RICORDI DI UNA COPPIA GAY

Caro Project,
mi chiamo Mario, sono un 74enne romano che ha visto morire il suo compagno, dopo aver cercato di fare di tutto per salvarlo, ma i medici e lui stesso erano consapevoli di come sarebbe finita. È stata una cosa molto breve, che è durata in tutto 31 giorni. Lui ha cercato di ripetermi fino alla fine che mi voleva bene e che era felice di essere stato con me. Era più giovane di me di cinque anni e quello che è successo non lo avrei mai potuto immaginare. Ormai sono passati quasi otto mesi, e ho superato le angosce dei primi momenti che mi facevano piangere da solo senza consolazione. Ora ho le sue foto, i ricordi e lui continua a vivere dentro di me. Abbiamo vissuto insieme per quasi 40 anni e in questo siamo stati fortunati, perché 40 anni fa l’idea di convivere per due uomini era un’utopia e niente altro, per noi però è diventata realtà. Quando ci siamo conosciuti io avevo 33 anni e lui ne aveva 28, ma lavoravamo tutti e due. Lui era un giovane ingegnere e io un insegnante di Inglese un po’ meno giovane. A quel tempo io davo per scontato che non avrei mai avuto un compagno e vivevo ancora a casa dei miei genitori. Io non ero mai andato d’accordo coi miei genitori, che comunque non sapevano della mia omosessualità (e non mi è mai passato per la mente di aprirmi con loro). Non andavamo d’accordo soprattutto per ragioni politiche, mia madre era democristiana anche e soprattutto perché non leggeva i giornali e non capiva niente di politica, mio padre poi viveva ancora nel mito del ventennio e per lui i partiti della sinistra erano come il fumo negli occhi. Avevamo cominciato a provare reciproca insofferenza l’anno prima, al tempo del rapimento e dell’assassinio di Moro. Mio padre per un verso odiava le brigate rosse ma per un altro verso odiava pure Moro per le sue aperture ai comunisti, e verso Moro usava espressioni dispregiative della peggiore specie. Mia madre mi diceva che l’unica cosa che si poteva fare era pregare e comunque non avrebbe mai capito il doppio gioco di tanti democristiani che non sopportavano Moro e sostenevano la linea della fermezza. A me Moro piaceva molto, ho sempre pensato che fosse un uomo onesto che non agiva per interesse personale. E così la storia di Moro è stata anche il tracollo degli equilibri della mia famiglia. I miei genitori hanno cominciato a considerarmi comunista ormai irrecuperabile al loro classico buonsenso-opportunismo piccolo borghese. In pratica anche io, pure se non posso dire che avevo cominciato ad odiare mio padre, certamente ero arrivato alla conclusione che tra noi non ci sarebbe mai stato nessun possibile discorso serio e sulla base di questo, feci d’impeto domanda di trasferimento per andare a insegnare in un’altra provincia e non dissi nulla a casa. Una volta inviata la domanda, mi pentii di averla inviata, ma ormai non potevo tornare indietro, però consideravo piuttosto remota la possibilità di ottenere realmente il trasferimento. Invece alla fine dell’estate del ’78 venni a sapere che ero stato trasferito e in una provincia molto lontana (Torino). Dirlo ai miei fu per me una cosa difficilissima, soprattutto perché a loro non avevo detto che avevo chiesto il trasferimento. Lo presero come un vero e proprio tradimento, una coltellata improvvisa sferrata in modo premeditato a mio padre e a mia madre. Mio padre era proprio schifato da me, diceva che si era cresciuto una serpe in seno, mia madre cercava di tenerlo buono, ma se non ci fosse stata lei, con mio padre saremmo proprio venuti alle mani. Me ne andai di casa, quando mio padre era al lavoro staccandomi a forza dagli abbracci di mia madre e promettendole che non sarei sparito e che le avrei mandato al più presto il mio nuovo indirizzo. Mancavano circa 40 giorni all’inizio dell’anno scolastico e io sono rimasto in albergo a Torino, finché non ho trovato un miniappartamento non molto lontano dalla scuola. È stato proprio a scuola che ho incontrato Carlo. La Provincia e il Provveditorato agli studi avevano in progetto la costruzione di nuovi edifici scolastici e la ditta dove lavorava Carlo aveva vinto un appalto, o qualcosa di simile, e si era deciso che si dovessero fare una serie di incontri presso la mia scuola, con i progettisti, con alcuni funzionari della Provincia, con alcuni funzionari del Provveditorato e con alcuni presidi. Il mio preside mi disse che avrei fatto parte del gruppo, il che era una manifestazione di fiducia alla quale comunque non mi potevo opporre. La prima riunione fu solo di presentazione, eravamo 14 persone, e non si fece altro che stabilire un calendario per gli incontri tecnici successivi. Io pensavo che tutti gli incontri sarebbero stati rituali come il primo ma non fu così. Nella prima riunione però io avevo notato subito l’Ing. Carlo B., che mi sembrava veramente un bel ragazzo, ma niente di più. Nel secondo incontro si arrivò a discussioni molto animate, l’Ing. Carlo B. srotolava progetti e cercava di spiegare i problemi tecnici ma poi cominciava la rissa dei però, dei ma invece, dei si potrebbe e si dovrebbe, ecc. ecc.. Erano passate le 22.00, la riunione cominciata alle 16.00 andava avanti e non dava segno di avviarsi verso la conclusione. Carlo guardava l’orologio ogni cinque minuti, poi, dopo le 23.00 smise di guardarlo. La riunione terminò alle 23.30. Se ne andarono tutti perché avevano le macchine parcheggiate in cortile. Lì mi accorsi che Carlo non aveva macchina e gli dissi. “Posso accompagnarla da qualche parte?” E lui mi disse che avrebbe passato la notte in albergo e che sarebbe partito in treno l’indomani mattina, perché ormai non c’erano più treni che andassero bene per lui, e fu lì che quasi istintivamente giocai le mie carte: “Se vuole andare in albergo, l’accompagno in centro, ma se per lei andasse bene potrebbe dormire anche a casa mia, è piccolina ma è a pochi minuti da qui, poi, domattina l’accompagno in stazione prima di andare a scuola.” Lui non se lo fece ripetere due volte, mi disse solo: “Ma pensa che si possa fare veramente?” Io risposi: “Certo!” Lui mi disse: “Allora grazie!” La nostra storia è cominciata così. Era dicembre, faceva un freddo cane, ma lasciai a lui il mio letto e l’imbottita e me ne andai a dormire sul divano. La mattina facemmo colazione insieme, poi lo accompagnai alla stazione, eravamo entrambi visibilmente contenti di avere rotto il ghiaccio. Lui mi lasciò il numero di telefono della casa dei genitori, io lo presi ma gli dissi che non avevo il telefono ma magari avrei potuto chiamarlo con un telefono a gettone. A scuola il preside era entusiasta di me perché non lo avevo piantato in asso e cominciò a trattarmi con un occhio di riguardo. La riunione successiva del gruppo tecnico era stata programmata di lì a un mese, dovevo soltanto attendere, ma l’attesa sarebbe stata troppo lunga, dopo nemmeno una settimana pensai di chiamare Carlo al telefono, mi preparai prima tutto il discorso da fare, un discorso molto ufficiale se avessero risposto i genitori e un discorso molto diverso e molto amichevole se avesse risposto Carlo. Decisi che l’ora ideale per chiamare sarebbe stata verso le 20.00, alle 20.00 in punto chiamai e dissi alla madre che ero il prof. Mario C. del gruppo tecnico di coordinamento dell’Istituto … , la signora mi rispose che se le avessi lasciato il mio numero mi avrebbe fatto richiamare appena il figlio fosse rientrato dal lavoro, mi sembrava brutto rispondere che non avevo il telefono e le dissi semplicemente di avvisare l’Ingegnere, che lo avrei richiamato io l’indomani. Ma l’indomani mattina fu lui a richiamarmi a scuola, perché forse pensava che ci fossero veramente dei problemi legati al gruppo di coordinamento, ma quando vennero a chiamarmi in classe perché c’era una telefonata per me in segreteria, capii perfettamente che il motivo era un altro. C’era gente e ovviamente non potevo parlare in tono troppo amichevole. Gli dissi: “Buongiorno Ingegnere!” e lui mi rispose: “Ciao Mario!” Io andai avanti a dargli del lei e lui mi rispose: “Stamattina sono a Torino e finisco verso le 11.00, ti andrebbe di pranzare insieme?” Io risposi: “Guardi era proprio quello che le avrei suggerito anche io, credo che il progetto in questo modo possa partire molto meglio!” Tre ore dopo eravamo a pranzo insieme! Ormai eravamo amici. Era evidente che c’era un interesse reciproco ma da entrambe le parti la prudenza era massima, evitavamo rigorosamente gli argomenti troppo personali, parlavamo delle nostre esperienze di studio e di lavoro, all’inizio non parlavamo di politica, non sapevo come inquadrarlo nemmeno da quel punto di vista, poi piano piano ho cominciato a notare sul suo viso qualche espressione di disappunto quelle rare volte che si parlava della democrazia cristiana, o almeno di certi politici democristiani, di altri aveva maggiore stima. Una volta parlammo anche di Moro ed era evidente che il rapimento e l’assassinio di Moro lo avevano sconvolto, anche se non era molto informato sui fatti. Piano piano abbiamo cominciato a parlare anche di politica spicciola e mi trovavo quasi sempre d’accordo con lui. Parlava del socialismo con un certo entusiasmo, non del socialismo di Craxi, ma di quello di Nenni. Discutevamo anche di letteratura, una volta mi parlò di un romanzo di Pavese, “La casa in collina”, un romanzo che io non conoscevo, ma più che parlare di partigiani e di tedeschi, si fermò sul rapporto tra Corrado, il protagonista, un professore torinese molto disincantato, e Dino, un ragazzo molto giovane, che Corrado sospetta essere suo figlio. Il rapporto tra il presunto padre e il presunto figlio, nel libro, è accennato più che chiarito. Corrado si rivede nel ragazzo, che alla fine si unirà ai partigiani, mentre lui non sarà capace di niente di simile e si richiuderà nel suo mondo interiore fatto di consapevolezze e soprattutto di rinunce. Nel romanzo, che poi lessi quasi subito, si parla anche dei rapporti di Corrado con la madre di Dino e di altre due donne che ospitano Corrado, ma evidentemente non era questo che colpiva Carlo. Poi una volta parlammo anche di Bassani e del Giardino dei Finzi-Contini, dove c’è anche un accenno legato alla omosessualità. Carlo conosceva bene il libro, evidentemente lo aveva letto più volte ma non accennò mai ai riferimenti omosessuali. Dopo quel primo pranzo insieme a Torino prendemmo l’abitudine di incontrarci tutte le domeniche, veniva sempre lui da me in treno e ripartiva con l’ultimo treno utile alle 23.00. Ci vedevamo la mattina verso le nove e passavamo insieme tutta la giornata, ovviamente non si parlava mai di ragazze, e questo induceva a sperare, ma i dubbi rimanevano ed erano fortissimi. Dato che si avvicinava Natale gli chiesi che cosa avrebbe fatto per la ricorrenza e mi disse semplicemente che sarebbe stato in casa con i suoi perché era figlio unico e aveva solo i suoi genitori. Da lì abbiamo cominciato a parlare dei nostri rapporti familiari. I suoi avevano speso fino all’ultimo centesimo per farlo studiare e lui, una volta diventato ingegnere, in qualche modo sentiva di doversi sdebitare, doveva almeno dedicare il suo tempo ai sui genitori e doveva in qualche modo compensarli di tutto quello di cui si erano privati per farlo studiare, anche per questo lui lavorava dalla mattina alla sera e poi aveva con i genitori un rapporto affettivo molto particolare. I suoi non erano vecchi, ma era un po’ come se lui si considerasse padre di quelli che chiamava “i miei due vecchietti”. Tutto questo a me sembrava molto strano. Io gli raccontai dei litigi con mio padre per motivi politici e della rovina finale della mia famiglia a seguito del mio trasferimento a Torino, richiesto senza dire niente ai miei genitori. Carlo però mi stupì con la sua risposta: “Se la situazione era quella, hai fatto benissimo ad andartene via! Per me è diverso, i miei genitori sono gente molto semplice ma mi hanno insegnato i valori veri della vita.” Piano piano ci stavamo avvicinando a confidenze più personali, ovviamente nessuno dei due parlava di ragazze. Siamo andati avanti così per quasi sei mesi, come dei buoni amici. Io ero in dubbio se mettere il telefono oppure no, col telefono avrei potuto chiamarlo, ma alla fine lui avrebbe sempre chiamato da casa, quindi non ho messo il telefono, ma abbiamo continuato a vederci la domenica, come ormai era diventata tradizione. Non ci siamo mai fatti regali di nessun genere, un po’ per scaramanzia perché volevamo che tra noi tutto fosse libero e senza obblighi. Poi successe qualcosa di imprevedibile anche se atteso. Il 1° giugno dell’80 era domenica e il 2 era la festa della Repubblica e quindi sia io che lui avevamo due giorni liberi di fila, io gli proposi di rimanere a dormire da me e lui accettò. Gli chiesi come l’avrebbero presa i suoi e mi rispose in modo enigmatico che sarebbero stati contenti, io cercai di approfondire il discorso e lui mi disse che i suoi sapevano della nostra amicizia, perché lui gliene aveva parlato ed erano contenti, poi ha aggiunto: “d’altra parte non si sarebbero mai aspettati che io portassi a casa una ragazza.” Io feci finta di non aver capito e lui mi disse: “Dai che hai capito benissimo!” Io mi sono arreso subito e gli ho detto. “Quindi loro sanno …”, lui mi ha risposto: “Certo, gliel’ho detto io … ma non sanno chi sei, se ti conoscessero penso che sarebbero molto contenti.” Ormai stavamo parlando chiaro. Mi ha raccontato come si è deciso a parlare coi suoi. Ai tempi dell’università, lui stava a Torino, a pensione in una stanza da solo, e i suoi, quelle rare volte che lo vedevano erano molto preoccupati che lui non si trovasse una ragazza o almeno una compagnia femminile. Perché pensavano che una ragazza potesse farlo stare meglio, e quindi insistevano perché “si sentisse libero” e proprio da lì partì tutto il discorso di Carlo. I suoi genitori stettero a sentire molto attentamente ma non credevano di sapere già di che cosa Carlo stesse parlando, avevano fiducia in lui e volevano che fosse lui a fare capire loro che cosa volesse dire essere omosessuale. Lui disse solo che è esattamente come quando ti innamori di una ragazza, solo che invece di una ragazza è un ragazzo, ma i sentimenti sono gli stessi. Poi mi disse: “Tu non mi crederai, ma tra me e i miei genitori non è cambiato nulla, mio padre non è mai stato molto espansivo nemmeno prima, ma dopo, quando tornavo a casa mi sentivo addirittura molto più coccolato di prima. Io ho avuto la netta sensazione che i miei si fidassero talmente di me da pensare che non avrei mai fatto niente di sbagliato o di cattivo, l’unica cosa che mi ripetevano era: ‘quello che sta bene a te sta bene a noi!’” La notte tra il 1° e il 2 Giugno non abbiamo dormito ma ci siamo raccontati le nostre vite. Project, credo che tu possa capire quanto fosse liberatorio per noi capire che avevamo trovato un altro ragazzo omosessuale e che con quel ragazzo si stava costruendo qualcosa di bello. Né lui né io avevamo la minima esperienza di queste cose, io non parlo del sesso, che era tutto nel regno della fantasia, ma proprio del lato affettivo. Poco prima di riprendere il treno la sera del 2 Giugno mi chiese: “Ci verresti a conoscere i miei?” La richiesta era spiazzante per uno come me ma gli dissi di sì e mentre saliva sul treno mi disse: “Allora domenica prossima vieni tu da me!” Io gli dissi di sì, senza nemmeno capire la portata di una cosa simile. La domenica successiva presi il treno e alle 9.00 ero da lui, imbarazzatissimo. Mi disse di stare tranquillo e salimmo a casa sua. I genitori erano più imbarazzati di me e di discorsi ne facemmo davvero pochi. Mi offrirono degli amaretti artigianali tradizionali e mi dissero che il pranzo era pronto e che loro sarebbero andati a casa di una zia di Carlo. Il padre concluse così: “Non vogliamo mettervi in imbarazzo e comunque vi ringraziamo tanto di avere accettato il nostro invito.” Ci salutarono in modo un po’ impacciato e andarono via. Io pensavo che ci fossero rimasti male, ma Carlo mi disse: “Stai tranquillo che si fidano anche di te! Mio padre è molto schivo, ma io lo conosco bene!” Carlo mi portò in giro per la valle, camminammo molto in mezzo ai boschi tra salite e discese, lui era contento e anche io, anche se pensavo che non avrei mai potuto presentare Carlo a mio padre. Poi, col tempo, siamo anche arrivati a fare un po’ di sesso, ma questo non te lo racconto perché fa parte del privato mio e di Carlo e per me è una cosa sacra. Carlo lavorava a Torino ma prendeva il treno tutti i giorni per non lasciare soli i suoi, beh, è successa una cosa incredibile, un giorno che siamo andati a casa dei genitori di Carlo, il padre ci ha detto: “Io e mia moglie non siamo ancora vecchi e possiamo stare pure soli, ma voi perché non vi prendete un appartamento insieme a Torino?” All’epoca non era per niente una cosa facile proprio per questioni anagrafiche, cioè di nucleo convivente, ecc. ecc., l’idea era interessantissima ma i dubbi erano tanti. Adesso so che siamo rimasti insieme tutta la vita, ma allora non sapevo come sarebbe andata a finire. Insomma, arrivammo alla conclusione di comprare due appartamenti all’ultimo piano di un palazzo, uno di fronte all’altro. Lui era ingegnere civile e ha saputo scegliere il meglio. La condizione era che gli appartamenti fossero due e uno di fronte all’altro. Una sera arrivò a casa mia tutto trafelato e mi fece vedere quella che gli pareva un’ottima occasione. Mi spiegò dell’esposizione, dell’isolamento termico, perché saremmo stati all’ultimo piano, mi disse dei trasporti, di quelli che c’erano già e di quelli che forse si sarebbero costruiti in seguito. Allora non si parlava ancora di metropolitana a Torino, ma Carlo guardava lontano e a seguito della sviluppo urbano prevedeva che da quelle parti sarebbe passata prima o poi anche una linea metropolitana, il che poi è successo veramente ma in anni molto vicini a noi. I due appartamenti non erano identici ma erano entrambi di due stanze e il prezzo era molto simile. L’indomani (domenica) andammo a vederli da fuori, lui c’era già stato e aveva visitato tutto dall’interno e siccome era del mestiere e si intendeva anche degli aspetti finanziari, aveva visto che per acquistare gli appartamenti avremmo anche potuto accollarci una quota del mutuo acceso dal costruttore nel 1972 con la banca al tasso fisso del 4.8%, mentre nell’80 i mutui andavano sopra il 21%. Si prevedeva che a lunga scadenza i tassi sarebbero calati e Carlo insistette per l’estinzione del mutuo a 10 anni e non di più. Si sarebbe finito di pagare molto presto ma la cosa era al limite del possibile. Carlo diceva: “Se ce n’è bisogno i miei vengono a stare con noi e la casa loro si affitta o alla peggio si vende. L’aspetto dell’edificio era molto dignitoso e Carlo assicurava che erano case costruite in modo moderno e fatte bene. Lunedì mattina lui andò all’ufficio vendite e diede la caparra per il suo appartamento, fissando l’opzione per l’accollo del vecchio mutuo. Quando lui uscì io entrai subito dopo, mi fecero visitare l’appartamento ed era veramente molto bello e soprattutto luminoso e con una vista splendida. Mi dissero che, se volevo, potevo pensarci, ma io sapevo quello che dovevo fare e versai anche io la mia caparra facendo mettere nel compromesso esattamente quello che mi aveva suggerito Carlo. Lui mi aspettava fuori e ce ne andammo a pranzo insieme, ormai avevamo una casa nostra, di 4 stanze e due bagni, divisa in due, ma col tempo avevamo già progettato che io e Carlo saremmo rimasti a casa mia e l’altra casa poteva ospitare i suoi genitori. Abbiamo lavorato come matti per pagare le due case in dieci anni: lui stava sveglio a fare calcoli e a disegnare fino a notte alta, io nel mio appartamento facevo lezioni private a più non posso. I primi tempi è stata molto difficile, ma con l’aiuto dei suoi genitori ce l’abbiamo fatta. Poi le nostre condizioni economiche sono migliorate e nel ’90 abbiamo finito di pagare le case e le abbiamo ammobiliate in modo meno spartano. Prima lui aveva i mobili solo nello studio dove lavorava e qualche volta riceveva gente, ma l’altra stanza era praticamente senza mobili e la cucina pure. A casa mia era arredata solo la stanza dove facevo lezioni private. I condomini del palazzo non ci consideravano una coppia anche perché ci vedevano pochissimo, noi stavamo all’ultimo piano, non andavamo mai alle riunioni di condominio e davamo le deleghe a persone diverse. Quando ci incontravamo per le scale ci salutavamo come due perfetti estranei che vivono nello stesso stabile, era un rito che può sembrare stupido ma serviva a non dare nell’occhio. Nel ‘90 lui aveva 39 anni e io 44, non eravamo più giovani. La madre di Carlo proprio in quell’anno si è ammalata ed è venuta a stare col marito a casa di Carlo, invece Carlo stava a casa mia. Abbiamo assistito la mamma di Carlo fino alla fine nel ’93. Il papà ha patito in modo terribile il trauma della vedovanza, poi si è ripreso, abbiamo passato qualche anno buono insieme e poi è toccata anche a lui nel ‘99 per una malattia polmonare che se lo è portato via. Carlo aveva allora 48 anni e io 53, eravamo ormai uomini maturi, con una sicurezza economica e di lavoro e soprattutto con una sicurezza affettiva. Nessuno sapeva di noi ma noi avevamo in nostro mondo vero e non ci mancava nulla, non ci importava niente degli altri e qui ci fu un’altra svolta improvvisa, mi chiama mia madre e mi dice che mio padre sta male, era piena estate e io e Carlo avevamo in programma una vacanza girovaga insieme, chiedo a Carlo che devo fare e lui mi risponde senza esitazione: “Vai a preparare le valigie che partiamo subito!” Abbiamo viaggiato tutta la notte e la mattina appresso eravamo in ospedale davanti alla stanza di mio padre. Prima di entrare abbiamo chiesto al dottore che ci ha rassicurato, poi siamo entrati da lui insieme e io gli io detto: “Papà sono venuto qui per portarti a casa mia perché puoi essere seguito meglio.” E lui mi ha detto: “E tua madre?” quando gli ho detto: “Viene anche lei!” si è tranquillizzato, poi ha guardato Carlo e mi ha detto: “Chi è quel signore?” Gli ho risposto: “Quello il mio compagno…” Io avevo paura che questa cosa potesse farlo stare male ma non è successo niente del genere e mio padre ha detto: “E lui che dice se veniamo a stare da te?” Ho stretto la mano di mio padre e gli ho detto: “Lui dice che ci dovete venire!” Mia madre era quasi incredula, poi si è messa a parlare con Carlo. Otto giorni dopo, mio padre è stato dimesso dall’ospedale e abbiamo cominciato il lungo viaggio per Torino. Ci fermavamo ogni tanto per fare riposare papà perché faceva anche molto caldo. La sera tardi, poco prima di mezzanotte siamo arrivati a casa a Torino. Mio padre non aveva capito che le due case erano separate, quando ha capito che sarebbe stato da solo con la moglie in un appartamento con il figlio sullo stesso pianerottolo si è rasserenato. Carlo ha preparato la stanza per mio padre e mia madre, poi ha salutato ed è andato nell’atro appartamento per lasciarmi solo coi miei genitori. Mio padre mi ha detto: “Ma è un brav’uomo! S’è preso a carico pure a noi e lui avrà pure i suoi genitori…” Gli ho detto che non aveva più i genitori e che i genitori avevano vissuto con noi fino alla fine, poi mio padre mi ha fissato e mi ha detto: “Allora pure tu sei un brav’uomo! E sono stato uno stupido io che non l’ho capito prima.” La salute di papà è migliorata, si sedeva sul terrazzino a guardare le montagne, lo sentivo tranquillo, parlava spesso con Carlo e lo ammirava, ne diceva delle cose molto belle, mamma era serena, faceva un po’ di cucina e vedeva riunita la famiglia come non avrebbe mai immaginato, è mancata prima lei nel 2011 e poi mio padre nel 2012, quando io avevo 68 anni. Da allora io e Carlo siamo stati veramente soli, eravamo ormai vecchi ma pensavamo che un altro pezzetto di vita avremmo potuto godercelo e invece il Signore non ha voluto e siamo rimasti insieme solo otto anni. Adesso il mio mondo è veramente finito, ci sono rimasto solo io e non ho eredi. Non so quanto camperò e se ci sarà qualcuno accanto a me quando sarà la mia ora, ma io la mia vita l’ho vissuta, sono stato molto fortunato e ne sono pienamente consapevole. Incontrare Carlo ha cambiato la mia vita. Non ci è mai passata per la mente l’dea di lasciarci. Senza di lui io sarei stato un’assoluta nullità, mi sarei sentito frustrato, non avrei recuperato il rapporto con mio padre e non avrei mai avuto una vita affettiva vera. Vorrei dire ai ragazzi che leggeranno questa storia che all’inizio nessuno sa mai come andranno le cose, io a vent’anni davo per scontato che sarei rimasto sempre solo ma non è successo affatto così. Io mi sento un uomo vecchio perché sono vecchio ma ho vissuto la vita che volevo e con la persona che volevo. I problemi sono stati tanti ma abbiamo fatto la strada insieme e quando penso a Carlo so che in qualche modo lui è con me e sarà con me finché non ci ricongiungeremo in paradiso.

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Se volete, potete partecipare alla discussione di questo post aperta sul forum di Progetto Gay: http://progettogayforum.altervista.org/viewtopic.php?f=22&t=6901

FUORI DAL DSM: DEPATOLOGIZZARE L’OMOSESSUALITA’

Mi è stato chiesto più volte di chiarire come si sia arrivati alla depatologizzazione dell’omosessualità. Penso che la risposta migliore sia pubblicare qui la traduzione di un noto articolo di Jack Drescher “Fuori dal DSM: depatologizzare l’omosessualità”, pubblicato online il 4 dicembre 2015 sul sito della US National Library of Medicine (National Institutes of Health) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4695779/

Fuori dal DSM: depatologizzare l’omosessualità

di Jack Drescher

  1. Introduzione

Nel 1973, l’American Psychiatric Association (APA) rimosse la diagnosi di “omosessualità” dalla seconda edizione del suo Manuale Diagnostico e Statistico (DSM) [1,2]. Ciò è il risultato del confronto di teorie concorrenti, che patologizzavano l’omosessualità e di teorie che la consideravano normale. [3,4,5,6]. Nel tentativo di spiegare come tale decisione si è concretizzata, questo articolo esamina alcune teorie e alcune argomentazioni storico-scientifiche che inizialmente portarono all’inserimento dell’omosessualità nel DSM-I [7] e nel DSM-II [8], nonché alcune teorie alternative che alla fine hanno portato alla sua rimozione dal DSM III [9] e dalle successive edizioni del manuale. [10,11,12,13]. L’articolo si conclude con una discussione sulle conseguenze socioculturali di quella decisione del 1973.

  1. Teorie sull’omosessualità

È possibile formulare una tipologia descrittiva delle teorie eziologiche dell’omosessualità nel corso della storia moderna. Le teorie eziologiche generalmente rientrano in tre grandi categorie: patologia, immaturità e variante normale [14,15,16].

2.1. Teorie di patologia

Queste teorie considerano l’omosessualità degli adulti come una malattia, una condizione che devia dallo sviluppo eterosessuale “normale” [17]. La presenza di comportamenti o sentimenti di genere atipici è sintomo della malattia o del disturbo di cui devono occuparsi i professionisti della salute mentale. Queste teorie sostengono che qualche difetto interno o agente patogeno esterno causa l’omosessualità e che tali eventi possono verificarsi prima o dopo la nascita (es. Esposizione ormonale intrauterina, eccessive cure materne, paternità inadeguata o ostile, abuso sessuale, ecc..). Le teorie della patologia tendono a vedere l’omosessualità come un segno di un difetto, o anche a considerarla moralmente cattiva. Alcuni di questi teorici sono abbastanza aperti nel manifestare la loro convinzione che l’omosessualità sia un male sociale. Ad esempio, lo psichiatra e psicoanalista Edmund Bergler scrisse infamemente in un libro per un pubblico generale: “Non ho pregiudizi contro gli omosessuali; per me sono persone malate che richiedono assistenza medica … Tuttavia, sebbene io non abbia pregiudizi, direi che gli omosessuali sono essenzialmente persone sgradevoli, indipendentemente dal loro modo esteriore piacevole o spiacevole … [il loro] guscio è un misto di arroganza, finta aggressività e piagnucolii. Come tutti i masochisti psichici, sono sottomessi quando si confrontano con una persona più forte, spietati quando sono al potere, senza scrupoli nel calpestare una persona più debole ”[18], (pp. 28-29).

2.2. Teorie dell’immaturità

Queste teorie, di solito di natura psicoanalitica, considerano l’espressione di sentimenti o comportamenti omosessuali in giovane età come un normale passo verso lo sviluppo dell’eterosessualità adulta [19,20]. Idealmente, l’omosessualità dovrebbe essere solo una fase transitoria che si supera. Tuttavia, in quanto “arresto dello sviluppo”, l’omosessualità adulta è equiparata a una crescita stentata. Coloro che sostengono queste teorie tendono a considerare l’immaturità come relativamente benigna, o almeno non come “cattiva” rispetto a coloro che teorizzano che l’omosessualità è una forma di psicopatologia.

2.3. Teorie della variante normale

Queste teorie trattano l’omosessualità come un fenomeno che si verifica naturalmente [21,22,23,24]. Tali teorie in genere considerano gli individui omosessuali come nati diversi, ma si tratterebbe di una differenza naturale che colpisce una minoranza di persone, come i mancini. La convinzione culturale contemporanea che le persone siano “nate gay” è una normale teoria delle variazioni. Poiché queste teorie equiparano il normale con il naturale, definiscono l’omosessualità come buona (o, all’inizio, neutra). Tali teorie non vedono come si possa collocare l’omosessualità in un manuale diagnostico psichiatrico.

  1. Credenze di genere

È raro trovare una teoria dell’omosessualità che non si basi su credenze di genere che contengono idee culturali implicite sulle qualità “essenziali” di uomini e donne [14,16,25]. “Uomini veri” e “donne vere” sono potenti miti culturali con cui tutti devono confrontarsi. Le persone esprimono convinzioni di genere, le proprie e quelle della cultura in cui vivono, nel linguaggio di tutti i giorni, poiché accettano e assegnano, indirettamente o esplicitamente, significati di genere a ciò che fanno, pensano e sentono loro e gli altri. Le convinzioni di genere toccano quasi ogni aspetto della vita quotidiana, comprese le preoccupazioni banali come quali scarpe gli uomini dovrebbero indossare o domande “più profonde” sulla mascolinità come se gli uomini possano piangere apertamente o dormire con altri uomini. Le convinzioni di genere sono incorporate nelle domande su quale carriera una donna dovrebbe perseguire e, a un altro livello di discorso, cosa significherebbe se una donna professionista dovesse rinunciare all’educazione dei figli o perseguire una carriera in modo più aggressivo di un uomo.

Le convinzioni di genere sono generalmente basate su alternative binarie di genere. L’alternativa binaria più antica e conosciuta è l’alternativa maschio / femmina. Tuttavia, esiste anche l’alternativa binaria del XIX secolo omosessualità / eterosessualità (o gay / etero nel XX secolo) e l’emergente binaria alternativa del XXI secolo di transgender / cisgender. Va notato che le alternative binarie non sono limitate all’uso comune. Molti studi scientifici sull’omosessualità contengono anche convinzioni binarie di genere implicite (e spesso esplicite). Ad esempio, l’ ipotesi intersessuale dell’omosessualità [26,27] sostiene che il cervello degli individui omosessuali mostra caratteristiche che sarebbero considerate più tipiche dell’altro sesso. La credenza di genere essenzialista implicita nelle ipotesi intersessuali è che l’attrazione per le donne è un tratto maschile, che nel caso di Sigmund Freud [28], per esempio (vedi anche sotto), ha portato alla sua teoria che le lesbiche hanno una psicologia maschile. Allo stesso modo, i ricercatori biologici hanno presunto che gli uomini gay abbiano cervelli che assomigliano più da vicino a quelli delle donne [29] o che ricevano frammenti extra dei cromosomi X (femminili) delle loro madri [30].

Le convinzioni di genere di solito consentono solo l’esistenza di due sessi. Per mantenere questa alternativa binaria di genere, la maggior parte delle culture insisteva tradizionalmente affinché ogni individuo fosse assegnato alla categoria di uomo o donna alla nascita e affinché gli individui successivamente si conformassero alla categoria a cui erano stati assegnati. Le categorie di “uomo” e “donna” sono considerate mutuamente esclusive, sebbene vi siano eccezioni, come nel Simposio di Platone e in alcune culture dei nativi americani [31]. (Vedi anche Fausto-Sterling [32,33,34] per le critiche ponderate di uno scienziato alle alternative binarie di genere). Queste convinzioni sono alla base delle teorie della metà del XX secolo secondo cui i bambini nati con genitali anomali dovevano immediatamente essere sottoposti a interventi chirurgici non necessari per ridurre le ansie dei genitori sul fatto che fossero ragazzi o ragazze [25,34,35].

Le rigide convinzioni di genere di solito prosperano nelle comunità religiose fondamentaliste in cui qualsiasi informazione o spiegazione alternativa che potrebbe sfidare i presupposti impliciti ed espliciti non è gradita. Quando si entra nel campo del genere e della sessualità, non è insolito incontrare un’altra forma di pensiero binario: i “racconti morali” sul fatto che certi tipi di pensieri, sentimenti o comportamenti siano “buoni o cattivi” o sul fatto che essi siano “buoni o cattivi” in alcuni casi. [14,15,16]. L’alternativa binaria buono / cattivo non è limitata alla sola religione, poiché il linguaggio della moralità si trova inevitabilmente, ad esempio, nelle teorie sulle “cause” dell’omosessualità. Perché in assenza di certezza sull’ “eziologia” dell’omosessualità, le convinzioni binarie di genere e le basi morali ad esse associate giocano spesso un ruolo nelle teorie sulle cause e / o sui significati dell’omosessualità. Quando si riconoscono le forme narrative di queste teorie, alcuni dei giudizi morali e delle credenze incorporate in ciascuna di esse diventano più evidenti.

  1. I primi teorici dell’omosessualità

Per gran parte della storia occidentale, le dichiarazioni ufficiali sul significato dei comportamenti omosessuali sono state principalmente di competenza delle religioni, molte delle quali consideravano l’omosessualità moralmente “cattiva” [36]. Tuttavia, poiché la cultura occidentale del XIX secolo ha spostato il potere dall’autorità religiosa a quella secolare, i comportamenti omosessuali, come altri “peccati”, sono stati sottoposti ad un esame minuzioso da parte della legge, della medicina, della psichiatria, della sessuologia e dell’attivismo per i diritti umani. Alla fine, categorie religiose come la possessione demoniaca, l’ubriachezza e la sodomia sono state trasformate nelle categorie scientifiche di follia, alcolismo e omosessualità.

Pertanto, la storia moderna dell’omosessualità inizia di solito a metà del XIX secolo, in particolare con gli scritti di Karl Heinrich Ulrichs [21]. Formatosi in legge, teologia e storia, potrebbe essere considerato uno dei primi sostenitori dei diritti degli omosessuali che ha scritto una serie di trattati politici che criticano le leggi tedesche che criminalizzano le relazioni omosessuali tra uomini. Ha ipotizzato che alcuni uomini fossero nati con lo spirito di una donna intrappolato nei loro corpi e che questi uomini costituissero un terzo sesso che  egli ha chiamato urnings. Ha anche definito una donna che oggi chiameremmo lesbica come urningin, come lo spirito di un uomo intrappolato nel corpo di una donna.

Nel 1869, il giornalista ungherese Károli-Mária Kertbeny coniò per la prima volta i termini “omosessuale” e “omosessualità” in un trattato politico contro il paragrafo 143, una legge prussiana successivamente codificata nel paragrafo 175 della legge tedesca, che criminalizzava il comportamento omosessuale maschile [37]. Kertbeny avanzò la sua teoria che l’omosessualità fosse innata e immutabile, argomentando che si trattava di una variazione normale, come contrappeso contro gli atteggiamenti morali di condanna che avevano portato all’approvazione delle leggi sulla sodomia.

Richard von Krafft-Ebing, uno psichiatra tedesco, ha presentato una prima teoria della patologia, descrivendo l’omosessualità come un disturbo “degenerativo”. Adottando la terminologia di Kertbeny, ma non le sue convinzioni normalizzanti, la Psychopathia Sexualis di Krafft-Ebing del 1886 [17] considerava i comportamenti sessuali non convenzionali attraverso la lente della teoria darwiniana del XIX secolo: i comportamenti sessuali non procreativi, masturbazione inclusa, erano considerati forme di psicopatologia. In un capovolgimento ironico della moderna teoria del “gay nato”, Krafft-Ebing credeva che sebbene si potesse nascere con una predisposizione omosessuale, tali inclinazioni dovessero essere considerate una malattia congenita. Krafft-Ebing è stato influente nel diffondere tra le comunità mediche e scientifiche sia il termine “omosessuale” così come il suo punto di vista sull’omosessualità come disturbo psichiatrico. La Psychopathia Sexualis sembra presagire molti dei presupposti patologizzanti riguardanti la sessualità umana tipici dei manuali diagnostici psichiatrici della metà del XX secolo.

Al contrario, Magnus Hirschfeld [38], anche lui psichiatra tedesco, ha offerto una visione normativa dell’omosessualità. Hirschfeld, un omosessuale dichiarato, medico e ricercatore di sessuologia, è stato un leader del movimento omofilo tedesco del suo tempo così come l’alfiere delle teorie sul terzo sesso di Ulrich [21] del XIX secolo.

  1. Teorizzazione psicoanalitica

Confutando direttamente le teorie di Hirschfeld sulla variazione normale e la teoria della patologia di Krafft-Ebing, Sigmund Freud [19] propose una teoria alternativa che avrebbe trovato la sua strada anche nell’immaginazione popolare. Poiché credeva che tutti nascessero con tendenze bisessuali, le espressioni di omosessualità potevano essere una fase normale dello sviluppo eterosessuale. Questa credenza nella bisessualità innata non consentiva la possibile esistenza del terzo sesso di Hirschfeld: “La ricerca psicoanalitica è decisamente contraria a qualsiasi tentativo di separare gli omosessuali dal resto dell’umanità come un gruppo di carattere speciale” [19], (p. 145n). Inoltre, Freud sosteneva che l’omosessualità non poteva essere una “condizione degenerativa” come sosteneva Krafft-Ebing perché, tra le altre ragioni, “si trovava in persone la cui efficienza non è compromessa e che si distinguono per sviluppo intellettuale e cultura etica particolarmente elevati” [19], (p. 139). Invece, Freud vedeva le espressioni del comportamento omosessuale degli adulti come causate da uno sviluppo psicosessuale “arrestato”, una teoria dell’immaturità. Verso la fine della sua vita, Freud scrisse: “L’omosessualità non è sicuramente un vantaggio, ma non è nulla di cui vergognarsi, nessun vizio, nessun degrado; non può essere classificata come una malattia; la consideriamo una variazione della funzione sessuale, prodotta da un certo arresto dello sviluppo sessuale”[39], (p. 423). Questa convinzione lo rese pessimista sugli sforzi per cambiare un orientamento omosessuale in uno eterosessuale: “In generale, impegnarsi a convertire un omosessuale pienamente sviluppato in un eterosessuale non offre molte più prospettive di successo del contrario, e comunque, per buone ragioni pratiche, questo secondo tentativo non viene mai messo in pratica”[28], (p. 151).

Tuttavia, dopo la morte di Freud nel 1939, la maggior parte degli psicoanalisti della generazione successiva arrivò a considerare l’omosessualità come patologica. Essi hanno proposto una comprensione rivisitata dell’omosessualità e “cure” psicoanalitiche che erano sfuggite al fondatore del campo. Le loro opinioni erano basate sulle teorie di Sandor Rado [40,41], un emigrato ungherese negli Stati Uniti le cui teorie ebbero un impatto significativo sul pensiero psichiatrico e psicoanalitico americano della metà del XX secolo. Rado sosteneva, a differenza di Freud, che non esistevano né bisessualità innata né omosessualità normale. L’eterosessualità era l’unica norma biologica e l’omosessualità veniva riconcettualizzata come un evitamento “fobico” dell’altro sesso causato da una genitorialità inadeguata. La teorizzazione di Rado ha informato il lavoro di Bieber et al. [42] e Socarides [43], analisti le cui affermazioni su possibili “cure” psicoanalitiche dell’omosessualità furono ampiamente accettate dalla loro comunità professionale sebbene mai verificate in modo significativo o empirico (cfr. Moor [44]; Tripp [45]).

A metà del XX secolo la psichiatria americana è stata fortemente influenzata da queste prospettive psicoanalitiche. Di conseguenza, nel 1952, quando l’APA pubblicò la prima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico (DSM-I) [7], elencava tutte le condizioni che gli psichiatri consideravano allora un disturbo mentale. Il DSM-I ha classificato “l’omosessualità” come un “disturbo sociopatico della personalità”. Nel DSM-II, pubblicato nel 1968 [8], l’omosessualità è stata riclassificata come “deviazione sessuale”.

  1. I sessuologi

Mentre psichiatri, medici e psicologi cercavano di “curare” l’omosessualità, i ricercatori del sesso della metà del XX secolo hanno invece studiato uno spettro più ampio di individui che includevano popolazioni “non pazienti”. Gli psichiatri e altri medici hanno tratto conclusioni da un campione distorto di pazienti in cerca di cure per l’omosessualità o per altre difficoltà e poi hanno descritto i risultati di questo gruppo auto-selezionato come casi clinici. Alcune teorie sull’omosessualità erano basate su studi sulle popolazioni carcerarie. I sessuologi, d’altra parte, hanno condotto studi sul campo in cui sono usciti e hanno reclutato un gran numero di soggetti “non pazienti” nella popolazione generale.

La ricerca più importante in quest’area è stata quella di Alfred Kinsey e dei suoi collaboratori, pubblicata in due rapporti che hanno avuto larga eco nella stampa [22,23]. I rapporti Kinsey, esaminando migliaia di persone che non erano pazienti psichiatrici, hanno scoperto che l’omosessualità è più comune nella popolazione generale di quanto generalmente si credesse, sebbene la sua ormai famosa statistica del “10%” sia oggi ritenuta più vicina all’1-4% [46]. Questa scoperta era nettamente in contrasto con le affermazioni psichiatriche dell’epoca secondo cui l’omosessualità era estremamente rara nella popolazione generale. Lo studio di Ford e Beach [47] su diverse culture e comportamenti animali, ha confermato l’opinione di Kinsey che l’omosessualità era più comune di quanto sostenuto dalla psichiatria e che si trovava regolarmente in natura. Alla fine degli anni ’50, Evelyn Hooker [24], una psicologa, pubblicò uno studio in cui confrontava i risultati dei test psicologici di 30 uomini gay con 30 controlli eterosessuali, nessuno dei quali era un paziente psichiatrico. Il suo studio non ha trovato più segni di disturbi psicologici nel gruppo maschile gay, una scoperta che confutava le convinzioni psichiatriche del suo tempo che tutti gli uomini gay avevano gravi disturbi psicologici.

  1. La decisione APA del 1973

Gli psichiatri americani per lo più hanno ignorato questa crescente mole di ricerche sul sesso e, nel caso di Kinsey, hanno espresso estrema ostilità nei confronti dei risultati che contraddicevano le loro teorie [48]. Va inoltre notato che alcuni gruppi di attivisti omofili (gay) della metà del XX secolo avevano accettato il modello di malattia proposto dalla psichiatria come alternativa alla condanna sociale dell’ “immoralità” dell’omosessualità ed erano disposti a lavorare con professionisti che cercavano di “trattare” e “curare” l’omosessualità. Altri attivisti gay, tuttavia, avevano respinto con forza il modello patologico come uno dei principali responsabili dello stigma associato all’omosessualità. È stato quest’ultimo gruppo a portare all’attenzione dell’APA le moderne teorie sulla ricerca sessuale. Sulla scia delle rivolte di Stonewall del 1969 a New York City [49], attivisti gay e lesbiche, ritenendo che le teorie psichiatriche contribuissero pesantemente allo stigma sociale antiomosessuale, interruppero gli incontri annuali del 1970 e 1971 dell’APA.

Come ha notato Bayer [1], fattori sia esterni che interni all’APA porterebbero a una riconcettualizzazione del posto dell’omosessualità nel DSM. Oltre ai risultati della ricerca della psichiatria esterna, c’era un crescente movimento antipsichiatrico [50], per non parlare dei critici degli studi culturali che consideravano ridicolizzata la storia della medicina dall’eccesso diagnostico, citando l’esempio della drapetomania, del XIX secolo, un “disturbo degli schiavi che hanno la tendenza a scappare dal loro padrone a causa di un’innata propensione alla voglia di viaggiare” [51], (p. 357).

C’era anche un emergente cambio generazionale della guardia all’interno dell’APA, emergevano giovani leader che sollecitavano l’organizzazione a una maggiore consapevolezza sociale [2]. Pochissimi psicoanalisti come Judd Marmor [5,52] stavano anche discutendo con l’ortodossia psicoanalitica riguardo all’omosessualità. Tuttavia, il catalizzatore più significativo per il cambiamento diagnostico è stato l’attivismo gay.

Le proteste degli attivisti gay sono riuscite ad attirare l’attenzione dell’APA e hanno portato a piattaforme di discussione senza precedenti nei successivi due incontri annuali del gruppo. Una piattaforma del 1971, intitolata “Gay is Good”, presentava gli attivisti gay Frank Kameny e Barbara Gittings che spiegavano agli psichiatri, molti dei quali ascoltavano questi discorsi per la prima volta, lo stigma causato dalla diagnosi di “omosessualità” [53,54,55]. Kameny e Gittings tornarono a parlare all’incontro del 1972, questa volta raggiunti da John Fryer, MD Fryer apparve nei panni del Dr. H Anonymous, uno “psichiatra omosessuale” che, data la paura realistica delle conseguenze professionali avverse per il coming out in quel momento, nascose la sua vera identità al pubblico e parlò della discriminazione che gli psichiatri gay devono affrontare nella loro stessa professione [1,2].

Mentre si svolgevano proteste e discussioni, l’APA si impegnò in un processo deliberativo interno per considerare la questione se l’omosessualità debba rimanere una diagnosi psichiatrica. Ciò includeva un simposio nella riunione annuale dell’APA del 1973 in cui i partecipanti a favore e contrari alla rimozione dovevano rispondere alla domanda: “L’omosessualità dovrebbe essere nella nomenclatura APA?” [56]. Il Comitato per la Nomenclatura, l’ente scientifico dell’APA che si occupava di questo problema, affrontò anche la questione di cosa costituisca un disturbo mentale. Robert Spitzer, che presiedeva un sottocomitato che esaminava la questione, “aveva riesaminato le caratteristiche dei vari disturbi mentali, ed era giunto alla conclusione che, con l’eccezione dell’omosessualità e forse di alcune delle altre ‘deviazioni sessuali’, tutti i disturbi mentali hanno regolarmente causato disagio soggettivo o sono stati associati ad un deterioramento generalizzato dell’efficacia sociale del comportamento”[57], (p. 211). Essendo arrivato a questa nuova definizione di disturbo mentale, il Comitato per la Nomenclatura ha convenuto che l’omosessualità di per sé non era un disturbo mentale. Diversi altri comitati APA e organi deliberativi hanno quindi riesaminato e accettato il lavoro e le raccomandazioni del Comitato per la Nomenclatura. Di conseguenza, nel dicembre 1973, il Consiglio di Amministrazione dell’APA (BOT) votò per rimuovere l’omosessualità dal DSM.

Tuttavia, gli psichiatri della comunità psicoanalitica si opposero alla decisione. Presentarono una petizione all’APA per tenere un referendum chiedendo a tutti i membri di votare a sostegno o contro la decisione del BOT. La decisione di rimuovere fu confermata da una maggioranza del 58% dei 10.000 membri votanti.

Va notato che gli psichiatri non hanno votato, come spesso riportato dalla stampa popolare, sul fatto che l’omosessualità debba rimanere una diagnosi. Ciò su cui i membri dell’APA hanno votato è stato di “favorire” o “opporsi” alla decisione del Consiglio di fondazione dell’APA e, per estensione, al processo scientifico che era stato istituito per prendere la decisione [1], (p. 148). Inoltre, gli oppositori della rimozione del 1973 hanno ripetutamente cercato di screditare l’esito del referendum dichiarando che “la scienza non può essere decisa con un voto” [58]. Tuttavia, essi di solito trascurano di menzionare che coloro che sono favorevoli al mantenimento della diagnosi sono stati quelli che per primi hanno chiesto il voto. Nel 2006 l’Unione Astronomica Internazionale ha votato se Plutone fosse un pianeta [59,60], dimostrando che anche in una scienza rigorosa come l’astronomia, l’interpretazione dei fatti è sempre filtrata attraverso la soggettività umana.

In ogni caso, gli eventi del 1973 non hanno posto fine immediatamente alla patologizzazione psichiatrica di alcune manifestazioni della omosessualità. Perché al posto dell’ “omosessualità”, il DSM-II conteneva una nuova diagnosi: Disturbo dell’orientamento sessuale (SOD). SOD considerava l’omosessualità una malattia se un individuo con attrazione per lo stesso sesso la trovava angosciante e voleva cambiare [56,57]. La nuova diagnosi legittimava la pratica delle terapie di conversione sessuale (e presumibilmente giustificava il rimborso assicurativo anche per quegli interventi), anche se l’omosessualità di per sé non era più considerata una malattia. La nuova diagnosi ha anche tenuto conto dell’improbabile possibilità che una persona insoddisfatta di un orientamento eterosessuale potesse cercare un trattamento per diventare gay [61].

La SOD è stata successivamente sostituita nel DSM-III [9] da una nuova categoria chiamata “Ego Dystonic Homosexuality” (EDH) [57]. Tuttavia, era ovvio per gli psichiatri, più di un decennio dopo, che l’inclusione prima del SOD, e poi dell’EDH, fosse il risultato di precedenti compromessi politici e che nessuna delle due diagnosi soddisfaceva la definizione di disturbo nella nuova nosologia. Altrimenti, tutti i tipi di disturbi dell’identità potrebbero essere considerati disturbi psichiatrici. “Le persone di colore insoddisfatte della loro razza dovrebbero essere considerate malate di mente?” I critici hanno posto questa domanda. Che dire delle persone basse insoddisfatte della loro altezza? Perché non la masturbazione ego-distonica [62]? Di conseguenza, l’omosessualità ego-distonica fu rimossa dalla successiva revisione, DSM-III-R, nel 1987 [10]. In tal modo, l’APA accettava implicitamente la visione dell’omosessualità come variante normale in un modo che non era stato possibile quattordici anni prima [63].

  1. Conclusioni

La revisione diagnostica dell’APA del 1973 fu l’inizio della fine della partecipazione ufficiale della medicina organizzata alla stigmatizzazione sociale dell’omosessualità. Cambiamenti simili si sono verificati gradualmente anche nella comunità internazionale degli operatori della salute mentale. Nel 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso l’omosessualità di per sé dalla Classificazione internazionale delle malattie (ICD-10) [64]. Di conseguenza, i dibattiti sull’omosessualità si sono gradualmente spostati dalla medicina e dalla psichiatria nella dimensione morale e politica, poiché le istituzioni religiose, governative, militari, dei media e dell’istruzione sono state private della razionalizzazione medica o scientifica per la discriminazione.

Di conseguenza, gli atteggiamenti culturali nei confronti dell’omosessualità sono cambiati negli Stati Uniti e in altri paesi quando coloro che hanno accettato l’autorità della Scienza su tali questioni hanno gradualmente accettato la visione normalizzante. Perché se l’omosessualità non fosse più considerata una malattia, e se non si accettassero letteralmente i divieti biblici contro di essa, e se le persone gay sono capaci e pronte a comportarsi come cittadini produttivi, allora cosa c’è di sbagliato nell’essere gay? Inoltre, se non c’è niente di sbagliato nell’essere gay, quali principi morali e legali dovrebbe sostenere la società in generale nell’aiutare le persone gay a vivere apertamente la propria vita?

Il risultato, in molti paesi, alla fine ha portato, tra le altre cose, a (1) l’abrogazione delle leggi sulla sodomia che criminalizzavano l’omosessualità; (2) l’emanazione di leggi che proteggono i diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) nella società e sul posto di lavoro; (3) la capacità del personale LGBT di servire apertamente nell’esercito; (4) l’uguaglianza nel matrimonio e le unioni civili in un numero sempre crescente di paesi; (5) l’agevolazione dei diritti di adozione dei genitori gay; (6) la facilitazione dei diritti ereditari dei coniugi gay; e (7) un numero sempre crescente di denominazioni religiose che possono consentire alle persone apertamente gay di far parte del clero.

Cosa ancora più importante, in medicina, psichiatria e nelle altre professioni della salute mentale, la rimozione della diagnosi dal DSM ha portato a un cambiamento importante dal porre domande su “cosa causa l’omosessualità?” e “come possiamo trattarla?” al concentrarsi invece sui bisogni di salute e di salute mentale delle popolazioni di pazienti LGBT [65].

Riferimenti

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IPOTESI SCIENTIFICA SULL’ORIGINE DEI GAY

Nel primo periodo delle esplorazioni interplanetarie ci si rese conto che su Marte non c’era vita o almeno non c’era vita evoluta a livello di intelligenza; da allora (circa all’inizio del XXI secolo), l’esistenza dei marziani fu archiviata, come ipotesi risibile, per più di un secolo. Recenti esplorazioni del pianeta rosso hanno però completamente stravolto questa teoria. La Missione “Geo-Marte”, conclusasi nel 2123, ha ritrovato nel sottosuolo di Marte abbondanti segni di una civiltà marziana notevolmente sviluppata a livello tecnologico. Le evidenze archeologiche hanno dimostrato doversi trattare di una piccola comunità, di poche migliaia di individui, i reperti di tipo tecnologico sono numerosi ma la loro interpretazione divide gli scienziati… alcuni oggetti sembrano affini a telefonini del tipo di quelli in uso all’inizio del secolo scorso, ma non si comprende da che tipo di energia potessero essere fatti funzionare e soprattutto non se ne comprende l’esatta funzione, alcuni ritrovamenti hanno lasciato gli scienziati stupefatti: sono state ritrovate carte assai dettagliate del pianeta Terra, come doveva apparire tra il VI e il VII secolo a.C.. Nessuna traccia diretta dei Marziani è stata ritrovata, né a livello di immagini né di scrittura o di qualcosa che potesse apparire simile alla scrittura e il mistero di Marte si è infittito. Ciò che ha stupito grandemente gli scienziati è stato il ritrovamento di una cassa di legno o di un materiale che sembra legno (materiale che su marte non esiste), contenente delle pergamene o cose che sembrano delle pergamene scritte in una lingua che appare una forma arcaica di greco (affine alla lineare B). Questi documenti sono stati portati sulla Terra per tentarne una decifrazione. Alla fine della missione del 2123, una sola cosa appariva certa: i Marziani sono esistiti, almeno fino al VII-VI secolo a.C., anche se ne restano solo tracce archeologiche. La vera notizia sconcertante è venuta dalla scuola di paleografia greca dell’Università di Atene. I documenti riportati sulla Terra appaiono scritti effettivamente in una forma di Greco arcaico. Alcuni testi, un documento fandamentale e pochi altri, con alcune incertezze, sono stati tradotti e pubblicati, qui di seguito potete leggerne alcuni brani.
“Nell’anno 56765 del quarto corpo dal Sole splendente (probabilmente quindi di Marte) il popolo dei Quartii (Marziani), venute meno le condizioni atte alla conservazione della vita è partito dalla sua città di Subquartia, nel sottosuolo di Quartia, e si è trasferito in Terzia (sulla Terra). Noi, Quartii, abbiamo scelto di assumere in tutto l’aspetto degli abitanti di Terzia per vivere tra loro e abbiamo scelto di selezionare i nostri geni per renderli compatibili con quelli degli abitanti di Terzia, le nostre specie sono quindi compatibili e i nostri geni si ricombinano con quelli degli abitanti di Terzia sulla base di leggi probabilistiche per le quali la popolazione di Terzia, in pochi anni, sarà costituita per il 92% di Terzii puri (Terrestri puri) e per l’8% da Quartii puri. Il nostro aspetto fisico sarà in tutto indistinguibile da quello dei Terzii e ne assimileremo anche la lingua e, parzialmente, la cultura, ma in alcune cose non ci confonderemo con loro, quali esse siano è e sarà noto solo ai Quartii”.
Una parte degli altri documenti riproducevano trattati di alleanza tra città greche, una di esse, Quartion, sembra essere stata la prima sede dei Quarzii sulla Terra. Le prospettive aperte dalle nuove scoperte sono sconvolgenti… i Marziani sono tra noi! Tutti i rimanenti documenti si riferivano a questioni filosofico-scientifiche e politiche, se ne deduce che i Quarzii avevano un singolare istinto di libertà e vivevano in una società priva di leggi, tra di essi un solo comportamento era sanzionato: il tentare di limitare la libertà altrui e si può altresì dedurre dai documenti che i Quarzii avessero una particolare tendenza a ragionare evitando la metafisica, a qualunque livello, sembra che tutto il loro modo di vita fosse basato su due elementi portanti: la ragione ed il coinvolgimento affettivo, elementi ai quali sembravano attribuire pari dignità. Ma più di questo non è dato dedurre dalla traduzione dei documenti che presentano lacune, talvolta in punti essenziali, lacune che non appaiono casuali: tutto ciò che descrive i rapporti dei Quarzii con i Terrestri è esplicito e comprensibile, tutto ciò che sembra alludere ai rapporti dei Quartii tra loro è invece evanescente e incomprensibile perché lacunoso e, probabilmente, deliberatamente lacunoso.
Una volta si pensava che i Marziani fossero cattivi, e tanta letteratura fantascientifica è stata prodotta nel XIX e nel XX secolo a partire da questa idea e, in fondo, ancora oggi, molti scienziati sono portati a darle credito. Si pensava anche che i Marziani fossero verdi, di forma molto strana, che parlassero un linguaggio incomprensibile fatto di fischi e ultrasuoni ben modulati, ma oggi tutto questo non ha più senso. Oggi abbiamo la certezza che i Marziani sono tra noi.

Diario di Kennet White, New York 21/1/2127
Stamani sono stato all’università … una lezione terribile… tutte sciocchezze e poi, soprattutto, l’apologia della sopraffazione… questi la chiamano morale… se c’è una regola morale che può avere senso è solo quella di rispettare la libertà del prossimo… qui ragionano ancora tutti in termini di bene e di male… ma solo in astratto… tutta metafisica… un professore che fa la metafisica della guerra e poi parla di libertà… ma lo sanno questi che cos’è la libertà? … loro ne parlano … ma è libertà metafisica, loro parlano di morale ma lo loro morale consiste nel limitare la libertà altrui, nel condannare, nel tirare fuori sentenze… altro che rispetto… qui il rispetto del prossimo non esiste per niente e poi io lo vivo sulla mia pelle… libertà… rispetto… ma qui l’ipocrisia è la regola! … ma che puoi fare? Sei in mezzo a una massa di gente ma ti senti solo… questi parlano un’altra lingua… non ci si capirà mai… mai! Certe volte ho proprio l’impressione di essere di un altro pianeta… mah! Domani ennesima recita… ogni giorno si deve fingere, non c’è rimedio… fammi aprire il comunicatore … c’è una decina di messaggi … il mio discorso di lunedì deve avere fatto presa… vediamo.
– Ciao Kennet … ho letto il tuo discorso… farai carriera politica…
… No! Questo lo cancello subito…
– Brutto imbecille ma chi ti credi di essere… tu mi sembri proprio un alieno…
… Anche questo lo cancelliamo…
– Kennet, ho letto il tuo discorso con interesse e vorrei darti alcuni consigli…
… Cancelliamo anche questo…
… Insomma, dieci messaggi tutti carucci… uno solo di insulti, gli altri positivi… ma un po’… come dire… un po’… lontani… quando parlo mi capiscono nel senso che capiscono quello che possono capire, cioè quello che possono capire sulla base della loro esperienza… ma è un’esperienza che è lontana dalla mia… è arrivato un altro messaggio… vediamo un po’…
– Le cose che hai detto le sento mie… evidentemente siamo marziani… adesso non sei solo… adesso siamo in due.

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