all’interlocutore, cercando di raccogliere tramite le sue parole elementi utili a costruire una rappresentazione di noi stessi che sia quanto possibile seduttiva, anche a scapito della veridicità e della completezza. Si sottolineano tutte le similitudini e le analogie con l’interlocutore e si sorvola ampiamente su tutti i possibili punti di divergenza o di distanza. Si costruisce e si trasmette un’immagine di sé per specularità-complementarità (le due mani non solo uguali ma speculari e complementari e si adattano perfettamente a lavorare insieme).

Viene poi il tempo dell’immagine retrospettiva di sé, della propria storia, e in particolare della propria storia affettiva, e anche qui operano spesso a livello inconscio dei meccanismi di selezione-omissione dei contenuti, tramite i quali, nell’archivio della memoria individuale, si scelgono alcuni episodi come emblematici del proprio essere e del proprio agire e se ne omettono altri che sarebbero in dissonanza con i primi. Il linguaggio scivola molto facilmente verso espressioni che indicano forte coinvolgimento e apprezzamento (deriva del linguaggio amoroso). Tutto il processo appena delineato si può riassumere nella parola seduzione. Sedurre significa “portare in disparte”, “attrarre a sé” una persona.

Se il rapporto nasce simmetrico, cioè le valutazioni di primo impatto sono molto simili dalle due parti, si ha l’impressione di trovarsi davanti ad una bellissima storia d’amore o almeno al suo esordio e i meccanismi proiettivi entrano in funzione operando una progressiva mitizzazione sulla base di ciò che sappiamo dell’altro, nella presunzione che l’immagine che l’altro ci ha dato sia autentica. Ma i meccanismi di selezione dei contenuti, che operano spesso in modo inconscio, forniscono immancabilmente delle rappresentazioni quantomeno parziali, se non distorte della realtà. In altre parole, il contatto verbale o anche quello in audio-video non mostrano le reazioni dell’altro in situazioni reali ma esclusivamente ciò che l’altro, in modo più o meno consapevole, vuole farci vedere, o semplicemente ci fa vedere.

Ovviamente, l’incontro di persona, se episodico e breve, mantiene comunque questo medesimo schema e tende se mai a confermare la visione mitica dell’altro. Solo una reale convivenza in situazioni ordinarie e di lunga durata consente di capire e di valutare la personalità dell’altro con un’ampiezza e una profondità di un certo spessore.

Va sottolineato che se chi parla di sé ad una persona alla quale è interessato fornisce in ogni caso una rappresentazione edulcorata di sé, opera cioè una selezione dei contenuti da presentare, anche chi ascolta, in modo più o meno consapevole, opera una selezione tra i contenuti che gli vengono presentati, attribuendo valore a quelli che vanno nella direzione da lui voluta e trascurando o minimizzando quelli che vanno in direzione opposta, in questo modo l’immagine dell’interlocutore subisce una seconda deformazione indotta da chi ascolta sulla base dei propri archetipi e delle proprie proiezioni.

Al termine di un periodo, comunque breve, di incontri in chat alternati con brevi incontri di persona, si ha l’impressione di aver costruito una relazione stabile e di conoscersi approfonditamente, ma in realtà la conoscenza reciproca è minima e l’immagine dell’altro è fortemente deformata. Il mito supplisce alla realtà, la integra e la rafforza, fintanto che il contatto con la realtà non interviene a correggere la situazione.

Il vecchio detto: “il matrimonio è la tomba dell’amore” sta a significare che la convivenza fa di fatto crollare molti rapporti di coppia costruiti solo su proiezioni e miti assai lontani dalla realtà.

La demitizzazione che fa seguito alla convivenza reale può essere di tipo e grado molto diverso. Maggiore è il livello di mitizzazione nella fase pre-convivenza, maggiore è il livello di disillusione che consegue alla convivenza. La persona che dà di sé la migliore immagine possibile (auto-mitizzazione) è anche quella che ha la maggiore probabilità a priori di generare disillusioni profonde. La persona che invece non evita di parlare chiaro sui propri aspetti problematici, ha minore probabilità di avere successo nella fase di seduzione, ma, alla lunga, è assai meno esposta al rischio di creare disillusioni nel partner.

Nel mondo gay, oggi, le convivenze stabili sono più l’eccezione che la regola, le Unioni Civili sono rare, in parte perché comportano un coming out che in certi casi creerebbe problemi di difficile se non impossibile soluzione, ma soprattutto perché una convivenza di lungo periodo richiede delle scelte di fondo orientate alla stabilità e la capacità di agire su tempi lunghi in modo coerente con quelle scelte. Le storie brevi e comunque senza vincoli formali possono nascere molto facilmente e altrettanto facilmente possono finire, nascono già all’insegna del relativo, del rivedibile, del non definitivo e in sostanza del disimpegnato, e si reggono spesso su fragili mitologie destinate a frantumarsi quando si affronta una vera convivenza. Va detto però che la tendenza alle relazioni disimpegnate o, come si dice comunemente, libere, ha il suo motivo di fondo nella difficoltà di creare una relazione interpersonale profonda, che richiederebbe la presenza di forme di compatibilità tra i partner che sono decisamente poco comuni. In genere le prime esperienze dei ragazzi gay hanno come obiettivo la creazione di una coppia stabile, siccome però in moltissimi casi questo obiettivo resta di fatto irrealizzabile o comunque irrealizzato, si finisce per scegliere l’altra opzione, quella più disimpegnata, che è certamente più fragile ma rappresenta un obiettivo oggettivamente realizzabile anche in condizioni che non sono di per sé ideali.

Va sottolineato che una disillusione, per quanto pesante essa sia, non porta necessariamente alla rottura della relazione, perché, non fosse altro che per ragioni di inerzia, la relazione eventualmente incrinata si può ricucire o meglio rinsaldare, anche più di una volta, ma ovviamente quella relazione, segnata dalla disillusione, che è spesso reciproca, rischia di essere piano piano svuotata dall’interno, se altri meccanismi non intervengono a consolidarla.

L’idea che la disillusione non sia di per sé distruttiva del rapporto di coppia, spesso, è accettata solo come una soluzione di ripiego, ma andrebbe piuttosto vista, talvolta almeno, come un salutare ritorno alla realtà, perché la disillusione è tale in rapporto alla precedente illusione, ma vista nell’ottica del futuro può comportare una rivalutazione del rapporto che non è necessariamente una sua degradazione. Si tratta cioè di una presa d’atto della realtà dell’altro, o almeno di una sua immagine meno mitica e distorta, che può modificare profondamente e non sempre negativamente gli equilibri interni alla coppia. Superare le crisi di coppia, che spesso derivano da disillusioni, può addirittura consolidare il rapporto. Nei rapporti di coppia a distanza il coinvolgimento è legato in gran parte alla mitizzazione del partner, il rapporto è basato sulle parole e su situazioni facilmente controllabili. Nelle convivenze la possibilità di incomprensioni più o meno profonde col partner è molto concreta, ci si rende conto che anche la compatibilità sessuale è condizionata dal fatto che individui diversi hanno visioni diverse della sessualità e dello stesso essere gay. Comportamenti che per uno dei due sono desiderabili possono non esserlo affatto per l’altro, basti qui l’esempio del coming out, ma si potrebbero portare molti altri argomenti oggetto di frequenti incomprensioni all’interno della coppia. Nella convivenza gay è molto facile sbagliare anche quando esistono di fatto i presupposti per la costruzione di una coppia duratura. Le relazioni di convivenza stabile senza delusioni e senza incrinature non esistono, una certa dose di conflittualità è fisiologica per la sussistenza stessa della coppia. Per concretizzare una convivenza è indispensabile che i partner capiscano in partenza che gli errori ci saranno da entrambe le parti e che le posizioni rigide rischiano di destabilizzare anche le relazioni di coppia che avevano all’origine tutti i presupposti teorici della solidità.

Le disillusioni, come accennato, sono spesso reciproche, ma non è detto che siano palesi, o che lo siano da entrambe le parti. Spesso si tiene per sé la disillusione in attesa che possa essere smentita e questo indica che il mito è in crisi ma non è del tutto crollato. In questi casi, chi dissimula la propria delusione tende ad assumere un atteggiamento rivendicativo caratteristico, il permanere nella coppia assume per quella persona il senso dell’attesa della prova decisiva, finché la misura non è colma e si presenta il conto al proprio partner elencandogli o meglio rinfacciandogli tutte insieme le sue mancanze o presunte tali, è il momento della cosiddetta resa dei conti, in questi casi la risposta può essere fredda (la peggiore risposta), frustrata o anche rivendicativa, in questo ultimo caso chi si è visto presentare il conto presenta a sua volta il conto alla controparte, per mettere sulla bilancia aspettative e torti delle due parti. Anche in questi casi, però, non è affatto detto che la vita di coppia vada irrimediabilmente in pezzi, la situazione volge invece al peggio quando i due si separano senza aver né risolto né alleggerito la situazione di conflitto, cioè quando la risposta è rigida.

Ovviamente le convivenze sono equilibri instabili in cui, specialmente in una fase molto anticipata, piccole spinte correttive sono sufficienti a mantenere l’equilibrio. Va aggiunto che la convivenza, se per un verso può portare alla demitizzazione del partner, per l’altro ne può fare scoprire i pregi a prima vista meno evidenti. Uno dei pregi di un partner che emergono nelle convivenze lunghe è la non distruttività ossia la capacità di gestire le tendenze distruttive dell’altro, di raffreddare i toni e i conflitti, di minimizzare il negativo e di valorizzare il positivo di una relazione.

In ultima analisi la mitizzazione del partner nata nella fase seduttiva si scontra pienamente con la realtà solo quando si arriva ad una convivenza di lungo periodo. In questa fase subentra la demitizzazione del partner, che porta ad una rivalutazione degli elementi su cui si fonda la coppia. L’esito di questa nuova valutazione non è di per sé distruttivo, ma può portare ad una rifondazione della vita di coppia su presupposti meno proiettivi e più realistici.

Una considerazione a parte merita la cosiddetta “condiscendenza incondizionata”, cioè la tendenza a dire sempre e comunque sì al proprio partner al fine di conservare la relazione. Il concetto stesso di equilibrio dinamico comporta che le spinte devono essere bilanciate e che, se alle pressioni esercitate da uno dei due corrisponde sempre un cedimento dell’altro, l’equilibrio non si può mantenere, le richieste di adeguamento si estenderanno progressivamente a tutti i settori della vita condivisa e non solo, e quella parità che rappresenta il nucleo essenziale della coppia gay finirà per essere spazzata via. In questo modo non solo non si preserverà la vita di coppia ma la si ridurrà ad una serie di obblighi o ad una serie di dipendenze psicologiche e non solo.

Riporto qui di seguito alcuni brani di mail ad illustrazione di quanto detto.

LA SEDUZIONE

“Mi chiama in video e mi dice subito: Sei bellissimo! Ma bellissimo è lui! Sembra proprio un attore e poi ha una voce calda, sexy. Quando ha visto le mie foto la prima volta è rimasto senza parole e non credeva che fossi io! Mi ha detto che non ha mai visto un ragazzo bello come me, che ho gusto, che vesto bene, che so scegliere il taglio di capelli, che ascolto la musica giusta, la stessa che ascolta lui, che abbiamo gli stessi gusti. È un ragazzo solare ma non ha amici. Quando parliamo mi dice cose bellissime, io gli dico che io non sono come mi vede lui, che ho un sacco di difetti e che lui mi sta mitizzando e lui mi risponde che non vede l’ora di conoscermi di persona.”

IL LINGUAGGIO SESSUALE

“Ci sono alcune cose che non sopporto nel suo modo di fare, prima di tutto il linguaggio. Noi facciamo sesso tra noi, ma lui quando ne parla usa certi termini volgari che mi fanno proprio venire i nervi, mi chiedo dove ha imparato a parlare così. Lui mi dice che sono ipocrita e che voglio salvare la mia faccia da bravo ragazzo, e non sopporta che io voglia salvare la mia riservatezza. Mi dice che se le cose le faccio le devo chiamare col loro nome, solo che io quelle cose non le vedo come le vede lui, ammesso pure che lui le veda in un modo diverso dal mio, ma quando ne parla con me usa proprio termini volgari che non sopporto, poi, quando si arrabbia con me, lasciamo perdere, parla con un linguaggio degno dei peggiori porno e quando fa così lo strozzerei.”

LE FORZATURE

“Una cosa che non sopporto del mio ragazzo è il fatto che mi vuole imporre di fare cose di sesso che io non voglio fare e che lui evidentemente ha fatto con altri, su certe cose posso anche cedere ma su altre proprio me lo dovrei imporre con la forza e non lo voglio fare e basta. Quando gli dico di no in modo deciso, prima insiste e anche troppo, e poi sembra che passi oltre, come se non fosse successo nulla, ma quando ci capita che bisticciamo queste cose le tira fuori tutte e me le rinfaccia, mi dice: “Si deve fare sempre come dici tu!” (cosa, tra l’altro, che non è assolutamente vera), poi mi dice che non gli voglio bene veramente perché non faccio sempre quello che vuole lui, ma io dico: se stiamo insieme io cedo su una cosa e tu su un’altra! Perché lui non si rende conto che certe volte mi chiede proprio cose assurde, che io non sopporto proprio?”

LE MANOVRE DI RECUPERO

“L’altro giorno abbiamo avuto uno scontro su una questione molto stupida, o meglio il battibecco è cominciato tutto da lì: portare o no le calze quando facciamo sesso, lui porta quei calzini solo per il piede, io porto calze corte normali, ma lui voleva che me le togliessi e io non capivo perché, dato che lui le portava, da una cosa così stupida è partita una sfilza di lamentele sul mio comportamento, in pratica mi ha detto che non gli dicevo mai di sì e che dovevo discutere su tutto e poi, una volta partito in quarta, andava avanti e non si fermava più, a un certo punto si è rivestito come se se ne volesse andare via e io mi dicevo: Ma che fa? Se ne va veramente per una cosa del genere? Ma è proprio fuori di testa! Allora gli ho detto che mi sentivo un completo imbecille ad averlo cercato e che non sarebbe mai più successo, allora lui ha cambiato tono, si è spogliato di nuovo e si è rimesso sul letto e poi mi ha detto: Vieni qui! Io gli ho chiesto se mi avrebbe detto ancora le cose stupide che mi aveva appena detto e lui mi ha risposto che me ne aveva dette troppo poche e che le dice per il mio bene, anche se io non lo capisco. Comunque, almeno ha la dignità di tornare indietro!”

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AMORE GAY LIBERO

Ciao Project,
ho letto il forum in lungo e in largo e voglio anche io portare il mio contributo sulle coppie gay.

Francamente, dopo tanti anni, posso dire di avere messo del tutto da parte questo concetto. Parlo di tanti anni perché mi sto avviando verso i 50, i 45 li ho superati e sono ormai nell’età in cui si cominciano a fare i bilanci. Da ragazzo, 30 anni fa, ero molto riservato, molto timido, complessato dal sesso e molto legato a una mitologia gay, passami il termine. Mi sono innamorato tante volte, direi troppe volte, e altrettante volte sono stato costretto a ridimensionare tutto, perché il mio ipotetico ragazzo era etero (è successo più volte), era un collezionista per il quale io ero solo uno dei tanti, o semplicemente perché il ragazzo di turno non aveva nessuna intenzione di costruire un rapporto vero con me, tipo più o meno: “Sesso sì, quanto ne vuoi, ma poi togliti dalle scatole!”

Non ti faccio il catalogo di quelli fissati col sesso di un certo tipo e solo quello, di quelli cattolici che prima fanno sesso con te e poi ti danno la colpa di tutto e ti accusano di averli portati sulla cattiva strada, perché “loro non sono gay e vogliono avere una famiglia ecc. ecc.”, ti risparmio pure quelli della categoria peggiore, quella dei gelosi possessivi, che ti spiano, che pretendono da te un’obbedienza senza discussioni e di quelli possessivi affettivi che ti vogliono rendere un satellite della loro galassia a forza di ricatti affettivi o sessuali, che pretendono di scegliere i tuoi amici, di decidere i film che devi vedere, di programmare le tue vacanze, ecc. ecc.. E poi c’è la categoria degli indecisi cronici, di quelli dei ma e dei però, dei sì ma con riserva, o dei no ma con riserva, che è ancora più assurdo, questi io li chiamo quelli del: “Mamma Ciccio mi tocca! … Toccami Ciccio che mamma non c’è!”

Alla fine, quando avevo ormai 40 anni, mi sono stufato e ho detto basta! Se mai ne troverò uno normale e se ne viene veramente qualcosa di accettabile, ok, altrimenti meglio solo che male accompagnato!” In pratica mi sono cancellato da certi siti e ho eliminato certe app. Non c’è bisogno che ti dica quali. Usavo un po’ di porno e mi accontentavo di quello, perché, diciamocelo chiaro, sono stato sempre ipocondriaco e non mi sono mai messo a rischio, cioè quando facevo sesso con un ragazzo stavo molto attento a non passare i limiti di guardia e quando dicevo di no era no e basta, e questo tanti ragazzi non lo accettavano proprio, per loro io ero uno strano, fissato, ecc. ecc.. Dopo aver messo da parte l’idea di trovarmi un compagno, ho fatto proprio altro, ho lavorato, ho messo su una piccola impresa privata, molto piccola ma che mi dà soddisfazioni e assorbe la gran parte del mio tempo.

A 42 anni ho incontrato un ragazzo che aveva 12 anni meno di me, era un ragazzo diverso dagli altri, prudente nel parlare e con un modo di fare che mi piaceva, mai aggressivo, era anche un bel ragazzo, oltre che intelligente, ma tutto questo per me significava che ci sono ancora ragazzi belli e intelligenti, ma niente più di questo. Pensavo che quel ragazzo appartenesse ad un mondo lontano dal mio, in pratica non pensavo nemmeno che tra noi ci potesse essere più di uno scambio di quattro parole di cortesia, ero convinto che fosse etero, insomma per me era e pensavo che sarebbe rimasto un perfetto sconosciuto.

Lo avevo incontrato per la prima volta nella sala d’aspetto del mio commercialista e avevamo parlato un po’ di tante tematiche generali, ma solo per passare il tempo e, dopo quell’episodio, non ci siamo più visti per un paio di mesi e praticamente io mi ero del tutto dimenticato di lui, poi verso la metà di dicembre, in una giornata in cui avevo un sacco di problemi per la testa, l’ho incontrato per caso in treno, mentre andavo a Milano per problemi legati alla mia piccola impresa, lui stava nel corridoio del mio vagone, e abbiamo cominciato a parlare. Dopo qualche minuto è venuto nel mio scompartimento, era mattina e c’era pochissima gente, nello scompartimento eravamo solo noi due e il viaggio sarebbe durato almeno altre tre ore. Mi sono dimenticato completamente dei miei problemi e ho passato il tempo del viaggio come in una nuvola rosa, mi sembrava un ambiente incantato, ma anche irreale.

Eravamo diretti entrambi a Milano, lui viveva a Milano e ci lavorava, ma veniva spesso a Roma, dove vivevano i genitori. Io non sono mai stato un conquistatore, con i ragazzi sono sempre stato molto impacciato ma con lui mi sentivo a mio agio, diciamolo chiaro, non ero impacciato perché semplicemente pensavo che non lo avrei più rivisto, non avevo nessun progetto su di lui, nemmeno a livello di minima fantasia. Io dovevo rimanere tre giorni a Milano e non avevo prenotato l’albergo, perché un albergo lo avrei trovato comunque e lui mi ha detto: “Ma se devi stare tre giorni a Milano stai a casa mia, è piccola ma comoda, in centro.” Alla stazione ci siamo separati perché lui aveva impegni di lavoro e anche io non mi sarei liberato prima delle 19.00. Ci siamo dati appuntamento per le 19.30 sotto casa sua, ovviamente ci siamo scambiati i numeri di cellulare.

Alle 19.30 sono in via [omissis] e lui è lì con una borsa di plastica in mano, mi dice: “Ho preso qualcosa per la cena…” La casa era minuscola, una sola stanza, ma era tutto in perfetto ordine, andiamo nella cucinetta e lui si mette ai fornelli, prepara due piatti di spaghetti e mette in forno pollo e patate della rosticceria, nel frattempo parliamo, ma sempre di cose molto generali. L’atmosfera è familiare, per un attimo ho avuto la sensazione che sarei stato bene con quel ragazzo, ma un’idea del genere mi sembrava mille miglia lontana dalla realtà.

Finita la cena, lava i piatti in un baleno e poi mi dice che è stanchissimo e che vorrebbe andare a dormire. Nella stanza ci sono due letti, mi indica il mio, ci prepariamo per la notte e ci mettiamo a letto, ma a dispetto della stanchezza ci mettiamo a parlare e andiamo avanti fino a notte alta. Era il primo giorno che parlavo con quel ragazzo, mi sentivo a mio agio e la situazione non mi sembrava affatto strana. Ti giuro, Project, ero convinto che lui fosse etero e ho evitato accuratamente qualsiasi riferimento anche vaghissimamente gay. Aveva una bellissima voce, maledettamente sexy, ma secondo me era etero… e tutto il discorso è rimasto su temi generalissimi, in pratica non siamo mai scesi nel privato. Lui non parlava mai di ragazze come non ne parlavo io, ma io al momento non potevo dare il minimo peso a un fatto del genere. In casa aveva qualche libro ma mi sembravano i classici libri etero, diciamo così, non c’erano fotografie o quadri, niente di tutto questo.

La mattina la sveglia suona alla sette in punto. Lui si alza immediatamente e va in bagno, sento l’acqua della doccia che scorre ma la cosa non mi fa né caldo né freddo, poi esce dal bagno e va in cucina. Io entro in bagno, ha aperto la finestra e ci fa un freddo cane, ma è tutto pulito, prima di uscire ha asciugato tutta la doccia e ha cambiato l’asciugamano. Io faccio la doccia in fretta e poi asciugo tutto, come aveva fatto lui, quando esco dal bagno trovo la colazione pronta. Mi dice che sarebbe uscito dopo 10 minuti e che se volevo potevo restare in casa, mi dà un mazzo di chiavi e mi dice solo che, quando esco, devo chiudere la porta. Lui sarebbe tornato intorno alle 19.15, poi mi fa un cenno con la mano e se ne va.

Ero solo, a casa sua, avevo le chiavi di casa, avrei potuto curiosare un po’, anche se c’era ben poco da curiosare. Scelgo una via diversa, rifaccio i letti, sia il suo che il mio, il suo conserva una traccia sensibile del suo profumo, lavo le tazze della colazione, sistemo quel poco che c’era da sistemare in cucina e poi esco per i miei incontri di lavoro. Alle 18.00 gli mando un sms: “Non prendere nulla per la cena, ci ho pensato io.” Vado in rosticceria e compro qualcosa, aggiungendo anche una bottiglia di vino toscano, poi torno a casa sua, metto l’acqua sul fuoco basso e preparo la tavola.

Qualche minuto prima delle 19.00 lui arriva e sembra molto contento di trovare tutto sistemato, a me viene un sorriso spontaneo, ma lui non parla della casa sistemata e della cena pronta, mi chiede invece con una faccia interrogativa a che punto sono con i miei impegni a Milano, la domanda mi suona strana, la interpreto come se lui volesse dirmi che se ho fatto quello che dovevo fare me ne posso pure andare, smetto di sorridere e con una faccia seria gli rispondo che in pratica ho fatto tutto quello che avevo da fare e che potrei ritornare a Roma anche in serata perché dovrei solo cambiare il biglietto. Lui mi dice: “Io domattina non lavoro, se vuoi ti faccio vedere un po’ di cose belle di Milano.” Non mi aspettavo quella risposta e lui deve avere visto dalla mia faccia che mi era tornato il buon umore. Evidentemente non ci fidavamo ancora uno dell’alto, cercavamo conferme e i fraintendimenti erano possibili.

La faccio breve, il mio secondo giorno a Milano è stato molto bello, mi sembrava di conoscere da sempre quel ragazzo, abbiamo pranzato fuori, siamo rientrati la sera e abbiamo parlato fino a tardi prima di addormentarci. Il terzo giorno è stato breve e ci siamo visti solo la mattina presto, lui lavorava fino alle 19.00 e io avevo il mio treno alle 11.30. Gli ho restituito le chiavi di casa e ci siamo salutati con una stretta di mano. Poco prima dell’orario della partenza mi ha mandato un sms ringraziandomi per le belle giornate che aveva passato con me. Gli ho detto che lo aspettavo a Roma al più presto e che se fossi tornato a Milano glielo avrei fatto sapere.

Preso il treno, ho cercato di riordinare i ricordi di quelle ore passate insieme, e lì mi è venuto in mente che quello poteva essere un modello di vita di coppia, ma in realtà sapevo benissimo che era solo fantasia. Davo comunque per scontato che fosse etero, e pensavo che anche lui mi avesse preso per etero. Dopo circa 10 giorni mi richiama, mi dice che verrà a Roma l’indomani e mi chiede se posso ospitarlo, per una notte, mi spiega che lui doveva andare dai suoi genitori ma che ha anticipato il viaggio di un giorno per passare una giornata con me, i suoi sapevano che sarebbe arrivato il giorno dopo e quindi dal giorno dopo sarebbe rimasto a casa loro, ma un giorno voleva passarlo con me.

L’indomani mattina alle 11.00 vado a prenderlo alla stazione e lo porto a casa mia. Non c’è bisogno di dire che avevo ripulito e sistemato tutto e avevo fatto sparire tutti gli indizi gay. Poco prima di mezzogiorno siamo a casa, gli avevo preparato una stanza tutta per lui, ma mi dice che era venuto per parlare con me e che così non sarebbe stato possibile. Spostiamo il suo letto nella mia stanza, poi pranziamo, lui nota che tutto è preparato con la massima attenzione, mi dice che casa mia è molto più grande della sua e anche molto più antica, in effetti vivo in una zona della Roma vecchia e in un palazzo che penso sia del 1700, di due soli piani, con le volte a vela fatte di mattoncini, era una casa di famiglia di quando quelle case erano case di povera gente, poi, col tempo, sono diventate case per turisti, se opportunamente ristrutturate, e la mia non lo è.

Il pomeriggio andiamo a fare un giro della città e soprattutto dei posti dove i turisti non vanno, la sera non vuole mangiare fuori, torniamo a casa, prepariamo una cenetta rapida e poi ce ne andiamo in salotto a parlare. Mi racconta la sua storia ma in modo molto sintetico e lacunoso, volutamente banalizzante, come se fosse un insieme di cose ovvie, e io sto a sentirlo con la massima attenzione. Si vede che è a suo agio, almeno relativamente o, meglio, si vede che non ha paura di me, ma sta esplorando il terreno, non mi dice niente di particolarmente significativo, però è in quella situazione che mi comincia a venire in mente che il rapporto che ho con quel ragazzo potrebbe essere qualcosa di più complicato di come mi appariva all’inizio, lo ascolto ma comincio a farmi domande, mi rendo conto che non abbiamo mai parlato di donne e comincio ad aspettarmi che il discorso possa finire con una qualche dichiarazione importante, ma a un certo punto mi dice che è stanco e che l’indomani mattina dovrà alzarsi presto e ce ne andiamo a dormire. Mi chiedo perché mi abbia fatto portare il suo letto nella mia stanza ma alla fine preferisco non farmi troppe domande.

La mattina del giorno successivo facciamo colazione insieme, poi mi saluta con una stretta di mano e se ne va. Io cancello rapidamente dal mio cervello ogni ipotesi alternativa e mi dico: “Ma che vado a pensare! I gay vedono gay dappertutto! E io non faccio eccezione.” Tre settimane dopo mi capita di dover andare di nuovo a Milano, lo chiamo e glielo dico, mi sembra contento, mi dice che non potrà venire in stazione e che ci vedremo direttamente alle 19.30 sotto casa sua. La telefonata è brevissima, si sente che è indaffarato. Io penso di dovermi sdebitare con lui e gli compro una sciarpa, un oggetto, come un modo di dire grazie.

Nel viaggio verso Milano comincio a pormi tante domande a anche ad alimentare qualche aspettativa, pensavo che finalmente saremmo arrivati “forse” a parlare chiaro perché tutta la storia aveva ben poco di ordinario. Alle 19.30 ci vediamo sotto casa sua, come la volta precedente ha preso qualcosa in rosticceria per la cena. In casa noto subito che è contrariato, che non è di buon umore, provo a fargli qualche domanda ma dribla le domande e parla d’altro. Gli arriva una chiamata sul cellulare, guarda chi è ma non risponde e spegne il cellulare. Penso che sia una cortesia nei miei confronti, ma mi dice che di rotture di scatole ne ha avute anche troppe. Si comporta in modo strano, non è come la prima volta, è gentile ma anche scostante, al punto che gli dico: “Se hai bisogno di restare solo, non c’è problema, c’è un albergo qui a 200 metri…” Lui mi guarda e mi dice: “No… tu non c’entri niente, sono rogne di lavoro…” Ma io non ho l’impressione che siano rogne di lavoro. Lui comunque taglia corto. Finiamo la cena e mi dice che è stanchissimo e vuole andare a dormire. Non restiamo a parlare come la prima volta, mi sento quasi un ospite sgradito, forse non proprio, comunque lui resta chiuso nel suo mondo, cioè nel suo malumore.

L’indomani ci salutiamo piuttosto freddamente. Io dovevo ripartire per Roma in mattinata. Questa volta non mi arriva alcun sms prima della partenza. Su treno mi ripeto tante volte che non devo lasciare correre troppo la fantasia e che farò bene a restarmene nel mio mondo. Mi riprometto di non chiamarlo quando avrò altre occasioni di andare a Milano e su questo, almeno in quel momento, non ho dubbi. Arrivo a Roma e lui mi chiama al telefono per chiedermi scusa, è una cosa che non mi aspetto affatto, ne sono positivamente impressionato e arrivo alla conclusione che dopotutto ognuno può avere dei momenti neri e che probabilmente i suoi derivavano proprio da faccende di lavoro.

Non ci sentiamo per quasi un mese. Pensavo che si fosse dimenticato di me e in un certo senso ne ero anche contento, perché così anche io avrei potuto metterci una pietra sopra. Poi, in modo del tutto inatteso mi chiama una mattina prima delle 7.00, mi dice che sarà a Roma l’indomani e mi chiede se può stare da me. Ovviamente gli dico di sì, ma dentro di me non sono affatto entusiasta della cosa. Comunque gli dico di sì. Ho la tentazione di fargli pesare il modo in cui mi aveva trattato a Milano la volta precedente, poi mi dico che un pensiero simile è proprio meschino e puerile e mi impongo di organizzare tutto esattamente come la volta precedente.

Vado a prenderlo alla stazione, è visibilmente contento di vedermi e anche io sono contento di rivederlo, gli chiedo se l’indomani deve andare dai suoi genitori ma mi dice che ha preso tre giorni di ferie e che è venuto per me, questa espressione mi suscita tanti interrogativi ai quali non so e non oso dare risposta. In pratica sarebbe rimasto a Roma tre giorni, cosa che io non mi aspettavo assolutamente, lui si rende conto del mio disappunto e mi dice: “Se ti creo problemi, basta dirlo, me ne vado anche subito…” Io lo guardo e gli dico: “Stai zitto! Adesso sposto i miei impegni, e non fare quella faccia!” Mi sono messo al telefono e nel tempo di un quarto d’ora mi sono organizzato tre giorni liberi. Questo è il vantaggio di chi fa il piccolo imprenditore come me, anzi dovrei dire piccolissimo!

Quando chiudo il telefono lui vuole riattaccare col fatto che può andare via anche subito, ma gli dico in modo perentorio: “Se sei venuto qui un motivo serio ce l’avrai…” Lui mi guarda e mi dice: “Dammi tempo …“ Si stende sul divano del salotto e io avverto che sta per dirmi qualcosa di importante. Mi dice: “Tu hai capito, vero?” Io in realtà non avevo capito che cosa, secondo lui, avrei dovuto capire e non volevo assolutamente dire sciocchezze, però non potevo fare il finto tonto perché lo avrei messo in imbarazzo, e gli ho risposto: “Beh, più o meno, penso di sì…” Io pensavo (speravo) che mi potesse dire che si era innamorato di me, che io ero importante per lui, ma non si trattava di niente di simile. Mi dice: “Il mio ragazzo mi ha mollato… con lui stavo bene, ma mi ero illuso e ieri mi ha mollato. Quando sei venuto a Milano l’ultima volta io ero già fuori dai gangheri perché mi trattava con indifferenza, ma adesso mi ha proprio mandato a quel paese… ”

In pochi minuti ero passato dal ruolo di quello che si aspetta una dichiarazione d’amore al ruolo di quello che deve fare da consolatore, tuttavia la cosa, in un certo senso, per me era rassicurante, anche se può sembrare paradossale. Cerco di lasciarlo parlare e di intervenire il meno possibile. Si sente ingannato dal suo ex. Si sfoga un po’ ma poi è evidente che da me si aspetta una qualche risposta seria. Io faccio come aveva fatto lui, evito del tutto i preamboli e gli dico: “Quando una storia finisce sembra sempre un fallimento ma può essere una liberazione. È meglio sapere come stanno realmente le cose che andare avanti restando all’oscuro di tutto. Non hai perso che un’illusione.” Lui mi guarda sconsolato e mi dice: “Lo so, ma ci sono rimasto male e molto.” Io decido di uscire dall’ambiguità e di fare anche io il mio coming out e gli dico: “È successo anche a me, una cosa praticamente identica, se n’è andato perché cercava qualcosa che io non ero capace di dargli” Dopo questo reciproco coming out sono entrato in pieno nel mio ruolo di consolatore. Gli ho detto: “Dai, dammi una mano che cuciniamo un po’ più in grande!” Lui mi ha guardato sorridendo e ha detto: “Ok!”

Mi chiedevo che cosa lui si aspettasse da me, quali dovevano essere i limiti del mio ruolo e su questo avevo le idee molto confuse. L’unica cosa possibile mi sembrava l’agire con la massima prudenza, o meglio con il massimo rispetto nei suoi confronti. Avevamo ancora due giorni da passare insieme e io non sapevo come comportarmi. Abbiamo cucinato, pranzato, lavato i piatti insieme, poi mi è venuto in mente di chiedergli se i suoi sanno di lui. Mi ha risposto che i genitori sono brave persone e che si sono sempre dati da fare per lui ma lui ha fatto di tutto per finire gli studi il prima possibile e per andarsene a lavorare in un’altra città, perché voleva avere un po’ di autonomia e alla fine è riuscito a procurarsela. Non ha fratelli né sorelle e anche per questo il rapporto coi genitori era strettissimo e quasi asfissiante. Ha mantenuto un buon rapporto coi genitori anche se non può parlare chiaro con loro, va a trovarli più o meno una volta ogni due mesi ma per il resto del tempo se ne sta a Milano e si mantiene in contatto con loro solo via skype. Mi ha detto: “La mia famiglia è una famiglia normale nel bene e nel male.”

Dopo il discorso sulla famiglia non sapevo più che cosa dire e l’imbarazzo reciproco si sentiva fortissimo. Anche lui non sapeva più che cosa dire e come comportarsi, adesso sapevamo che eravamo due gay che avevano piacere a parlare insieme, era evidente che sia a lui che a me era venuto in mente che si sarebbe potuto fare un passo oltre, ma la paura di rovinare tutto era talmente forte da essere paralizzante. Gli propongo di uscire nel pomeriggio per fare un giro in centro. Mi risponde che non è venuto per fare il turista ma per stare con me, espressione quanto mai ambigua in sé, ma dietro la quale, in quelle particolari circostanze, si può sottintendere qualsiasi cosa. Cominciamo a parlare delle nostre esperienze gay, ma era evidente che il discorso serviva solo a riempire il tempo, ed era altrettanto evidente che non c’era molto da raccontare. Qualche storia, ma in fondo niente di serio. Gli ho chiesto che cosa avrebbe voluto dalla sua vita e mi ha detto che non lo sapeva.

Si è alzato evidentemente per venire a sedersi vicino a me, ma non lo ha fatto, ha fatto dietrofront e se ne è andato a sedersi di nuovo in poltrona. Poi mi ha chiesto: “Perché pensi che sono venuto qui oggi?” Gli ho risposto: “Perché eri rimasto malissimo di quel ragazzo e ti andava di parlare un po’.” Ma mi ha fermato e ha detto: “Solo per questo?” Io gli ho detto: “Spero di no…” allora è venuto a sedersi accanto a me, mi ha preso la mano destra e l’ha stretta fin quasi a farmi male, poi ci ha appoggiato il viso, io gli ho passato una mano tra i capelli, lui mi ha detto: “Fammi stare così cinque minuti e poi basta…” Io sono rimasto in silenzio ad accarezzargli i capelli, poi si è appoggiato alla mia spalla e non ha detto una parola per lunghissimi minuti. Ne sentivo il calore, la presenza fisica, ma anche il disagio, l’incertezza.

A un certo punto si è alzato in piedi, sembrava turbato, rabbuiato in volto, qualche brutto pensiero deve avergli attraversato la mente. Gli ho chiesto: “Che c’è? Qualcosa non va?” Mi ha risposto solo: “Nulla…”, poi mi ha ripreso la mano e me l’ha stretta di nuovo in modo fortissimo. Penso che anche lui percepisse chiaramente tutta la mia incertezza, poi il suo telefono ha squillato, lo cercavano per problemi di lavoro ed è rimasto al telefono per tanto tempo, ha aperto il suo portatile super-tecnologico e si è messo in contatto col suo ufficio. Io l’ho lasciato tranquillo, nel frattempo ho fatto il caffè e gliel’ho portato con qualche biscotto, lui mi ha risposto con un sorriso e io sono andato a preparare un po’ di cena fino alla fine della telefonata.

Quando ha finito si è scusato e io gli ho detto: “Ma ci mancherebbe altro che tu debba scusarti se devi lavorare!” Poi mi è arrivata, come un flash, una domanda che non mi aspettavo, mi ha chiesto: “Perché non ci hai provato con me quando stavamo sul divano?” Mi sono sentito preso in contropiede e ho risposto banalmente: “Perché non vorrei mai che tu potessi sentirti forzato in nessun modo.” Lui mi ha guardato e mi ha detto: “Io ho pensato esattamente la stessa cosa di te…” E ci simo abbracciati strettissimi. Sentire la fisicità di un ragazzo che ti vuole è una sensazione fortissima, non sono parole ma è proprio il suo corpo. L’abbraccio è stato intensissimo, voluto, profondo, era già un modo di essere una cosa sola.

Pensavo che dopo sarebbe stata tutta una strada in discesa ma non è stato così. Lui mi stringeva ma non era veramente felice. Gli ho detto: “Ti vedo sconvolto…” Lui si è staccato da me e mi ha detto: “Devo dirtelo… io sto pensando ad un altro ragazzo, e vorrei che adesso qui ci fosse lui. Io un po’ un discorso del genere me lo aspettavo e gli ho detto: “Beh in una situazione come questa pochissime persone avrebbero la forza di fare un discorso come questo, lo apprezzo moltissimo, perché è un discorso onesto.” Mi vedevo riportato un’altra volta nel ruolo del consolatore, ma non mi sembrava affatto una cosa secondaria. In fondo tra noi si era creato in pochissimo tempo un rapporto di totale chiarezza, che è una cosa più unica che rara. Ma quella chiarezza non aveva messo in crisi nulla, anzi, aveva rafforzato un legame che ormai era dato per scontato da entrambe le parti.

Abbiamo cucinato insieme e la sintonia era perfetta. Sembravamo un équipe chirurgica affiata. Dopo cena mi ha detto che si sentiva stanchissimo, anche se non erano ancora le dieci. Se ne va in bagno e poi si mette al letto, mi chiama, vuole che metta la poltrona accanto al letto e che mi sieda in poltrona, mi dice: “Se vuoi…” Io sorrido e gli dico: “Certo che voglio!” e mi siedo accanto a lui. Ha due occhi meravigliosi, di quelli che ti rubano l’anima. Gli accarezzo i capelli per qualche minuto e lui si addormenta. Evidentemente si sentiva al sicuro e non si sentiva minimamente condizionato. Anche io me ne vado a dormire. In pochissimo tempo il nostro rapporto era diventato importantissimo, io ero contento che lui fosse lì ed era venuto da Milano per me. Pensavo che non avrei dormito per l’affollarsi dei pensieri ma non è successo così e ho dormito benissimo.

Mi sono alzato la mattina alle 7.00 e ho preparato la colazione, poi sono andato a svegliarlo, si è stiracchiato come un gatto e mi ha fatto un bellissimo sorriso. Gli ho detto: “La colazione è pronta!” Si è alzato ed è venuto a tavola in pigiama. A un certo punto mi ha detto: “Non te la sei mica presa per quello che ti ho detto ieri sera?” Io gli ho fatto cenno di stare zitto e di mangiare e lui ha risposto sì con la testa. Io gli dico: “Oggi ti porto al Museo Pigorini all’EUR e penso che ti piacerà parecchio!” Gli spiego brevemente di che cosa si tratta e mi sembra molto interessato. La visita al museo mi ha dato una chiara idea dello spessore culturale di quel ragazzo. Lui è un ingegnere ma sapeva moltissime cose di preistoria, dell’uomo di Neanderthal , delle periodizzazioni geologiche e di mille altre cose. La nostra non è stata una passeggiata di corsa attraverso il museo, ma una visita decisamente attenta e molto selettiva, soprattutto orientata verso il settore preistorico e meno verso quello etnografico.

Siamo rientrati a casa che erano quasi le tre, ma avevamo preso qualcosa da mangiare in rosticceria e il pranzo ha richiesto poco tempo. Dopo è subentrato un momento di reciproco imbarazzo, bisognava rompere il giaccio. Io non volevo fare danni e nemmeno lui, ma poi ha preso l’iniziativa e io non mi sono fatto pregare. Di esperienze sessuali nel vero senso della parola non ne avevo avute moltissime ma un minimo di esperienza ce l’avevo anche io (e anche lui), ma, per quanto mi riguarda, stare con lui era proprio una cosa totalmente diversa, era tutto spontaneo, ci si capiva, non c’era il minimo imbarazzo, insomma con lui stavo “bene” mi sentivo sereno, capito, accettato, importante e lo vedevo a suo agio.

C’è stato però un momento che mi ha turbato profondamente. Quando abbiamo finito lui aveva gli occhi umidi ma non ho osato chiedergli il perché. Il giorno appresso la cosa si è ripetuta, anche se in tono minore, ho provato a esplorare il terreno, lui mi sorrideva, mi accarezzava il volto e non parlava ma i suoi occhi tristi parlavano per lui. Il pomeriggio del terzo giorno ci siamo salutati molto calorosamente ma lui aveva un atteggiamento serio, pensieroso e non voglio dire triste. Gli ho mandato un sms per dirgli grazie e mi ha risposto con una frase che mi ha fatto tremare: “Non so se ho fatto bene. Perdonami.” Ho calcolato i tempi che ci avrebbe messo ad arrivare a Milano e l’ho chiamato. Mi ha detto che era appena arrivato a casa. Io gli ho detto che ero preoccupato per quelle frasi e lui mi ha detto: “Non ti devo illudere, perché ci puoi rimanere malissimo…” Gli ho detto che non sono affatto illuso ma che gli voglio bene, che lui con me è stato onesto al 100% e che non si deve sentire vincolato in nessun modo, perché la sua libertà, per me, è sacra. Ha aggiunto: “Però quando ti ho detto che non stavo penando a te ma al mio ex, beh penso che sia stata come una coltellata per te …” Gli ho detto: “No, è chiaro che continui a pensare a quel ragazzo e che potresti pensare anche ad altri ragazzi, ma non è che ti posso voler meno bene per questo, ti voglio bene per quello che sei e per come mi hai trattato, non mi era mai successo niente di simile …” Lui mi ha risposto: “Beh, però devi tenere conto che non ti posso garantire niente, perché sono un tipo molto volubile…” Gli ho detto che non mi deve garantire proprio niente, ci mancherebbe altro! Alla fine della telefonata mi ha detto che non sapeva se mi avrebbe richiamato e io gli ho risposto: “Se non lo fai tu lo faccio io, basta che tu rispondi…” E mi ha detto: “Su quello ci puoi contare!” e la telefonata è finita così.

Non si è fatto vivo per una settimana e allora l’ho chiamato. È stato contento. Mi ha detto che aveva rivisto il suo ex e che stavano provando a rimettersi insieme. Ma il tono non mi sembrava proprio quello di un ragazzo innamorato, insisteva molto su verbi come provare, cercare di, ma in effetti l’entusiasmo non c’era proprio. Io dovevo guardarmi bene dall’intromettermi nelle sue storie importanti, ma avevo molti dubbi circa il fatto che quelle fossero veramente storie importanti. Comunque mi sono sentito di troppo e mi sono ritirato in buon ordine, non l’ho chiamato per una settimana e poi mi ha chiamato lui, sembrava più sereno, non era imbarazzato dal parlare con me, dava per scontato che il fatto che si fosse rimesso col suo ex non avrebbe mandato in frantumi il nostro rapporto.

Per me la situazione era imbarazzante perché io pensavo che lo fosse per lui e per lui era imbarazzante perché lui pensava che lo fosse per me. Siamo stati a parlare per un paio d’ore, la presenza del suo ex non si avvertiva minimamente. Abbiamo anche scherzato e detto stupidaggini, poi il discorso è tornato sul tono serio e mi ha detto che si era sentito osservato da me quando avevamo finito di fare l’amore e gli veniva da piangere e mi ha detto che gli veniva da piangere perché lui avrebbe voluto fare l’amore in quel modo col suo ex e si sentiva uno che mi stava ingannando e ha aggiunto “come adesso sto ingannando il mio ex, perché non me ne sento più innamorato” Gli ho chiesto: “E allora perché ti ci sei rimesso?” E lui mi ha risposto: “Lui ha insistito tantissimo e non sono stato capace di dirgli di no, e adesso si è illuso un’altra volta e io lo sto imbrogliando.”

Gli ho chiesto: “Ma tu che cosa vorresti?” e mi ha detto che vorrebbe che il suo ex fosse come me, la qual cosa mi ha inorgoglito molto ma mi ha anche frenato molto. Lui ha continuato a stare col suo ragazzo col proposito di poterlo cambiare almeno un po’ dall’interno. Con me il contatto non si è mai interrotto, ma non è venuto a Roma fino al Natale successivo, in pratica per 10 mesi, e io non sono andato a Milano, o meglio, ci sono andato per lavoro, ma sono andato in albergo senza dirgli nulla, per non intromettermi nei suoi progetti sentimentali. L’11 Dicembre mi chiama e mi dice: “Domani vengo da te… “ Io capisco che cosa vuol dire quella frase, provo a chiedergli che cosa è successo, ma mi risponde. “Non fare domande, ci vediamo domani, arrivo col treno delle 11.00.”

Vado a prenderlo in stazione, vorrei portalo a pranzo fuori ma mi frena: “No! Andiamo a casa!” Una volta dentro, mi abbraccia strettissimo e mi dice: “Mi mancavi tanto!” Il resto te lo puoi immaginare. Da allora sono passati quasi 4 anni. Lui sta cercando di trasferirsi a Roma ma non è facile. Un fine settimana vado io da lui e uno viene lui da me. Vivendo insieme con lui posso dire che mi sembra di vivere una favola e nello stesso tempo una situazione di normalità totale. Noi non siamo una coppia convivente, siamo conviventi ma non siamo una coppia, semplicemente ci vogliamo bene, tra noi non ci sono vincoli, finché funziona tutto da sé, ok, altrimenti continueremo a volerci bene in un altro modo. Mi fermo qui. Se vuoi, metti nei siti questa mail, gliel’ho fatta leggere e quando ha finito di leggere mi ha detto che non devo mitizzare e mi ha dato un bacio in fronte.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post, aperta sul forum di Progetto Gay:

http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=22&t=6956

STORIA DI UN GAY E DI UNA TRANS

Caro Project,
sono un gay di 39 anni, non posso dire un ragazzo gay perché non sono più un ragazzo e non mi sento un ragazzo. Ho avuto la mia vita e le mie storie ma non è di me che vorrei parlarti. Ieri notte (la notte tra il 23 e il 24 Agosto) girando sui canali TV come faccio spesso, sono capitato su Rai Tre, e ho visto una trasmissione sulla transizione, cioè sui trans e sulle trans. La trasmissione era bellissima, da fare venire i brividi e per me è stata sconvolgente perché mi ha fatto tornare prepotentemente alla superficie della coscienza la storia che ho vissuto con una trans, che all’inizio era un ragazzo. Ovviamente resterò molto sulle generali ma certi ricordi non solo non si dimenticano ma restano come metro di misura per tante altre cose. Sorvolo per necessità anche sulle date.
In un certo anno, quando non ero più giovanissimo ed ero di nuovo single dopo una convivenza di alcuni anni, incontro per motivi di lavoro un ragazzo molto giovane che era appena uscito dalla scuola. È un bel ragazzo, lo chiamerò Norbert. Lo osservo solo perché un bel ragazzo ma è del tutto al di fuori dei miei orizzonti, troppo giovane e poi, francamente, dovevo ancora leccarmi le ferite della mia convivenza finita. Passano un paio di mesi, siccome i motivi di lavoro restano, ho modo di incontrare Norbert parecchie volte, anche tre o quattro volte alla settimana. In breve si crea una certa simpatia tra noi. Norbert è sveglio, affidabile, conosce il suo lavoro, è quasi stupito che lo tratto con rispetto, col passare di giorni Norbert tende a parlare di più con me e anche, qualche volta, a sorridere, ma molto di rado. Comincia a starmi molto simpatico e a fidarsi di me, la cosa non mi dispiace. Comincio a pensare che sia un ragazzo gay e che si sia innamorato di me, il suo modo di fare me lo fa pensare. Comincio a chiedermi che devo fare, Norbert è un bel ragazzo ma francamente non mi tenta, penso che con lui non potrei mai costruire niente di concreto, non fosse altro che per la differenza di età, e allora decido che devo tenerlo a distanza e che devo raffreddare i suoi entusiasmi soprattutto per il suo bene perché altrimenti potrebbe rimanerci pesantemente deluso. Provo a prendere le distanze, ma lui mi insegue e non me lo permette. Un giorno mi chiede di accompagnarlo in macchina ad un paese vicino, e in macchina succede tutto quello che deve succedere, ma non quello che io mi sarei aspettato. Mi dice di accostare in una piazzola e mi chiede di punto in bianco: ”Sei gay?” Io mi sento in un imbarazzo tremendo e non rispondo, lui continua: “Lo avevo capito subito… e allora perché scappi?” allora cerco di prevenirlo: “Perché sei troppo giovane e poi io ho già un compagno (ma in realtà non lo avevo).” Lui mi risponde in un modo che mi spiazza: “Per me se hai un compagno non fa nessuna differenza!” Gli chiedo: “In che senso?” Mi dice: “Tu mi piaci ma in un modo che non puoi capire.” Lo guardo perplesso e mi dice: “Io mi sono innamorato di te perché mi sento donna e tu sei l’unica persona che mi ha trattato con rispetto, non credo che un gay possa innamorarsi di una donna nel corpo di un uomo, non funzionerebbe proprio, non avere paura, lo so.” Io mi sento frastornato, non so come reagire, lui se ne rende conto e mi dice: “Tu mi vedi come un ragazzo ma io sono una ragazza e voglio essere una ragazza. Non immagini quello che ho passato a scuola e anche in famiglia.” Il primo impeto che ho avuto è stato quello di scappare via perché non volevo immischiarmi in cose troppo complicate delle quali non sapevo nulla e poi non volevo avere nessun contatto con la famiglia di Norbert, perché non sapevo che cosa i suoi genitori avrebbero potuto pensare di me. Norbert era maggiorenne ma le complicazioni potevano essere molto grosse. A un certo punto mi dice: “Non mi chiamare Norbert, chiamami Magda, perché voglio chiamarmi così.” Per me chiamarlo Magda era difficilissimo ma con un certo sforzo ci sono riuscito. Quando sono tornato a casa avevo il cervello in ebollizione, ero uscito di casa nella convinzione che Norbert si fosse innamorato di me e rientravo a casa con la certezza che Norbert era in realtà Magda e voleva che io la aiutassi a cominciare il cammino di transizione, tutto questo mi sconvolgeva la vita e non ero preparato a tutto questo, avevo paura di finire schiacciato da responsabilità troppo grosse e di perdere completamente la mia autonomia. Mi dicevo che dovevo assolutamente cavarmi fuori da tutta questa storia, ma poi non ne avevo il coraggio. Magda capiva le mie paure e cercava di non alimentarle, era presente nella mia vita e sapeva quello che voleva da me ma non era una presenza ossessiva, aveva il senso del limite. Io mi aspettavo che potesse sfogarsi con me raccontandomi della sua vita ma lei non lo faceva, o, se lo faceva, lo faceva in modo molto limitato. Lei cercava una solidarietà vera non una spalla su cui piangere. Abbiamo parlato moltissimo ma sempre in modo molto controllato e quasi distaccato, lei non voleva spaventarmi, però anche da questo sforzo titanico di autocontrollo si capiva l’oceano di dolore che si portava dentro. Al lavoro continuava ad essere Norbert, ma quando la accompagnavo a casa Norbert era Magda, col passare dei giorni il nostro rapporto, per me, ha cessato di essere una preoccupazione e ho cominciato a chiedermi che cosa potevo fare di concreto per permettere a Magda di realizzare il suo sogno. Ho cercato di documentarmi, sono stato nottate intere su internet a cercare siti che parlassero seriamente di queste cose per sentirmi meno sprovveduto ma poi mi sono accorto che Magda ne sapeva cento volte più di me e che quindi non avrei potuto certamente aiutarla in quel modo. Abbiamo parlato moltissimo soprattutto del suo rapporto coi genitori. Il suo problema era quello di avere il supporto dei suoi genitori. I genitori pensavano che lei fosse in realtà un ragazzo gay, ma non accettavano comunque nemmeno una situazione del genere. Fare accettare loro che il loro ragazzo si sentiva in realtà una ragazza e voleva seguire il percorso di transizione mi sembrava una cosa assolutamente impossibile, l’ho detto chiaramente a Magda anche se sapevo che questo per lei poteva essere sconfortante. Magda però non era dello stesso parere e mi diceva: “Io sto preparando il terreno, però, quando sarà il momento, tu dovrai fare la tua parte.” In pratica lei nei giorni precedenti aveva cominciato ad accennare la questione ai genitori, che però erano molto perplessi e si sentivano del tutto inadeguati. Mi disse che aveva parlato di me ai genitori, cosa che mi mise molto in allarme, e aggiunse che aveva anche detto loro che io ero gay e che avrei potuto spiegare a loro tante cose. In pratica i genitori erano convinti che Magda non fosse una trans con la cosiddetta disforia di genere ma un gay con degli atteggiamenti interiorizzati troppo femminilizzati e erano arrivati ad accettare l’idea che Magda potesse trovarsi un ragazzo. Lei aveva provato a spiegare ai genitori che la questione era completamente diversa ma loro pensavano che conoscere un gay “vero” avrebbe permesso a Magda di capire che anche lei era “solo” un ragazzo gay. Dopo non molti giorni, Magda mi disse che era il mio momento e che i suoi mi aspettavano nel pomeriggio. Io non ho avuto il coraggio di tirarmi indietro e sono andato dai genitori di Magda, che mi hanno accolto con rispetto ma anche con sospetto. I primi momenti sono stati di estremo imbarazzo, ho dovuto spiegare che ero proprio gay, che avevo convissuto con un uomo per anni, questo per fare capire loro che ero un gay “vero”, poi ho raccontato come avevo conosciuto Magda, ma non sapevo come andare avanti, perché l’atmosfera era di gelo. Magda ha capito che la cosa stava prendendo una brutta piega e ha chiesto ai genitori di esporre i loro dubbi dicendo che io avrei risposto a tutte le loro domande. I genitori hanno fatto uno sforzo enorme e piano piano siamo entrati nel vivo della questione. Il padre ha cominciato con queste parole: “Norbert si fida molto di lei, la considera un amico molto serio e ci teneva molto che ci incontrassimo con lei, adesso siamo qui e dobbiamo cercare di capirci, perché noi a nostro figlio ci teniamo moltissimo.” Siamo rimasti a parlare tutti e quattro fino a mezzanotte. I genitori insistevano sul fatto che Norbert fosse solo un ragazzo gay magari un po’ effeminato, e fare capire loro che Norbert non era affatto effeminato e non era affatto gay è stato veramente difficilissimo, perché la loro interpretazione delle cose li metteva al riparo dall’idea della transizione fisica che era quella che li spaventava di più. Partivano dall’idea che siccome Norbert non aveva mai portato a casa una ragazza e non aveva mai parlato di ragazze potesse essere interessato ai ragazzi e questo per loro voleva dire che Norbert era gay. Ho provato a fare capire loro che un gay è un ragazzo che si sente maschile al 100% che si innamora di un altro ragazzo perché lo vede maschile al 100%, mentre una trans si innamora di un ragazzo perché si sente donna e se ne innamora come se ne innamora una donna e le due cose sono diversissime. Capire questi concetti per loro era difficilissimo. Pensavano che un gay si innamorasse di un ragazzo perché non si sentiva all’altezza di stare con una donna e che vedesse il suo compagno come una donna, che in una coppia gay ci fosse un gay maschile e un gay femminile e cose simili e pensavano che un ragazzo effeminato fosse molto interessante per un gay proprio perché più femminile. E poi avevano un concetto stranissimo di effeminatezza, per loro l’effeminatezza non era legata ad aspetti esteriori ma all’intima sensazione di avere una personalità nettamente femminile, per questo loro consideravano Norbert effeminato, anche se non lo era affatto. Alla fine ho detto ai genitori che se invece di usare in nome di Norbert avessero usato quello di Magda, lei ne sarebbe stata felice. La madre l’ha chiamata Magda e l’ha abbracciata. Il padre ha detto. “Mi ci vorrà un po’ di tempo ma mi ci abituerò.” Magda mi ha riaccompagnato alla macchina e era raggiante, era contenta di me e di come mi ero comportato e soprattutto delle reazioni dei genitori che sembravano possibiliste. Ti giuro, Project, che non avrei mai immaginato un pomeriggio come quello, ma appresso a quello ce ne furono tanti altri. Magda sapeva come muoversi e i genitori erano in fondo brave persone la cui vita era stata sconvolta da cose alle quali non erano minimamente preparati, loro volevano il bene di Magda ma non capivano in che cosa, in realtà, questo bene potesse concretizzarsi, comunque fare accettare ai genitori l’idea della transizione fisica fu un’impresa molto più difficile del previsto. Temevano che ci potessero essere per Magda delle gravi conseguenze a livello di salute, anche loro avevano cominciato a documentarsi ma erano disorientati. Accettavano i sentimenti trans di Magda ma solo a livello psicologico, per loro le terapie ormonali e gli interventi chirurgici erano qualcosa di inconcepibile, quasi un modo di ribellarsi alla volontà di Dio. Non avevano pregiudizi di carattere religioso ma avevano paura di spingere Magda verso una scelta di cui magari avrebbe potuto pentirsi in seguito. Erano le stesse perplessità che avevo anche io, ma Magda era molto determinata e in fondo il percorso di transizione sarebbe stato seguito da gente esperta e questo mi confortava. Alla fine comunque i genitori hanno accettato a malincuore anche la prospettiva della transizione fisica. Magda era felice, perché i genitori quanto meno l’avevano lasciata libera e non le avevano imposto nulla. Magda ha cominciato il suo percorso di transizione che però, diciamo pure in modo inatteso sia per me che per i genitori, si è concluso in una fase precoce solo psicologica, in altri termini prima delle terapie ormonali e prima della chirurgia, Magda ha parlato a lungo con un endocrinologo che le ha chiarito che avrebbe dovuto continuare ad assumere estrogeni a vita e che in fondo sarebbero cambiati i suoi caratteri sessuali secondari ma non avrebbe comunque perso la caratteristica genetica maschile e non avrebbe acquistato quella femminile. Lo psicologo insisteva sul fatto che la scelta di Magda di portare avanti la transizione doveva essere assolutamente libera e consapevole e che se aveva dei dubbi, anche piccoli, avrebbe fatto bene a prendersi il suo tempo per rifletterci sopra molto seriamente. Così c’è stato un rinvio e dopo tre mesi Magda ha maturato la decisione di non procedere oltre. In realtà Magda si sentiva in una identità femminile ma in qualche modo imperfetta e completata da un residuo di identità maschile, che in fondo non era del tutto rifiutata. Non portare avanti la transizione è stata una scelta che forse poteva essere stata ispirata anche dai genitori di Magda, questo mi è venuto in mente tante volte, ma mi rendevo conto che lei era serena e che il fatto di non procedere con la transizione era in fondo una sua scelta, perché i percorsi individuali non sono mai standard. La sospensione della transizione è stata seguita da un periodo di terapia psicologica di sostegno con una dottoressa molto competente e, in sostanza, non ci sono stati problemi. Restava comunque una malinconia profonda, che era poi quella sulla quale era incentrata la psicoterapia: era la paura della solitudine, la paura di non trovare mai un compagno. Con la transizione fisica portata a termine, Magda avrebbe avuto un aspetto femminile e “forse” avrebbe potuto trovarsi un ragazzo ma non avrebbe potuto avere figli e questo sarebbe stato comunque un condizionamento enorme. Senza la transizione fisica, Magda-Norbert sarebbe stato interessante solo per i gay ma anche con i gay alla lunga sarebbero venuti fuori problemi molto seri, e poi il sogno di Magda sarebbe stato trovare un ragazzo che si innamorasse di lei “come donna”. Senza la transizione fisica, Norbert è rimasto Norbert anche sul posto di lavoro. I miei amici, che sapevano di me, pensavano che Norbert fosse il mio ragazzo e non mi credevano quando dicevo loro che non lo era, perché Norbert, o meglio Magda, era “in un certo senso molto affettivo” la mia ragazza. La nostra storia è andata avanti per altri due anni, poi Magda, incredibile a dirsi, ha trovato un uomo etero che si è innamorato di lei e che ha avuto un coraggio enorme perché Magda era apparentemente un ragazzo a tutti gli effetti. Ho anche conosciuto il ragazzo di Magda e mi ha fatto un’ottima impressione. Lei pensava che se avesse portato a termine la transizione avrebbe potuto sposare quel ragazzo anche legalmente; allora non c’erano ancora le unioni civili, poi quando ci sono state pure in Italia, hanno fatto un’unione civile che è comparsa anche su qualche giornale come “unione gay” anche se di una unione gay c’era solo l’apparenza. Poi se ne sono andati a vivere a Milano e adesso ci sentiamo solo per le feste e per i compleanni. Chiaramente Magda continua a lavorare come Norbert ma tutto sommato penso abbia trovato almeno una relativa tranquillità, ha un ragazzo che le vuole bene. Quando hanno fatto l’unione civile hanno fatto una specie di viaggio di nozze e sono venuti a trovarmi, Magda era felice, lo si vedeva dal sorriso.
Non penso che molti gay abbiano vissuto una storia simile, in genere l’argomento trans è un tabù anche per i gay, La trasmissione di ieri notte mi ha indotto a pensare che più si parla in modo serio di queste cose più si migliora il livello della vita di tutti.
Fai liberamente quello che vuoi della mail.
Un affettuoso saluto.
Daniele (nome purtroppo inventato)

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AMORI GAY INDUSTRIALI

Caro Project,
parto dall’inizio, ho quasi 27 anni, ho sempre saputo di essere gay e la cosa per me è stata naturale, mai nessun problema e mai nessun dubbio. I problemi non li avevo io, ma li avevano gli altri e io non potevo che pagarne le conseguenze. Non sono mai stato bravo a scuola e ho sempre avuto parecchi complessi anche per questo, però forse questo mi ha aiutato e ha convogliato l’attenzione dei miei genitori sui problemi scolastici, evitando che si concentrasse sul fatto che non avevo ragazze intorno. Dopo la maturità ho fatto un corso semestrale molto specialistico e lì me la sono cavata piuttosto bene, anche meglio degli altri ragazzi. Alla fine del corso mi hanno chiamato per un colloquio in una grossa azienda, e contro ogni mia aspettativa mi hanno preso. I miei genitori erano contrari perché sarei dovuto andare fuori della mia regione in un posto molto lontano e il salario era basso e mio padre mi avrebbe dovuto pagare un alloggio vicino all’Azienda. Comunque poi mio padre ha finito per dirmi di sì e sono partito.

Avevo compiuto ventidue anni da qualche mese e mi sentivo finalmente libero, ma ero anche molto spaventato, ho fatto un tirocinio di sei mesi e mi hanno confermato a tempo indeterminato. Il salario reale era meglio di quello che mi aspettavo e poi non avevo spese, perché dal lunedì al sabato, a pranzo, mangiavo in Azienda, ma siccome la produzione era a ritmo continuo, c’era la mensa anche per la cena, e anche la mattina per la colazione, ma la cena e la colazione le dovevo pagare, ma costavano veramente poco e non erano niente male. Insomma, dopo tre mesi, ho detto a mio padre che ce la facevo a pagarmi l’alloggio da me e che non avrebbe più dovuto farmi il bonifico mensile, perché i miei non sono affatto ricchi.

Mi sono messo in giro per cercare una casetta in affitto, anche un buco ma che doveva essere solo mio, ne ho trovato una non vicinissima all’Azienda, più o meno un chilometro e mezzo, a piedi 35 minuti di buon passo, ma era una casetta singola con un pezzettino di orto di non più di 400 mq. Appena ho potuto, anche rimettendoci a quattrini, ho lasciato la stanza che avevo affittato e mi sono trasferito. Avevo scoperto che in Azienda si poteva dare la disponibilità per fare turni di lavoro straordinari, io non avevo carichi di famiglia e con gli straordinari riuscivo non solo a pagarmi la casetta ma anche a mettere un po’ di soldi da parte e a fare qualche spesa extra (macchina fotografica, e con qualche sforzo un PC nuovo).

Mi sentivo un re, ma ero solo. Ovviamente in Azienda avevo cominciato a guardarmi intorno, come fanno tutti i ragazzi gay, a caccia di altri come me, ma francamente erano tutti molto più grandi di me, tutti o quasi sposati con figli. Nel reparto dove lavoravo io, il più giovane dopo di me aveva 36 anni, era pelato e aveva la pancia che gli usciva fuori della cinta e probabilmente era pure etero. Nel reparto si lavorava e non si perdeva tempo, io cercavo di fare del mio meglio. Vedevo che i capi qualche volta rimproveravano qualcuno degli addetti che aveva fatto male il suo compito, ma a me non mi rimproveravano mai.

Un giorno però viene da me il Capo turno e mi dice che so fare il mio lavoro e che lo faccio bene. Io mi sento molto incoraggiato. Nel settore affidato a me avevo notato che una delle macchine che io conoscevo meglio non era impostata nel modo migliore e che c’erano delle operazioni che, con quelle impostazioni richiedevano molto più tempo e molto più intervento umano di controllo. Mi viene in mente che ci potrebbe essere una soluzione, lo dico al Capo turno che però non mi prende troppo sul serio e mi dice solo che ne parlerà con l’ingegnere responsabile dell’automazione. Io penso che me lo abbia detto tanto per dire una cosa e penso che la storia sia finita lì.

Due giorni dopo viene da me il Capo reparto e mi dice che l’Ingegner Bordin (nome modificato) vuole parlare con me a fine turno. Io mi sento molto gratificato, a fine turno mi lavo bene le mani e la faccia e vado in Amministrazione. L’ambiente è lussuoso ma senza esagerare, trovo lo studio dell’Ingegnere, la segretaria, una signora sui 55, mi dice che l’Ingegnere arriverà a minuti e mi fa accomodare nella stanza. Mi sento intimidito, c’è un computer acceso con dei disegni di linee di produzione e faldoni di carte dappertutto. Dopo neppure 5 minuti arriva l’Ingegnere e qui mi prende un infarto, io mi aspettavo uno anziano e invece è un bellissimo ragazzo che secondo me non ha nemmeno trent’anni, mi sorride subito, mi dà la mano, una bella mano calda e forte e poi mi dice che il Capo turno gli ha detto che si potrebbe modificare il settaggio di una macchina industriale e che glielo avevo proposto io, e mi chiede di che si tratta. Io cerco di spiegarglielo, ma è evidente che sono cose delle quali lui non capisce nulla.

A un certo punto mi chiede: “Ma lei è sicuro di quello che dice?” Io gli dico che penso di esserne abbastanza sicuro ma che bisognerebbe fare una prova, cioè bisognerebbe resettare la macchina nel nuovo modo e vedere che cosa succede facendole fare le lavorazioni che fa adesso, per vedere se è in grado di fare tutto in automatico. Lui mi chiede quanto potrebbe durare la prova, gli dico: “Al massimo 10-15 minuti”, lui mi dice di fare la prova e di fargli sapere se la cosa funziona, se il Capo reparto fa storie devo dirgli che sono stato autorizzato da lui. Aggiunge che devo fargli avere quanto prima una relazione sull’esito della prova, poi mi sorride, mi dà la mano e mi congeda.

Mi precipito dal Capo reparto che apre le braccia e mi dice: “Vabbe’, però interrompiamo la linea per il tempo minore possibile.” Restiamo d’accordo che avrei fatto la prova tra le 3.00 e le 3.30 della notte, quando l’impianto funziona a regime più basso, tutto per minimizzare gli effetti provocati dall’interruzione della linea di produzione. Io torno a casa, mi studio tutti i manuali tecnici, scrivo il programma di resettaggio, rileggo i programmi decine di volte, monto il simulatore sul mio PC e procedo ad avviare l’esecuzione standard del pezzo. Sembra che tutto funzioni alla perfezione. Carico il programma sulla pennetta e mi metto a scrivere la relazione per l’Ingegnere, dando per scontato che tutto funzionerà come previsto anche sulla macchina vera. All’una e trenta di notte esco dalla mia casetta e vado in Azienda. Do il segnale di fermo della produzione per 15 minuti, “causa manutenzione” alle 3.05 in punto. Carico il programma di resettaggio, inserisco un pezzo da lavorare e alle 3.09.10 il pezzo esce dalla macchina perfetto, addirittura migliore anche a occhio rispetto a quello che si otteneva con la vecchia procedura.

Lascio la macchina con il mio settaggio e alle 3.12.00 riavvio il ciclo di produzione. Prendo un pezzo fatto con la vecchia tecnica e quello fatto con la nuova sul quale metto una goccia di vernice rossa. Poi torno a casa, completo la relazione. In pratica coi nuovi settaggi il tempo si riduceva da 7 minuti e 10 secondi a 4 minuti e 10 secondi e non compariva sul pezzo nessun segno di discontinuità di lavorazione. Torno a casa sfinito ma contento. La mattina alle 7.00 inizio il turno. Vado dal Capo turno, gli dico che ho fatto la prova e che è andata bene, mi risponde che ha visto una velocizzazione della linea e mi dice che ho fatto un buon lavoro. Gli chiedo se posso andare dall’Ingegnere, lui mi dice di sì e io vado.

L’Ingegnere non c’è ma la segretaria lo chiama al cellulare e mi dice di accomodarmi e di aspettare. Arriva dopo pochi secondi, mi sorride, mi dice che è contento di vedermi e mi informa che il Capo turno ha rilevato un’accelerazione di linea quasi del 7%. Gli do la relazione, la sfoglia più che leggerla, poi mi offre un caffè. Temo che mi chieda qualcosa sulla scuola, ma non lo fa, si fa portare due caffè e prendiamo il caffè insieme, poi parliamo un po’, mi chiede da quanto tempo sto in Azienda, dove abito, dove ho lavorato prima, come mi trovo coi colleghi di lavoro, io mi azzardo a girare a lui le stesse domande e mi risponde in tono molto amichevole, si fida di me, mi dice che ha 29 anni, che sta in Azienda da tre anni ma che è molto stressato dal lavoro, non accenna a moglie o figli né a fidanzate, forse quelli sono discorsi troppo personali, poi mi chiede il numero di cellulare, lo scrive sulla mia relazione tecnica e la mette nel cassetto. Poi mi dice che gli dispiace dovermi rimandare al reparto perché si vede che sono un bravissimo ragazzo e mi congeda con una stretta di mano più forte e più calda del solito e che dura qualche istante di più del previsto. Io torno in reparto tutto gasato.

Il Capo turno mi chiama e mi chiede se mi intendo anche di un’altra macchina a controllo automatico, mi spiega che si sono dei problemi che non sono mai stati risolti, e mi dice che, quando ho tempo, potrei dare un’occhiata anche a quella macchina . Gli dico che va bene.

Project non vado oltre nel raccontare i dettagli, in tempo di due mesi tutte le macchine a controllo automatico sono state resettate e riprogrammate per ottimizzare la produzione, i tempi si sono ridotti quasi del 20% e lo standard di produzione è migliorato. Siccome sono giovanissimo, rispetto ai loro standard, i colleghi non mi guardano con invidia e i capi mi incoraggiano molto. Sono stato dall’Ingegnere quattro volte in un mese e si è creata una simpatia reciproca molto particolare, solo che lui è un dirigente e in Azienda c’è molta gerarchia e le regole bisogna rispettarle.

Be’, però una sera, dopo poco più di due mesi dal nostro primo incontro mi chiama al telefono dandomi del lei, io penso che sia per questioni legate alle macchine, ma non è così, parla di altre cose, della vita che non soddisfa, del lavoro che disillude e stressa, del tempo che passa, io penso ad ogni momento che finiti i preamboli comincerà a parlarmi di lavoro ma non succede. Stiamo al telefono più di un’ora, poi mi chiede: “Possiamo darci del tu? … Però solo fuori Azienda, se no sembra strano.” È una richiesta che fa accendere molte lucine nel mio cervello! Io gli rispondo che va benissimo, lui mi dice che si chiama Stefano e io gli dico che mi chiamo Dario. Lui mi fa: “Grazie, Dario, è stato veramente un piacere parlare con te stasera, tu hai il mio numero, se mi chiami mi fa piacere, non te lo dimenticare!” Dice queste cose con voce molto esitante e questo mi fa una grande tenerezza. Io gli dico. “Grazie, Stefano, mi farò vivo a breve, ci puoi contare!”

Quando chiudo il telefono mi brillano chi occhi, è evidente che Stefano è gay e che tra noi si è creato un feeling speciale e poi è un bellissimo ragazzo, non mi mette in soggezione per niente, anzi è lui che si sente in imbarazzo con me.

Lui sapeva i miei turni di lavoro e io i suoi, e in Azienda non ci incontravamo mai, perché poteva essere imbarazzante per tutti e due, ma dopo un altro mesetto, eravamo arrivati al punto che ci sentivamo tutti i giorni e ci vedevamo un giorno alla settimana, quando eravamo liberi tutti e due. Io prendevo il pullman di linea e andavo nel secondo paesetto verso monte e lui arrivava lì in macchina, parcheggiava e si andava in giro per i boschi, poi la sera mi riportava a casa in macchina. È stato proprio in una di queste passeggiate che siamo arrivati a parlare chiaro, è stato tutto molto più facile di come lo avevo immaginato. Gli ho detto: “Beh, mi sa che comincio io … io sono gay e penso che mi sto innamorando di te…” Lui mi guarda e sorride con un sorriso larghissimo, poi mi dice: “Lo avevo capito la seconda volta che ci siamo visti!”

Project, non pensare che quello che è venuto dopo sia stato facile e senza problemi, perché è stato esattamente il contrario. Era parecchio complessato dal fatto che lui aveva 29 anni e io non ne avevo ancora 23, ma non dimostrava affatto 29 anni, forse la mia età se non pure meno. Dal canto mio io ero complessato dal fatto che lui fosse ingegnere e fosse già uno che contava parecchio nell’Azienda e mi comportavo di conseguenza con lui, ma lui non alimentava questo mio complesso, non dava per niente l’aria di sentirsi superiore, anzi, era molto timido e impacciato. Lui vedeva solo la differenza di età, che poi non era niente di eccessivo, e si sentiva in colpa, come se lui potesse derubarmi della mia giovinezza, cioè quasi che lui potesse approfittare di me perché sono più giovane.

Un giorno gli ho chiesto quanto guadagnava e lui mi ha fatto vedere l’accredito dello stipendio. Guadagnava un bel po’ più di me ma non poi così tanto più di me. Non poteva fare straordinari perché il suo contratto non prevedeva un orario di ufficio ma il suo lavoro era soggetto solo alla valutazione del Direttore del personale, be’, col suo lavoro guadagnava il 60% più di quello che potevo guadagnare io facendo tutti gli straordinari possibili, però anche se non aveva un orario di ufficio, stava in Azienda anche 12-16 ore al giorno, molto più di me! E poi era stressato dal lavoro, dalle preoccupazioni e del fatto che il top manager lo tenesse sempre sotto pressione.

Un giorno andiamo al solito paese e siccome l’indomani è festa nazionale decidiamo di restare lì in albergo, lui è ansioso fin dalla mattina, mi confessa che non ha mai avuto rapporti sessuali con nessuno e che ha una “fottuta” (parola sua, che non mi sarei mai aspettato!) paura delle malattie. Gli dico che fa benissimo ad avere paura delle malattie e che nemmeno io sono mai stato con nessuno. Lui me lo fa giurare. La sera ce ne andiamo in un albergo “diffuso” cioè in pratica ci mandano in una piccola baita separata ma perfettamente attrezzata. Stefano è ansiosissimo. Ci siamo stesi sul letto vestiti ma faceva freddo e abbiamo acceso il riscaldamento. In pratica abbiamo solo parlato tutta la notte. Io pensavo che lui avesse non dico amiche ma amici e invece non ne aveva, non vedeva nessuno fuori dell’Azienda, salvo me. I genitori non sapevano della sua omosessualità e fino a 29 anni aveva pensato “solo” a studiare e a lavorare.

Quando io parlavo del sesso sulla base di quello che avevo letto su Progetto Gay, lui mi stava a sentire con estremo interesse. Mi ha confessato le sue fantasie sessuali: masturbazione reciproca, “anche” sesso orale, ma penetrazione anale no, quella proprio nelle sue fantasie non c’era mai stata e lui era preoccupato da questo fatto perché pensava che fosse l’idea fissa dei gay. L’ho guardato negli occhi e gli ho detto che nemmeno io avevo mai pensato di fare sesso anale, che non avevo nulla contro la cosa in sé perché ciascuno deve potere fare quello che vuole. Stefano aveva ancora la concezione del sesso come gioco proibito, l’idea che il sesso fosse una forma d’amore gli sembrava strana, troppo dissacrante rispetto ai suoi principi.

Project, tu mi sei stato utilissimo, gli ho raccontato tante cose di quelle che hai scritto sul manuale e lui era sempre più perplesso. Abbiamo dormito solo dalle cinque fino alle 9.00, perché entro le 9.30 bisognava fare colazione in un bar in paese. Abbiamo camminato nei boschi per ore e ogni tanto c’è stato qualche contatto fisico, cioè ci siamo tenuti per mano. Lui mi lasciava totalmente l’iniziativa ma io avevo paura di fare qualche passo falso, di metterlo in difficoltà. A un certo punto gli chiedo: “Ti posso abbracciare?” Mi risponde con gli occhi e io lo abbraccio. Fremeva tutto, era proprio in estasi e anche io. Sentivo il corpo di un ragazzo che si faceva abbracciare da me ed era contento di farsi abbracciare da me, sentivo il suo cuore battere fortissimo, come il mio, sentivo il suo fiato sulla mia guancia e sentivo che mi stringeva fortissimo, siamo stati abbracciati così per lunghissimi minuti, poi ci siamo lasciati, ma non ci siamo baciati, avrei voluto che lui prendesse l’iniziativa ma non lo ha fatto.

Quando siamo tornati a casa mi ha chiesto di fargli vedere la mia casetta, io ero restio perché era tutto in disordine, ma lui insisteva e allora gli ho detto di sì. Lui è entrato e questa volta mi ha stupito, si è buttato sul mio letto e mi ha detto: “E se stasera resto a dormire con te?” Io gli ho detto che però avevo un letto solo e lui mi ha fatto notare che c’era una poltrona reclinabile e che avrebbe dormito lì, ma che aveva bisogno di restare con me. Abbiamo preparato una cenetta rapidissima e poi la fatica degli ultimi due giorni ha cominciato a farsi sentire: lui si è messo sul mio letto, ovviamente completamente vestito e io mi sono messo sulla poltrona reclinabile, anche quella volta non c’è stato sesso a nessun livello perché ci siamo addormentati quasi subito.

Adesso io e Stefano stiamo insieme da tre anni, viviamo formalmente da single per ragioni di lavoro, cioè per tenere il nostro rapporto del tutto al di fuori dell’ambiente di lavoro, però ci sentiamo al telefono tutti i giorni e passiamo insieme ogni settimana una serata, la notte, tutta la giornata successiva e poi la notte successiva, poi ricomincia la settimana di lavoro, ma riusciamo a passare due notti insieme alla settimana e io lo vedo felice, adesso le sue fissazioni del fatto che è troppo più grande di me gli sono passate. Ci abbiamo messo più di un anno ad avere i primi contatti sessuali ma poi è successo, è stato molto meno semplice di quello che mi ero immaginato, ma alla fine tra noi c’era un’ottima armonia anche a quel livello.

Purtroppo c’è una cosa che non mi fa stare tranquillo ed è lo stress al quale Stefano è sottoposto, perché è letteralmente ossessionato dal lavoro. È vero che guadagna di più, ma secondo me il gioco non vale la candela, se cambiasse mestiere guadagnerebbe di meno ma starebbe molto meglio e avremmo più tempo per noi. Ho in mente che, se potesse, cambierebbe lavoro anche a costo di rimetterci a livello economico, ma al momento l’unica alternativa sarebbe fare il libero professionista, cosa che potrebbe anche fare, ma è rischiosa e lo terrebbe comunque sulla corda.

Quando andavo a scuola io avevo professori ingegneri che facevano poco o niente, guadagnavano poco ma non facevano letteralmente niente! Adesso devo cercare di capire come potrebbe fare Stefano a fare l’insegnante, penso sia un po’ complicato, ma devo capire se c’è una strada e quale, poi dovrò cercare di parlargliene, perché secondo me si vuole sentire incoraggiato da me a fare un passo di quel genere, perché i suoi genitori gli direbbero certamente che è una follia.

La mia storia finisce qui, anzi comincia qui!
Ti abbraccio, Project, anche se non ci conosciamo, e ti ringrazio per tutto il supporto che indirettamente mi hai dato.

Dario

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RAPPORTI GAY INTERGENERAZIONALI SENZA SCHEMI

Caro Project,
ho letto il capitolo sui rapporti intergenerazionali del manuale Essere Gay e sono rimasto stupito, intanto perché hai trattato l’argomento, che in genere non è mai preso seriamente nemmeno dai gay, e poi perché quello che ho letto corrisponde abbastanza bene alla mia esperienza, nel senso che ho visto in diversi documenti gli stessi dubbi e gli stessi atteggiamenti che ho avuto io stesso, e poi ho notato che qua e là nel forum, si vedono tracce di rapporti intergenerazionali in qualche modo simili a quello che ho vissuto e che sto vivendo anche io.
Ho 56 anni, mi chiamo Piero, non sono ancora vecchio e tutto sommato, fisicamente, mi porto ancora bene, sono sportivo, faccio attività sportiva in modo regolare, sto attento all’alimentazione e fino ad oggi non ho avuto malattie serie, questo mi spinge a considerarmi in qualche modo ancora giovane. Ovviamente dieci anni fa ero già un uomo maturo, ma allora ero veramente quasi un giovane, mi davano molti anni di meno di quelli che avevo, e proprio a 46 anni ho incontrato Dario (nome di fantasia) che ne aveva 19. Io, gay, o meglio gay che aveva messo da parte l’idea di trovarsi un compagno, perché per me essere gay, a quel tempo, significava proprio trovarsi un compagno, avevo quasi smesso di guardarmi intorno.
Una sera mi invitano a una festa di laurea, ci vado perché conoscevo il ragazzo che si era laureato. Mentre sono lì arriva Dario, dire che era bello è riduttivo, non avevo mai visto un ragazzo come lui, con un sorriso così luminoso, alto biondo, con gli occhi azzurri. Quando l’ho visto ho pensato una cosa sola: “Che bel ragazzo!” Non mi è passata nemmeno per la mente l’idea di avvicinarmi a lui, era evidente che era giovanissimo, mi dispiaceva solo di essere troppo vecchio. Ho fatto di tutto per distrarmi e per pensare ad altro. Non ho ballato, perché non ballo mai, ho chiacchierato un po’ col ragazzo che si era laureato, poi mi sono seduto ad osservare.
Dario non ballava, non faceva la corte alle ragazze, erano le ragazze che facevano la corte a lui, i ragazzi non lo consideravano proprio. A un certo punto mi guarda dritto negli occhi, io sento come una fitta fortissima, lui lascia il gruppetto delle ragazze e viene a sedersi vicino a me e mi dice: “Mi sa che ti stai annoiando! Si vede!” Io mi limito a sorridere un po’, poi scambiamo qualche parola, lui si accorge che sono quasi in imbarazzo e si presenta, io faccio lo stesso, parliamo ancora qualche minuto del più e del meno, poi tira fuori dal taschino un biglietto, ci scrive il suo nome e il numero di cellulare e me lo passa, poi mi chiede: “Mi dai il tuo?” Io gli dico: “Certo!” ma devo averlo detto con la luce negli occhi, e lui mi risponde con un sorriso meraviglioso, poi se ne torna del gruppetto delle ragazze, che si lamentano di essere state abbandonate, lui dice che ha dovuto salutare un vecchio amico (io), e torna alle sue precedenti conversazioni. Poco prima di mezzanotte si siede di nuovo vicino a me, mi chiede se ho la macchina, gli dico di sì e mi chiede se posso accompagnarlo a casa, io gli dico: “Certo!” e anche questa volta devo averglielo detto lasciando trasparire il mio entusiasmo. Lui mi risponde col solito sorriso. Saluta i suoi amici che pensavano che lui sarebbe rimasto con loro fino a tardi, poi ce ne andiamo.
Abita lontano, ma non lontanissimo, in 20 minuti siamo a destinazione. Durante il viaggio all’inizio parliamo di banalità, poi, quando siamo quasi a destinazione, mi chiede a bruciapelo: “Sei gay?” io mi sento avvampare la faccia poi gli dico: “Sì! … “ prima che io possa aggiungere altro mi risponde: “Anche io!” Ma aggiunge che è tardi e che deve rientrare ma che si farà sentire. Mi saluta senza nemmeno darmi la mano e mi fa cenno di ripartire subito. Io eseguo.
Mentre torno verso casa mia mi sento frastornato, non avrei mai (e dico mai) pensato che potesse succedere qualcosa di simile: un ragazzo di 19 anni che chiede a bruciapelo a un uomo di 46 se è gay e glielo chiede perché lo ha capito da pochi minuti di dialogo. Naturalmente la mia fantasia parte in quarta, ma poi mi dico: “Ma che stai pensando! Dario è un ragazzino!” A casa faccio di tutto per non pensarci, però mi sento stravolto anche perché lui non è un ragazzo qualunque, le ragazze gli corrono appresso a frotte e penso pure i ragazzi, ma lui affronta proprio me con quella domanda secca: “Sei gay?” … ed è gay pure lui …. Ma che me lo dice a fare? Lui può trovarsi tutti i ragazzi che vuole … perché lo dice a me? Il passaggio in macchina glielo avrebbero dato anche i suoi amici ma lui lo aveva chiesto a me.
Il giorno appresso non mi chiama, e ci resto malissimo, avevo aspettato quella telefonata ma non era arrivata, ero proprio depresso, a terra del tutto, mi sentivo un cretino e un illuso. Dopo mezzanotte mi chiama e mi dice: “Io non ti ho chiamato per vedere se mi avresti chiamato tu e tu non lo hai fatto! Si deve che di me non te ne frega proprio niente!” Abbiamo parlato quasi fino all’alba, era evidente che tra noi c’era una complicità totale e non perché eravamo due gay. Mi ha detto che quando andava a trovare un suo amico era affascinato dal padre di questo amico e me lo ha descritto, in pratica però ha descritto me, e ha aggiungo: “Ma quello era etero … “ E dopo qualche secondo ha aggiunto: “Tu no!” Ora il discorso era chiaro.
Abbiamo cominciato a vederci tutti i giorni, senza sesso, parlavamo, andavano a fare la spesa o a prendere un panino, lui era contento, io pensavo che in quel modo, cioè senza sesso, si potesse andare avanti all’infinito, ma mi sbagliavo. Lui vedeva più lontano di me e nel tempo di qualche mese ci siamo arrivati. Il suo coinvolgimento era totale, il mio alquanto reticente, io avevo cominciato a volergli bene perché tra noi non c’era solo sesso, paravamo molto, lui cercava un confronto ma aveva in mente le sue idee e aveva una personalità molto spiccata, ci simo raccontati le nostre vite anche negli aspetti più intimi, la mia vita era stata in sostanza tutta un vuoto, c’era tanta fantasia ma niente di reale, quella sua era molto più complicata, cose che non avrei mai immaginato e che lo hanno condizionato molto pesantemente.
Io avvertivo di non essere il massimo per lui, ma la questione sembrava essere piuttosto relativa, si è innamorato più volte di ragazzi giovani e io spesso l’ho incoraggiato, ma quelle storie duravano poco e alla fine tornavamo insieme apparentemente solo per questioni di sesso ma in realtà perché tra noi c’era una forma di simbiosi profonda. Certe volte mi chiamava nel cuore della notte e mi diceva di andare sotto casa sua, io ci andavo, lui scendeva e restavamo in macchina, si metteva piangere, mi raccontava delle sue delusioni, poi facevamo l’amore, ma alla fine lui se ne pentiva e si sentiva come sporco, non ce l’aveva con me ma con se stesso, però aveva bisogno di essere accettato, amato, mi ha raccontato anche di aspetti inquietanti della sua personalità e lo ha fatto pensando che io me ne sarei andato ma io non solo non me ne sono andato ma ho pensato che doveva veramente fidarsi di me senza riserve.
Adesso Dario ha quasi 30 anni, dopo un percorso di studi inizialmente non semplice, condizionato soprattutto dall’emotività, sta finendo il dottorato di ricerca in una disciplina scientifica molto particolare ed è veramente apprezzato dai suoi colleghi e così ha riacquistato anche una certa autostima, che è stata sempre il suo punto debole. Ha vissuto di recente una lunga e seria storia d’amore con un ragazzo di cui era profondamente innamorato, ma alla fine quel ragazzo lo ha scaricato e lui c’è rimasto malissimo. Durante quel periodo ci vedevamo molto meno, adesso abbiamo ripreso a vederci quasi tutte le settimane, la domenica, passiamo la giornata insieme, parliamo molto e facciamo anche un po’ di sesso ma il tutto è molto naturale, non ci poniamo troppe domande. Con me si scatena proprio, cosa che non credo che faccia con i ragazzi di cui è innamorato, è come se con quei ragazzi lui cercasse soprattutto il lato affettivo e con me soprattutto quello sessuale, anche perché quei ragazzi da lui cercano soprattutto sesso mentre io cerco soprattutto prossimità, calore umano, e anche sesso, ovviamente, ma il sesso non è mai stato la mia fissa. Quando sto con lui cerco di limitare i contatti a cose non rischiose o a rischio molto basso, lui inizialmente faceva storie perché si sentiva frenato, ma poi ha finito per accettare la cosa in modo piuttosto tranquillo.
Adesso non ha un ragazzo, ma penso abbia altre persone (poche e sempre le stesse) con le quali fa sesso di tanto in tanto. Lui dice di non amare i rapporti affettivi e di cercare da me solo sesso, ma in effetti, dopo 10 anni, continuiamo a vederci e quando stiamo insieme stiamo proprio bene a tutti i livelli. Ci conosciamo bene reciprocamente sia a livello sessuale che di storia personale. Io non ho mai parlato di questa storia con persone che conosco, proprio mai, vivo da solo, quindi non ho problemi in famiglia, devo solo stare un po’ attento ai miei vicini pettegoli, perché capita che Dario venga a casa mia anche la notte tardi e che se ne vada la mattina successiva. In sostanza, su questa storia non mi posso confrontare con nessuno mettendomi in piazza direttamente, ma mi è capitato una volta, una volta sola, di ascoltare un discorso su questo argomento fatto da ragazzi che io penso fossero gay, e sono rimasto molto amareggiato, davano giudizi feroci, sparavano sentenze senza appello senza capire assolutamente niente, loro avevano in mente il loro modello di coppia gay e tutto quello che non era su quel binario lo consideravano patologico. Io con Dario non vivo niente di simile un rapporto di coppia gay come quello che loro hanno in mente, ma vivo una relazione che ha un senso, non mi sento frustrato per niente né mi sono sentito geloso quando lui aveva un ragazzo, il sesso tra noi c’è ma penso che abbia soprattutto il senso della conferma del fatto che esiste tra noi una relazione affettiva fondamentale, della quale non parliamo mai, ma forse è meglio, perché non sono le parole che contano. Io non vorrei da lui niente di diverso da quello che ricevo.
Questo è il rapporto che c’è tra noi, ma funziona ormai da 10 anni, non è una storia da romanzo, ma francamente non la cambierei con nulla al mondo. Penso a lui mille volte al giorno e non penso solo al sesso ma penso soprattutto ai suoi successi, alla sua autostima alla sua dignità, al fatto che si è costruito da solo, che non si è mai asservito a nessuno, non si è mai fatto affascinare dal denaro, che non ha mai fatto del male a nessuno. E poi, se penso che si fida di me (e d’altra parte io mi fido di lui) mi sento orgoglioso. Io penso che il nostro rapporto sia veramente un modo di volersi bene, un modo assolutamente fuori schema ma è un modo. Una cosa ho sempre ammirato in lui e cioè il parlare chiaro, il non usare troppe parole e dire quello che pensa anche brutalmente. Tra noi in pratica non abbiamo mai litigato, ci siamo detti addio decine di volte ma poi ce ne siamo dimenticati perché il senso dello stare insieme era forte al di là di qualsiasi convenzione.
Insomma, Project, che cosa ne pensi?
Piero62
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BISESSUALE SPOSATO PIU’ ETERO CHE GAY

Caro Project, forse non ti ricorderai di me, ci siamo conosciuti nel dicembre del 2015. Ti fornisco un elemento  che penso ti potrà permettere di inquadrare subito chi sono:  nel gennaio del 2016 sono passato per la tua città e siamo andati a pranzo insieme. Posso dire che mi è stato molto utile soprattutto perché, allora, ero proprio sconvolto dalla paura di poter distruggere il mio matrimonio. Ovviamente scoprire di essere sensibile al fascino maschile alla mia età non era certo un cosa da poco. Mi sembrava di avere finalmente capito chi ero veramente. Pensavo che tu mi avresti molto incoraggiato e mi avresti detto che era ora di cercarmi un uomo e di provare, e sono rimasto molto perplesso di fonte alla tua reazione. Mi hai parlato della fase frenetica di chi si scopre gay magari a 40 anni e con un matrimonio alle spalle e mi hai raccontato un po’ di storie di uomini che si sono trovati nella mia stessa situazione. Non contestavi il fatto che io potessi avere pulsioni gay ma mi mettevi costantemente in guardia dal non credere alle cose troppo facili e soprattutto dall’idea di mandare all’aria il matrimonio. Mi avevi fatto notare che io non avevo mai sentito il matrimonio come una trappola e che avevo un buon rapporto con mia moglie, il che era verissimo. Poi hai aggiunto tutti i discorsi sulle malattie, cose alle quali un uomo sposato, che vive in una coppia monogamica stretta, di fatto, non pensa mai. Sono rimasto stupito quando mi hai detto che avrei dovuto parlare chiaro con mia moglie, perché non dovevo assolutamente ingannarla. Questo discorso veramente da te non me lo aspettavo. Quando ci siamo salutati, beh, non ti dico quello che ho pensato di te… in pratica avevo deciso che non ti avrei più sentito perché non mi stavi spingendo nella direzione in cui io volevo andare, per capirci quella delle App, delle videochat ecc. ecc.. Torno alla mia città e cerco di darmi da fare senza dire niente a mia moglie. Ho incontrato il primo uomo tramite App, ma quando l’ho visto mi sono passate tutte le fantasie, e in pratica niente sesso perché era proprio fissato e squallido, almeno avrei voluto parlarci ma mi ha risposto che non aveva tempo da perdere e se ne è andato. Nei mesi successivi è successo altre tre volte. L’unico incontro dignitoso è stato con un uomo sposato, col quale ho parlato a lungo ma che alla fine mi ha messo in crisi perché non ha voluto tradire la moglie e in pratica tra noi tutto è finito prima di cominciare, però la cosa mi ha fatto ragionare parecchio e mi sono detto: ma che sto facendo? Ma io non sono gay, io sto con mia moglie da anni a stiamo bene insieme, le fantasie gay ce le ho, questo è innegabile, ma non mi sento gay, io sono bisessuale ma bisessuale soprattutto etero. Insomma ci sono voluti quasi due anni per uscire da quella che tu chiami fase frenetica ma penso che alla fine ci sono riuscito, ma non solo, ho fatto anche un passo fondamentale verso mia moglie, le ho detto come stavano le cose, e ho scoperto che lei lo aveva capito benissimo praticamente fin dall’inizio. Con mia moglie non ho mai usato preservativi perché non abbiamo figli e non ne possiamo avere, ma lei ha scoperto che nel fondo di un cassetto c’era una pacchetto di preservativi che io avevo comprato “per ogni possibile evenienza” e poi avevo dimenticato lì per sbaglio proprio perché non avevo le attenzioni che hanno i gay a non lasciare traccia. Dopo quella scoperta le si è accesa la lucetta rossa, ha tenuto conto delle mie telefonate e delle mie uscite serali, del mio uso notturno del telefono e era arriva a capire che c’era qualcosa che non andava, ma lei pensava che io avessi un’altra donna. Una volta ho chattato tramite PC e mi sono addormentato al PC, lei si è alzata per vedere perché non andavo a letto e ha visto la chat e di che cosa si trattava, non mi ha detto nulla ed è andata di nuovo a coricarsi, io la mattina mi sono accorto che mi ero addormentato al PC, con la chat aperta,  ma ho visto che lei era a letto e non ho dato molto peso alla cosa. Insomma, lei sapeva ed ha pazientato. Quando le ho fatto il mio discorsetto mi ha chiesto se avevo un uomo e io le ho detto che non avevo nessun compagno o amico o come si può chiamarlo. Da quando aveva trovato i preservativi non ha più fatto sesso con me, io non capivo il perché ma l’ho capito solo adesso. Mi ha detto che se volevo ancora fare l’amore con lei dovevo fare il test. Le ho spiegato che non avevo fatto sesso con nessuno ma non ha voluto sentire storie, probabilmente non ci ha creduto, e alla fine io ho fatto il test (ovviamente inutilmente) e ho ricominciato, dopo due anni di interruzione, ad avere rapporti con mia moglie. Oggi ho ancora qualche fantasia gay, però a livello sesso la risolvo con qualche porno e con la masturbazione, tra l’altro non molto frequente da quando ho ricominciato ad avere rapporti con mia moglie, lei lo sa e non ne è rimasta convolta. Dal punto di vista affettivo ho i miei amici, tutti sposati e etero al 100%, coi quali vivo momenti molto belli di solidarietà maschile e, al momento, questo mi basta. C’è solo un pensiero che mi scava il cervello un po’ come un tarlo ed è il fatto che mia moglie potrebbe aver cercato di salvare comunque il matrimonio proprio perché lei non può avere figli e questo le renderebbe molto problematico un nuovo matrimonio, mentre con un marito che non è interessato ad avere figli (siamo sposati da 9 anni) può sentirsi a suo agio anche se quel marito ha qualche fantasia gay, perché in fondo non lo sta privando di nulla. Forse il mio è un pensiero stupido, comunque sono rimasto stupito delle sue reazioni, sapevo che è una donna intelligente ma aperture di questi tipo e fino a questo punto non me le aspettavo. Non so se vorrai mettere questa mail nel forum, dato che è una po’ la storia di uno che alla fine ha optato per l’eterosessualità, perché in fondo era soprattutto eterosessuale, ma se vuoi, pubblicala pure, mia moglie l’ha letta e ha detto che anche a lei sta bene.

Con affetto. Marcello

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